Voglio essere profilato!

Certo il titolo è volutamente provocatorio, ma niente, mi veniva in mente ieri mattina mentre andavo al lavoro, una volta tanto in presenza (uno degli svantaggi dello smart working è che non hai questa possibilità, che colonna sonora vuoi mai goderti mentre ti sposti appena dalla camera da letto al salone). Ho messo su uno dei Daily Mix proposti da Spotify, quello che lei mi compila sulla musica italiana, e mi sono goduto alcune (per me) bellissime canzoni. Inanellate, si direbbe, con mano sapiente, in gustosa sequenza. Non troppo stranamente, mi sono trovato d’accordo con tutte le scelte proposte: tanto che ho ascoltato la scaletta con la netta sensazione che, tra me e Spotify, ormai c’eravamo ben capiti.

Dopo anni di utilizzo, in pratica Spotify mi ha profilato. Mi ha studiato, per ogni scelta musicale che compivo, ha incamerato dati sul mio comportamento (solo musicale, grazie al cielo) e ha memorizzato tutto, archiviando nei suoi server dislocati chissà dove. Facendone tesoro. Mi vuole conoscere, dal punto di vista del suono. Certo lo fa per un suo preciso interesse. Desidera che io torni spesso sulla piattaforma, che la frequenti sempre di più, che rinnovi il mio abbonamento e che non vagheggi evasioni su piattaforme diverse. Desidera continuare ad essere pagata, pertanto cerca di rendersi utile. Anzi, lei punta ad essere indispensabile, ormai lo so. Anche io un po’ la conosco.

Se non ti conosco, come posso cantarti qualcosa che ti piace?

Lo fa innegabilmente per un suo interesse. Che però, voglio dire, è anche il mio, in buona parte. Mi fa comodo, mi fa piacere, che nel tragitto casa-lavoro io debba appena pormi il problema se voglio ascoltare un po’ di musica italiana o di pop/rock o magari un sottofondo smooth jazz, e lasci a lei la bega di compilare la scaletta. Ieri, dicevo, mi ha regalato una serie di godibilissime canzoni italiane (a mia opinione, ovviamente, e il punto è proprio questo). Venditti, Fossati, Lauzi, Fabi, Graziani, Conte (niente, poi sono arrivato al lavoro proprio mentre Conte aveva appena finito di parlare delle donne che fanno pipì rischiando di perdersi il passaggio epico di Bartali, passando il testimone ad uno del calibro di Battisti, che a malincuore ho dovuto zittire). Ribadisco, sequenza mirabile e godibile.

Il ritorno è stato parimenti interessante, con uno scorrimento (diciamo così) sull’inevitabile Grande Raccordo Anulare condito dalle note (e le ugole) di Battisti, Fossati, Paoli, ancora Graziani, Zero, Venditti, De Gregori, Battiato, ancora Venditti (se volete impicciarvi un po’ di più e disquisire sulla scelte musicali c’è sempre il mio feed che Spotify confida quotidianamente a last.fm).

Capiamoci. Quando parlo di canzoni, non intendo canzoni qualsiasi, ma tutte canzoni meravigliose, sia chiaro. Lei sa anche cosa preferisco di ogni cantautore, ormai. Sa molto, indubbiamente. Anche se ogni tanto mi provoca, butta lì in mezzo un brano che non conoscevo ma che giudica affine a quelli che ascolto di solito. Tipo, senti un po’ questa Marco? Che ne dici, eh? (non glielo sento dire ma insomma è come se lo facesse). A volte così ho scoperto delle autentiche gemme. Insomma non mi tiene del tutto dentro la mia bolla, mi aiuta a scoprire cose nuove, sempre però in modo ragionato e progressivo.

Dunque alla fine, mi fa piacere essere profilato da Spotify. Non vanto alcuna privacy musicale da difendere, nei suoi confronti. Anzi, sono io che le dico vieni e impara dai miei gusti sempre di più, che mi fai contento. Sono lieto di essere profilato, anche se capisco che i miei dati rappresentino un valore, da lui giocabile in vari modi.

Che poi noi siamo un po’ strani, anche contraddittori a volte. Siamo capaci di passare una vita intera sperando che qualcuno ci profili adeguatamente, che apprenda i nostri gusti e le nostre simpatie, che intervenga e ci solleciti su cose che a noi specificamente interessano, che ci capisca a fondo, ma veramente a fondo. Esempi di questa nostra irresistibile aspirazione del cuore ce ne sono a bizzeffe, anche musicali (e parecchio struggenti). Abbiamo il desiderio profondissimo di essere capiti, completamente. Che ci sia, e sia vicino, chi mi conosce completamente, che ha realmente capito come sono (e mi ama così). Desiderio umanissimo, che ci porterebbe lontano analizzare.

