Blog di Marco Castellani

Categoria: considerazioni

Propositi per il nuovo anno

No, no, state tranquilli. Non è che mi si è mischiato il blog ed è spuntato in superficie un post dello scorso capodanno, o addirittura è stato pubblicato per sbaglio un post già programmato per la fine del 2015 (programmazione così estesa, d’altra parte, essendo alquanto improbabile in questo mio spazio).

Insomma, niente di tutto questo. E’ che per me il vero punto di svolta, il vero momento – se ce ne deve essere uno – in cui ci si può utilmente permettere di guardare ai dodici mesi passati, fare consuntivi, elaborare correzioni di rotta (almeno, tentativamente), è questo. I giorni intorno a Ferragosto, appunto.
Io proporrei una leggera riforma del calendario. Una cosa da niente, diciamo: l’anno nuovo inizia il 15 di agosto. 

Se cielo e terra fossero più in contatto di quanto pensiamo di solito…?

In piena estate, appunto. Ovvero, l’unico momento in cui – se sei fortunato – la pressione delle cose da fare e di compiti da terminare di fare è un pochino allentata. In cui sei, magari, un attimo fuori dalla tua stessa vita, quel tanto che basta da darne un giudizio spassionato (o quasi). O perlomeno, a coltivare l’auspicio di un esame più distaccato del solito. Vi dico: a me viene bene in questi momenti. Non certo dopo Natale che sei già, comunque, ricatturato dalle cose in cui tu stesso hai scelto di metterti, cose che poi normalmente si autoalimentano, vanno avanti in splendida autonomia senza chiederti -magari – se sei ancora d’accordo.
In questo giorno in cui chi crede celebra la assunzione al cielo di Maria (carne ed ossa, ragazzi: niente di spiritualistico, tutte cose molto concrete, come sempre nel cristianesimo), lei che secondo Dante, è “di speranza fontana vivace(espressione che piaceva moltissimo a Don Giussani), possa essere facilitato il mio compito nel guardare alla vita trascorsa finora con più speranza e meno pessimismo  di tante altre occasioni.
Ecco. Al di là degli errori commessi, degli sbagli, per me emerge – adesso – una domanda più sostanziale. Se ho amato abbastanza, se mi sono amato abbastanza, se ho vissuto le cose  con la dolcezza e la pazienza necessaria alla mia crescita. Se mi sono permesso davvero di credere, come dice Eraclito, che l’armonia nascosta è molto più potente dell’armonia manifesta. Se mi sono permesso di credere che c’è realmente molto altro oltre l’aspro determinismo con cui la mia parte egoica continua a voler vedere l’Universo. Se mi sono permesso di credere che, per il mio cuore, per la mai carne, quello che non si vede conta molto di più di quello che si vede. Se mi sono concesso – anche –  di essere fallibile, se ho iniziato a guardare con compassione i miei fallimenti, le mie frequenti cadute. Se ci ho parlato, con loro. Se ci ho dialogato, le ho ascoltate, ho permesso loro di esistere, se ho fatto loro spazio. 
Lo so, loro vogliono essere ascoltate, hanno qualcosa da dirmi. Reprimerle vuol dire farle incattivire, perché poi invece di sussurrare, dovranno urlare, esasperate perché io non le ascolto, mi turo le orecchie. E invece, intuisco, loro hanno un messaggio, un messaggio importante per la mia vita.
Per come la vita può riprendere, diversa e magari migliore, il prossimo anno (cioè da adesso, secondo il mio calendario interno e, per ora, personale).
E per come, in verità, può riprendere ogni giorno. Ogni istante. 
Perché la decisione per l’esistenza e per la sua indomita positività è di ogni istante. E’ rinnovata ogni momento.
A pensarci, non serve nemmeno un capodanno ad agosto, grazie a Dio.
Serve la consapevolezza di avere comunque un appoggio, di essere amati comunque. Sì, anche lassù.

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Scrivere fa bene

Mi capita oggi di rileggere alcune mie poesie, più o meno recenti, per organizzare una piccola raccolta da inviare ad un concorso di una rivista letteraria. Curiosa sensazione di piacere (per le parti che mi paiono meglio riuscite), imbarazzo (per le parti che non riesco a migliorare efficaciemente, e che mi sembrano ancora segnate da una certa ingenuità di scrittura)… su tutto, comunque, la sensazione di fare una cosa che mi piace, mi rilassa e mi intriga.

