Blog di Marco Castellani

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Pilloline quotidiane di astronomia, piccoli spunti di ricerca per una “altra scienza”, semini di cosmo per accompagnare il cammino paziente verso una nuova umanità

Veder formare una galassia

L’universo si muove, lo sappiamo. Spesso però i tempi scala che sono diversamente estesi rispetto alla vita umana, non ci consentono di apprezzare quel che sta pur adesso, accadendo.

Ci vengono in soccorso dunque le simulazioni, che comprimono grandemente la dimensione temporale in modo che diventi apprezzabile per il nostro occhi. Queste – come quella che presento qui, che parte dal gas nell’universi primordiale fino a giungere al disco di una galassia spirale – sono cose che fino a pochi anni fa, ce saremmo semplicemente sognate.

In poco più di due minuti, la formazione di un disco galattico, a partire dalla materia primordiale. Crediti: TNG CollaborationMPCDFFAS Harvard U.; Musica: World’s Sunrise (YouTube: Jimena Contreras)

Oggi possiamo goderne. Prenderci un paio di minuti per vedere come, secondo la scienza (la simulazione è fatta in accordo pieno con il quadro teorico attualmente ritenuto valido) si forma una galassia, è concederci di osservare qualcosa che i grandi astronomi del passato nemmeno osavano sognare.

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La medusa catturata da Hubble

La galassia medusa JW39 fluttua serenamente nello spazio, in questa immagine del Telescopio Spaziale Hubble. O perlomeno, così sembra.

La galassia “medusa” JW39
Crediti: ESA/Hubble & NASA, M. Gullieuszik and the GASP team

A dispetto delle apparenze, la galassia si trova a nuotare in un ambiente ferocemente ostile: un ammasso di galassie. Rispetto alle loro controparti isolate, infatti, le galassie negli ammassi combattono delle aspre battaglie. E ne portano i segni: spesso appaiono distorte dall’attrazione gravitazionale di vicini invadenti (e grandi), che le possono distorcere in una varietà infinita di modi. Tutto sommato, per l’ambiente in cui si trova, JW39 conserva una apparenza tutto sommato ordinata e simmetrica.

Con una parola (troppo) in voga, potremmo forse chiamarla una galassia resiliente. A guardarla bene, questa maestosa galassia lontana quasi un miliardo di anni luce da me, mi insegna che si può splendere anche nella fatica, si può brillare anche dentro la battaglia.

Certo, io me lo scordo sempre. Ma forse lei, sta lì per questo.

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L’asteroide e la sua luna

Perfino un asteroide può possedere una sua luna. La sonda Galileo, nel suo lungo viaggio interplanetario verso Giove nell’ormai lontano 1993, incontrò (e immortalò) due asteroidi.

L’asteroide 243 Ida e (a destra nell’immagine) la sua piccola luna Dattilo
Crediti: NASAJPLGalileo Mission

Quello che vedete è il secondo pianeta minore fotografato da Galileo. Si chiama 243 Ida e grande fu la sorpresa quando ci si accorse che possiede una luna tutta sua. Insomma, quel che pianeti anche grandi come Mercurio non hanno, a lui non è negato.

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Una lingua inaudita

Le galassie dell’ammasso della Vergine sono diffuse per ben quattro gradi in questa ampia immagine. Distante da noi circa cinquanta milioni di anni luce, l’Ammasso della Vergine costituisce il più vicino ammasso di galassie, oltre il nostro Gruppo Locale.

Qui si vedono bene le galassie ellittiche più luminose tra le tante dell’ammasso, ovvero M87 in basso nella zona centrale, M84 ed M86 (dall’alto in basso) più a sinistra.

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Osservatorio e cielo stellato

Davvero suggestivo questo scatto che mostra un ben noto osservatorio astronomico davanti ad un meraviglioso cielo stellato. Abilissimo il fotografo, devo dire.

