Il cosmo e la poesia (XIV)
Vorrei partire da una frase di Eckhart Tolle, estrapolata dal suo celebre testo “Un mondo nuovo”
Il corpo fisico altro non è che un’errata interpretazione di chi siete. In molti sensi è una versione microcosmica dello spazio esterno. Per darvi un’idea di quanto sia grande lo spazio fra i corpi celesti, considerate che la luce, che viaggia a una velocità costante di trecentomila chilometri al secondo impiega poco più di un secondo per viaggiare fra la Terra e la Luna; impiega circa 8 minuti per raggiungere la Terra dal Sole. Dalla stella più vicina a noi nello spazio, chiamata Proxima Centauri, che è il sole più vicino al nostro Sole, la luce viaggia per 4 anni e mezzo prima di raggiungere la Terra. Così vasto è lo spazio che ci circonda. Poi c’è lo spazio intergalattico, la cui vastità sfugge a ogni comprensione. Dalla galassia più vicina alla nostra, la Galassia Andromeda, la luce impiega due milioni e quattrocentomila anni per raggiungerci. Non è incredibile che il corpo sia spazioso quanto l’universo?
Mi chiedo, se non vivessimo questa vastità, questa spaziosità, che rimanda spudoratamente al corpo, come potremmo mai pensare di connettere la poesia, la letteratura, al cosmo? Cosa scriveremmo di valido, in questa rubrica?
Anita è una ragazzetta vispa, che fa un sacco di domande. Avendo una mamma che è astrofisica di mestiere, può ottenere risposta anche ad interrogativi sull’inizio dell’universo, sul Big Bang, sugli alieni, sulla forma della nostra Galassia, e su tante altre cose del cielo. Leggendo, anche noi impariamo, con lei.

I miei racconti contenuti nel volume Anita e le stelle. La saggezza di uno sguardo (Amazon, 2022) – che avrò il piacere di presentare il 14 marzo in un evento a Frascati (qui le info) – sono legati intimamente al corpo, alle sensazioni, alla viva curiosità di queste due donne. Che insieme al cosmo esplorano come il rapporto madre-figlia evolva e si modifichi con il tempo, usano delle cose del cielo per saggiarne la natura, per comprenderlo e per abitarlo, seguendo armonicamente il suo stesso mutar di forma.
Entriamo un attimo in queste domande, come le formula Anita.
Ma le stelle sono lontane? Quanto sono lontane davvero? Sicuramente più lontane della Luna, quella è praticamente dietro l’angolo, quasi quasi ci viene addosso, certe volte. Quando la vedi così grande, che riempie la finestra e sembra veramente gigantesca, pare quasi che se esci per strada e allunghi la mano, la puoi toccare. Poi certo, non ci riesci mai: arrivi lì e la Luna sembra sempre un po’ più lontano. Non c’è niente da fare, ti sembra sempre più alta del tuo dito.
Mamma invece dice che la Luna è molto vicina. Ma certo, per il suo modo di pensare per forza che è vicina. Ci mancherebbe. Lei studia i quasar, che sono cose gigantesche ma lontanissime. Miriadi di volte più lontani della Luna! Figuriamoci se per lei poi la Luna è vicina. Ma davvero, figuriamoci! Però dice anche che le stelle sono più lontane della Luna. Eh sì, abbastanza più lontane, in effetti. Perché poi sono dei puntini. Cioè d’accordo, sono appena dei puntini mentre loro sarebbero grandissime, di per sé sarebbero qualcosa di enorme (dovresti andare vicino, per accorgerti). Più del Sole, addirittura. Mamma dice che infatti il Sole è una stella abbastanza piccola, secondo lei ce ne sono di molto, molto più grandi.
Ci sono tanti argomenti di cui discorrere, tante occasioni per Anita per fare domande sul cosmo, anche perché ogni domanda in realtà è una richiesta di attenzione ed affetto verso la mamma: attenzione prontamente e limpidamente ripagata, esaudita. C’è una rete di scambi tra le due donne che va ovviamente oltre l’astronomia, perché l’astronomia da sola non basta, da sola (l’abbiamo ben visto) non serve. Serve se indica altro, appunto. Serve se collega al corpo, se rinforza questa connessione tra noi e lo spazio. Se collega queste due immensità.
