Viaggio nel Sole…

E’ un piccolo viaggio nel Sole, quello che viene proposto in questo volume. Un viaggio che per chi scrive è iniziato diverso tempo fa, e si è concluso giovedì scorso, con l’uscita del volume in edicola, in connessione con il Corriere della Sera
 
Ora è qui, è solido, è concreto. 
 
E’ bello vederlo, sfogliarlo, pensare che tutto sommato ne è uscito un bel lavoro. Certo, un libro così è un lavoro di squadra, essenzialmente. C’è chi scrive (lo stesso che scrive le righe che ora state leggendo), e sceglie le (tante, tantissime) fotografie. Ma poi c’è chi fa il paziente lavoro di interfaccia con l’editore, e chi cura la grafica, la disposizione delle foto, la revisione del manoscritto, l’impaginazione, e tante altre cose, che sono piccole solo in apparenza.
 
Di questa avventura ne parlo un po’ più diffusamente su GruppoLocale (visto l’argomento astronomico, mi sembrava il posto adatto), ma non mi andava di lasciar passare la cosa senza che sporcasse un po’ di sé anche questo ambiente, che è quello mio più personale, in un certo senso più intimo, anche se aperto al mondo (interessante questa polarità, poi, questo lavoro continuo e non sempre facile, di verità nel raccontarsi davvero e di fiducia nell’aprirsi).
 
Grazie ad Umberto Genovese, per la bella immagine! 
Insomma è bello sfogliare questo libro, ora che è compiuto. Ricordando gli affanni, i momenti di crisi, quelli di esaltazione, e capire che soltanto l’applicazione paziente, l’adesione (tentativamente) umile a quel che c’è da fare, ha reso possibile che un’idea, un sogno, si trasformasse in un pezzo tangibile di realtà.
 
Il volume è l’undicesimo della seria Viaggio nell’Universo e fino ad oggi che scrivo, dovrebbe essere reperibile nelle edicole. Altrimenti almeno per un po’, lo potete trovare dentro il negozio online del Corriere, insieme ovviamente con gli altri volumi. 
 
Più di tutto, questo credo di avere imparato. Che le cose si possono fare, si possono realizzare. Grandi e piccole (che poi, ogni scala è relativa), anche cose piccolissime che nessuno vede, che sono spesso più grandi di tante visibili, per chi le fa, per la sfida che ha dovuto affrontare, le paure e le esitazioni che ha dovuto superare. 
 
Le cose si possono fare, io le riesco a fare (perfino io ci riesco), tanto più ci riesco, quanto imparo a dimorare nella domanda più che nella pretesa. Non è facile, è un lavoro sporco contro l’inclinazione spontanea, contro la continua deriva momentanea – un lavoro a volte aspro, quasi sempre faticoso. Ma a questo regime di frequenza, la risposta arriva, mi sento di dire, arriva sempre. 
A volte nei modi che non mi aspetto, ma arriva.
 
Un’evidenza, a volerla davvero vedere, quasi solare. 

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L’universo raccontabile (anche su Facebook)

