Verosimile o vero? Per ChatGPT, è lo stesso

Gli articoli redatti dall’intelligenza artificiale sono – ancora forse per un po’ – facilmente riconoscibili: sono piatti, pieni di buon senso misurato ma senza spessore, senza punti di climax, senza concessioni all’emotività, con una attenzione esagerata a considerare il punto di vista più neutro possibile. Insomma sono mortalmente noiosi, almeno a questo stadio di evoluzione dell’IA.

Anche per questo, io non sono tra quelli che fanno scrivere i pezzi a ChatGPT. Mi diverto di più a scrivere personalmente. Ma questo non vuol dire che rinunci a fare esperimenti, per vedere se in qualche misura questa nuova tecnologia mi può essere d’aiuto. E l’aiuto spesso arriva, inutile negarlo.

A volte però è un aiuto un tantino avvelenato.

Per un articolo che sto scrivendo per la mia rubrica su Edu INAF (che dovrebbe apparire sul sito giovedì 30 gennaio) ho posto a ChatGPT alcune domande relative alla poetessa Wisława Szymborska (premio Nobel per la poesia 1996). Mi interessa particolarmente, come potrete comprendere, il suo rapporto con il cosmo.

L’idea era di raccogliere le buone idee eventualmente fornite dalla macchina automatica, per poi rielaborarle secondo la mia sensibilità, tanto per essere sicuri di non lasciar fuori nulla di importante. E integrarle nel mio pezzo, in via di scrittura.

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Undici anni nello spazio

Potrebbe essere il titolo di un libro, o di un film. Invece è proprio quanto è accaduto: undici anni di incessante attività, in orbita ad un milione e mezzo di chilometri da casa. Miliardi e miliardi di misurazioni, quotidianamente spedite a Terra.

Ma andiamo con ordine.

Della sonda Gaia dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), ho scritto in tantissime occasioni, su questo blog (anzi abbiamo, perché ha contribuito anche la cara amica e valente divulgatrice Sabrina Masiero, con alcuni tra i suoi numerosi articoli). Iniziando il tutto, ben prima del lancio.

Ora che sta finendo, mi viene da ripensarci.

Per dirla tutta, Gaia compare dentro il mio blog (allora si chiamava GruppoLocale) più di dieci anni prima del lancio, con un post del 2002, intitolato La sonda Gaia e i modelli della Via Lattea. Una decade prima del lancio, ma quando il sottoscritto non aveva minimamente idea che sarebbe stato coinvolto nel lavoro su Gaia, a cui vi avrebbe poi dedicato molti, molti anni.

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Dove vanno il cielo e la terra

Questione imbarazzante, in molti sensi. Questione scomoda, per noi che ci accontentiamo spesso di piccoli risultati, piccoli progetti, piccoli aggiustamenti nell’assetto complessivo dell’esistenza. Sembra davvero non essere questo, il tempo di grandi imprese, di grandi progetti, di grandi domande. Sembra in effetti, che non lo sia mai.

Eppure è sempre necessario ripartire, scuotersi di dosso la polvere sedimentata a forza di accumulare scelte volte al piccolo cabotaggio, all’aggiustamento della barca (ma sempre) in porto, a vele arrotolante in modo che non prenda vento, al piccolo respiro contratto, che insomma non si sa mai.

Bene. Lo dico innanzitutto a me stesso, in questa chiusura di anno. Davvero, è ora di ripartire, di prendere il largo, di sentire l’aria sulla faccia, respirare l’infinito di nuovo. Le questioni scomode – di ogni tipo – vanno dunque accolte, vanno accolte a braccia aperte, perché infrangono un assetto di universo statico, che si è venuto a (ri)formare nelle nostre vite, un assetto vecchio ma che fa fatica a liquefarsi definitivamente.

Un identico assetto spesso blocca tanto la nostra curiosità del mondo fisico quanto la nostra fame di senso del vivere (che possiamo chiamare il sacro), ferma la ricerca appassionata, facendoci rientrare, per paura, in schemi ormai vecchi, che non portano più nutrimento. Ebbene, questo assetto va scosso, perché nuovi equilibri, nuove visioni, si facciano spazio.

“Dove vanno il cielo e la terra?” di Stroncature

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La domanda che ci siamo fatti venerdì sera, dove vanno il cielo e la terra? è una domanda che fino a qualche decennio fa, semplicemente non aveva senso. Almeno per quanto riguarda il cielo. Il cielo, in effetti, non andava da nessuna parte: era lì da sempre e sarebbe sempre rimasto così (al massimo, era stato creato così ad un certo punto). E questo lo pensava perfino un tipo di nome Einstein, fino a che le sue stesse equazioni, facendo esplodere il nuovo paradigma sotto il suo stesso naso, non l’hanno costretto a cedere, ad arrendersi ad un cosmo in evoluzione. Chiudendo con l’eterna stazionarietà ma aprendo le porte ad una storia meravigliosa e umanissima. Da riprendere ogni giorno, ogni momento.

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Le nuvole

Un titolo impegnativo, perché mi rimanda subito ad un album del 1990, un album di un grande, indimenticabile autore italiano. Però non è di tali nuvole che vorrei scrivere, adesso.

Per noi le nuvole, ordinariamente, sono quelle che vediamo da Terra. Difficilmente potremmo perderci nell’idea di nuvole visibili su altri pianeti. Ci avete mai pensato, a come si vedono le nuvole da Mercurio, da Venere? Forse mai. Bene, tutto normale. Perché non siamo abituati, non siamo ancora abituati, all’idea di una pluralità di mondi, come le evidenze sempre crescenti tuttavia sembrano indicare: al momento in cui scrivo, gli esopianeti conosciuti, sono 7360. Quando leggerete (specialmente se arrivate all’articolo con qualche giorno di ritardo, non parliamo poi di mesi o anni) potrebbero già essere un poco di più.