Sapreste dire di quale osservatorio si tratta? Attenzione, non è facile…

Certo, soltanto che questo famoso osservatorio fatichereste a trovarlo… perché non esiste. Almeno nel mondo reale. Esiste nel mondo dell’intelligenza artificiale, perché l’immagine è stata realizzata con Bing Creator (ora già vedo il vostro dubbio… tranquilli, le altre immagini di questo sito sono vere o comunque se non lo sono, è sempre indicato). Va da sè, che non è stato scomodato nessun fotografo per realizzare questa foto.

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Qualcosa da riscoprire

A circa 26000 anni luce da noi (inezie, per gli intrepidi navigatori del cosmo), c’è questo tesoro: si chiama NGC 6325, è un ammasso globulare ma soprattutto è un agglomerato di stelle così bello, a vedersi, che non so come mai non ne ho scritto prima di oggi.

Il meraviglioso ammasso globulare NGC 6325 visto da Hubble.
Crediti: ESA/Hubble & NASA, E. Noyola, R. Cohen

Gli ammassi come NGC 6325 contengono molte migliaia – a volte milioni – di stelle, finemente impacchettate in una meravigliosa struttura sferica. Si trovano praticamente in tutti i tipi di galassie e sono meravigliosi laboratori naturali per studiare la formazione e l’evoluzione delle stelle. Chi non è nel campo non può avere idea di quanto abbiamo capito sul fenomeno stella osservando, negli anni, questi ambienti così ricchi!

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Tempeste perfette

Per una tempesta veramente smisurata bisogna andare su Giove. Le tempeste sulla Terra possono durare settimane, ma su Giove possono durare anni. Da noi, possono essere grandi quanto un paese, su Giove possono essere grandi quanto la Terra stessa.

Nuvole su Giove, viste da Juno
Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS; Processing & LicenseKevin M. Gill

Questa immagine è stata ottenuta componendo diverse foto che sono state prese dalla sonda Juno, nell’agosto del 2020 (in piena pandemia c’era – su Giove ma anche altrove – chi scopriva comunque nuove cose).

Certo, vista da questa distanza, la tempesta non fa paura anzi è quasi suggestiva. Le immense formazioni nuvolose si impastano tra loro creando configurazioni affascinanti, morbide, con una piacevole alternanza di colori chiari (nuvole più alte) a colori scuri (nuvole più basse).

Nonostante le differenze di scala, lo studio dell’evoluzione di queste tempeste è di notevole aiuto per comprendere lo sviluppo di temporali e altri fenomeni metereologici a Terra.

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Prove generali per lo sbarco

Non ci fu lo sbarco, per Apollo 10, ma possiamo dire che fu la vera prova generale. Mentre l’astronauta John Young rimase in orbita attorno alla Luna, gli astronauti Thomas Stafford e Gene Cernan a bordo del Modulo Lunare Apollo arrivarono ad appena 15,6 chilometri dalla superficie lunare: era proprio il punto in cui sarebbe dovuta iniziare la discesa frenata dal motore, in una futura missione di allunaggio. E invece no. Invece di effettuare la fatidica discesa, si ricongiunsero a Young.

Il centro controllo di Apollo 10 (foto NASA)

Dopo aver orbitato attorno alla Luna ben 31 volte, l’equipaggio dell’Apollo 10 ritornò sano e salvo sul nostro pianeta. Quella che oggi ci può sembrare una impresa mancata, è piuttosto stato ciò che consentì – appena due mesi dopo – di effettuare il primo allunaggio della storia, con la missione Apollo 11.La prova generale infatti fu di grande importanza, per mettere a punto gli ultimi particolari dell’impresa.

Diciamo la verità. Non avere fretta di arrivare all’obiettivo ci è molto difficile, un po’ per come siamo fatti, un po’ per come ci spingono a pensare, ad agire. Eppure, a volte può far tutta la differenza del mondo.

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