L’uomo. Ecco il grande escluso dalle teorie cosmologiche che ci stiamo lasciando alle spalle. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo, l’immenso impoverimento da sanare al più presto: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo – un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, declinabile perfino sui social. E soprattutto, portatore di senso.
La partita è fondamentale, decisiva: in effetti, è questo il vero campionato del mondo, o meglio dell’universo. Un cosmo non raccontabile è qualcosa che proprio non ci possiamo più permettere:  è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Un universo in cui siamo spersi: dispersi, per essere più pilotabili. Te la raccontano così, in effetti: sii buono e possibilmente, un quieto cittadino, buon consumatore, rimani pure nella tua quieta disperazione. Tanto cosa puoi sperare, lì fuori è tutto freddo e buio, non vedi?
Ebbene, è il momento di dire basta. Da tutto questo, da questo scenario malato, sconfessato ormai dalla stessa scienza cosmologica, dobbiamo e vogliamo evolvere.
Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nella vastità dello spazio: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume Il Tao della Liberazione“abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”
In breve, la cosmologia contemporanea, quella più avveduta, ha questo grande compito: riportarci verso un cosmo a misura d’uomo, ovvero un cosmo incantato. Scrivono infatti gli stessi autori, che “l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto.” In questo modo il nuovo cosmo non potrà che riflettere la nuova scienza, quella che riporta l’essere umano non solo al centro del processo cognitivo, ma al centro stesso dell’universo che vuole indagare.
Questa rivoluzione cosmologica non avviene oggi “per caso”, ma è stata preparata da una profondissima crisi all’interno della stessa scienza più rigorosa, crisi che ha visto lo scardinamento e il tracollo della visione meccanicistica cartesiana (funzionale peraltro ad un approccio di dominio e non di relazione) sospinta dall’avanzare delle visioni – potentemente dirompenti – della fisica relativistica e della meccanica quantistica. Non è questa la sede per indagare la portata di tali eventi concretamente rivoluzionari, dobbiamo appena comprendere il loro di stimolo potente verso le istanze di un ricominciamento totale, anche nella scienza.
Questo ricominciamento, questo reincantamento, possiede in sé l’urgente necessità di comunicarsi a tutti gli uomini, perché tutti noi siamo comunque vittime di questo “furto del cielo”, perché  noi tutti soffriamo di questa ferita aperta. E’ un risarcimento che si vuol proporre, in altre parole. Urgentissimo, perché già tardivo. Una impresa di questa natura deve rivestire il carattere deciso di modernità, ovvero avvenire attraverso ogni canale informativo: ad esempio, non è ormai nemmeno pensabile, senza il coinvolgimento attivo dei social media.
C’è dunque un messaggio, il nuovo cosmo “a misura d’uomo”, e c’è la necessità urgente di rilanciarlo attraverso i canali privilegiati della connessione informatica, così pervasiva ad ogni livello di istruzione e in ogni ambiente. Anzi, potremmo addirittura ribaltare la questione, sostenendo che questa facilità immensa di comunicazione è nata esattamente nell’attesa, nell’imminenza di un messaggio “planetario” da trasmettere. Così comprendiamo perché, con Facebook, Twitter e gli altri social media – che a loro volta si appoggiano a questa straordinaria innovazione che è Internet – siamo arrivati ad una capacità di connessione sbalorditiva, proprio nell’imminenza di questo momento di crisi.
Il rischio allora è che questa capacità di contatto e condivisione, questa inedita potenza di fuoco possa rimanere senza un messaggio profondo da veicolare. Sarebbe pericolosissimo, perché l’assenza viene sempre colmata, in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo. Lo vediamo nei giorni presenti, dove diviene sempre più difficile estrarre un contenuto di valore dal rumore di fondo di ogni schermata di Facebook. Il valore, ovvero tutto quel che invita a riflettere e ad approfondire, rispetto alle innumerevoli “chiamate” alla reazione immediata e superficiale.
Tutto questo presenta conseguenze dirette – tra l’altro – anche nell’educazione, quel processo delicatissimo che deve anch’esso tornare ad un incanto primordiale, ad un ambiente protetto e non giudicante dove la creatività dei ragazzi è esaltata. A noi dunque la scelta di subirlo, questo cambio di pelle, di rimanere frenati in questa urgenza del nuovo, sempre più a fatica, oppure di lanciarci, di scommettere finalmente su un vero rovesciamento di prospettiva.
Alla fine, è una decisione, a cui siamo chiamati. In questa proposta interpretativa non c’è più il “caso”, ma tutto avviene per un senso, e la percezione di un modo “incantato” di guardare l’universo richiama ad un modello d’uomo che non è più vittima della tecnica, perché – in ultima analisi – non è più prigioniero del nichilismo.
Un uomo che possiede (in un possesso dinamico, per invocazione) un senso delle cose, è un uomo che automatica-mente manipola ogni oggetto, ogni tecnica, con una coscienza diversa, che porta nuovo frutto in quello che fa, perfino al tempo speso sui social. Non ci serviranno dunque decaloghi e regole d’uso per recuperare una dimensione umana in Facebook: ci salverà piuttosto la percezione di un cammino fatato, di un percorso possibile verso quel “Regno” dove tutto diventa anticipo e possibilità d’espressione nuova, di creatività inedita ed insperata. Dove la scienza si sposerà con un uso equilibrato e sobrio del mezzo informatico, recuperato nella sua autentica dimensione di strumento, e non di fine. In altri termini, ripreso a servizio.
Questo è il compito che abbiamo davanti, questa è una precisa responsabilità di chi, a vario livello, si occupa di fare scienza, o di divulgarla. Questo, con le sue piccole forze (che poi è sempre questione di risonanza, non di forza bruta), è anche il fine che il gruppo culturale AltraScienza si è prefisso, fin dalla sua formazione. Che vuole appunto declinarsi anche su Facebook, e su Twitter.
Per meno di questo non vale la pena muoversi, credetemi. Per meno di questo, non mette conto ripensare creativa-mentel’impresa scientifica. Nessun gioco al ribasso ormai ci è possibile, in questa epoca di grande cambiamento. O meglio, in questo cambiamento d’epoca. Tenendo in debito conto che, per usare le parole di Thomas Berry, “a noi non mancano le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in un oceano di energia inimmaginabile. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione”.
Queste dunque sono le coordinate del gioco. Enorme, smisurato. Grazie al cielo, splendidamente al di sopra della nostra capacità. Così che sia più dolcemente chiaro, appunto, che tutto è alla nostra portata, sì, ma  per invocazione. Infine, a chi riguardasse questo come bello, ma utopico, permettetemi di rispondere con un motto del ‘68 francese, molto amato sia da scrittori laici come Albert Camus che da personalità religiose come Don Luigi Giussani: “Siate realisti, domandate l’impossibile”.
Pubblicato in origine sul blog Darsipace.it

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A casa, in un universo più amico

