Fare casa, scegliere un posto che ti piace. Iniziare ad arredarlo come preferisci. Ecco, qui ci sei tu, ci sei solo tu. Cioè, la scelta è tua. Tu devi solo dire se ti ci trovi bene, se ti piace. Se ti va di portarti i tuoi libri (Jung, Joyce, Davide Rondoni, e tutto Andrea de Carlo, a prima botta direi), i tuoi dischi (ci mettiamo, intanto, tutto quanto Battisti, ovviamente: primo e soprattutto secondo periodo), i tuoi film (Stregata dalla Luna, Jerry Maguire, Love Actually, ma subito subito, poi vediamo), insomma le tue cose più care. Quello che definisce chi sei, quello che ritaglia un tuo contorno, di fronte al mondo.
Se definisci un contorno, definisci un ambiente in cui ti riconosci e ti ritrovi, arrivi a considerare che tutto sommato sei unico, non sei appena una fotocopia di mille altri. E allora, finalmente, puoi iniziare a rilassarti. Senti che c’è un motivo per cui sei qui. Senti che questo ambiente è così irresistibilmente tuo che nessun altro lo avrebbe mai costruito così.
Senti, all’inizio un po’ timidamente, che ti puoi rilassare, ti puoi un po’ sdraiare in questa tua unicità.
Del resto, pensaci: quand’è che non respiri, che ti senti soffocare? Quando ti senti preso in un ingranaggio per il quale tu sei un’unità impersonale, sei un numero, sei alienato da te stesso, corri e lavori e produci ma non sai più perché. Quando il tuo sapore unico si stempera, si slava. Tenti di essere così pulito e stereotipato che non sai più di niente.
Pulito, sì. Perché avere un ambiente, una casa, è fare anche pace con le tue granulosità, le tue imperfezioni. Perché comunque riverberano i tuoi colori, sono così tue che nemmeno te ne rendi conto, di quanto di meraviglioso trattengono. I tuoi colori, i tuoi odori, il fatto che sei tu, passa attraverso di queste, in modo non trascurabile.
Tu devi tornare tu, unico al mondo. Adesso.
A volte non sono necessarie svolte decisive, drastiche. A volte basta iniziare a fare casa. O meglio, riprendere a fare casa. Perché secondo me è una cosa spontanea, è un movimento costruttivo e creativo della mente, che può avvenire se appena c’è calma abbastanza.
D’accordo, può servire una tecnica, un’ordine, un cammino. Magari fa bene un po’ di meditazione, qualche respiro profondo. Ogni tanto sì, ogni tanto ci vuole: meglio se con regolarità (ma senza perfezionismi). Magari anche cinque minuti al giorno, appena. Come un gioco, un gioco di casa.
Ah sì, quasi dimenticavo: nella mia casa ci va un cuscino da meditazione e un tappetino. Giusto.
L’idea, insomma, è ritornare a coltivare i propri pensieri tranquilli. Che inevitabilmente pescano in quella zona sacra costituita dalle nostre più vere passioni, delle nostre inclinazioni creative. Da ciò per cui siamo qui al mondo, potremmo anche argomentare (volendo scomodare tematiche “alte”).
Ma torno alla casa, al piccolo e al riparato.
Fare casa è anche (e forse soprattutto) allestire un angolino immaginario dentro di sé. Niente muove il sentimento e il cuore più che una cosa immaginata con la massima libertà e niente coinvolge più di un gioco.
Niente è più serio e con più conseguenze dei pensieri che lasciamo circolare nella nostra testa. I pensieri esistono, cambiano le cose, colorano la realtà. Coltivare un buon rapporto con i pensieri è un atto di amore personale altissimo (ed anche di grande altruismo).
Uhm. Vengono fuori temi alti, di nuovo qui. Ma voglio cercare di riportarmi al piccolo, al riparato, a ciò che scalda nel nascondimento, nel riparo caldo mentre fuori è freddo. Insomma voglio articolare variazioni su un tema deliziosamente autunnale.
Ecco. Fare casa è — appunto— anche e soprattutto un esperimento mentale, è allestire un angolino della mente con le cose più tue, più personali. Ho scoperto che ti ci puoi rifugiare, quando fuori sembra freddo. Non serve mica muoversi fisicamente. Basta tornarci con la mente, volerlo fare, volersi bene tanto da rinunciare per un po’ alle immagini negative e di autosvalutazione, e permettersi di coccolare quei riverberi buoni, tranquilli, calmi. Di qualcosa o di qualche progetto che possiamo far crescere lentamente, magari. Di quel momento bello vissuto, che ci riscalda ancora. Di quel sorriso imprevisto, di quella ragazza incrociata in metropolitana, o magari di quella vecchina un po’ acciaccata ma con quegli occhi luminosi, aperti, buoni. Un sorriso gratis, di pura cordialità umana.
Con le mie cose più tranquille nella testa, come direbbe Alex Britti, insomma (canzone che, sia detto di passaggio, trovo decisamente terapeutica).

Io credo che oggi c’è un grande bisogno di fare casa, di rilassarsi, prima di tutto. Come poi nella canzone di Alex (il cui testo meriterebbe peraltro una esegesi minuziosa), potresti scoprire che in atto in primo (superficie) moto d’animo avresti detto egoistico, è invece il principio fondante del vero altruismo.
Insomma. Come vuoi essere utile agli altri se sei perennemente fuori da te stesso, se sei perennemente fuori casa?
Costruisci casa. Tornaci quando ti capita d’esserti perso, e farai un favore a tutti. Ma proprio a tutti (e te ne accorgerai). Perché emetti delle onde buone, da qui fino alle stelle.
E inizi perfino a cambiare il mondo, con tuo grandissimo stupore.

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