Io, per come posso, ho provato a scrivere questo, anzi a far sentire proprio questo. L’idea, come avrete ormai capito, è quella di parlare di astronomia attraverso il racconto, di aprire una finestra sulla ricerca scientifica delle cose del cielo, in termini semplici ma non banali, raggiungendo perfino le acquisizioni scientifiche più attuali.
Questa scelta mi ha permesso di preservare l’incanto specifico della narrazione, dell’intrecciarsi di una storia, su una tessuto espressivo semplice, al fine di garantire un accesso morbido sia ai ragazzi che agli adulti. I ragazzi, sì. Se le storie sono il tessuto vero del cosmo (come dice la Rukeyser) allora dalle parole possono nascere fatti, incontri, relazioni, eventi nello spaziotempo.
Questo libro è, anche, grata testimonianza di un bellissimo lavoro, svolto su questi testi negli scorsi anni presso l’Istituto Comprensivo P.M. Corradini di Roma, con l’ausilio di Carla Ribichini ed altre insegnanti. Abbiamo scelto di usare questi testi come strumenti, come possibilità perché giovani donne e giovani uomini vi potessero appendere le loro impressioni e sensazioni: in modo che, dalla singola voce narrante, si arrivasse infine ad una moltitudine, ad una polifonia di voci.
Carla ha anche accettato di firmare la presentazione del volume e per l’occasione ha scritto una cosa semplice e bellissima, che va direttamente al punto, investe l’attuale emergenza educativa di uno sguardo consapevole e costruttivo, indica un percorso. Ogni volta che la ripercorro, mi piace un poco di più. La potete leggere all’indirizzo stardust.blog/nuovascienza.
Alcune frasi emerse nel lavoro a scuola, poi, sono cosi belle che le ho volute riportare nel volume, che così non è più soltanto un libro di racconti, ma vive nella contaminazione bella di tante tracce di una umana, umanissima esperienza.
Eccone appena un estratto.
Dobbiamo ricominciare a guardare verso le stelle, avere grandi progetti e grandi ambizioni. Noi uomini dobbiamo imparare a vedere nuovi mondi lontani e a raggiungerli, con una continua ricerca e duro lavoro. Solo in questo modo potremmo risvegliare le altre persone e dire loro di alzare la testa e puntare lì dove solo l’uomo può arrivare, in cielo (Simone)
Tutti gli esseri umani nascono diamanti, seppur ognuno diverso dall’altro: chi più grezzo, chi più puro. I diamanti sono rari, sono belli, sono preziosi e brillano. Eppure, molti si accontentano di essere pietre, di stare per terra, in mezzo alla polvere e al fango. Io credo, invece, che bisogna guardare in alto, puntare alle stelle e alzare la testa. È vero, spesso si cade, ma va bene così, cadere vuol dire esperienza, crescita, coraggio, volontà, vuol dire vivere. Credo sia necessario imparare a vedere oltre il visibile, imparare a stare in equilibrio, appesi, tra terra e cielo. Impariamo a guardare le stelle, a prenderle e a farle nostre. (Cecilia)
Anita è più curiosa di me, peraltro. Anita è per me il simbolo di questo universo curioso che (attraverso di lei) si fa domande. Per questo, mi piace tanto ascoltarla, mi è piaciuto lasciar fluire le sue parole in questi racconti, raccogliere ed onorare la sua fresca spontaneità. Ma niente esiste senza un rapporto – ci insegna la fisica moderna – così anche Anita non sarebbe senza il rapporto con la mamma (e con il papà). Non avrebbe curiosità ma solo paura, se sotto sotto non avvertisse d’essere guidata, accompagnata e protetta in questo viaggio nel cosmo.
Come tutti noi, del resto. Che ci chiediamo i come ed i perché, soltanto quando siamo certi che il posto per noi esiste, in questo universo. Così la scienza fiorisce nell’attimo in cui poniamo fiducia. Nel momento esatto, cioè, in cui lasciamo andare, nell’attimo in cui ci abbandoniamo al dolce rollìo di galassie lontane, che placidamente solcano le correnti cosmiche. Rasserenandoci.
Contributo pubblicato sul numero di marzo 2025 di Frascati Poesia Magazine
Immagine di copertina, generata da Bing Image Creator
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