Mi colpisce che alla fine, al di là di ogni strategia mentale che possiamo avere, che possiamo decidere, le cose sono sempre semplici, più semplici. Sì. Sono sempre semplici. In fin dei conti, basta aderire alla realtà così come ti si presenta davanti, ti si srotola davanti, e non c’è — non ci sarebbe — da pensare altro. E’ forse una forma di onestà ultima verso il reale, probabilmente la forma più radicale ed anche più difficile. Perché ci costringe a lasciare da parte la progettualità compulsiva, quella a cui siamo tenacemente avvinghiati come a qualcosa di vitale, per lasciare andare davvero.
Stare alle cose, così come accadono, è dunque la cosa più semplice e più difficile insieme. Ma ecco, per quanto vi si riesce, per la minima percentuale che vi si riesce, è sempre una liberazione. Ed è qualcosa che sorpassa sempre i nostri schemi, deborda la nostra misura.
Non avrei mai pensato, prima, di trovarmi una mattina a parlare di astrofisica, nuove particelle, e nuova concezione dell’uomo, in un dialogo denso e significativo, per giunta con un collega ed amico, il prof. Amedeo Balbi. E in diretta nazionale, su Radio Uno. E’ accaduto, invece, ed è accaduto giovedì 13 luglio, nell’ambito della trasmissione Eta Beta, condotta da Massimo Cerofolini.
La catena di causa ed effetto è molto meno lineare, molto meno angusta, di quanto pensiamo. C’è sempre spazio per imprevisti che superano, debordano da questa idea di meccanicismo così pervasiva, ma così avvilente.
Dunque la causa potrebbe ritrovarsi nel fatto che Massimo ha avuto l’occasione di ascoltarmi parlare del progetto AltraScienza, ma in realtà non è una spiegazione esaustiva. Che la mattina dopo ci siamo trovati “per caso” (quanto nasconde di non conosciuto, di sottilmente misterioso, questa espressione!) a colazione insieme, con la nostra Gabriella. E da questa serie di avvenimenti “casuali” è maturata questa proposta. Però non sono convinto. Infatti, non sono cause, sono segni.
La trasmissione la potete ascoltare in podcast, nel sito di Ray Play Radio. Massimo è stato veramente bravo nell’aprirci ad uno spettro senz’altro vasto di argomenti — che prendevano spunto dalle scoperte più recenti, per poi lanciare un affondo sulla concezione dell’uomo, e del rapporto con l’Infinito, che rimane comunque agganciato in modo misterioso e profondo alla libertà del singolo ricercatore. E a farlo nello spazio tutto sommato ridotto, di una ventina di minuti.
Quello che non si può forse ascoltare è tutto ciò che non è andato in onda, tutte le onde che si spostavano su frequenze diverse da quelle radiofoniche, che vibravano nell’umanità delle persone e dei rapporti, e che hanno avvolto questa occasione di una densità di significato importante, per chi scrive.
Che gli hanno fatto capire, ancora più persuasivamente, che c’è una strada da percorrere. Che c’è una “AltraScienza” davvero emozionante (che fa palpitare il cuore, per la sua connessione con tutto) che i tempi stanno prepotentemente chiedendo. E che noi, umilmente, continueremo ad esplorare. A domandare, anzi. Con Thomas Berry infatti possiamo dire che

“Non ci mancano certo le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in uno sconfinato oceano di energia. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione.”

E forse arrivare a riconoscere, come disse (con felicissima iperbole) Luigi Giussani quella volta, davanti a Giovanni Paolo II, che

“È il mendicante il vero protagonista della storia”

Siamo qui per aderire a questa commossa invocazione, che coinvolge tutto il cuore dell’uomo. E che per questo esatto motivo, è una operazione di una maestosa, direi cosmica, dignità.

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Questo nostro misterioso Universo

Fin da piccola mi è sempre piaciuto rivolgere lo sguardo al cielo stellato e pormi tutte le domande possibili su ciò che non conosciamo, ciò che non possiamo conoscere. Sarà un gene di famiglia? Nonno e papà astrofisici.


Mah, non saprei rispondere. A dire il vero credo che questo abbia sì aiutato lo sviluppo della mia passione, ma da una parte sono convinta che anche se fossi stata figlia di un meccanico e nipote di un dottore, la mia mente non avrebbe fatto a meno di volare via con la fantasia lì dove non possiamo andare. Non vi è mai capitato di alzare lo sguardo al cielo e notare come sia immenso e sentirvi in un momento così piccoli? Ci sentiamo così potenti qui, così intelligenti, così rilevanti. Ma cosa siamo davvero? Cosa rappresentiamo noi per l’intero universo? Vorrei dire nulla, ma so che qui qualcuno avrebbe da che ridire. Com’era quella teoria secondo cui il battito delle ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo?

Ed è vero, ognuno di noi ha il proprio ruolo e la propria ragione di esistere, ma se solo provassimo per un secondo a immaginarci sulla Terra, la Terra nel Sistema Solare, a sua volta nella Via Lattea e così via. Ditemi, quanto vi sentite importanti ora? Sentite che un vostro intervento possa in qualche modo influenzare tutta quella roba lì su? Eppure noi ne facciamo parte, dovrà pur avere un significato, no? Deve per forza significare qualcosa.

Ho imparato che il 90% dell’universo è a noi sconosciuto. Sconosciuto. Affermare che non ne sappiamo quasi nulla non sarebbe poi così sbagliato. Abbiamo scoperto così tanto ma basti pensare che “così tanto” in confronto a tutto ciò che ci manca è davvero nulla. E non vi interessa questo? Non vi affascina sapere che oltre quello di cui siamo a conoscenza c’è ancora un universo da scoprire? O sono l’unica che nel bel mezzo di una spiegazione di storia guarda fuori dalla finestra e comincia a fantasticare sul cosmo?

So che molti altri hanno dedicato la vita alla scoperta e al progresso di ciò che noi chiamiamo “universo”. E so che altrettanti si interessano di questo nostro misterioso mondo. Ma la maggior parte di noi vive la quotidianità con indifferenza verso ciò che c’è lassù. Si alza la mattina e pensa al caffè, al lavoro, alla scuola, alla famiglia. Ci hanno insegnato a impegnarci e a dare il massimo per far sì che la nostra vita su questo pianeta sia la migliore, in breve, per essere felici. Ci azzuffiamo tanto per ottenere ciò che vogliamo quando neanche ci rendiamo conto di cosa ci circonda. Come si fa ad essere soddisfatti della propria vita se ci si limita a condurre un’esistenza grigia, ripetitiva, priva di significato?