Ma poi, ecco, ci irrigidiamo se qualcuno tenta di capirci davvero. Certo, già sento l’obiezione: Marco, il parallelo è troppo tirato! Qui non è un essere umano che si interfaccia con me, è appena una macchina. Non mi vuol bene, non mi capisce sul serio. Verissimo. Tuttavia è comunque un sistema che raccoglie informazioni su di me per migliorare il rapporto con me, mettiamola in questi termini. Sì certo, lo fa per i suoi interessi. Commerciali, lo consento.

Però così facendo, viene comunque incontro ad una mia esigenza, ad un mio desiderio. Proseguendo nella (sconsiderata) provocazione: preferisco ricevere pubblicità mirata rispetto a “consigli per gli acquisti” generici. Un libro di un autore che ho già letto, magari. Certo mi inquieta un attimo, vedere che appena dopo aver cercato (diciamo) tablet da otto pollici su Amazon, poi su un qualsiasi sito di notizie vedo diversi inserti pubblicitari sui vari tipi (guarda un po’) di tablet da otto pollici. Lì per lì mi inquieta un poco, poi mi passa. E magari un inserto pubblicitario di tablet mi interessa realmente, viene incontro ad una mia esigenza. Certo mi interessa di più di un modello di reggiseno (se non indossato) o una serie di otto chiavi a T snodate (dovendo ancora perfezionare l’entusiasmo per i piccoli lavori domestici). Non mi preoccupa di per sé che ci sia chi faccia soldi con alcune informazioni che mi riguardano, anche se questo non vuol dire necessariamente che sono disposto a svelarmi a lei (o a lui) completamente.

Insomma io voglio essere profilato. Voglio che si occupino di me, cose e persone (e anche animali). Forse è un rigurgito di narcisismo, forse una slittamento indebito su un terreno già scivoloso di suo, chi può dirlo. Ma va bene, insomma: occupatevi dei miei gusti. Fate la fatica di venire a conoscermi davvero, modellate il vostro servizio secondo quanto posso davvero gradire. Così il mio Spotify sarà unico, diverso da quello di tutti gli altri.

Ma sospetto anche, che già lo sia.

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Propositi per il nuovo anno

No, no, state tranquilli. Non è che mi si è mischiato il blog ed è spuntato in superficie un post dello scorso capodanno, o addirittura è stato pubblicato per sbaglio un post già programmato per la fine del 2015 (programmazione così estesa, d’altra parte, essendo alquanto improbabile in questo mio spazio).

Insomma, niente di tutto questo. E’ che per me il vero punto di svolta, il vero momento – se ce ne deve essere uno – in cui ci si può utilmente permettere di guardare ai dodici mesi passati, fare consuntivi, elaborare correzioni di rotta (almeno, tentativamente), è questo. I giorni intorno a Ferragosto, appunto.
Io proporrei una leggera riforma del calendario. Una cosa da niente, diciamo: l’anno nuovo inizia il 15 di agosto. 

Se cielo e terra fossero più in contatto di quanto pensiamo di solito…?

In piena estate, appunto. Ovvero, l’unico momento in cui – se sei fortunato – la pressione delle cose da fare e di compiti da terminare di fare è un pochino allentata. In cui sei, magari, un attimo fuori dalla tua stessa vita, quel tanto che basta da darne un giudizio spassionato (o quasi). O perlomeno, a coltivare l’auspicio di un esame più distaccato del solito. Vi dico: a me viene bene in questi momenti. Non certo dopo Natale che sei già, comunque, ricatturato dalle cose in cui tu stesso hai scelto di metterti, cose che poi normalmente si autoalimentano, vanno avanti in splendida autonomia senza chiederti -magari – se sei ancora d’accordo.
In questo giorno in cui chi crede celebra la assunzione al cielo di Maria (carne ed ossa, ragazzi: niente di spiritualistico, tutte cose molto concrete, come sempre nel cristianesimo), lei che secondo Dante, è “di speranza fontana vivace(espressione che piaceva moltissimo a Don Giussani), possa essere facilitato il mio compito nel guardare alla vita trascorsa finora con più speranza e meno pessimismo  di tante altre occasioni.
Ecco. Al di là degli errori commessi, degli sbagli, per me emerge – adesso – una domanda più sostanziale. Se ho amato abbastanza, se mi sono amato abbastanza, se ho vissuto le cose  con la dolcezza e la pazienza necessaria alla mia crescita. Se mi sono permesso davvero di credere, come dice Eraclito, che l’armonia nascosta è molto più potente dell’armonia manifesta. Se mi sono permesso di credere che c’è realmente molto altro oltre l’aspro determinismo con cui la mia parte egoica continua a voler vedere l’Universo. Se mi sono permesso di credere che, per il mio cuore, per la mai carne, quello che non si vede conta molto di più di quello che si vede. Se mi sono concesso – anche –  di essere fallibile, se ho iniziato a guardare con compassione i miei fallimenti, le mie frequenti cadute. Se ci ho parlato, con loro. Se ci ho dialogato, le ho ascoltate, ho permesso loro di esistere, se ho fatto loro spazio. 
Lo so, loro vogliono essere ascoltate, hanno qualcosa da dirmi. Reprimerle vuol dire farle incattivire, perché poi invece di sussurrare, dovranno urlare, esasperate perché io non le ascolto, mi turo le orecchie. E invece, intuisco, loro hanno un messaggio, un messaggio importante per la mia vita.
Per come la vita può riprendere, diversa e magari migliore, il prossimo anno (cioè da adesso, secondo il mio calendario interno e, per ora, personale).
E per come, in verità, può riprendere ogni giorno. Ogni istante. 
Perché la decisione per l’esistenza e per la sua indomita positività è di ogni istante. E’ rinnovata ogni momento.
A pensarci, non serve nemmeno un capodanno ad agosto, grazie a Dio.
Serve la consapevolezza di avere comunque un appoggio, di essere amati comunque. Sì, anche lassù.