Me lo dico sempre: già questo sarebbe una ragione sufficiente per continuare a scrivere. Al di là del risultato “esterno”, un risultato positivo per me viene sempre, quando scrivo. Almeno a me, scrivere (in poesia, in prosa, sul blog, o altrove) fa bene… 🙂

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E’ che servono le chiavi a mia moglie

Scendo negli spogliatoi della palestra dopo forse una mezz’oretta scarsa da che sono entrato. Mi vede un signore che incontro spesso in palestra e col il quale spesso ci scambiamo dei saluti, e mi chiede se ho già finito per la giornata. “No no devo prendere una cosa…”


Intanto penso la versione lunga della medesima risposta, che è tipo “A mia moglie servono per qualche motivo le chiavi di casa ora, così che ho interrotto gli esercizi e sono sceso a riprendere dal mobiletto dello spogliatoio, dove ho chiuso la mia roba mentre faccio allenamento…”

Subito dopo mi figuro anche una sua probabile risposta di circostanza, magari del tipo che chiamerei da piccola seccatura, tipo Ehh che ci vuoi fare, nemmeno in palestra si può stare tranquilli, le mogli… forse con un sorriso a stemperare e sdrammatizzare ulteriormente questa lievissimo contrattempo…

Poi sono andato a pensare perchè mai la parola “moglie” potesse essere anche per scherzo associata a “seccatura”. Mi ha fatto pensare alla quotidianità di una lunga consuetudine di vita, alla differenza tra la parola “sposa” che è una parola che brilluccica tutta di gioia ed eccitazione e gusto pieno di prossimità e vicinanza, e la parola – appunto – “moglie” che lascia invece trasparire un senso di abitudine, di compromesso, quasi di stanchezza: “ahh che vuoi, sai mia moglie…”, cose di questo tipo qui.

Però non mi sono rassegnato a scivolare nell’uso di questa parola in questo modo. Secondo me quando sta per capitare è il segnale che c’è da lavorarci, da lavorare per soffiare via la polvere: lavoro lento, paziente, senza attesa di risultati repentini, ma fiducioso…

D’altra parte, la luccicanza della parola sposa, in ultima analisi, è pur contenuta nel nucleo della parola moglie, ma come protetta, custodita, da uno strato intermedio semiopaco, senza il quale forse non potrebbe preservarsi nel tempo… strato che contempla anche l’abitudine di un rapporto lungo, che contempla anche le tensioni, le differenze, e la perseveranza paziente nel lavorare per superarle… come se non potesse essere esposta al mondo così direttamente, ma dovesse come scivolare entro uno strato protettivo.

…Non è che semplicemente stà a me lavorare perchè questo strato non diventi una gabbia, magari?

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Ripresa … lenta!

Accipicchia. E’ quasi un mese che non scrivo sul mio blog, direi poveretto che lo sto un pò trascurando!

Riepilogando, dovrei parlare un pò delle vacanze al mare in Molise, di cui ho mandato brevi accenni, eppoi della vacanza di una settimana a St. Moritz fatta con moglie e prole (tranne la più grande, tornata appena ora da una megavacanza in Canada a Montreal, dallo zio) e con tanti amici. Sì ci sarebbe da parlare, ma magari è più interessante mettere online qualche foto e lasciare spazio alle immagini (lo so, è una scusa per rimandare ancora…)

E poi certo, c’e’ il fatto di essere stato chiamato in causa dalla primogenita, per cui bisognerà pur rispondere, no? Mmm.. cara figlia, fammi pensare ad altri blog da nominare, però!

Certo, potrei dire che – da attento fruitore (!) del web2.0 – mi sto allineando al flusso generale per cui diversi osservatori indicano come il fenomeno del microblog sia in salita mentre i blog stanno un pò perdendo terreno (tanto che in effetti già si vedono diversi blog che sono in realtà ninete altro che aggregatori automatici dei vari lifestreaming, il flusso di cose che segnano la propria presenza online in vari servizi – tipo il box di friendfeed che è qui a lato). Certo posto più nel microblog che nel blog vero e proprio; un pò perchè è più semplice un pò perchè non sempre si ha tempo e voglia di organizzare le proprie idee in un post più articolato. Ehm. Potrà questo giustificare il mio postare un pò “rallentato”?