A me viene un brivido solo a guardare una stella nel cielo. Quella stella, la stella che per qualcuno è semplicemente la stella più luminosa, per me è un solo piccolo pezzo di un puzzle e non fa altro che ricordarmi quanto siamo minuscoli. Quella stella siamo noi, sei tu, sono io. Quella stella è un puntino apparentemente irriconoscibile nell’oscuro universo, come noi. Non siete un minimo curiosi di scoprire cosa c’è sopra la nostra testa? Lo so che quello che sto dicendo ha infinite incoerenze e probabilmente non ha molto senso se visto al di fuori della mia testa, ma è quello che risponderei se qualcuno mi chiedesse perché mi incuriosisce così tanto il cosmo.

Dopotutto, se cerchiamo la definizione di Universo su Internet, ci dice che esso è la totalità di tutto ciò che esiste; è l’interezza dello spazio. E come potremmo mai ignorare una cosa talmente grande e talmente influente per la vita umana?

Semplice, non possiamo.

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L’ordine naturale delle cose…

Scrive lucidamente Jeremy Rifkin che
Il nuovo concetto della natura è sempre l’argomento più importante della matrice che costituisce ogni nuovo ordine sociale. In tutti i casi, la nuova cosmologia serve a giustificare la giustezza e l’inevitabilità del nuovo modo in cui gli esseri umani stanno organizzando il proprio mondo, presupponendo che la natura stessa è organizzata secondo linee simili. Ogni società si può così sentire rassicurata dal fatto che il modo con cui conduce le proprie attività è compatibile con l’ordine naturale delle cose e, inoltre, è un giusto riflesso del grande disegno della natura.
Non è dunque casuale la cosmologia che ogni epoca umana si trova a dover affrontare. Non è semplicemente una questione di progresso lineare della cultura scientifica, mentre appare piuttosto come uno specchio del sentire diffuso e comune, quel substrato condiviso che informa tanto lo scienziato più specialistico come la persona più aliena da ogni velleità scientifica.
E’ come percepiamo il cosmo, e intendo in senso veramente ampio, ovvero tutto quello che sentiamo esterno a noi stessi. Il cosmo, in questa accezione, è veramente molto presente, perché inizia appena dove finiscono le mie dita, ed è anzi quell’ambiente dove le mie dita, le mie mani, la mia attività e la mia volontà si esercitano.

Chiaramente il modo in cui percepisco il cosmo informa profondamente ogni mia azione, oserei dire, ogni mio respiro. E questo cambia continuamente.
Ci avverte Marco Guzzi d’altra parte che

… l’ordine del mondo (cosmologico, politico, conoscitivo, e perfino morale) non è statico, non è definito una volta per tutte, ma è storico, si dà cioè temporalmente, attraverso una processualità di mutazioni sostanzialmente “rivoluzionarie” (dalla rivoluzione copernicana in poi)

Difficile negare che stiamo attraversando un’epoca di insicurezza, di crisi che sovente si ripercuote dal livello meramente economico a quello esistenziale. Diceva il celebre sociologo Zygmunt Bauman, pochi mesi prima di morire, che
il sentimento di “insicurezza” deriva da una miscela di incertezza e ignoranza: ci sentiamo umiliati perché inadeguati al nostro compito, e la conseguenza è il crollo della stima e della fiducia in noi stessi. È qualcosa che riguarda tutti.

Non a caso questa insicurezza si riverbera nella percezione del cosmo.

 Così nel il cammino storico, dove ci sembra di aver percorso tutto, esplorato e bruciato tutto (impeti rivoluzionari, ideologie, tirannie…) dove le stesse democrazie liberali mostrano impietose i loro limiti. Ci sembra, in altri termini, di conoscere molto di più degli uomini di qualche tempo fa, di essere avvertiti e disincantati allo stesso tempo, come pure di essere arrivati ad un punto di confusione, di stallo. Di conoscere e non conoscere allo stesso tempo — o perlomeno di non avere la conoscenza necessaria per agire in modo costruttivo nell’agone sociale.

Così è interessante notare come questa situazione, di sapere di non sapere, si ritrova mappata nella nostra percezione del cielo, in cui mai come in questi esatti anni, si coniuga un senso di comprensione globale con una eclatante consapevolezza di profonda ignoranza. E non come la immaginiamo, ma come la scienza contemporanea ce la porge, ce la dipinge.
Non è quel cosmo che poteva avvertire sopra la propria testa una persona come Cartesio, come Newton. E’ un cosmo più chiaro, di cui possiamo finalmente dire scientificamente il momento di nascita, l’estensione, certo-— ma al contempo immensamente più complicato e misterioso.
Un cosmo in ultima analisi più morbido rispetto al meccanicismo implacabile con il quale lo abbiamo vissuto in passato, un cosmo elettrizzante, in un certo senso, perché si apre di nuovo ad un intervento profondo e creativo dell’uomo, finalmente libero perché finalmente liberato (e sempre da liberare ancora) da un meccanismo stolido di azione-reazione, affrancato da un reticolo di dinamiche freddamente impersonale.
Scrive ancora Marco Guzzi,

L’uomo è inserito in questo processo storico con la propria libertà creativa, può cioè intervenire attivamente, non deve solo prendere atto di un mondo esterno sovrastante e bloccato e adeguarvisi, ma può interagire appunto creativamente col darsi storico del mondo. La creatività umana è dunque reale e radicale, in quanto la sua libertà è reale e radicale: per cui l’uomo, si potrebbe anche dire, trascende sempre il mondo dato.

