La missione (quasi) impossibile

Domenica pomeriggio ho visto Mission: Impossible – Dead Reckoning – Parte uno. Mi sono divertito, ho ammirato la costruzione di un’opera complicatissima, ho goduto in particolare delle scene girate in Italia (Roma e Venezia, con una fotografia splendida). E in due ore e tre quarti circa in un susseguirsi mozzafiato di scene di azione (mirabolanti), ho anche riflettuto.

Sì, perché questo film è spettacolarmente attuale. Attualissima è la percezione acuta di come l’intelligenza artificiale sia la vera cosa che genera ammirazione ed inquietudine, in pari misura. Sorprendente che la sceneggiatura sia stata scritta ormai anni fa, perché – almeno per l’Italia – è una fotografia esatta di un dibattito che sta avvenendo nel momento presente.

Mi viene da pensare all’incontro tra Federico Faggin e Marco Guzzi, nel quale molto si è ragionato sull’intelligenza artificiale (con dei punti di vista che a mio avviso rimarranno come riferimenti fermi in un dibattito che fermenta ogni giorno di più).

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Una mattinata memorabile

Davvero è stata una mattinata memorabile, una splendida occasione, per me, di imparare e di crescere. Una occasione anche, di rapporto (si cresce nei rapporti, mi dico). Che ci faccio io qui? Proprio io?

Si era capito subito. Fin dalle prime investigazioni, dai primi contatti, si era capito. Da quando si era generata l’idea, si era intravista una possibilità di realizzazione. Era stato un percorso lungo e da fare con pazienza. Sondare la disponibilità di Marco Guzzi (filososo, poeta, saggista, ideatore dei gruppi Darsi Pace), iniziare ad esplorare strade per contattare Federico Faggin (fisico, inventore del microprocessore, imprenditore di successo, sostenitore di una nuova teoria della coscienza).

Dobbiamo temere l’intelligenza artificiale? O solo imparare ad usarla bene? Di questo anche, si è parlato…

Il tempo diventava sempre più propizio. L’intelligenza artificiale diventava oggetto di dialogo quotidiano, arrivava sui giornali e in televisione. Tra lodi sperticate e demonizzazioni impaurite, come recuperare un punto di vista ragionevole e fondato? L’occasione di dialogare con Guzzi e Faggin su questo era troppo ghiotta. Era anzi necessaria, da un certo punto di vista. 

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Appena una parte del tutto

Già dal titolo, i/o il nuovo disco di Peter Gabriel, di cui ho parlato anche su Edu INAF, si caratterizza per una attenzione specifica al mondo dell’informatica.

Con i/o si intende infatti (ci insegna wikipedia) una interfaccia messa a disposizione da un sistema operativo ad un programma, per effettuare un passaggio di segnale. Input/output letteralmente entrata/uscita e su questo è giocato tutto il testo del pezzo omonimo (peraltro, meraviglioso da tutti i punti di vista, soprattutto nella versione Bright Side Mix).

Sono parte di ogni cosa
Sto su due gambe e imparo a cantare
Non importa ciò che già è stato detto
Non interessa ciò che già ho ascoltato
Cammino con il mio cane e fischietto con un uccello

Questa meravigliosa canzone è un inno fiducioso alla non separazione, c’è continuamente qualcosa che entra e qualcosa che esce, siamo in comunicazione costante con il mondo fuori di noi, non siamo isolati, non siamo staccati, separati. C’è da imparare tutto di nuovo

Imparo come un bimbo, imparo come un seme
Diffondo le mie protuberanze ovunque serva
Trovo un modo per agganciarmi e connettermi
E scorro come acqua, nessuna causa o effetto

Un testo che è semplice appena ad una prima lettura, in realtà è profondissimo. Nessuna causa o effetto è essere svincolati dal mondo ferreo della necessità, in vista di una libertà più ampia. Così ampia che magari ancora non la vediamo, ancora non ci crediamo davvero. Dipende proprio da come pensiamo il cosmo, e noi in esso.

