Blog di Marco Castellani

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Allineamenti

In questa confusa ed asfissiante profusione di interventi, opinioni e pareri su diffusioni di virus e strategie per fronteggiarle (in senso fisico, psicologico, spirituale e quant’altro), leggo con quel residuo ancora vivo di interesse un pezzo di Luca Cimichella sul blog Darsi Pace. Il post ha un titolo piuttosto significativo, “Dal deserto globale. Uno sguardo”. Ed è uno sguardo che intanto apre ad una domanda che – anche in mezzo a questo fiume di parole – fa bene ascoltare, fa bene rilanciare.
La domanda che però quasi nessuno sembra farsi è: c’è soltanto questo? Siamo sicuri che un evento di questo tipo, assolutamente unico nella storia degli ultimi decenni, non abbia a celare un senso più vasto e complesso, non riducibile alle sue conseguenze immediatamente negative?
E dovrei dire grazie per questo bel pezzo (che vi invito a leggere), questo realismo alla fine rallegra, lo dico davvero. Rallegra esageratamente di più dei tanti slogan e appelli e tanti “andrà bene” di cui si percepisce lo sforzo volontaristico (e dunque, triste) anche lontano mille miglia. Quello sforzo volontaristico che un post su “Jung Italia” individuava ed etichettava senza mezzi termini, appena pochi giorni fa
Infantili e vuoti slogan come “#AndràTuttoBene; Ne usciremo più forti di prima (forse più compromessi sicuramente); siamo forti siamo italiani!”, ed altre rassicurazioni che potevano andar bene se avessimo avuto 6 anni, oggi più che mai sono deleterie per la metanoia e la trasformazione che ci spetta (o che ci travolgerà crudelmente più di ora) a livello individuale e collettivo.
Ecco la cosa che avrei voluto dire, avrei voluto esprimere se non temessi di essere troppo divergente (poco allineato) rispetto al sentire comune. O almeno, a quello che traspare nell’esperienza social che ora è diventata così preponderante nelle nostre giornate, tra l’altro. Ora, che non abbiamo possibilità immediata di contatto diretto. Ecco, viene detto che non soltanto queste affermazioni non sono utili, ma addirittura sono pericolose. Perché smorzano la necessaria trasformazione che può avvenire in noi, se non tamponiamo immediatamente questo disagio. Se ci abituiamo (silenziando la nostra voglia di dare e darci consigli) a guardare, senza giudicare.
Arrivo al punto. In questi riferimenti, questi allineamenti, presi qui come esempio, come spunto, trovo che vi sia come una prospettiva, un punto di fuga, la possibilità di cogliere l’occasione, la scommessa così pazza che in questa fatica e anche dolore ci sia nascosta anche, appunto, un’occasione.

Trovare significativi certi allineamenti, è anche questione di come si guarda…
Al proposito, già Julian Carron parla di questa “occasione”, in un intervento sul Corriere della Sera di alcuni giorni fa. Una occasione, aggiunge in chiusura, “da non perdere”.

Questo potrebbe essere, dopotutto, il lavoro. Il lavoro da portare avanti, senza fretta e senza perfezionismi, in questo tempo così particolare. Almeno per chi non è direttamente impegnato in un reparto rianimazione o in una corsia d’ospedale, o che si trovi davanti un destino particolarmente sfidante. In ogni caso, accogliere la propria condizione (o quanto meno, lavorare verso questo obiettivo), che poi è un monito di sempre, qui diventa particolarmente urgente, stringente. In parole povere (e tremendamente sfidanti), dire sì a ciò che sta accadendo. Allinearsi con delle forze cosmiche, se ci piace dire così, smettendo di esercitare febbrilmente questa nostra sterile opposizione, che piace tanto ad una parte di noi.
E il mio commento potrebbe, o forse anche dovrebbe, finire qui (quindi potete smettere di leggere, se volete).