Fino ad arrivare al nodo reale, al punto intorno al quale possiamo lavorare, verso una nuova comprensione di noi stessi, come uomini: una comprensione che restituisca a noi stessi la nostra creatività (in ogni senso, dal cosmologico all’artistico, passando per l’agire sociale)

D’altronde se il sistema del mondo (cosmico come politico) fosse chiuso in sé (bloccato in una necessità tragica e fatale, come il cosmo greco), che spazi di libertà autentica e quindi di creatività radicale avrebbe l’uomo?

C’è spazio per la creatività, dunque, intorno a noi, in noi? Abbiamo affondato le nostre radici su un terreno tanto solido da sgretolare quella disgraziata stazionarietà, sia cosmologica che mentale, che nega sottilmente l’utilità e la unicità del nostro attraversamento del cosmo, per quanto breve possa essere, rispetto alle scale di vita delle stelle, delle galassie?
Una sfida culturale, artistica, cosmologica, ormai non più procrastinabile.

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Spunti per… onde nuove

E’ stato un simpatico trappolone quello che mi hanno teso i simpatici e bravi Alessandro e Gabriella, all’incontro dell’associazione Darsi Pace che è avvenuto ieri mattina. Complici anche loro: le famose onde gravitazionali finalmente (ri)trovate, dopo tanto affannoso cercare. 
Proprio giovedì scorso è stato dato infatti l’annuncio ufficiale, che queste elusive increspature dello spazio-tempo, previste da un certo Albert Einstein addirittura un secolo fa, sono state finalmente rilevate. Ed è certo una conferma di grandissima importanza per la teoria della relatività generale:  una cosa non proprio ininfluente, perché (andando per le spicce) è proprio la teoria sulla quale si impernia la nostra conoscenza dell’universo, così come lo comprendiamo ora
Diciamo in pratica che ci siamo accorti ancora una volta che l’universo risponde ai nostri schemi interpretativi, ci racconta che i nostri sforzi per capirlo sono sforzi produttivi. Risuona sull’ambito di frequenze nelle quali gli inviamo le domande. Sono dunque le domande giuste, per questo nostro tempo. 

E forse è possibile, è lecito, chiedersi se questa scoperta scientifica può suggerirci qualcosa che vada oltre la scienza, se ci aiuti – come sempre – a comprendere il mondo anche in senso più culturale e spirituale. Ovviamente per fare questo, per lanciarci in questo spunto di indagine, dobbiamo dismettere i panni del rigore scientifico e lanciarci in una ricerca a tutto campo che però procede con strumenti diversi. 
Scienza e cultura, scienza e spiritualità, non solo si possono parlare, ma debbono farlo, perché l’uomo non si sviluppi a compartimenti stagni, in collisione tra loro. E’ salutare che lo facciano, purché appunto si usi un linguaggio (tentativamente) onesto, che non pretende di portare il rigore scientifico dove non vuole e non può arrivare.
Con questa coscienza, si può provare ad esprimere qualche suggestione che questa recente scoperta può evocare in una persona che per mestiere è condotta ad occuparsi del cosmo. Io almeno ci ho provato, ieri mattina (accogliendo una richiesta simpaticamente a sorpresa, chiamata informalmente trappolone). Potete vedere il video in cui, peraltro, provo un po’ all’impronta a riassumere quanto ho argomentato in un post scritto per l’associazione Darsi Pace

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La mia storia con GAIA (intervista)

Eccovi qui una recente intervista che ho rilasciato di recente a Marco Staffolani per Tendopoli, la rivista dell’omonimo movimento. Ringrazio Marco per avermela proposta, è stato bello e divertente prepararla. Trovate l’intervista anche su GruppoLocale.it 😉

Ciao Marco, benvenuto in questa rubrica scientifica del giornale Tendopoli. Descrivici brevemente chi sei, la tua famiglia, il tuo lavoro.

Ciao Marco, sono lieto di fare il mio ingresso nel vostro giornale!

Due parole sul sottoscritto, prima di addentrarci nella scienza? Ebbene, io sono Marco Castellani nato a Roma nel lontano novembre  del 1963. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto alla facoltà di Fisica presso la (allora neonata) Seconda Università degli Studi di  Roma “Tor Vergata”, dove mi sono laureato nel 1990. Nella stessa università ho conosciuto Paola, una bella ragazza che frequentava  il corso di laurea in Biologia e che poi, nel 1991, sarebbe diventata mia moglie. Ora viviamo sempre a Roma e abbiamo quattro  figli, Claudia, Andrea, Simone e Agnese. Per quanto riguarda il percorso professionale, dopo la laurea ho conseguito il dottorato in Astronomia, e infine sono entrato a tempo indeterminato presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove ora ricopro il ruolo di  ricercatore.
 
Riguardo le mie passioni, ho sempre avuto un forte interesse per la scrittura creativa: in questi ultimi anni ho scritto diversi racconti e  raccolte di poesie. In particolare un racconto, “La bambina e il quasar” è stato recentemente proposto in una scuola media inferiore, grazie all’entusiasmo di una professoressa di scienze. La cosa è stata per me di  grande soddisfazione, in particolare i commenti degli alunni mi hanno decisamente gratificato. Ho al mio attivo anche un romanzo vero e proprio, “Il ritorno”, il cui nucleo è stato realizzato partecipando al “National Novel Writing Month” del 2009,  un’avventura pazza ed entusiasmante il cui scopo era di scrivere 50.000 parole in un mese. Ce l’ho fatta e ne sono piuttosto fiero! Per questo e altro maggiori informazioni si trovano sul mio sito, www.marcocastellani.it (in particolare, segnalo la sezione “libri“).
 
