La magia di un sogno, il velo della verità

Due corposi “quaderni” per un viaggio nell’astronomia antica e moderna. Un viaggio particolare, da compiersi seguendo una scansione per oggetti e non per i consueti grandi temi. Un viaggio che cerca l’ancoraggio al particolare: un ancoraggio tenace, testardo.

Sarà questo. Sarà che il tempo presente scoraggia dall’affrontare grandi temi. Siamo confusi, spaventati. Ci sentiamo abitanti di un mondo che non comprendiamo più, un mondo dilaniato dalle guerre e dalle stragi. Certo, lo è sempre stato, ma quello che è ormai cambiata, è la nostra consapevolezza. Uscendo sfiancati dalle due guerre mondiali, ci aspettavamo un futuro diverso. Eppure, le grandi costruzioni intellettuali che sognavano un mondo migliore, donne e uomini più buoni, sono ormai crollate. Noi, ci aggiriamo incerti tra le macerie fumanti.

I due “Quaderni” di astronomia, appena pubblicati

Che senso ha dunque, oggi, impiegare ore ed ore nello scrivere, revisionare, scegliere le immagini a colori, ridefinire, aggiornare? Che senso ha l’astronomia, in sé stessa? Che senso ha se ci adagiamo ancora sulle grandi (e pesanti) costruzioni mentali, sui complessi (e già sconfessati) sistemi di pensiero? Che senso ha appoggiarsi a qualcosa di morto ormai?

Sì, siamo disillusi. Assaggiamo con raccapriccio, la nostra amara capacità di farci del male, che ci appare incredibile, invincibile, inossidabile. E ne siamo sconfortati. Cerchiamo un nuovo modo di pensare, un nuovo linguaggio. Una possibilità di osservare il cielo stellato, in pace.

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Visualizzare i quanti

Ci sono concetti, come quelli della meccanica quantistica (teoria che ha appena festeggiato un secolo di vita), che sembrano quasi costruiti per restare misteriosi. Onde che diventano particelle, stati che esistono e non esistono allo stesso tempo! Insomma, è assai facile perdersi di fronte a questi paradossi. In molti ne restano affascinati, ma poi trovandoli incomprensibili rinunciano a capirli, perdendone così il significato profondo.

E non è un problema solo per chi ascolta, anche per divulgatori e insegnanti il compito di trasmettere queste nozioni è una sfida continua. Insomma, come raccontare una realtà così distante dalla nostra esperienza quotidiana? Gianluca Li Causi, primo ricercatore dell’INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, ma soprattutto amico e collega, ha pensato a una rappresentazione dei quanti che aggirasse questi problemi. L’idea, sottoposta a The Physics Teacher, rivista specializzata nella didattica della fisica, è stata pubblicata come articolo di copertina del numero di gennaio (Figura 1) di questo 2025 nominato dalle Nazioni Unite Anno Internazionale della Fisica e delle Tecnologie Quantistiche (l’articolo, leggibile in forma integrale, si chiama “Explaining quanta with optical illusions“, The Physics Teacher, Vol. 63, Number 1, Jan 2025 ed è leggibile in forma integrale su arXiv). Incuriosito, desideroso di capire qualcosa di più, interessato da quanto viene ideato nel mio stesso Istituto, ho raggiunto Gianluca per questa breve intervista.

Figura 1: La “ipnotica” copertina di The Physics Teacher

Caro Gianluca, vuoi spiegare ai lettori di Stardust perché mai la meccanica quantistica appare così splendidamente (e tenacemente) incomprensibile?

Ci provo, caro Marco! È tutto perché gli oggetti del nostro mondo quotidiano hanno proprietà molto diverse dalle proprietà delle particelle elementari. Questo è il punto. Ogni particella quantistica possiede un insieme di qualità, cioè uno stato, che quando vengono osservate possono assumere soltanto alcuni valori discreti e mutuamente esclusivi. Un elettrone, per esempio, possiede una proprietà chiamata spin che può essere osservata solo in uno di due stati quantistici, comunemente chiamati su e giù.

