Undici anni nello spazio

Potrebbe essere il titolo di un libro, o di un film. Invece è proprio quanto è accaduto: undici anni di incessante attività, in orbita ad un milione e mezzo di chilometri da casa. Miliardi e miliardi di misurazioni, quotidianamente spedite a Terra.

Ma andiamo con ordine.

Della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ho scritto in tantissime occasioni, su questo blog (anzi abbiamo, perché ha contribuito anche la cara amica e valente divulgatrice Sabrina Masiero, con alcuni tra i suoi numerosi articoli). Iniziando il tutto, ben prima del lancio.

Ora che sta finendo, mi viene da ripensarci.

Per dirla tutta, Gaia compare dentro il mio blog (allora si chiamava GruppoLocale) più di dieci anni prima del lancio, con un post del 2002, intitolato La sonda Gaia e i modelli della Via Lattea. Una decade prima del lancio, ma quando il sottoscritto non aveva minimamente idea che sarebbe stato coinvolto nel lavoro su Gaia, a cui vi avrebbe poi dedicato molti, molti anni.

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La Luna di Maria Luisa

Il cosmo e la poesia (XI)

Ora che mi leggete in queste righe, è passata da poco la giornata internazionale contro la violenza sulle donne, che si celebra il 25 novembre. Mi pare una ottima occasione per tornare sulla poesia italiana al femminile, sempre con l’occhio a quei versi che più d’altri ci parlano del cielo. Perché esiste una violenza del silenzio, lo sappiamo bene, che vogliamo contrastare, infrangere, debellare. E anche perché spesso proprio le poetesse sono le più capaci di ineffabili sfumature di delicatezza, ma anche – insieme – di contatto completo con il cosmo.

Di Maria Luisa Spaziani ho brevemente accennato nella seconda puntata di questa serie, ora però ritengo sia tempo di scendere più in profondità.

Riconoscere nella estesa produzione di Maria Luisa (scomparsa esattamente dieci anni e pochi mesi fa) quanto – ad esempio – la Luna affiori così frequentemente nei suoi versi, vuol dire anche assaporare una volta di più, l’attenzione e l’abitudine al cielo come caratteristica inestirpabile della poesia di ogni tempo. E la Luna è spesso questo punto di incontro, questo luminoso ed enigmatico cardine tra terra e cielo, tra cose usate e cose meravigliose.

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Anno nuovo, sistema vecchio?

Leggo con una certa curiosità il recente report di StatCounter, ripreso da Punto Informatico, secondo il quale il sistema operativo più diffuso, al momento, non è affatto un sistema operativo contemporaneo, per così dire.

E’ infatti Windows 10 che è utilizzato da quasi il 74% dei computer nel mondo. In altri termini: un sistema (che ha esordito nell’ormai lontano 2015) che ora non è più in produzione, è il sistema più usato al mondo. La cosa davvero buffa è l’andamento che si registra negli ultimi mesi del 2024, con Window 11 in discesa e Windows 10, addirittura, in salita.

Una buona cosa senz’altro è il 4% di Linux, sistema di cui qui – anche attraverso il blog SegnaleRumore ora qui confluito – mi sono occupato in diverse occasioni, per molti anni. Una buona cosa, certo, anche se ancora non può essere considerato un sistema che lotta per il dominio desktop (sono decenni che si vocifera di Linux sul desktop, invero). Per quanto, considerato che macOS si pone appena oltre il 14%, Linux rappresenta comunque una frazione significativa di tale sistema.

Windows 10 ed il cosmo”. Creato attraverso Copilot Designer di Microsoft

Vabbé. Perché Windows 10 è ancora il più diffuso? Le ragione possono essere molteplici. Sistemi vecchi che non si possono più aggiornare, sfiducia nel passaggio a Windows 11, calcolatori che gestiscono macchinari o computer di laboratorio, per cui l’aggiornamento potrebbe dare problemi (secondo la innegabile saggezza per cui ciò che funziona non si tocca). Analisi che senz’altro vanno lasciate agli esperti, magari confortati da statistiche più dettagliate.

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Vigilia di stelle

Quella sera, non aveva fretta. Sì ma certo, doveva andare a cena a casa dai suoi, sì l’aspettavano per la cena della vigilia, ma non aveva fretta.

