Il cosmo e la poesia (XII)
Massimo Morasso è affermato poeta e collaudato uomo del cosmo, insieme. Finalista alla recente edizione del Premio Frascati Poesia “Antonio Seccareccia” con Frammenti di nobili cose, fa parte del consiglio scientifico dell’importante Festival dello Spazio che si tiene annualmente a Busalla, in provincia di Genova.

Proprio in occasione del premio, ho avuto la possibilità di chiacchierare estesamente con lui, in compagnia dell’amico poeta Claudio Damiani. Un parlare che naturalmente innestava la poesia al cosmo, una dimostrazione – per me – di come i due ambiti siano intrinsecamente legati, anzi che siano, in qualche modo certo, una cosa sola.
Di Massimo già ho accennato, due mesi fa, nel contributo intitolato “Balsami per l’autunno”. Ora ritorno volentieri sui suoi testi, confortato da questa comune interesse in ciò che esiste oltre la terra.
Il suo Frammenti è un volumetto agile. Edito da Passigli Poesia (2023), è un libro che già dalla sobria copertina sceglie di far prevalere le nude parole, sulle immagini intriganti, sulle evocative illustrazioni. E già negli estratti poetici ripresi nel frontespizio, mi imbatto in quella nostalgia celeste che subito mi porta alle stelle, a quel de-siderio che è, secondo il suggestivo etimo latino, avvertire la mancanza delle stelle.
Dicevo, un volume agile. Ma ciò non inganni: le poesia sono dense, precise, pesanti (non in senso negativo, ma che pesano, le parole cioè sono pietre, incastrate al punto preciso, all’intersezione esatta nel mosaico del tutto che riluce). La vera poesia è la vittoria della parole, che riprendono sapore e colore, riscattandosi dall’uso noncurante che le depotenzia, le svilisce. Dall’abuso distratto che le stacca dal contatto fecondo con il cielo, confinandole artificiosamente a terra. A quest’uso improprio, risponde il silenzio dei cieli.
Luci di prima sera
stesa come una metafora
(nel silenzio dei cieli)
ma insiste ancora
questa immagine:
non solo della terra.
Proprio perché le parole di Massimo sono pesanti (di un loro peso celeste, dunque), si staccano dalla Terra lievi, in dolce e persuasiva contraddizione con la legge di gravità. Ma lo dice proprio lui, assai meglio:
Visto che un grave tende alla caduta
Sali
per quanto puoi nell’al di là della pietraia
e porta giù al rifugio una genziana:
osservala, come
osservassi te dal fiore
in uno specchio,
e poi traducila
Questa è l’esortazione: tu sali, inverti l’ordine delle cose, comprendi che quanto più si riempie di significato il tuo parlare, tanto più diviene lieve, tanto più ti porta in sù.
La tensione verso l’alto (geografica, cosmica, spirituale) pervade come un filo rosso tutto il libretto di Massimo. E’ un richiamo forte, convincente perché omogeneo, costante. Ragionevole perché meditato, vissuto.
Ritornare al cielo, agli astri, è rendere possibile di nuovo un bene di vivere. Semplice, dopotutto. Lui stesso confessa, niente di speciale.
Spesso
mi è capitato di incontrare
il bene di vivere.
Non era niente di speciale, dico adesso
Un bel tramonto estivo, le cycas in terrazza
con le bipenni a far corona ai fusti,
l’aperitivo in talvole, gli amici
e l’anima con noi,
che ci assorbiva, astrale,
smaltandoci d’azzurro.
Il libro di Massimo, come i libri di poesia vera, valgono molto più del loro peso, delle loro pagine. Sono una porta di accesso ad un regno celeste dove un’anima irriducibilmente astrale – finalmente ascoltata – torna quieta protagonista.
Di quel regno celeste, di questo nuovo cielo di cui spesso qui parliamo, Massimo è, al tempo medesimo, conoscitore ed appassionato cantore. Che nemmeno ha paura di dire Dio, quando serve, quando intorno a questa misteriosa parola (depurata di tanti malintesi, resa cioè nuovamente poetica), si condensa – in meravigliosa e ancora appena accennata sintesi – l’amicizia tra noi ed il cielo
Pensa: il tutto come un simbolo di Dio.
Pensa: noi ci spostiamo a velocità incredibili
nel cosmo. Pensa il reale e perfino
l’impensabile, se è bello
Pensa l’errore
di tutte le ragioni
senza amore. Sentilo
dentro. Sentilo
di più.
Così l’evidenza della scienza moderna, di noi che ci spostiamo a velocità incredibili nel cosmo (precisa, perché il Sole sfreccia a più di 200 chilometri al secondo nel cosmo e noi con lui) esonda dal mero dato quantitativo e diventa spunto di meraviglia. Punto sul quale far leva, per sbalzare via, da ora in poi, tutte le ragioni senza amore.
In sintesi, questi versi appaiono frammenti preziosi (appunto, di nobili cose) per recuperare quel cielo che si mostra come la casa più audacemente familiare, più viva e bella, per tutto ciò che di veramente umano vive in noi.
Contributo pubblicato sul numero di gennaio 2025 di Frascati Poesia Magazine
Immagine di copertina, generata da Bing Image Creator
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