Immagine artistica del satellite GAIA (Crediti: ESA)
 
Insomma, un astronomo ma non solo! Ma entriamo nell’argomento della rubrica: proprio alla fine dell’anno appena passato, il 19 dicembre, è partita la sonda GAIA, un progetto europeo nel quale l’Italia ha contribuito molto. Questo nome è curioso! può dirci quale è lo scopo di questo missione?
 
 
Certamente! Partirei proprio dal nome: GAIA sta per “Global Astrometric Interferometer for Astrophysics”, è una missione spaziale astrometrica realizzata dall’ESA, l’ente spaziale europeo. In realtà la parte di interferometria è stata da tempo abbandonata in favore di nuove specifiche per il progetto, ma il nome originale è rimasto (a volte noi scienziati siamo pigri, e poi GAIA era molto carino…). E’ un progetto molto grande ed ambizioso, che già da diversi anni coinvolge un gran numero di ricercatori e tecnici che collaborano da diversi paesi europei. In vari sensi si può intendere come la continuazione (enormemente migliorata) del progetto Hipparcos, una prima sonda dedicata all’astrometria (la misura della posizione e delle velocità delle stelle) che – nonostante le limitazioni – ha consentito un deciso passo avanti nella nostra conoscenza della Via Lattea – la grande galassia entro la quale viviamo – della quale sappiamo molto ma ancora molto ci rimane da comprendere.
 
Se pensiamo che GAIA compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle – per le quali avremo misure accurate di posizione e di moto proprio – a fronte di circa 120.000 facenti parte del catalogo finale di Hipparcos, abbiamo un primo sentore del gigantesco balzo in avanti nella conoscenza che promette la missione stessa. Da GAIA ci aspettiamo una vera e propria “mappa” tridimensionale della Galassia, un’opera davvero senza precedenti! Il lancio di GAIA è avvenuto con pieno successo appena prima del Santo Natale dello scorso anno, la mattina del 19 dicembre, dalla Guiana Francese. A bordo di GAIA vi sono due telescopi che hanno il compito di “spazzare” il cielo in maniera ininterrotta, mentre la sonda effettua una particolare orbita intorno ad un punto particolare dello spazio, chiamato “L2”, a circa un milione e mezzo di chilometri da terra. Nel corso dei suoi previsti cinque anni di autonomia, riuscirà a trasmettere a terra i dati di un elevatissimo numero di stelle. Inoltre, per maggiore precisione, ogni stella sarà osservata diverse volte: si pensi che dovremmo avere una media di settanta misurazioni per stella! Questo ci consentirà di raffinare la precisione delle misura a livelli finora impensabili, soprattutto per una quantità così grande di oggetti.
 
Quale è il tuo compito particolare in questa missione?
 
 
Per rispondere in maniera esaustiva, dobbiamo mettere l’occhio, sia pure rapidamente, a come viene concepita ed organizzata una moderna missione spaziale. Perché il progetto possa funzionare senza intoppi, è necessaria una divisione molto particolareggiata dei compiti, e un coordinamento preciso e puntuale tra le persone che lavorano nei diversi ambiti. Così ogni ricercatore si trova ad essere destinato ad una parte molto specifica del progetto, di cui è insieme massimo esperto e diretto responsabile. Il mio compito particolare, insieme con colleghi di Roma e di Teramo, consiste nel produrre e testare il software che si deve occupare di una situazione delicata ma frequente: l’estrazione dei profili stellari (ricostruire la “forma” delle stelle) dai dati, nel caso in cui le stelle risultino parzialmente sovrapposte sul rivelatore. Ci si aspetta che questo accada con grande frequenza, visto l’affollamento stellare della nostra Via Lattea (in particolare in zone come gli ammassi globulari, condensazioni di anche un milione di stelle in configurazioni a simmetria sferica, decisamente “impacchettate”).  La sfida è stata tutt’altro che banale, perché abbiamo dovuto soddisfare i requisiti di precisione con quelli imposti dal coordinamento, di velocità di esecuzione e di interfacciamento con le altre procedure. Il compito non era facile, ma pensiamo di essere riusciti a fare la nostra parte. Ora speriamo che GAIA… faccia la sua, e che – completate le operazioni tecniche di verifica – ci mandi a Terra i dati che tanto attendiamo!
 

GAIA potrà trovare anche pianeti in altri sistemi solari. Credi che ci sia vita nell’universo? in caso come te la immagini?

GAIA potrà certo trovare pianeti all’esterno del nostro Sistema Solare: al termine della missione, intorno al 2018, ci si aspetta un numero di circa 8000 pianeti rilevati, che non è affatto poco! Purtroppo per le caratteristiche del satellite, e per la difficoltà intrinseca di tale ricerca, non saremo in grado di dire se in alcuni di essi vi sia o vi sia stata la vita, comunque sarà un grande passo avanti per stimare la probabilità delle configurazioni planetarie più adatte alla vita. Come scienziato che si attiene ai dati, devo dire che finora non abbiamo nessun indizio di forme di vita intelligente oltre il nostro, nell’Universo. E’ vero che la vastità dell’universo fa ritenere a molti implausibile l’idea che la vita come la conosciamo si sia sviluppata solo sulla Terra. Tuttavia non sono ancora del tutto chiare le probabilità dei vari fenomeni che darebbero origine alla vita, e la stessa origine della vita rimane un mistero. In tale situazione, considerazioni filosofiche e metafisiche possono portare un ricercatore a ritenersi, in cuor suo, certo della diffusione della vita, e un altro a ritenere che la Terra possa essere il solo pianeta che la ospita. Se comunque vi fosse, non me la immaginerei molto diversa dalla nostra: dopotutto, gli elementi “base” per la costruzione delle forme di vita sono uguali in tutto l’universo, e anche i meccanismi biologici e chimici che la governano.