Non perché non le andasse di andare, per carità. C’era il fratello, quello che lavora in banca ed è sempre così preciso, ordinato. C’era mamma e papà ad aspettarla. Papà con tanti progetti, come sempre. Più si avvicinava alla pensione più faceva progetti: rassicurante, in un certo senso. Mamma sempre mamma, così completa nelle poche cose che faceva, ma così indispensabili che se togli lei, cadrebbe tutto. L’universo si smonterebbe in piccolissime parti. Lei lo tiene insieme senza saperlo. E siccome vuole bene a papà, alla fine anche lui lo tiene insieme, l’universo. Anche se a volte gli manca la visione ampia, se si perde nelle sue cose, semplicemente ne viene coinvolto, viene preso nel flusso. Perché è tutta una cosa di mutue relazioni, in fondo.

Immagine generata con Image Creator di Microsoft

Eva non aveva fretta, no. Stava alla finestra e guardava lo spettacolo del cielo, che si era intanto predisposto per lei. Si era vestita già e stava per uscire, ma aveva fatto lo sbaglio piacevole di passare davanti all’ampia finestra, così si era fermata. Incantata. Perché qualcosa aveva raggiunto il suo cuore, qualcosa di una dolcezza imbarazzante, una dolcezza che non si poteva dire, che non si riusciva a dire, che non era razionale, non era comunicabile, non era nemmeno conveniente dire.

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Dove vanno il cielo e la terra

Questione imbarazzante, in molti sensi. Questione scomoda, per noi che ci accontentiamo spesso di piccoli risultati, piccoli progetti, piccoli aggiustamenti nell’assetto complessivo dell’esistenza. Sembra davvero non essere questo, il tempo di grandi imprese, di grandi progetti, di grandi domande. Sembra in effetti, che non lo sia mai.

Eppure è sempre necessario ripartire, scuotersi di dosso la polvere sedimentata a forza di accumulare scelte volte al piccolo cabotaggio, all’aggiustamento della barca (ma sempre) in porto, a vele arrotolante in modo che non prenda vento, al piccolo respiro contratto, che insomma non si sa mai.

Bene. Lo dico innanzitutto a me stesso, in questa chiusura di anno. Davvero, è ora di ripartire, di prendere il largo, di sentire l’aria sulla faccia, respirare l’infinito di nuovo. Le questioni scomode – di ogni tipo – vanno dunque accolte, vanno accolte a braccia aperte, perché infrangono un assetto di universo statico, che si è venuto a (ri)formare nelle nostre vite, un assetto vecchio ma che fa fatica a liquefarsi definitivamente.

Un identico assetto spesso blocca tanto la nostra curiosità del mondo fisico quanto la nostra fame di senso del vivere (che possiamo chiamare il sacro), ferma la ricerca appassionata, facendoci rientrare, per paura, in schemi ormai vecchi, che non portano più nutrimento. Ebbene, questo assetto va scosso, perché nuovi equilibri, nuove visioni, si facciano spazio.

“Dove vanno il cielo e la terra?” di Stroncature

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La domanda che ci siamo fatti venerdì sera, dove vanno il cielo e la terra? è una domanda che fino a qualche decennio fa, semplicemente non aveva senso. Almeno per quanto riguarda il cielo. Il cielo, in effetti, non andava da nessuna parte: era lì da sempre e sarebbe sempre rimasto così (al massimo, era stato creato così ad un certo punto). E questo lo pensava perfino un tipo di nome Einstein, fino a che le sue stesse equazioni, facendo esplodere il nuovo paradigma sotto il suo stesso naso, non l’hanno costretto a cedere, ad arrendersi ad un cosmo in evoluzione. Chiudendo con l’eterna stazionarietà ma aprendo le porte ad una storia meravigliosa e umanissima. Da riprendere ogni giorno, ogni momento.

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Le nuvole

Un titolo impegnativo, perché mi rimanda subito ad un album del 1990, un album di un grande, indimenticabile autore italiano. Però non è di tali nuvole che vorrei scrivere, adesso.