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Facebook? Ha le orecchie

Mi dicono che è una cosa nota da tempo. Io però me ne sono accorto soltanto ora. Se vado per aggiornare il mio stato su Facebook, compare una iconcina diversa dal solito, nella sezione dedicata all’umore.  Se lo faccio adesso,  ad esempio, trovo una opzione aggiuntiva rispetto alle varie classiche opzioni “Mi sento..”, “Sto guardando…”. Sì una opzione molto più puntuale e meno generica: “Sto ascoltando Study Op. 35 No. 17”.

Accidenti. Cioè, Mr. Facebook riesce ad intercettare il mio stream della radio Internet e propormelo tra i possibili messaggi di stato, bello e pronto (nel dettaglio, sto ascoltando dei pezzi per chitarra classica di Fernando Sor).

Wow

Così preso da un raptus comparativo, mi sono precipitato su Google Plus a vedere se anche il social network della grande G presenta un udito altrettanto fine. Ebbene devo dire che non pare: se pure Google conosce quello che sto ascoltando (tra un po’ conoscerà di certo anche quello che sto pensando), perlomeno non lo dà a vedere: non mi propone di postare il brano che Rdio.com sta ora srotolando attraverso gli altoparlanti.

Google è sordo? Può darsi. Comunque, Facebook ci sente benissimo 🙂

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Scrivere fa bene

Mi capita oggi di rileggere alcune mie poesie, più o meno recenti, per organizzare una piccola raccolta da inviare ad un concorso di una rivista letteraria. Curiosa sensazione di piacere (per le parti che mi paiono meglio riuscite), imbarazzo (per le parti che non riesco a migliorare efficaciemente, e che mi sembrano ancora segnate da una certa ingenuità di scrittura)… su tutto, comunque, la sensazione di fare una cosa che mi piace, mi rilassa e mi intriga.

Me lo dico sempre: già questo sarebbe una ragione sufficiente per continuare a scrivere. Al di là del risultato “esterno”, un risultato positivo per me viene sempre, quando scrivo. Almeno a me, scrivere (in poesia, in prosa, sul blog, o altrove) fa bene… 🙂

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Alcuni fanno cruciverba, altri programmano…

Programming a 64-bit OS

...my interest in computers isn’t practical; I just find programming them, particularly at this level, to be a supremely satisfying intellectual pursuit. Some people enjoy crossword puzzles or Sudoku; I enjoy assembler programming. Every new processor that I experiment with is a new delight.

Mi colpisce questo piccolo “estratto” che ho trovato per caso spulciando i feed di Google Reader.. Mi aiuta a chiarire quello che per me è sempre stato un piccolo mistero; ovvero come mai la programmazione – lungi dal costituire qualcosa di freddo e astratto come potrebbe forse sembrare – rivesta, almeno per il sottoscritto, il fascino di un’avventura intellettuale davvero intrigante…

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E’ che servono le chiavi a mia moglie

Scendo negli spogliatoi della palestra dopo forse una mezz’oretta scarsa da che sono entrato. Mi vede un signore che incontro spesso in palestra e col il quale spesso ci scambiamo dei saluti, e mi chiede se ho già finito per la giornata. “No no devo prendere una cosa…”


Intanto penso la versione lunga della medesima risposta, che è tipo “A mia moglie servono per qualche motivo le chiavi di casa ora, così che ho interrotto gli esercizi e sono sceso a riprendere dal mobiletto dello spogliatoio, dove ho chiuso la mia roba mentre faccio allenamento…”

