Il cosmo e la poesia (XI)
Ora che mi leggete in queste righe, è passata da poco la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre. Mi pare una ottima occasione per tornare sulla poesia italiana al femminile, sempre con l’occhio a quei versi che più d’altri ci parlano del cielo. Perché esiste una violenza del silenzio, lo sappiamo bene, che vogliamo contrastare, infrangere, debellare. E anche perché spesso proprio le poetesse sono le più capaci di ineffabili sfumature di delicatezza, ma anche – insieme – di contatto completo con il cosmo.
Di Maria Luisa Spaziani ho brevemente accennato nella seconda puntata di questa serie, ora però ritengo sia tempo di scendere più in profondità.
Riconoscere nella estesa produzione di Maria Luisa (scomparsa esattamente dieci anni e pochi mesi fa) quanto – ad esempio – la Luna affiori così frequentemente nei suoi versi, vuol dire anche assaporare una volta di più, l’attenzione e l’abitudine al cielo come caratteristica inestirpabile della poesia di ogni tempo. E la Luna è spesso questo punto di incontro, questo luminoso ed enigmatico cardine tra terra e cielo, tra cose usate e cose meravigliose.
Questo cielo – tante volte ormai l’abbiamo visto – è il luogo privilegiato di incontro del poeta e dello scienziato, perché è un luogo di meraviglia, innanzitutto. E niente funziona più della meraviglia per unificare le forze, elevare l’energia, diluire le differenze fino a farle scomparire. Lo dice anche la fisica, le concordanze avvengono sempre in regimi di alta frequenza, di energia abbondante e pulita.
La Spaziani inizia a scrivere poesie fin da bambina (diceva qualcuno che tutti scriviamo poesie da ragazzi, i poeti sono quelli che non smettono). La sua produzione (per un valido approccio, consiglio di munirsi della nutrita Autoantologia) è caratterizzata da una profonda riflessione sulla condizione umana, sull’amore, sulla morte e sulla natura. I suoi versi mi appaiono eleganti e raffinati, senza per questo perdere forza e trazione, senza sbiadire nel manierismo.
Nella Spaziani si rivela molto luminosamente quella considerazione del cielo come abitudine che accomuna moltissimi poetesse (e poeti). Come stiamo proprio sperimentando, un passo alla volta, in questo nostro spazio.
Il cielo della Spaziani non è un cielo da comprendere razionalmente, ma innanzitutto da vivere: è il cielo che insiste sulla Terra proponendo la sua cordiale inevitabilità, invitando gentilmente ad allacciare o riallacciare un rapporto. In questa sorta di percorso minimo, graviteremo, in sua compagnia, intorno alla nostra Luna. Ed eccola subito, nei suoi versi.
Luna d’inverno che dal melograno
per i vetri di casa filtri lenta
sui miei sonni veloci di ladro
sempre inseguito e sempre per partire.
Come un velo di lacrime t’appanna
e presto l’ora suonerà…
Lontano
oltre le nostre sponde, oltre le magre
stagioni che con moto di marea
mortalmente stancandoci ci esaltano
e ci umiliano, poi splenderai lieta
tu, insegna d’oro all’ultima locanda
lampada sopra il desco incorruttibile
al cui chiarore ad uno ad uno
i visi in cerchio rivedrò che un turbine
vuoto e crudele mi cancella.
Ben si comprende il carattere benigno della Luna di Maria Luisa, una Luna che infatti splende lieta: presenza amica capace di rivelare in un chiarore visi amati, che un misterioso turbine vuoto e crudele vorrebbe invece cancellare. Tramite lei, la poetessa intreccia un dialogo con il cielo dal quale, forse proprio in virtù di questa apertura di credito, avverte di ricevere aiuto e protezione.
Tutto ciò appare ancora più serenamente chiaro in questi altri versi, che mi coinvolgono con il loro carattere di delicatezza essenzialmente materna, per questo latte così soavamete ribadito, ripreso.
La luna, spilla doro sul drappo delle stelle,
per la mia lampada è fonte di energia.
Con misteriose onde mi raggiungono
le parole che sa.Senza di lei saremmo gattini ciechi,
votati a una morte per fame.
Gocciola il nutrimento, latte, latte
scivola lungo i raggi.
Il cosmo è essenzialmente un racconto. Così, sono parole, quelle che raggiungono la poetessa. Parole, capaci di nutrire: latte, latte avverte scivolare lungo i raggi Maria Luisa, dove la semplice ripetizione del termine regala al verso un senso di più decisa concretezza.
La luna sbuca tra le nubi blu
e petrarchista anche le macerie.
Bossi ligustri, acanti: i vostri rami
non stormiscono qui.Di notte tutti i gatti sono bigi,
e rinasce un profumo di mentuccia.
spietato è il sole che denuncia al vento
i rifiuti, i crateri, le rughe.
Come è amica la notte! Tempo propizio per chi osserva le stelle, come per chi fa poesia. In un certo senso il Sole è spietato, è totalmente assertivo, non lascia spazio all’immaginazione. Solo la notte permette quel riparo, apre quell’ambito pregiato di dialogo con il cosmo dove rinasce un profumo di mentuccia e sono sottratti alla vista i rifiuti, i crateri, le rughe. La notte inaugura periodicamente un ambito di libertà alla nostra esistenza, sottraendo alla vista ciò che per mille motivi, si desidera lasciare occultato.
Finche non si spenga la luna continuo a contemplarla
se sono sola e niente mi distrae.
Le parlo. Suggestive le risposte.
E piene di sorprese.
E insomma: che non si possa dialogare con il cosmo (o con ogni dimensione altra) lo pensiamo soltanto noi, quando ricadiamo nella nostra ordinaria distrazione, nella nostra spicciola sfiducia, nel nostro usurato scetticismo. Non lo pensa certo una poetessa, ovvero non lo pensa la parte in noi che è rimasta realmente creativa, che gioca con la realtà con la capacità mirabile dei bambini. Che ne onora intimamente la intrinseca carica di meraviglia, prima ancora che analizzarla o quantificarla, frammentarla per cercare di estrarne i segreti e deporli – depauperati ormai di ogni carica poetica – sotto la impietosa luce solare.
Ma non esiste oggetto d’amore con il quale non si desideri ultimamente identificarsi. Non esiste oggetto d’amore che non sia già, in qualche modo, parte di noi, che non sia noi in qualche segreto schema cosmico.
A giorni alterni sono io la luna
e tu l’immensa terra che mi attira,
e questa notte tu, tu sei la luna
io ti tengo al guinzaglio –so che mi stai sognando, mi accarezzi
i globuli lo sanno del mio sangue,
ogni mio nervo teso come un arco
o un’arpa eolia che vibra al respiro.
Qui il respiro del cielo raggiunge la sua massima concretezza, entrando finalmente nella carne e nel sangue. La sottilissima – davvero femminile – sensibilità della Spaziani ci riporta così a quella comunione con il cielo che sempre più ci appare come condizione irrinunciabile del fare poesia. Condizione più che necessaria per ogni reale radicamento nel nostro ambiente, nel nostro tempo.
Contributo pubblicato sul numero di dicembre 2024 di Frascati Poesia Magazine. Le immagini sono state generate dall’Autore tramite Microsoft Copilot
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