Per noi le nuvole, ordinariamente, sono quelle che vediamo da Terra. Difficilmente potremmo perderci nell’idea di nuvole visibili su altri pianeti. Ci avete mai pensato, a come si vedono le nuvole da Mercurio, da Venere? Forse mai. Bene, tutto normale. Perché non siamo abituati, non siamo ancora abituati, all’idea di una pluralità di mondi, come le evidenze sempre crescenti tuttavia sembrano indicare: al momento in cui scrivo, gli esopianeti conosciuti, sono 7360. Quando leggerete (specialmente se arrivate all’articolo con qualche giorno di ritardo, non parliamo poi di mesi o anni) potrebbero già essere un poco di più.

Se realizziamo che ogni pianeta è in realtà un mondo, un mondo che, come tale, possiede una sua meteorologia (per quanto diversa dalla nostra), cioè può avere dei venti, delle tempeste, ci dobbiamo aprire ad innumerevoli prospettive. A contemplare situazioni anche molto diverse da quella terrestre.

Come si vedono le nuvole. Da Marte. Crediti: NASA, JPL-Caltech, Kevin M. Gill

Come queste nuvole marziane. Vedete come disporre di dati sempre più precisi invita la nostra immaginazione ad allargarsi, non a comprimersi? Vedete come la scienza aiuta la meraviglia, non la insidia mai? Prima, delle nuvole su Marte non potevamo saperne assolutamente nulla. Di più, in realtà: nemmeno ci pensavamo.

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Balsami per l’autunno

Il cosmo e la poesia (X)

Dice Carlo Rovelli, già citato il mese scorso, che

Nulla ha esistenza in sé, tutto esiste solo in dipendenza da qualcosa d’altro, in relazione a qualcosa d’altro … le cose sono “vuote” nel senso che non hanno realtà autonoma, esistono a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di qualcosa d’altro.

Cosa mette in connessione stabile scienza e poesia? Le pone in condizione di mutua dipendenza, per dirla con Rovelli? Entrambe cercano di farci comprendere l’ambiente in cui viviamo, lo spazio che occupiamo. E rendercelo più abitabile. Tutto qui, se con ambiente intendiamo tanto quello esterno (lo spazio propriamente detto) quanto quello interno (sentimenti, emozioni). Le connessione tra i due spazi sono virtualmente innumerabili, tanto che secondo diverse correnti di pensiero, in realtà si tratta di un solo spazio: celebre la frase di Agostino, l’anima è in qualche modo, tutto.

Sostengo che la poesia esiste solo in funzione di qualcosa che gravita al suo esterno, così come la scienza. Ogni nuovo testo poetico, se riuscito, è anche e soprattutto una investigazione cosmologica. Ogni produzione poetica è anche un lavoro di ricerca, che estende e raffina le ricerche precedenti, smentisce alcune tesi, ne conferma altre.

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Qualcosa che non va

I più non saranno d’accordo, ma io sostengo che il primo a capirlo è stato Vasco. Con la lungimiranza tipica dei veri artisti, ce l’ha cantato chiaro, già molti anni fa. Addirittura, era il marzo del 1987 e all’epoca nessuno ancora ci pensava, ma lui già era avanti, molto avanti. C’è chi dice no, è la canzone in oggetto.

Davvero, nessuno ci pensava. Perché a quell’epoca, non solo non c’era Webb, ma perfino Hubble (con tutti i ritardi che ha accumulato) contrariamente ai piani iniziali, doveva ancora essere lanciato (per la cronaca, lo sarà solo tre anni dopo). E lui però l’ha detto, è incontestabile. E bisogna dunque dargli il dovuto credito.

“I conti non tornano”, generata mediante Copilot Designer di Microsoft

Le parole sono difficilmente equivocabili, peraltro.

C’è qualcosa che non va
In questo cielo
C’è qualcuno
Che non sa
Più che ore sono

Adesso, lasciamo pur stare le ultime tre strofe, che già da sole aprirebbero un discorso assai complesso sulla nostra percezione del tempo, sul crollo moderno del concetto di simultaneità, messo in crisi dal logico sviluppo della fisica relativistica: un cambio di paradigma che Vasco descrive in modo così compiuto e succinto, da far invidia a Ungaretti… [Continua a leggere sul portale Edu INAF]

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