Tuttavia da astrofisico, mi interessa in particolare l’accenno “cosmico” che viene svolto nel già citato post di Luca, con il preciso riferimento all’allineamento dei pianeti e all’asteroide in transito vicino alla Terra. Molto interessante. E che muove – allinea e disallinea – molte parti in me. Alla prima lettura, devo ammettere, una di quelle parti è saltata sù, stracciandosi le vesti ed esclamando (metaforicamente) “ma che c’entra questo? Cadiamo nell’astrologia, ancora, nel ventunesimo secolo!”.
Così ho preso tempo, quella parte l’ho lasciata gridare e sfogarsi e snocciolare positivismo spicciolo per un poco e anche ragionevolezza scientifica un tanto al chilo e – a vesti ormai stracciate (tanto non posso uscire di casa, pazienza, penserò dopo a rendermi presentabile) – ci sono tornato sopra, con il desiderio, appena, di allargare lo sguardo. Quando i pensieri si fanno guerra, meglio aspettare. Attendere un nuovo allineamento, una prossima armonia. Lasciando entrare aria, gustando sottilmente un delicato scompaginamento dei miei luoghi comuni.
Da un po’ di tempo, infatti, ho preso il gusto di pensare che ci può essere qualcosa di interessante nel lasciare aperti dei varchi nel mio universo spesso troppo solido, quasi marmoreo, assai pericolosamente stazionario, del mio modo “usuale” di vedere le cose. Del resto il mio modo di vedere le cose è (opinione mia) spesso saturo di “buon senso”, ma anche terribilmente poco eccitante: spesse volte, parecchio noioso.
E ho provato a ragionare, passando oltre la mia emozione istintiva di rigetto. Ho provato a far dialogare parti di me stesso, che avevano preso direzioni opposte, senza nemmeno salutarsi. Chissà, però è interessante, comunque, almeno come una ipotesi di lavoro. Intendo, che il cosmo, l’universo, “risponda” a quello che accade nella storia umana. L’idea, ecco, alla fine mi piace. Ha qualcosa dentro che, se mi calmo, trovo attraente. Certo, scientificamente la cosa è facilmente confutabile, almeno con le conoscenze scientifiche di oggi.
Molti miei illustri colleghi, riderebbero. Nessuna delle quattro forze che governano tutto il mondo fisico – per come lo capiamo oggi, e gli esperimenti ci dicono che lo capiamo piuttosto bene – può giustificare il fatto che un allineamento di pianeti possa avere una influenza che non sia appena men che impercettibile, in quel che accade sulla Terra. I conti, volendo, si fan presto a fare (tranquilli, non li faccio qui).

Ma diciamolo finalmente: il fatto che fisicamente non si spiega, beh non spiega ancora nulla.

Ne parlavamo proprio qualche sera fa, a tavola con la mia figlia minore. Anche lei mi diceva, “Beh papà, ma non tutto quello che accade è spiegabile con la fisica”. Io inizialmente, istintivamente ho borbottato, “beh, tutto quello che accade nel mondo fisico, però sì.” Poi mi sono corretto, “anzi no. Se credo ai miracoli, devo già dire di no”.

Quando sono credente (scrivo quando poiché trattasi, in certo modo, di una cosa dinamica), cerco di credere ai miracoli, ovvero provo a mantenere aperta la finestra della possibilità ad interventi del Mistero, che esulano dal mio schema delle cose (ma, Signore aumenta la mia piccolissima fede, sempre). Credo all’intervento possibile del divino, in lieve lieta leggiadra spericolata scanzonata violazione dei “comandamenti” fisici e matematici.
Ma se ammetto che il sistema regolatorio della fisica (così roccioso, in apparenza) in linea di principio possa essere violato, ho aperto una porta che poi non posso permettermi di chiudere a mio piacimento. Ho ammesso che possono succedere cose – nel mondo fisico – che la fisica non spiega. E non spiegherà mai (non è nemmeno roba di fisica quantistica, oggi tirata per la giacchetta ogni volta che non si capisce qualcosa). Cioè, la cosa sarebbe questa, alla fine: la fisica modella quel che accade nel mondo. Ma non tutto quel che è accade nel “mondo fisico” è spiegato dalla fisica.

Ripeto, non è così scontato. Molti molti miei colleghi, più bravi e intelligenti di me, non sarebbero d’accordo.
Ma io insisto, su questa linea.
Del resto, se a Natale acconsento a che i pastori furono guidati verso la grotta del Bambinello da segnali celesti (stella cometa, leggasi), poi come faccio a dimenticarmelo un attimo dopo, diciamo già prima di Pasqua?
Ecco il punto di quello che volevo dire. Mi pare che qui ci manchino dei modelli, esattamente. O io comunque, non li ho ancora assimilati, se ci sono.
Qui ci vuole un modello che ritrovi una congiunzione tra cielo e terra, per cui quel che avviene da una parte influenza quel che accade dall’altra, senza per questo cadere nella superstizione o nella “magia”. Che riprenda molta sapienza trattenuta nell’antica astrologia (del resto prima non era separata dall’astronomia propriamente detta), in una luce nuova.
Posso sbagliarmi, ma ho la sensazione che sia un’avventura ancora molto da percorrere.
Sarebbe bello dire, giunti a questo punto, che stiamo provando a farlo in AltraScienza, sarebbe bello ma penso un po’ troppo da spacconi, da esagerati, vista l’enormità del compito. Diciamo piuttosto, che proviamo a sintonizzarci su questa esigenza, a capire e vedere chi con più autorità e autorevolezza di noi, porta avanti in modo convincente questa istanza.
A volte puntare le antenne, è tutto ciò che serve. Ricercare un allineamento di forze, assecondare una strada che ci vien incontro, lasciarsi andare al fluire pacato delle stelle, delle galassie.
Soprattutto, direi, adesso. Soprattutto adesso.

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Accelerazione

A volte non ci rendiamo conto di come le cose siano in accelerazione, sia a livello umano che a livello cosmico, e dunque non facciamo quell’utile lavoro di decifrazione del dato, che ci consentirebbe – nei tempi lunghi che richiede – di vivere su questo piccolo pianeta in modo forse un pelino più consapevole. Di capire, insomma, un poco meglio, cosa sta accedendo.