Subito dopo mi figuro anche una sua probabile risposta di circostanza, magari del tipo che chiamerei da piccola seccatura, tipo Ehh che ci vuoi fare, nemmeno in palestra si può stare tranquilli, le mogli… forse con un sorriso a stemperare e sdrammatizzare ulteriormente questa lievissimo contrattempo…

Poi sono andato a pensare perchè mai la parola “moglie” potesse essere anche per scherzo associata a “seccatura”. Mi ha fatto pensare alla quotidianità di una lunga consuetudine di vita, alla differenza tra la parola “sposa” che è una parola che brilluccica tutta di gioia ed eccitazione e gusto pieno di prossimità e vicinanza, e la parola – appunto – “moglie” che lascia invece trasparire un senso di abitudine, di compromesso, quasi di stanchezza: “ahh che vuoi, sai mia moglie…”, cose di questo tipo qui.

Però non mi sono rassegnato a scivolare nell’uso di questa parola in questo modo. Secondo me quando sta per capitare è il segnale che c’è da lavorarci, da lavorare per soffiare via la polvere: lavoro lento, paziente, senza attesa di risultati repentini, ma fiducioso…

D’altra parte, la luccicanza della parola sposa, in ultima analisi, è pur contenuta nel nucleo della parola moglie, ma come protetta, custodita, da uno strato intermedio semiopaco, senza il quale forse non potrebbe preservarsi nel tempo… strato che contempla anche l’abitudine di un rapporto lungo, che contempla anche le tensioni, le differenze, e la perseveranza paziente nel lavorare per superarle… come se non potesse essere esposta al mondo così direttamente, ma dovesse come scivolare entro uno strato protettivo.

…Non è che semplicemente stà a me lavorare perchè questo strato non diventi una gabbia, magari?

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Ripresa … lenta!

Accipicchia. E’ quasi un mese che non scrivo sul mio blog, direi poveretto che lo sto un pò trascurando!

Riepilogando, dovrei parlare un pò delle vacanze al mare in Molise, di cui ho mandato brevi accenni, eppoi della vacanza di una settimana a St. Moritz fatta con moglie e prole (tranne la più grande, tornata appena ora da una megavacanza in Canada a Montreal, dallo zio) e con tanti amici. Sì ci sarebbe da parlare, ma magari è più interessante mettere online qualche foto e lasciare spazio alle immagini (lo so, è una scusa per rimandare ancora…)

E poi certo, c’e’ il fatto di essere stato chiamato in causa dalla primogenita, per cui bisognerà pur rispondere, no? Mmm.. cara figlia, fammi pensare ad altri blog da nominare, però!

Certo, potrei dire che – da attento fruitore (!) del web2.0 – mi sto allineando al flusso generale per cui diversi osservatori indicano come il fenomeno del microblog sia in salita mentre i blog stanno un pò perdendo terreno (tanto che in effetti già si vedono diversi blog che sono in realtà ninete altro che aggregatori automatici dei vari lifestreaming, il flusso di cose che segnano la propria presenza online in vari servizi – tipo il box di friendfeed che è qui a lato). Certo posto più nel microblog che nel blog vero e proprio; un pò perchè è più semplice un pò perchè non sempre si ha tempo e voglia di organizzare le proprie idee in un post più articolato. Ehm. Potrà questo giustificare il mio postare un pò “rallentato”?

Io comunque, per non sbagliare, ho messo anche l’avviso “bloggo quando posso”. Ovviamente acchiappato dal blog Miculae et Nubes. Che quasi mi scoccia dirlo (chè temo l’interessata si monti la testa), trovo piuttosto interessante…

Oh vabbè, un post l’ho fatto, allora… anche se non so ancora bene di cosa ho parlato ! 😉

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Come si è

“Dolcezza verso come si è”

Premetto, ho l’abitudine di appuntare idee e pensieri un pò d’appertutto, in qualsiasi foglio foglietto o bigliettino o pagina di agenda, o computer, che trovi a disposizione nel momento in cui voglio fermare una frase, una sensazione…

Propri ora ritrovo questo piccola auto-esortazione in un foglio di appunti di lavoro, mentre cerco di mettere un pò d’ordine nell’ambiente selvatico che in pratica si è sviluppato sulla mia scrivania… La riscrivo qui perchè mi piace; oppure mi serve, non so. E’ quello che ci vuole in questo momento, in cui per varie piccole cose e accadimenti, mi cruccio pensando a come essere buoni genitori, a come essere buoni mariti… pensando o magari pensando di forzarmi in cambiamento.

No, mi sa che me la sono detta giusta quando ho scritto il bigliettino; prima di tutto, dolcezza per come si è. Simpatia “originaria”; siamo magari povere “cose”, ma dobbiamo trattarci bene, mi dico. E’ il punto di partenza.

Ora, chissà se trovo qualche altro foglietto…… 😉

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