Quella sera, non aveva fretta. Sì ma certo, doveva andare a cena a casa dai suoi, sì l’aspettavano per la cena della vigilia, ma non aveva fretta.

Non perché non le andasse di andare, per carità. C’era il fratello, quello che lavora in banca ed è sempre così preciso, ordinato. C’era mamma e papà ad aspettarla. Papà con tanti progetti, come sempre. Più si avvicinava alla pensione più faceva progetti: rassicurante, in un certo senso. Mamma sempre mamma, così completa nelle poche cose che faceva, ma così indispensabili che se togli lei, cadrebbe tutto. L’universo si smonterebbe in piccolissime parti. Lei lo tiene insieme senza saperlo. E siccome vuole bene a papà, alla fine anche lui lo tiene insieme, l’universo. Anche se a volte gli manca la visione ampia, se si perde nelle sue cose, semplicemente ne viene coinvolto, viene preso nel flusso. Perché è tutta una cosa di mutue relazioni, in fondo.

Immagine generata con Image Creator di Microsoft

Eva non aveva fretta, no. Stava alla finestra e guardava lo spettacolo del cielo, che si era intanto predisposto per lei. Si era vestita già e stava per uscire, ma aveva fatto lo sbaglio piacevole di passare davanti all’ampia finestra, così si era fermata. Incantata. Perché qualcosa aveva raggiunto il suo cuore, qualcosa di una dolcezza imbarazzante, una dolcezza che non si poteva dire, che non si riusciva a dire, che non era razionale, non era comunicabile, non era nemmeno conveniente dire.

Qualcosa era entrata a riscaldarla, che intanto le diceva che tutto quello che vedeva era per lei, tutto questo spettacolo che si ammirava da qui, da questo posto buio abbastanza per vedere le stelle e perciò illuminato nel modo migliore: era tutto allestito per lei. Stelle, pianeti, galassie, ammassi di galassie, quasar… tutto quel che riusciva e non riusciva a vedere, c’era per lei. Le fu chiaro in un lampo, in un microsecondo era già afferrata, posseduta da questa ingiustificabile evidenza.

Tutto per lei? E perché? E in che modo? Ma no, le domande non servivano, le domande tentavano di riportarla nei discorsi di parole, la portavano fuori strada. Capì che doveva fare silenzio, e starci. E basta, basta così. Questo chiedevano le stelle, le chiedevano solo questo: quieta attenzione.

Una cosa soltanto non riusciva a non dirsela, perché tutto glielo suggeriva. Se tutto questo è per lei, vuol dire che lei è davvero importante, nell’universo. Non importante nel senso lei non sa chi sono io eccetera, non in questo senso. Ma in un senso delicato, profumato e sottile. Un’importanza che non fa gonfiare l’orgoglio, ma intenerire il cuore.

Con un cuore più tenero, decise che si sarebbe staccata dalla finestra, sì d’accordo. Peraltro, con l’universo ci aveva parlato, aveva capito, si erano detti le cose importanti, la vita poteva proseguire, poteva di nuovo interagire con altre persone, poteva vivere.

Solo un attimo, un attimo soltanto, poi si sarebbe staccata, sì. Augurò buon Natale a sé stessa e al mondo anzi a tutti i mondi là fuori, che glielo stavano già dicendo nella loro lingua segreta, nel silenzio che per lei era limpido, comprensibile, amico. Buon Natale, sì.

Prese la piccola borsa e si tirò dietro la porta, con misurata delicatezza. Non c’era nessun motivo di avere fretta. Tanto ormai le stelle le aveva addosso, le aveva dentro.

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