Io comunque, per non sbagliare, ho messo anche l’avviso “bloggo quando posso”. Ovviamente acchiappato dal blog Miculae et Nubes. Che quasi mi scoccia dirlo (chè temo l’interessata si monti la testa), trovo piuttosto interessante…

Oh vabbè, un post l’ho fatto, allora… anche se non so ancora bene di cosa ho parlato ! 😉

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Come si è

“Dolcezza verso come si è”

Premetto, ho l’abitudine di appuntare idee e pensieri un pò d’appertutto, in qualsiasi foglio foglietto o bigliettino o pagina di agenda, o computer, che trovi a disposizione nel momento in cui voglio fermare una frase, una sensazione…

Propri ora ritrovo questo piccola auto-esortazione in un foglio di appunti di lavoro, mentre cerco di mettere un pò d’ordine nell’ambiente selvatico che in pratica si è sviluppato sulla mia scrivania… La riscrivo qui perchè mi piace; oppure mi serve, non so. E’ quello che ci vuole in questo momento, in cui per varie piccole cose e accadimenti, mi cruccio pensando a come essere buoni genitori, a come essere buoni mariti… pensando o magari pensando di forzarmi in cambiamento.

No, mi sa che me la sono detta giusta quando ho scritto il bigliettino; prima di tutto, dolcezza per come si è. Simpatia “originaria”; siamo magari povere “cose”, ma dobbiamo trattarci bene, mi dico. E’ il punto di partenza.

Ora, chissà se trovo qualche altro foglietto…… 😉

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Grovigli…


fishing line
Inserito originariamente da f l a v i a b

Guardandomi dentro, devo ammettere che mi vedo molto meno “lineare” e chiaro di quanto desidererei; anzi, di quanto riterrei (per l’età cui sono arrivato, per la situazione di vita famiglia e lavoro che ho raggiunto…etc..) di dover essere.

Sì sì. Mi sento che dovrei essere pacato, calmo, riflessivo, paziente, sereno. Sento che dovrei aver più o meno chiara la mia posizione attuale e il mio cammino successivo. Vorrei sempre poter essere un appoggio, per Paola, per i bimbi che crescono.

Questo è quello che sento. E credo sia una cosa bella, l’ideale che uno possa avere di migliorare se stesso, in fondo.

Dall’altra parte, c’e’ che guardandomi dentro, spesso trovo una situazione molto più “ingarbugliata” e alfine caotica, di quanto vorrei: pensieri situazioni istinti passioni impulsi ansie di libertà voglia di nuovo desiderio di protezione e di rifugio, tutto coesiste e si mischia in migliaia di colori e sfumature sempre diverse. E le volte, che per motivi anche banali, questa “parte” viene fuori prepotente e io mi sento in difficoltà…

…In pratica mi trovo, al dunque, a dover fare la constatazione di non riuscire a “disciplinare” tutto, dentro di me. Vedo questo groviglio, questa parte irrazionale magmatica ma “vitale” dentro di me che mi chiama. E io a volte affanno per dipanare i fili, pensando di aver un modo per fare una luce chiara su tutto. Ma alla fine non si trova mai, questo modo: si trovano modi parziali, temporanei. Non “un modo”.

Stamattina ho capito che non è questo il punto. Non è questo che mi è richiesto, per fortuna. Ovvero sento che mi è richiesta una cosa più semplice, molto più semplice, per ora: non devo dipanare tutto il groviglio… devo accettarlo, accoglierlo. Ho capito oggi che tra le due posizioni c’e’ una differenza abissale!

Sì tutto qui: è questo il lavoro da fare. Dopotutto, come posso essere così “orgoglioso” da pensare di dipanare tutto, da me?