Appare indubbiamente assai efficace la traslazione della storia dell’universo nell’intervallo di tempo – assai più “comprensibile” a livello umano – di un secolo appena, operazione che compie il filosofo e poeta Marco Guzzi, in un video recente (estrapolato dal corso Darsi Pace). Davvero ci fa capire come le cose si stiano muovendo con una furia di accelerazione impressionante. E mi fornisce lo spunto per qualche piccola considerazione a sfondo cosmologico.

Allacciate le cinture, la velocità è in aumento… 

Va subito detto che, come viene anche specificato in apertura del video, questo lavoro di ricomprensione è possibile soltanto adesso: appunto, solo da pochissimi anni, da quando abbiamo scovato (andando a vedere le “pieghe” impercettibili dell’eco primordiale del Big Bang) questo valore, i fatidici 13,82 miliardi di anni che rappresentano (secondo le stime più recenti) l’età dell’universo.

Insomma, tutto questo interessante discorso, sarebbe stato semplicemente privo di senso financo per il giovane Einstein, cresciuto nella percezione – allora incontestata dagli scienziati – di un cosmo esistente da sempre, e sempre uguale a sé stesso. Incomprensibile, perfino per lui. E parliamo di un uomo che ha rivoluzionato la fisica moderna, definendo un quadro concettuale in massima parte ancora valido. Insomma Einstein, non Keplero. Un uomo del novecento. Un uomo molto vicino a noi, nella linea temporale. 
Già. E’ incredibile come accelerino le cose. Se ci penso, non posso trattenere la meraviglia. Ancora da bambino, ricordo come fossi sicurissimo che domande come “quanto è grande l’universo” oppure appunto “quando è nato” non appartenessero all’ambito dell’indagine scientifica, né vi sarebbero mai potute appartenere, semplicemente perché strutturalmente  refrattarie ad ogni indagine empirica.

Mi sbagliavo. E mi sbagliavo di grosso.

La storia della scienza ha dimostrato, in pochissimi anni, come domande che erano rimaste – praticamente da sempre – appannaggio del mito o della religione, abbiano inaspettatamente trovato una risposta compiutamente scientifica. Ovvero, falsificabile, perfezionabile, verificabile a piacere. Ha spazzato via in pochi decenni convinzioni ed architetture di pensiero (come quella dell’universo stazionario) che duravano da millenni interi, che hanno permeato il sentire di generazioni e generazioni.

Piuttosto impressionante. Una rivoluzione più epocale del modo di concepire il cosmo, forse non è pensabile, in tutta la storia umana. Ed avviene, praticamente, adesso.
Non i nostri nonni, non i nostri padri. Non gli antichi, o gli uomini del secolo scorso. No. Siamo esattamente noi – voi che avete l’ardire di leggere queste righe (altra cosa incredibile, a pensarci) – nel punto preciso di svolta della storia umana, nel punto esattissimo in cui l’universo si osserva e “dice qualcosa” su di sé. Prende coscienza, in un certo senso. Perché noi, perché siamo nati adesso? Viene il capogiro a cercare di capirlo, a cercare soltanto di figurarcelo.
C’è un’altra cosa, ancora più generale, che si innesta sorprendentemente bene in questa catena di evidenze. Non solo la storia dell’uomo sulla Terra è in furiosa accelerazione, ma anche, come abbiamo scoperto da pochissimi anni (e che peraltro è valso un premio Nobel a tre tizi di nome Saul Perlmutter, Brian Schimdt e Adam Reiss), l’universo stesso è impegnato – a livello globale – in una espansione accelerata, che pare non conosce né fatica né ostacoli.
Fino a pochissimi anni fa si pensava piuttosto ad un Universo in fase più o meno di rallentamento, che si sarebbe prima o poi avviato verso una progressiva contrazione, avendo ormai esaurito la spinta iniziale (perdonatemi la grossolanità di questa sintesi, ma per capirci). I dati, come spesso accade, si sono fatti largo prima di tutto forzando la mente degli stessi scienziati, increduli di fronte a quanto essi stessi stavano scoprendo.
Il quadro attuale, in estrema sintesi, è questo: una (ancora) misteriosa energia, agisce spingendo ogni cosa lontana da ogni altra, accelerando a ritmo furibondo questa espansione già impressionante.
E dunque. Perché scopriamo solo adesso (e di conseguenza, lo”viviamo” solo adesso) il fatto che l’intero universo sia in accelerazione? Pensiamo ancora che sia casuale?

Non sono esattamente sicuro che le cose che scopriamo attraverso la scienza – come quelle che elaboriamo attraverso l’arte e le altre discipline che definiscono la consapevolezza del tempo presente – non abbiano un preciso significato per noi, qui ed ora. Non ci aiutino a definire un compito, un lavoro (che c’entra perfino con il motivo per cui siamo nati, oserei dire). 

Allora, dobbiamo proprio farlo questo lavoro quotidiano, dobbiamo innestare queste considerazioni cosmologiche proprio ed esattamente nella percezione di vita dell’uomo di oggi, nella sua carne, nel suo stesso respiro. Anche per questo la scienza è patrimonio comune, anche per questo la scienza è importante. Per tutti, ma proprio per tutti.