Il cosmo non è una semplice collezione di oggetti discreti, ma una rete di sottili relazioni intrecciate. (Leonardo Boff & Mark Hathaway, Il Tao della liberazione)

Insomma, un testo (e una musica) che è bello ascoltare di tanto in tanto, godersi la freschezza di ispirazione di questo giovane Gabriel ultrasettantenne. Che ci insegna che siamo in connessione con tutto, se solo lo vogliamo, se ci pensiamo così.

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Cercando il client perfetto (e incontrando Vivaldi)

D’accordo, la posta elettronica – come concetto – è veramente una cosa vecchia. In effetti il sottoscritto (che di suo, non vanta una particolare perspicacia tecnologica) già dieci anni fa sosteneva che la posta era vecchia. Figuriamoci se non è vero oggi.

C’è stato l’esperimento Google Wave, bello, frizzante, elettrizzante, aperto. Ben presto, bello che morto. Sostanzialmente, niente dopo di questo. Alla fine, si vede che il protocollo di posta elettronica ci va bene così.

Rimane la scelta del client, questo è un campo in cui invece non ci si è mai fermati. Tanto che oggi ci sono tantissimi ottimi programmi per gestire la posta elettronica, gratuiti o a pagamento.

Per quanto mi riguarda, quelli che ho frequentato di più negli ultimi tempi sono stati

  • Apple Mail. Ben realizzato, essenziale ma completo, in purostile Apple. Fai tutto quel che ti serve, anche qualcosa in più. Per chi è entro l’orizzonte dei prodotti con la mela, probabilmente la scelta più felice (senz’altro la più semplice).
  • Posta di Windows. Beh, insomma. Che posso dire. Colorato, questo sì. Sembra più una cosa da mettere in vetrina che da usare veramente. Funzionalità minime, garantito l’essenziale ma poco spazio (o anche meno) per tutto ciò che va oltre.

Allora niente, fino a non troppo tempo fa sul portatile (Galaxy Book Ion, con Windows come motore) usavo Posta e sull’iMac Apple Mail, però mi seccava un po’ avere programmi differenti (con tasti differenti, impostazioni differenti, modi differenti per fare la stessa cosa… insomma avete capito). Così cercavo qualcosa che fosse disponibile su tutte le piattaforme.

Una vista di Postbox, eccellente anche se non-sempre-intuitivo client di posta

Ad un certo punto della mia esplorazione, mi sono imbattuto in Postbox. Qui vi avverto, la cosa diventa complicata. Perché Postbox è veramente un client molto completo, fa davvero un sacco di cose, ma è anche – a mio avviso – sapientemente contorto, in molti casi.

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Scrivi allo sviluppatore

Chissà perché, siamo abituati a pensare al mondo informatico come ad una offerta variegata di servizi da fruire, ma per i quali difficilmente si può intervenire come parti attive, influenzando o addirittura modellando gli sviluppi futuri. Come dire, l’offerta è ampia, ma si prende quel che c’è, piaccia o non piaccia. Forse è il modello neoliberista (un mondo al collasso, secondo la Carta della Nuova Umanità), che ci vuole consumatori passivi, forse altro. Forse la nostra pigrizia.

In questi giorni può capitare di leggere frasi tipo Twitter non mi piace, ma sono tutti lì quindi lo tengo. Ecco, forse iniziare tutti a cercare altro potrebbe dare uno scossone salutare. Ma chiudo parentesi.

Vengo al caso. Mi è capitato pochi giorni fa a riguardo dell’applicazione Wallpaper quotidiano per Bing, che porta anche sul desktop dell’iMac gli sfondi quotidiani (meravigliosi, di solito) scelti da Bing, un servizio che sui computer Windows (e sui dispositivi Android che usano Microsoft Launcher) è presente di default.

L’applicazione funziona bene ed anzi è stata una vera svolta, ho addirittura smesso di desiderare di lavorare sul portatile Windows (almeno un poco1) perché finalmente anche sull’iMac, come già sul telefono, ho la presentazione quotidiana di un nuovo sfondo, giorno per giorno.