E una luce buona (lo sento) si spande su ogni cosa e sulle mie “zone buie”, se io ammetto e “accetto” anche il groviglio dentro di me…

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Dolce Italia

A Boston c’e’ la neve e si muore di noia
Urla tristi di gabbiani nell’acqua della baia
Gente dalla pelle grigia che ti guarda senza gioia
Tutti freddi e silenziosi chiusi nella loro storia

Ma in Italia oh dolce Italia
In Italia è già primavera
In Italia oh dolce Italia
La gente è più sincera, la vita è più vera… “

Ho ricevuto ieri il pacco che aspettavo da bol.it, col il dizionario di francese per Andrea, e con il CD Acustica di Eugenio Finardi (uno dei miei “amori di ritorno”, un ritorno gradito dagli ascolti di tanti anni fa…). Il disco è del 1993 ma io non l’avevo mai ascoltato. Ho scoperto di aver speso una manciatina davvero irrisoria di euro per trovarmi tra le mani un disco dolcissimo, tenero e sublime…

Sarà pure che la musica ha valore non solo di per sè, ma per l’interazione che compie con l’ascoltatore, con il suo bagaglio di sensazioni, esperienze, opinioni, paure e gioie… sarà che in questo momento del percorso della mia vita, questa musica la sento così confacente… Non saprei dire. Ma mi commuove innazitutto l’ascolto della splendida Dolce Italia, e la musica dolce porta della parole che mi entrano all’interno, mi muovono qualcosa di benefico, un sentimento sopito, forse, da troppo tempo….


Lo dico, senza retorica: il senso della patria. Di una appartenenza ad un popolo. Con nomi, volti, storie. Perchè sopito? Per pudore, vergogna, timore di essere inattuale? Di essere catalogato politicamente, socialmente, forse… Eppure la rimozione del senso della patria non è sinonimo di libertà o grande sentire, mi accorgo. Me ne accorgo non teoricamente, ma ascoltando le mie sensazioni, i disagi e le gioie che si muovono al mio interno a seconda delle posizioni che assumo… dunque non voglio convincere nessuno, in quel che dirò, sarà semplicemente quel che penso.

Forse è questo: sono cresciuti in una epoca, a ripensarci (anni settanta) in cui nell’aria stessa che si respirava, più che in chiari enunciati, in un clima culturale (o sottoculturale) vi era la pervasiva suggestione che l’idea di patria fosse solo un artificio retorico, una sovrastruttura inutile o addirittura perniciosa. Di più ancora, l’idea della patria, sembrava appannaggio di una parte politica sola (non quella che andava per la maggiore, chiaramente…), ed era associata a sentimenti di belligeranza, di animosità. Insomma collegata, più o meno direttamente, alla volontà di conflitto, palesata o meno che fosse, ad una generica volontà di potenza. Allora poteva capitare che un ragazzo crescendo, desiderando la pace, con tutta la forza degli ideali dell’adolescenza, era portato a considerare questa cosa della patria come una cosa del passato, come una idea superata, antica, inattuale…

… Mi accorgo ora di quanto era sbagliato. Mi accorgo di quanti sentimenti ho rimosso, di una parte di me che non ho lasciato esprimere fino in fondo… di aver bevuto anch’io, per conformismo, per pigrizia mentale, alla fonte intorbidita del concetto falsissimo (provato sulla mia pelle) che veniva subdolamente veicolato da tante parti, ovvero che ogni appartenenza fosse “pericolosa”, “sbagliata”, “vecchia”, che ogni appartenenza (famiglia , religione, patria) dovesse essere dissolta, smantellata per fare posto al “nuovo”, oppure fatta scomparire nel “privato”, resa invisibile, senza impatto nella realtà… Invece credo che lo sradicamento provochi disorientamento, rabbia, e alla fine, violenza, teorizzata o praticata, grande o piccola. Tutto il contrario della pace…

Attenzione però, non si tratta di negare quel che non va. Tante cose in Italia non vanno, chi potrebbe negarlo? Ma è la mia gente. Il mio popolo. L’amore non copre le cose sbagliate o parziali, ma le ricomprende in sè, mi dico. E poi, lasciatemi dire… se penso allo stupendo e mirabile contributo dato all’umanità in termini di poesia, di musica, ai Santi….. sì lasciatemene gioire di tanta umanità! Sento gratitudine per l’appartenenza alla stesso popolo da cui viene San Francesco, San Benedetto, e ancora Vivaldi, Puccini, e ancora l’immortale Dante, e tutta la poesia bella e commovente di Ungaretti, e tanto altro ancora…

Ma sì, rischiamoci: amiamola questa terra, di sole e di mare, questo popolo…Dolce Italia, in Italia è già primavera.

..E grazie Finardi per questa ed altre meravigliose canzoni. Di questo disco ne voglio riparlare, mi ha preso troppo…

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