Marco in questa rubrica trattiamo di scienza ma anche di fede. La fede e la scienza hanno avuto nel corso dei secoli un rapporto dialettico. La domanda sorge spontanea: tu come vivi fede nel tuo ambiente di lavoro?
 
 
Ritengo che vivere la fede nell’ambiente di lavoro di uno scienziato non sia troppo diverso da quanto può capitare ad un qualsiasi credente in un diverso ambito lavorativo, sai come sfida che come possibilità. Tra gli astronomi (il campo dove posso più propriamente esprimermi, per la mia esperienza) si rintracciano difatti tutte le possibili posizioni dell’animo umano davanti alle sfida e alla portata della fede. Da chi non crede a chi è agnostico a chi è devoto e praticante, si possono incontrare scienziati  – anche di valore – che si fanno espressione di ognuno di questi atteggiamenti. Visto il momento storico, in ogni caso, mi pare che la sfida del cristiano sia di rendere ragione della sua speranza in un ambiente che, comunque, è ampiamente secolarizzato. La mia esperienza è che l’adesione alla fede renda più vivo e creativo anche il lavoro scientifico: Cristo non può non entrare in tutti gli ambiti! Vorrei citare al proposito un brano di Don Luigi Giussani, che intuì bene questa cosa già nella sua giovinezza “Una sera d’inverno in seminario, dopo cena (…), Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (…), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c’entra con la matematica?». Non avevamo ancora sedici anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. Quella domanda convogliò ad iniziativa organica tutto quanto, di pensiero, di sentimento, di operosità, la mia vita sarebbe stata capace di dare.” (da “Tracce“, marzo 2005.)
 
 
Si sente spesso dire che l’Italia è una patria di cervelli in fuga. Che in Italia non c’è spazio per chi vuole fare ricerca. Tu come vedi questa situazione italiana? 
 
 
Oggettivamente la situazione italiana dal punto della tutela e promozione di chi fa scienza o studia per farla, può sembrare sconfortante. E’ un dato di fatto che anche giovani di grande capacità sono costretti – per lunghi periodi o addirittura per la vita – a uscire dai nostri confini per trovare un posto di lavoro confacente alle loro abilità.  D’altra parte è la società contemporanea che comunque premia le persone elastiche e disponibili anche a dei sacrifici, per cui non è così difficile che una persona di buona volontà e di buona applicazione possa comunque trovare una sua strada, anche se comunque deve mettere in conto di passare dei periodi all’estero. Da questo punto di vista, la situazione sembrava migliore nel passato, e la crisi dalla quale stiamo tentando di uscire non ci ha certo giovato. Nonostante tutto l’Italia continua a sfornare scienziati di eccellenza e siamo presenti in tanti progetti importanti (non ultimo certo il caso di GAIA, che ha una presenza italiana importante). La speranza è che tutto questo ci aiuti a sollevarci, a ripartire con rinnovato entusiasmo, e soprattutto a dare più speranze anche ai giovani che scelgono di laurearsi in materie scientifiche.
 
 
Molti giovani leggono questa rubrica. Che suggerimento daresti loro riguardo al futuro? 
 
 
E’ una domanda delicatissima. Il suggerimento che mi sento di dare, in questo periodo di generale crisi che si esprime anche nel mondo del lavoro, è di mettersi in ascolto della propria interiorità, per capire il percorso al quale si è chiamati. Il criterio di scegliere un percorso di studi che “garantisca” il lavoro non è più un criterio valido, perché l’incertezza ormai raggiunge più o meno tutti gli ambiti. E’ piuttosto il momento di avere il coraggio di seguire la propria vocazione, fare silenzio dentro di sé e capire cosa veramente siamo “chiamati” a fare, per servire il Mistero e per servire, con la nostra opera, i nostri fratelli uomini. Sia che si faccia il lavapiatti, che si scriva, o che si indaghi l’universo primordiale; cosa che che dal punto di vista della dignità umana non fa assolutamente alcuna differenza.
 
 
Beh eccoci giunti alle battute finali. Marco, nella precedente puntata abbiamo parlato della cometa ISON. Come i lettori stessi avranno constatato nella notte di Natale non si è vista nessuna cometa nel cielo, segno evidente che la cometa non è riuscita a passare indenne il suo giro intorno al Sole che è avvenuto verso la fine di novembre 2013. Sarebbe stato sicuramente un bellissimo spettacolo! Ma se la cometa ci ha deluso, non è questa il solo astro che c’è in cielo. Penso di smuovere bellissimi ricordi tra i tanti tendopolisti facendoli ripensare allo spettacolo del cielo estivo sotto al gran Sasso: infatti l’esperienza comune per ognuno di noi guardando il cielo e le stelle, penso sia quella di percepire qualcosa che va oltre noi stessi. E per te? Che sensazione ti da guardare il cielo?
 