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Difendere la bellezza

E’ come una meraviglia che ci viene silenziosamente sottratta, così che quasi non ce ne accorgiamo. Ma anche noi. Ne facciamo a meno, alla fine rinunciamo. Sì, poi chi ha tempo, chi ne ha anche voglia, in fondo? La sera c’è la televisione, le partite, le varie piattaforme, c’è quella serie da vedere, quella che ha consigliato il collega in ufficio…

Non che tutto questo non si possa fare, chiaro. Anzi è bello spesso ritrovarsi in famiglia, o con gli amici. Ragionare e sentire che si sta vivendo, che stiamo andando avanti, ognuno come può, come riesce, ma sempre in cordata, senza essere mai soli.

Bellissimo, certo.

Accanto a tutto questo c’è questa meraviglia, però. Una quieta meraviglia. Che non fa rumore, che non protesta, che nemmeno si arrabbia se nessuno la guarda (e in tutto il cosmo, potremmo essere gli unici a guardarla, chissà, potrebbe esistere soltanto per noi). E’ lì, paziente. Ma perché non ammirarla, perché non gustarla, questa meraviglia?

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Verosimile o vero? Per ChatGPT, è lo stesso

Gli articoli redatti dall’intelligenza artificiale sono – ancora forse per un po’ – facilmente riconoscibili: sono piatti, pieni di buon senso misurato ma senza spessore, senza punti di climax, senza concessioni all’emotività, con una attenzione esagerata a considerare il punto di vista più neutro possibile. Insomma sono mortalmente noiosi, almeno a questo stadio di evoluzione dell’IA.

Anche per questo, io non sono tra quelli che fanno scrivere i pezzi a ChatGPT. Mi diverto di più a scrivere personalmente. Ma questo non vuol dire che rinunci a fare esperimenti, per vedere se in qualche misura questa nuova tecnologia mi può essere d’aiuto. E l’aiuto spesso arriva, inutile negarlo.

A volte però è un aiuto un tantino avvelenato.

Per un articolo che sto scrivendo per la mia rubrica su Edu INAF (che dovrebbe apparire sul sito giovedì 30 gennaio) ho posto a ChatGPT alcune domande relative alla poetessa Wisława Szymborska (premio Nobel per la poesia 1996). Mi interessa particolarmente, come potrete comprendere, il suo rapporto con il cosmo.

L’idea era di raccogliere le buone idee eventualmente fornite dalla macchina automatica, per poi rielaborarle secondo la mia sensibilità, tanto per essere sicuri di non lasciar fuori nulla di importante. E integrarle nel mio pezzo, in via di scrittura.

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Undici anni nello spazio

Potrebbe essere il titolo di un libro, o di un film. Invece è proprio quanto è accaduto: undici anni di incessante attività, in orbita ad un milione e mezzo di chilometri da casa. Miliardi e miliardi di misurazioni, quotidianamente spedite a Terra.

Ma andiamo con ordine.

Della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ho scritto in tantissime occasioni, su questo blog (anzi abbiamo, perché ha contribuito anche la cara amica e valente divulgatrice Sabrina Masiero, con alcuni tra i suoi numerosi articoli). Iniziando il tutto, ben prima del lancio.

Ora che sta finendo, mi viene da ripensarci.

Per dirla tutta, Gaia compare dentro il mio blog (allora si chiamava GruppoLocale) più di dieci anni prima del lancio, con un post del 2002, intitolato La sonda Gaia e i modelli della Via Lattea. Una decade prima del lancio, ma quando il sottoscritto non aveva minimamente idea che sarebbe stato coinvolto nel lavoro su Gaia, a cui vi avrebbe poi dedicato molti, molti anni.

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Dove vanno il cielo e la terra

Questione imbarazzante, in molti sensi. Questione scomoda, per noi che ci accontentiamo spesso di piccoli risultati, piccoli progetti, piccoli aggiustamenti nell’assetto complessivo dell’esistenza. Sembra davvero non essere questo, il tempo di grandi imprese, di grandi progetti, di grandi domande. Sembra in effetti, che non lo sia mai.

Eppure è sempre necessario ripartire, scuotersi di dosso la polvere sedimentata a forza di accumulare scelte volte al piccolo cabotaggio, all’aggiustamento della barca (ma sempre) in porto, a vele arrotolante in modo che non prenda vento, al piccolo respiro contratto, che insomma non si sa mai.