Perché un cosmo che ci parla (e che di nuovo, magari, si fa raccontare), con il quale recuperiamo un atteggiamento di relazione, è il segno di un ritrovato (benedetto) desiderio di camminare verso l’unità di noi stessi, è un segno – strano ma vero – di un possibile ritorno verso un maggior equilibrio mentale e una compiuta apertura della coscienza.

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Viaggio nel Sole…

E’ un piccolo viaggio nel Sole, quello che viene proposto in questo volume. Un viaggio che per chi scrive è iniziato diverso tempo fa, e si è concluso giovedì scorso, con l’uscita del volume in edicola, in connessione con il Corriere della Sera
 
Ora è qui, è solido, è concreto. 
 
E’ bello vederlo, sfogliarlo, pensare che tutto sommato ne è uscito un bel lavoro. Certo, un libro così è un lavoro di squadra, essenzialmente. C’è chi scrive (lo stesso che scrive le righe che ora state leggendo), e sceglie le (tante, tantissime) fotografie. Ma poi c’è chi fa il paziente lavoro di interfaccia con l’editore, e chi cura la grafica, la disposizione delle foto, la revisione del manoscritto, l’impaginazione, e tante altre cose, che sono piccole solo in apparenza.
 
Di questa avventura ne parlo un po’ più diffusamente su GruppoLocale (visto l’argomento astronomico, mi sembrava il posto adatto), ma non mi andava di lasciar passare la cosa senza che sporcasse un po’ di sé anche questo ambiente, che è quello mio più personale, in un certo senso più intimo, anche se aperto al mondo (interessante questa polarità, poi, questo lavoro continuo e non sempre facile, di verità nel raccontarsi davvero e di fiducia nell’aprirsi).
 
Grazie ad Umberto Genovese, per la bella immagine! 
Insomma è bello sfogliare questo libro, ora che è compiuto. Ricordando gli affanni, i momenti di crisi, quelli di esaltazione, e capire che soltanto l’applicazione paziente, l’adesione (tentativamente) umile a quel che c’è da fare, ha reso possibile che un’idea, un sogno, si trasformasse in un pezzo tangibile di realtà.
 
Il volume è l’undicesimo della seria Viaggio nell’Universo e fino ad oggi che scrivo, dovrebbe essere reperibile nelle edicole. Altrimenti almeno per un po’, lo potete trovare dentro il negozio online del Corriere, insieme ovviamente con gli altri volumi. 
 
Più di tutto, questo credo di avere imparato. Che le cose si possono fare, si possono realizzare. Grandi e piccole (che poi, ogni scala è relativa), anche cose piccolissime che nessuno vede, che sono spesso più grandi di tante visibili, per chi le fa, per la sfida che ha dovuto affrontare, le paure e le esitazioni che ha dovuto superare. 
 
Le cose si possono fare, io le riesco a fare (perfino io ci riesco), tanto più ci riesco, quanto imparo a dimorare nella domanda più che nella pretesa. Non è facile, è un lavoro sporco contro l’inclinazione spontanea, contro la continua deriva momentanea – un lavoro a volte aspro, quasi sempre faticoso. Ma a questo regime di frequenza, la risposta arriva, mi sento di dire, arriva sempre. 
A volte nei modi che non mi aspetto, ma arriva.
 
Un’evidenza, a volerla davvero vedere, quasi solare. 

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L’universo raccontabile (anche su Facebook)