 
E’ proprio vero, ammirare il cielo è una esperienza affascinante. Il fatto che la cometa in larga parte sia stata purtroppo distrutta, non ci deve distogliere dall’esperienza incredibile che tutti dovremmo fare, almeno ogni tanto: rimettersi di fronte ad un cielo buio, magari lontano dalla città… per capire che, in realtà,tutto è, tranne che buio! Lo spettacolo della moltitudine di stelle, della fascia della Via Lattea, è qualcosa che fuor di retorica può essere solo provato, non certo descritto. Personalmente, rimirando la volta stellata, avverto un dolce senso di pace, e capisco che il creato è immensamente più ampio ed esteso di quello che di giorno avverto come “il mondo”. A differenza di altri, forse, non mi sento “perso” davanti all’immensità, piuttosto mi sento a casa. E’ meraviglioso pensare che Dio abbia creato tutto questo per noi… per me. Dal punto di vista umano, è una fantastica sfida alla logica di chi va “al risparmio”, negli affetti, nelle amicizie, nel dono di sé, nel “vivere intensamente il reale” (Giussani). E’ un Dio dell’abbondanza, quello che ha creato tutto questo, mi dico. E spero che il mio cuore spesso “in lotta” si apra definitivamente alla Sua più bella abbondanza, l’abbondanza della Sua misericordia e del Suo amore.
 

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ADS, dieci milioni di articoli

In questo blog si è spesso parlato di libri digitali. Ora vorrei spendere qualche parole per ripensare un po’ a quanto sta cambiando l’approccio di lettura di una cosa leggermente diversa, quale può essere un articolo (un articolo scientifico, per la precisione). Fedele al motto scrivi di ciò che conosci, farò riferimento, ovviamente, alla mia esperienza di ricercatore astronomo. E’ pur sempre un osservatorio molto interessante sul mondo della tecnologia, tra le altre cose.

Per un bel periodo di tempo, se ci penso, ho continuato a riferirmi alla pagina per elaborare le informazioni Ecco, dopo un po’ che leggevo l’articolo sullo schermo del computer, dovevo per forza premere il tasto stampa. Ai miei occhi il vero articolo, per molti anni, è stato esclusivamente quello stampato. 

Già il passaggio dalla rivista scientifica cartacea a quella digitale è stata una piccola rivoluzione. Ricordo ancora bene  le peripezie che si innescavano quando volevo (o dovevo) andarmi a leggere un articolo, magari desunto da una referenza posta in calce ad un altro articolo. Ora lo farei stando al computer, senza altro movimento che quello delle dita. Due click (o poco più) e avrei il PDF aperto sullo schermo. 

Allora, no.

Si trattava “in quel tempo” – tecnologicamente assai remoto – innanzitutto, di muoversi. Intanto, di recarsi nella libreria dell’istituto. Cercare tra i veri libri. Lì poteva allora dispiegarsi una elaborata caccia, condotta tramite degli appositi indici posti in fondo ai volumi delle riviste, rilegate. Attraverso un complesso sistema di rimandi e di codici si poteva riuscire a risalire alla pagina e al fascicolo dell’articolo che si cercava. Ed era un risultato. Indi, si procedeva alla consultazione in sito, o all’eventuale fotocopia. Non era però infrequente il caso in cui si scopriva – solitamente con un vivo disappunto – che no, purtroppo l’articolo non era disponibile nella libreria locale. Allora il passo successivo era quello di coinvolgere un altro essere umano… segnatamente il bibliotecario, il quale – grazie alla sua disponibilità e attraverso la sua rete di contatti – avrebbe (a) verificato la reperibilità del volume ricercato, e (b) provveduto a far recapitare le fotocopie all’utente interessato. Nell’arco, ovviamente, di qualche giorno o forse più, a seconda della difficoltà del reperimento dell’articolo stesso.

Tutto piuttosto diverso da quanto avviene adesso. 

ADS logo

Cosa succede ora, infatti? Se mi serve un articolo, lo cerco su NASA Astrophysical Data System  (ADS) e in un attimo trovo quello che mi serve. Se mi ricordo la referenza in maniera incompleta metto i dati che conosco, magari un intervallo di anni, il nome di uno degli autori e il sistema mi fornisce istantaneamente la lista di tutti gli articoli che soddisfano la mia  richiesta (la maschera di ricerca è veramente elaborata). Se voglio leggere l’articolo in forma completa quasi sempre posso farlo, seguendo l’opportuno link. Se voglio scaricarlo sul mio computer, idem.

Insomma. Tutto semplice, tutto immediato.

E’ scomparsa completamente la parte della caccia: in altre parole,non è più necessaria alcuna abilità (se non quella di riempire opportunamente i campi di ricerca dell’interfaccia di ADS).  Insomma, potremmo dire che l’efficienza e la praticità hanno vinto anche su quella residua parte di mistero, che poteva ancora essere presente in una procedura complicata e in qualche modo artigianale, che comunque che richiedeva una sua opportuna dose di apprendimento. 

Ovviamente non è solo la perdita del romanticismo, il punto. Se abbiamo perso qualcosa con questa moderna immediatezza, abbiamo enormemente guadagnato in altri ambiti. Solo per restare ad ADS, è impressionante riflettere sul fatto che praticamente mette a nostra disposizione (con qualche limitazione per il materiale sotto copyright) circa dieci milioni di articoli, provenienti da tutte le maggiori riviste internazionali di astronomia (e non solo). Nessuna libreria fisica potrebbe sperare tanto. 

Un po’ emoziona la facilità con la quale si possono raggiungere articoli storici, come quello della scoperta della radiazione cosmica di fondo, tanto per dirne una…

Indulgendo in una facile generalizzazione, possiamo dire che ormai lo strumento di elezione per trovare e leggere gli articoli è il web. Sono finiti gli anni degli stanzini pieni di collezioni delle riviste, dove ti potevi aggirare sperdendoti tra le annate di Astrophysical Journal di cinquant’anni fa. Toccando, in pratica, la storia dell’astronomia.

Ora è tutto virtuale, è tutto digitalizzato. I vantaggi sono molti, certamente. Ma un po’ di poesia, ecco, forse è svanita…

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