Però, c’era un problemino.

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Tecniche di trasloco, da Geocities fino a Mastodon

In un certo senso mi ricorda quello che accadeva su Geocities, molti molti anni fa. Dove ti sceglievi un quartiere per abitare, a seconda dei tuoi gusti, delle inclinazioni, di quello che volevi pubblicare. Anche, dei vicini che preferivi avere. Ricordo che io ad un certo punto passai dal quartiere di CapeCanaveral al quartiere Paris/Bistro (i nomi degli arrondissement erano pensati al fine di organizzare tematicamente le varie pagine, per cui si vede già da questa mossa che la mia parte creativa stava lottando per emergere sempre più su quella razionale/scientifica).

Potevi appunto traslocare, se trovavi un quartiere che ti rappresentava di più. Certo, era appena un gioco, ma l’analogia con le vere abitazioni era straordinariamente potente,secondo me. A rinforzare la metafora, cliccando sul quartiere ti si apriva una pagina con delle casette connesse da una strada, ogni casetta ovviamente era la homepage di qualcuno: potevi cliccare ed entrare.

Traslocare è un’arte, dove la creatività trova ampio spazio…

Geocities era ovviamente un servizio centralizzato. Cambiare casa era appena cambiare indirizzo (sul web), ma non era niente di più. Per arrivare al presente, cambiare casa su Mastodon è un po’ diverso, in effetti. Vuol dire realmente cambiare. Migrare su un nuovo server (probabilmente), in una instanza differente, con persone diverse, regole diverse, amministratori diversi. Insomma un vero cambiamento.

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Ripartiamo

Da oggi se vi collegate a segnalerumore.it non si carica più il consueto sito Blogger, ma raggiungete un sito WordPress appena tirato a lucido (ospitato da altervista, un servizio del quale ho avuto ampio modo di apprezzarne l’affidabilità), dove ho comunque caricato tutti i post prodotti finora. Ho indugiato parecchio prima di trasferire il domino, ma la stasi estrema del servizio di blog di Google alla fine (a proposito, ma che peccato trascurarlo) è stato un fattore piuttosto convincente.

Eh sì, ogni tanto bisogna cambiare…

Una ripartenza ogni tanto ci vuole per tutto, e anche per me questo ultimo periodo è servito per capire che – anche gestendo un altro blog personale ed altre cosette – un posto specifico dove inserire le mie piccole note riguardo l’uso della tecnologia – un posto perfino accessibile ad altri, se volessero leggere – mi piace comunque averlo.

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Perché usare Vivaldi?

Stavamo cercando di sistemare una cosa, non ricordo bene. Roba di siti Internet, comunque. Ad un certo punto la collega mi fa qualcosa tipo apri Chrome, vediamo… e io dico no, non ho Chrome, io uso Vivaldi al che lei, di rimando ah beh ma allora!

Come dire, allora te le vai a cercare! E qui vorrei in realtà eccepire. Perché l’esclamazione della collega è frutto di disinformazione, in larga parte. Se lei intendeva che quel determinato sito si deve vedere con Chrome e non con un browser che lei non conosce, probabilmente si sta sbagliando. Chrome e Vivaldi sono costruiti attorno allo stesso nucleo, che, come sappiamo, è Chromium. Dunque, il rendering dei vari siti non presenta sostanziali differenze. Ciò che si vede bene con Chrome si vede bene con Vivaldi. E viceversa.

Possiamo fare una differenza, anche scegliendo come andare in rete… 

Quello che c’è da dire è che Vivaldi ha un sacco di cose in più che Chrome non ha. Veramente molte. Inoltre, utilizzandolo, ci si prende una pausa dai giganti del Big Tech, e si evita di consegnare a Google tutta la propria cronologia (già gli consegno la mia posta, i miei spostamenti, insomma di roba mia ne hanno abbastanza direi).

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