L’uomo. Ecco il grande escluso dalle teorie cosmologiche che ci stiamo lasciando alle spalle. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo, l’immenso impoverimento da sanare al più presto: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo – un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, declinabile perfino sui social. E soprattutto, portatore di senso.
La partita è fondamentale, decisiva: in effetti, è questo il vero campionato del mondo, o meglio dell’universo. Un cosmo non raccontabile è qualcosa che proprio non ci possiamo più permettere:  è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Un universo in cui siamo spersi: dispersi, per essere più pilotabili. Te la raccontano così, in effetti: sii buono e possibilmente, un quieto cittadino, buon consumatore, rimani pure nella tua quieta disperazione. Tanto cosa puoi sperare, lì fuori è tutto freddo e buio, non vedi?
Ebbene, è il momento di dire basta. Da tutto questo, da questo scenario malato, sconfessato ormai dalla stessa scienza cosmologica, dobbiamo e vogliamo evolvere.
Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nella vastità dello spazio: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume Il Tao della Liberazione“abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”
In breve, la cosmologia contemporanea, quella più avveduta, ha questo grande compito: riportarci verso un cosmo a misura d’uomo, ovvero un cosmo incantato. Scrivono infatti gli stessi autori, che “l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto.” In questo modo il nuovo cosmo non potrà che riflettere la nuova scienza, quella che riporta l’essere umano non solo al centro del processo cognitivo, ma al centro stesso dell’universo che vuole indagare.
Questa rivoluzione cosmologica non avviene oggi “per caso”, ma è stata preparata da una profondissima crisi all’interno della stessa scienza più rigorosa, crisi che ha visto lo scardinamento e il tracollo della visione meccanicistica cartesiana (funzionale peraltro ad un approccio di dominio e non di relazione) sospinta dall’avanzare delle visioni – potentemente dirompenti – della fisica relativistica e della meccanica quantistica. Non è questa la sede per indagare la portata di tali eventi concretamente rivoluzionari, dobbiamo appena comprendere il loro di stimolo potente verso le istanze di un ricominciamento totale, anche nella scienza.
Questo ricominciamento, questo reincantamento, possiede in sé l’urgente necessità di comunicarsi a tutti gli uomini, perché tutti noi siamo comunque vittime di questo “furto del cielo”, perché  noi tutti soffriamo di questa ferita aperta. E’ un risarcimento che si vuol proporre, in altre parole. Urgentissimo, perché già tardivo. Una impresa di questa natura deve rivestire il carattere deciso di modernità, ovvero avvenire attraverso ogni canale informativo: ad esempio, non è ormai nemmeno pensabile, senza il coinvolgimento attivo dei social media.
C’è dunque un messaggio, il nuovo cosmo “a misura d’uomo”, e c’è la necessità urgente di rilanciarlo attraverso i canali privilegiati della connessione informatica, così pervasiva ad ogni livello di istruzione e in ogni ambiente. Anzi, potremmo addirittura ribaltare la questione, sostenendo che questa facilità immensa di comunicazione è nata esattamente nell’attesa, nell’imminenza di un messaggio “planetario” da trasmettere. Così comprendiamo perché, con Facebook, Twitter e gli altri social media – che a loro volta si appoggiano a questa straordinaria innovazione che è Internet – siamo arrivati ad una capacità di connessione sbalorditiva, proprio nell’imminenza di questo momento di crisi.
Il rischio allora è che questa capacità di contatto e condivisione, questa inedita potenza di fuoco possa rimanere senza un messaggio profondo da veicolare. Sarebbe pericolosissimo, perché l’assenza viene sempre colmata, in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo. Lo vediamo nei giorni presenti, dove diviene sempre più difficile estrarre un contenuto di valore dal rumore di fondo di ogni schermata di Facebook. Il valore, ovvero tutto quel che invita a riflettere e ad approfondire, rispetto alle innumerevoli “chiamate” alla reazione immediata e superficiale.
Tutto questo presenta conseguenze dirette – tra l’altro – anche nell’educazione, quel processo delicatissimo che deve anch’esso tornare ad un incanto primordiale, ad un ambiente protetto e non giudicante dove la creatività dei ragazzi è esaltata. A noi dunque la scelta di subirlo, questo cambio di pelle, di rimanere frenati in questa urgenza del nuovo, sempre più a fatica, oppure di lanciarci, di scommettere finalmente su un vero rovesciamento di prospettiva.
Alla fine, è una decisione, a cui siamo chiamati. In questa proposta interpretativa non c’è più il “caso”, ma tutto avviene per un senso, e la percezione di un modo “incantato” di guardare l’universo richiama ad un modello d’uomo che non è più vittima della tecnica, perché – in ultima analisi – non è più prigioniero del nichilismo.
Un uomo che possiede (in un possesso dinamico, per invocazione) un senso delle cose, è un uomo che automatica-mente manipola ogni oggetto, ogni tecnica, con una coscienza diversa, che porta nuovo frutto in quello che fa, perfino al tempo speso sui social. Non ci serviranno dunque decaloghi e regole d’uso per recuperare una dimensione umana in Facebook: ci salverà piuttosto la percezione di un cammino fatato, di un percorso possibile verso quel “Regno” dove tutto diventa anticipo e possibilità d’espressione nuova, di creatività inedita ed insperata. Dove la scienza si sposerà con un uso equilibrato e sobrio del mezzo informatico, recuperato nella sua autentica dimensione di strumento, e non di fine. In altri termini, ripreso a servizio.
Questo è il compito che abbiamo davanti, questa è una precisa responsabilità di chi, a vario livello, si occupa di fare scienza, o di divulgarla. Questo, con le sue piccole forze (che poi è sempre questione di risonanza, non di forza bruta), è anche il fine che il gruppo culturale AltraScienza si è prefisso, fin dalla sua formazione. Che vuole appunto declinarsi anche su Facebook, e su Twitter.
Per meno di questo non vale la pena muoversi, credetemi. Per meno di questo, non mette conto ripensare creativa-mentel’impresa scientifica. Nessun gioco al ribasso ormai ci è possibile, in questa epoca di grande cambiamento. O meglio, in questo cambiamento d’epoca. Tenendo in debito conto che, per usare le parole di Thomas Berry, “a noi non mancano le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in un oceano di energia inimmaginabile. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione”.
Queste dunque sono le coordinate del gioco. Enorme, smisurato. Grazie al cielo, splendidamente al di sopra della nostra capacità. Così che sia più dolcemente chiaro, appunto, che tutto è alla nostra portata, sì, ma  per invocazione. Infine, a chi riguardasse questo come bello, ma utopico, permettetemi di rispondere con un motto del ‘68 francese, molto amato sia da scrittori laici come Albert Camus che da personalità religiose come Don Luigi Giussani: “Siate realisti, domandate l’impossibile”.
Pubblicato in origine sul blog Darsipace.it

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A casa, in un universo più amico