Se realizziamo che ogni pianeta è in realtà un mondo, un mondo che, come tale, possiede una sua meteorologia (per quanto diversa dalla nostra), cioè può avere dei venti, delle tempeste, ci dobbiamo aprire ad innumerevoli prospettive. A contemplare situazioni anche molto diverse da quella terrestre.

Come si vedono le nuvole. Da Marte. Crediti: NASA, JPL-Caltech, Kevin M. Gill

Come queste nuvole marziane. Vedete come disporre di dati sempre più precisi invita la nostra immaginazione ad allargarsi, non a comprimersi? Vedete come la scienza aiuta la meraviglia, non la insidia mai? Prima, delle nuvole su Marte non potevamo saperne assolutamente nulla. Di più, in realtà: nemmeno ci pensavamo.

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Da ogni punto di vista (ovvero, diventare panoramici)

In che senso possiamo sostenere che l’universo è elegante? Ed ancora, come possiamo accorgerci di questa eleganza, e che conseguenze può avere? Che conseguenze concrete – intendo – per la nostra esistenza su questo pianetino che ruota intorno ad una piccola stella situata nelle periferie di una enorme galassia a spirale?

Ottima conversazione nella serata, lo scorso lunedì, per la serie Io divulgo forte di Radio Incredibile con Andrea Cittadini Bellini e Valeria Tassotti. Siamo partiti dal rapporto tra scienza e fede ma presto il dialogo si è allargato ad altri temi e altre provocazioni. Alla fine, saremmo andati avanti per ore: l’affiatamento era perfetto e il dialogo scorreva senza intoppi.

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L’inizio di una storia

Abbiamo già visto qualcosa di questo ammasso, nel recente passato, ma ora entriamo proprio – per così dire – nel suo cuore. Il cuore, cioè, dell’ammasso giovane di stelle chiamato NGC 1333. Distante da noi appena mille anni: un’inezia, dal punto di vista astronomico.

Il Telescopio Spaziale James Webb lo scruta attentamente, con l’idea interessante di identificare piccole stelle nane brune e pianeti liberamente vaganti per la nube stessa.

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Il compito essenziale

Più volte ci siamo richiamati alla necessità di pensare un cosmo accogliente, uscendo dall’arcaico (ma perdurante) teatro concettuale che ci descrive un universo freddo, statico, indifferente a noi. Constatata la necessità, dobbiamo ammettere al contempo che non ci viene facile: c’è come una resistenza, una forza di inerzia, che viene esercitata in senso contrario a questo nostro desiderato e fondamentale percorso di liberazione psico-cosmico.

Senza girarci troppo attorno, credo sia lo stesso assetto della società in cui viviamo, che esercita questa resistenza. Il sistema neoliberista (efficacemente definito da Marco Guzzi come “estremizzazione del pensiero economico-liberale che porta alla cancellazione di ogni limite per il mercato e, quindi, di ogni controllo da parte degli stati nazionali nei confronti di entità multinazionali e delle corporations”) – che si espande ormai in uno spazio vuoto, non incontrando più la pressione contrastante di visioni differenti – ha assoluto bisogno di persone che non lo contestino, che si accontentino, che non sia accorgano, soprattutto, di essere re o regine.

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Due metri quadri di confine. Oppure no?

Ogni tanto ci torno anche io, a vedere i numeri. Più di tremila i miei post, dal lontano 1997, in questo sito. Molti parlano del cosmo. Ma di che parlavo, mi chiedo, quando parlavo del cosmo? Credo che in fondo, parlassi di me. Credo che, alla fine, non si possa che raccontare la propria storia. Anche se si parla del Sole, delle galassie, dei quasar. Anzi, soprattutto se si parla di loro.

Mi è sempre più difficile andare avanti trascinando il vecchio, logoro paradigma di un cosmo fuori di me drasticamente separato da un cosmo dentro di me, come se circa due metri quadri di sottile rivestimento, definissero un confine non permeabile, non valicabile. Quasi tale esilissimo epitelio separasse drasticamente il mondo in due, con dinamiche inconciliabili, da una parte e dall’altra. Fuori di me, dentro di me.

Una bella immagine della Serpens Nebula, acquisita dal Telescopio Spaziale James Webb (Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, K. Pontoppidan, J. Green)

Fuori dalla pelle, il cosmo. All’interno, il mio essere biologico e (da qualche parte) la coscienza. Mi piace così? Bene, al di là di ogni dissertazione accademica, se insisto a dimorare in questo modo di veder le cose, soffro. Se stacco il mio senso del vivere dalle galassie, se lo penso separato, sento subito che c’è qualcosa che non va. Da quando un oggetto cosmico – fosse anche un remotissimo quasar – entra nei radar della mia consapevolezza, mi dice di esistere, non posso più far finta di nulla. Ogni rimozione, lo so bene, mi fa diventare artificioso.

Azzardo un piccolo inciso, sulla coscienza. Se ha ragione Federico Faggin1, la coscienza è fondamentale ed irriducibile, ed esiste prima di ciò che chiamiamo materia. E già questo, preso alla lettera, mi farebbe scombinare tutto il quadro. Ma torno subito al mio ragionamento, per non mettere troppa carne al fuoco.

Dentro e fuori, mi domando, insistono le stesse priorità? Forse sì.

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