Bene. Lo dico innanzitutto a me stesso, in questa chiusura di anno. Davvero, è ora di ripartire, di prendere il largo, di sentire l’aria sulla faccia, respirare l’infinito di nuovo. Le questioni scomode – di ogni tipo – vanno dunque accolte, vanno accolte a braccia aperte, perché infrangono un assetto di universo statico, che si è venuto a (ri)formare nelle nostre vite, un assetto vecchio ma che fa fatica a liquefarsi definitivamente.

Un identico assetto spesso blocca tanto la nostra curiosità del mondo fisico quanto la nostra fame di senso del vivere (che possiamo chiamare il sacro), ferma la ricerca appassionata, facendoci rientrare, per paura, in schemi ormai vecchi, che non portano più nutrimento. Ebbene, questo assetto va scosso, perché nuovi equilibri, nuove visioni, si facciano spazio.

“Dove vanno il cielo e la terra?” di Stroncature

Leggi su Substack

La domanda che ci siamo fatti venerdì sera, dove vanno il cielo e la terra? è una domanda che fino a qualche decennio fa, semplicemente non aveva senso. Almeno per quanto riguarda il cielo. Il cielo, in effetti, non andava da nessuna parte: era lì da sempre e sarebbe sempre rimasto così (al massimo, era stato creato così ad un certo punto). E questo lo pensava perfino un tipo di nome Einstein, fino a che le sue stesse equazioni, facendo esplodere il nuovo paradigma sotto il suo stesso naso, non l’hanno costretto a cedere, ad arrendersi ad un cosmo in evoluzione. Chiudendo con l’eterna stazionarietà ma aprendo le porte ad una storia meravigliosa e umanissima. Da riprendere ogni giorno, ogni momento.

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Le nuvole

Un titolo impegnativo, perché mi rimanda subito ad un album del 1990, un album di un grande, indimenticabile autore italiano. Però non è di tali nuvole che vorrei scrivere, adesso.

Per noi le nuvole, ordinariamente, sono quelle che vediamo da Terra. Difficilmente potremmo perderci nell’idea di nuvole visibili su altri pianeti. Ci avete mai pensato, a come si vedono le nuvole da Mercurio, da Venere? Forse mai. Bene, tutto normale. Perché non siamo abituati, non siamo ancora abituati, all’idea di una pluralità di mondi, come le evidenze sempre crescenti tuttavia sembrano indicare: al momento in cui scrivo, gli esopianeti conosciuti, sono 7360. Quando leggerete (specialmente se arrivate all’articolo con qualche giorno di ritardo, non parliamo poi di mesi o anni) potrebbero già essere un poco di più.

Se realizziamo che ogni pianeta è in realtà un mondo, un mondo che, come tale, possiede una sua meteorologia (per quanto diversa dalla nostra), cioè può avere dei venti, delle tempeste, ci dobbiamo aprire ad innumerevoli prospettive. A contemplare situazioni anche molto diverse da quella terrestre.

Come si vedono le nuvole. Da Marte. Crediti: NASA, JPL-Caltech, Kevin M. Gill

Come queste nuvole marziane. Vedete come disporre di dati sempre più precisi invita la nostra immaginazione ad allargarsi, non a comprimersi? Vedete come la scienza aiuta la meraviglia, non la insidia mai? Prima, delle nuvole su Marte non potevamo saperne assolutamente nulla. Di più, in realtà: nemmeno ci pensavamo.

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Da ogni punto di vista (ovvero, diventare panoramici)

In che senso possiamo sostenere che l’universo è elegante? Ed ancora, come possiamo accorgerci di questa eleganza, e che conseguenze può avere? Che conseguenze concrete – intendo – per la nostra esistenza su questo pianetino che ruota intorno ad una piccola stella situata nelle periferie di una enorme galassia a spirale?

Ottima conversazione nella serata, lo scorso lunedì, per la serie Io divulgo forte di Radio Incredibile con Andrea Cittadini Bellini e Valeria Tassotti. Siamo partiti dal rapporto tra scienza e fede ma presto il dialogo si è allargato ad altri temi e altre provocazioni. Alla fine, saremmo andati avanti per ore: l’affiatamento era perfetto e il dialogo scorreva senza intoppi.

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