Mi colpisce che alla fine, al di là di ogni strategia mentale che possiamo avere, che possiamo decidere, le cose sono sempre semplici, più semplici. Sì. Sono sempre semplici. In fin dei conti, basta aderire alla realtà così come ti si presenta davanti, ti si srotola davanti, e non c’è — non ci sarebbe — da pensare altro. E’ forse una forma di onestà ultima verso il reale, probabilmente la forma più radicale ed anche più difficile. Perché ci costringe a lasciare da parte la progettualità compulsiva, quella a cui siamo tenacemente avvinghiati come a qualcosa di vitale, per lasciare andare davvero.
Stare alle cose, così come accadono, è dunque la cosa più semplice e più difficile insieme. Ma ecco, per quanto vi si riesce, per la minima percentuale che vi si riesce, è sempre una liberazione. Ed è qualcosa che sorpassa sempre i nostri schemi, deborda la nostra misura.
Non avrei mai pensato, prima, di trovarmi una mattina a parlare di astrofisica, nuove particelle, e nuova concezione dell’uomo, in un dialogo denso e significativo, per giunta con un collega ed amico, il prof. Amedeo Balbi. E in diretta nazionale, su Radio Uno. E’ accaduto, invece, ed è accaduto giovedì 13 luglio, nell’ambito della trasmissione Eta Beta, condotta da Massimo Cerofolini.
La catena di causa ed effetto è molto meno lineare, molto meno angusta, di quanto pensiamo. C’è sempre spazio per imprevisti che superano, debordano da questa idea di meccanicismo così pervasiva, ma così avvilente.
Dunque la causa potrebbe ritrovarsi nel fatto che Massimo ha avuto l’occasione di ascoltarmi parlare del progetto AltraScienza, ma in realtà non è una spiegazione esaustiva. Che la mattina dopo ci siamo trovati “per caso” (quanto nasconde di non conosciuto, di sottilmente misterioso, questa espressione!) a colazione insieme, con la nostra Gabriella. E da questa serie di avvenimenti “casuali” è maturata questa proposta. Però non sono convinto. Infatti, non sono cause, sono segni.
La trasmissione la potete ascoltare in podcast, nel sito di Ray Play Radio. Massimo è stato veramente bravo nell’aprirci ad uno spettro senz’altro vasto di argomenti — che prendevano spunto dalle scoperte più recenti, per poi lanciare un affondo sulla concezione dell’uomo, e del rapporto con l’Infinito, che rimane comunque agganciato in modo misterioso e profondo alla libertà del singolo ricercatore. E a farlo nello spazio tutto sommato ridotto, di una ventina di minuti.
Quello che non si può forse ascoltare è tutto ciò che non è andato in onda, tutte le onde che si spostavano su frequenze diverse da quelle radiofoniche, che vibravano nell’umanità delle persone e dei rapporti, e che hanno avvolto questa occasione di una densità di significato importante, per chi scrive.
Che gli hanno fatto capire, ancora più persuasivamente, che c’è una strada da percorrere. Che c’è una “AltraScienza” davvero emozionante (che fa palpitare il cuore, per la sua connessione con tutto) che i tempi stanno prepotentemente chiedendo. E che noi, umilmente, continueremo ad esplorare. A domandare, anzi. Con Thomas Berry infatti possiamo dire che

“Non ci mancano certo le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in uno sconfinato oceano di energia. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione.”

E forse arrivare a riconoscere, come disse (con felicissima iperbole) Luigi Giussani quella volta, davanti a Giovanni Paolo II, che

“È il mendicante il vero protagonista della storia”

Siamo qui per aderire a questa commossa invocazione, che coinvolge tutto il cuore dell’uomo. E che per questo esatto motivo, è una operazione di una maestosa, direi cosmica, dignità.

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Questo nostro misterioso Universo

Fin da piccola mi è sempre piaciuto rivolgere lo sguardo al cielo stellato e pormi tutte le domande possibili su ciò che non conosciamo, ciò che non possiamo conoscere. Sarà un gene di famiglia? Nonno e papà astrofisici.


Mah, non saprei rispondere. A dire il vero credo che questo abbia sì aiutato lo sviluppo della mia passione, ma da una parte sono convinta che anche se fossi stata figlia di un meccanico e nipote di un dottore, la mia mente non avrebbe fatto a meno di volare via con la fantasia lì dove non possiamo andare. Non vi è mai capitato di alzare lo sguardo al cielo e notare come sia immenso e sentirvi in un momento così piccoli? Ci sentiamo così potenti qui, così intelligenti, così rilevanti. Ma cosa siamo davvero? Cosa rappresentiamo noi per l’intero universo? Vorrei dire nulla, ma so che qui qualcuno avrebbe da che ridire. Com’era quella teoria secondo cui il battito delle ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo?

Ed è vero, ognuno di noi ha il proprio ruolo e la propria ragione di esistere, ma se solo provassimo per un secondo a immaginarci sulla Terra, la Terra nel Sistema Solare, a sua volta nella Via Lattea e così via. Ditemi, quanto vi sentite importanti ora? Sentite che un vostro intervento possa in qualche modo influenzare tutta quella roba lì su? Eppure noi ne facciamo parte, dovrà pur avere un significato, no? Deve per forza significare qualcosa.

Ho imparato che il 90% dell’universo è a noi sconosciuto. Sconosciuto. Affermare che non ne sappiamo quasi nulla non sarebbe poi così sbagliato. Abbiamo scoperto così tanto ma basti pensare che “così tanto” in confronto a tutto ciò che ci manca è davvero nulla. E non vi interessa questo? Non vi affascina sapere che oltre quello di cui siamo a conoscenza c’è ancora un universo da scoprire? O sono l’unica che nel bel mezzo di una spiegazione di storia guarda fuori dalla finestra e comincia a fantasticare sul cosmo?

So che molti altri hanno dedicato la vita alla scoperta e al progresso di ciò che noi chiamiamo “universo”. E so che altrettanti si interessano di questo nostro misterioso mondo. Ma la maggior parte di noi vive la quotidianità con indifferenza verso ciò che c’è lassù. Si alza la mattina e pensa al caffè, al lavoro, alla scuola, alla famiglia. Ci hanno insegnato a impegnarci e a dare il massimo per far sì che la nostra vita su questo pianeta sia la migliore, in breve, per essere felici. Ci azzuffiamo tanto per ottenere ciò che vogliamo quando neanche ci rendiamo conto di cosa ci circonda. Come si fa ad essere soddisfatti della propria vita se ci si limita a condurre un’esistenza grigia, ripetitiva, priva di significato?

A me viene un brivido solo a guardare una stella nel cielo. Quella stella, la stella che per qualcuno è semplicemente la stella più luminosa, per me è un solo piccolo pezzo di un puzzle e non fa altro che ricordarmi quanto siamo minuscoli. Quella stella siamo noi, sei tu, sono io. Quella stella è un puntino apparentemente irriconoscibile nell’oscuro universo, come noi. Non siete un minimo curiosi di scoprire cosa c’è sopra la nostra testa? Lo so che quello che sto dicendo ha infinite incoerenze e probabilmente non ha molto senso se visto al di fuori della mia testa, ma è quello che risponderei se qualcuno mi chiedesse perché mi incuriosisce così tanto il cosmo.

Dopotutto, se cerchiamo la definizione di Universo su Internet, ci dice che esso è la totalità di tutto ciò che esiste; è l’interezza dello spazio. E come potremmo mai ignorare una cosa talmente grande e talmente influente per la vita umana?

Semplice, non possiamo.

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L’ordine naturale delle cose…

Scrive lucidamente Jeremy Rifkin che
Il nuovo concetto della natura è sempre l’argomento più importante della matrice che costituisce ogni nuovo ordine sociale. In tutti i casi, la nuova cosmologia serve a giustificare la giustezza e l’inevitabilità del nuovo modo in cui gli esseri umani stanno organizzando il proprio mondo, presupponendo che la natura stessa è organizzata secondo linee simili. Ogni società si può così sentire rassicurata dal fatto che il modo con cui conduce le proprie attività è compatibile con l’ordine naturale delle cose e, inoltre, è un giusto riflesso del grande disegno della natura.
Non è dunque casuale la cosmologia che ogni epoca umana si trova a dover affrontare. Non è semplicemente una questione di progresso lineare della cultura scientifica, mentre appare piuttosto come uno specchio del sentire diffuso e comune, quel substrato condiviso che informa tanto lo scienziato più specialistico come la persona più aliena da ogni velleità scientifica.
E’ come percepiamo il cosmo, e intendo in senso veramente ampio, ovvero tutto quello che sentiamo esterno a noi stessi. Il cosmo, in questa accezione, è veramente molto presente, perché inizia appena dove finiscono le mie dita, ed è anzi quell’ambiente dove le mie dita, le mie mani, la mia attività e la mia volontà si esercitano.

Chiaramente il modo in cui percepisco il cosmo informa profondamente ogni mia azione, oserei dire, ogni mio respiro. E questo cambia continuamente.
Ci avverte Marco Guzzi d’altra parte che

… l’ordine del mondo (cosmologico, politico, conoscitivo, e perfino morale) non è statico, non è definito una volta per tutte, ma è storico, si dà cioè temporalmente, attraverso una processualità di mutazioni sostanzialmente “rivoluzionarie” (dalla rivoluzione copernicana in poi)

Difficile negare che stiamo attraversando un’epoca di insicurezza, di crisi che sovente si ripercuote dal livello meramente economico a quello esistenziale. Diceva il celebre sociologo Zygmunt Bauman, pochi mesi prima di morire, che
il sentimento di “insicurezza” deriva da una miscela di incertezza e ignoranza: ci sentiamo umiliati perché inadeguati al nostro compito, e la conseguenza è il crollo della stima e della fiducia in noi stessi. È qualcosa che riguarda tutti.

Non a caso questa insicurezza si riverbera nella percezione del cosmo.

 Così nel il cammino storico, dove ci sembra di aver percorso tutto, esplorato e bruciato tutto (impeti rivoluzionari, ideologie, tirannie…) dove le stesse democrazie liberali mostrano impietose i loro limiti. Ci sembra, in altri termini, di conoscere molto di più degli uomini di qualche tempo fa, di essere avvertiti e disincantati allo stesso tempo, come pure di essere arrivati ad un punto di confusione, di stallo. Di conoscere e non conoscere allo stesso tempo — o perlomeno di non avere la conoscenza necessaria per agire in modo costruttivo nell’agone sociale.

Così è interessante notare come questa situazione, di sapere di non sapere, si ritrova mappata nella nostra percezione del cielo, in cui mai come in questi esatti anni, si coniuga un senso di comprensione globale con una eclatante consapevolezza di profonda ignoranza. E non come la immaginiamo, ma come la scienza contemporanea ce la porge, ce la dipinge.
Non è quel cosmo che poteva avvertire sopra la propria testa una persona come Cartesio, come Newton. E’ un cosmo più chiaro, di cui possiamo finalmente dire scientificamente il momento di nascita, l’estensione, certo-— ma al contempo immensamente più complicato e misterioso.
Un cosmo in ultima analisi più morbido rispetto al meccanicismo implacabile con il quale lo abbiamo vissuto in passato, un cosmo elettrizzante, in un certo senso, perché si apre di nuovo ad un intervento profondo e creativo dell’uomo, finalmente libero perché finalmente liberato (e sempre da liberare ancora) da un meccanismo stolido di azione-reazione, affrancato da un reticolo di dinamiche freddamente impersonale.
Scrive ancora Marco Guzzi,

L’uomo è inserito in questo processo storico con la propria libertà creativa, può cioè intervenire attivamente, non deve solo prendere atto di un mondo esterno sovrastante e bloccato e adeguarvisi, ma può interagire appunto creativamente col darsi storico del mondo. La creatività umana è dunque reale e radicale, in quanto la sua libertà è reale e radicale: per cui l’uomo, si potrebbe anche dire, trascende sempre il mondo dato.

Fino ad arrivare al nodo reale, al punto intorno al quale possiamo lavorare, verso una nuova comprensione di noi stessi, come uomini: una comprensione che restituisca a noi stessi la nostra creatività (in ogni senso, dal cosmologico all’artistico, passando per l’agire sociale)

D’altronde se il sistema del mondo (cosmico come politico) fosse chiuso in sé (bloccato in una necessità tragica e fatale, come il cosmo greco), che spazi di libertà autentica e quindi di creatività radicale avrebbe l’uomo?

C’è spazio per la creatività, dunque, intorno a noi, in noi? Abbiamo affondato le nostre radici su un terreno tanto solido da sgretolare quella disgraziata stazionarietà, sia cosmologica che mentale, che nega sottilmente l’utilità e la unicità del nostro attraversamento del cosmo, per quanto breve possa essere, rispetto alle scale di vita delle stelle, delle galassie?
Una sfida culturale, artistica, cosmologica, ormai non più procrastinabile.

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Spunti per… onde nuove

E’ stato un simpatico trappolone quello che mi hanno teso i simpatici e bravi Alessandro e Gabriella, all’incontro dell’associazione Darsi Pace che è avvenuto ieri mattina. Complici anche loro: le famose onde gravitazionali finalmente (ri)trovate, dopo tanto affannoso cercare. 
Proprio giovedì scorso è stato dato infatti l’annuncio ufficiale, che queste elusive increspature dello spazio-tempo, previste da un certo Albert Einstein addirittura un secolo fa, sono state finalmente rilevate. Ed è certo una conferma di grandissima importanza per la teoria della relatività generale:  una cosa non proprio ininfluente, perché (andando per le spicce) è proprio la teoria sulla quale si impernia la nostra conoscenza dell’universo, così come lo comprendiamo ora
Diciamo in pratica che ci siamo accorti ancora una volta che l’universo risponde ai nostri schemi interpretativi, ci racconta che i nostri sforzi per capirlo sono sforzi produttivi. Risuona sull’ambito di frequenze nelle quali gli inviamo le domande. Sono dunque le domande giuste, per questo nostro tempo. 

E forse è possibile, è lecito, chiedersi se questa scoperta scientifica può suggerirci qualcosa che vada oltre la scienza, se ci aiuti – come sempre – a comprendere il mondo anche in senso più culturale e spirituale. Ovviamente per fare questo, per lanciarci in questo spunto di indagine, dobbiamo dismettere i panni del rigore scientifico e lanciarci in una ricerca a tutto campo che però procede con strumenti diversi. 
Scienza e cultura, scienza e spiritualità, non solo si possono parlare, ma debbono farlo, perché l’uomo non si sviluppi a compartimenti stagni, in collisione tra loro. E’ salutare che lo facciano, purché appunto si usi un linguaggio (tentativamente) onesto, che non pretende di portare il rigore scientifico dove non vuole e non può arrivare.
Con questa coscienza, si può provare ad esprimere qualche suggestione che questa recente scoperta può evocare in una persona che per mestiere è condotta ad occuparsi del cosmo. Io almeno ci ho provato, ieri mattina (accogliendo una richiesta simpaticamente a sorpresa, chiamata informalmente trappolone). Potete vedere il video in cui, peraltro, provo un po’ all’impronta a riassumere quanto ho argomentato in un post scritto per l’associazione Darsi Pace

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