Blog di Marco Castellani

Categoria: DarsiSpazio Page 2 of 62

Pilloline quotidiane di astronomia, piccoli spunti di ricerca per una “altra scienza”, semini di cosmo per accompagnare il cammino paziente verso una nuova umanità

Più di quanto pensiamo

Per la prima volta, gli astronomi hanno combinato i dati del glorioso Osservatorio a raggi X Chandra con quelli del telescopio spaziale James Webb per studiare il famosissimo residuo di supernova Cassiopea A. Questo lavoro ha contribuito a spiegare una struttura piuttosto insolita nei detriti della stella distrutta, che viene chiamata “Green Monster” (mostro verde), a causa della sua somiglianza con il muro nel campo sinistro dello stadio di football Fenway Park, in quel di Boston.

La splendida Cassiopea A (con “mostro verde” incorporato…)
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO; Optical: NASA/ESA/STScl; IR: NASA/ESA/CSA/STScl/Milisavljevic et al., NASA/JPL/CalTech; Image Processing: NASA/CXC/SAO/J. Schmidt and K. Arcand

Combinando i dati Webb con i raggi X di Chandra, i ricercatori hanno concluso che il cosiddetto mostro verde è stato creato da un’onda proveniente dalla stella esplosa, che sbatte contro il materiale che lo circonda.

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Fuochi d’artificio nella Grande Nube di Magellano

Il Telescopio Spaziale Hubble, ha catturato – nel luglio 2003 – questa meravigliosa immagine di una esplosione stellare avvenuta nella Grande Nube di Magellano.

Meravigliosi resti di supernova nella Grande Nube di Magellano
Crediti: NASA, STScI/AURA

Dal suo lancio, avvenuto nel 1990, Hubble ha cambiato profondamente la nostra comprensione del cosmo. Le osservazioni compiute sono circa un milione e mezzo, più di ventimila gli articoli scientifici pubblicati a seguito di sue scoperte. Senz’altro Hubble è la missione più produttiva nell’intera storia della NASA.

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L’ammasso dell’albero di Natale

Questa bella immagine mostra il cosiddetto ammasso dell’albero di Natale. Le luci blu e bianche sono prodotte da giovani stelle che emettono raggi X, rilevati dal satellite Chandra della NASA. I dati ottici del telescopio WIYN da 0,9 metri della National Science Foundation al Kitt Peak mostrano il gas nella nebulosa in verde, corrispondente agli aghi di pino dell’albero, e i dati a infrarossi della Two Micron All Sky Survey mostrano le stelle in primo piano e di sfondo in bianco. Questa immagine è stata opportunamente ruotata, in modo che la parte superiore dell’albero appaia verso la parte superiore dell’immagine stessa.

Nessun albero di Natale più grande di questo, decisamente…
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO; Optical: T.A. Rector (NRAO/AUI/NSF and NOIRLab/NSF/AURA) and B.A. Wolpa (NOIRLab/NSF/AURA); Infrared: NASA/NSF/IPAC/CalTech/Univ. of Massachusetts; Image Processing: NASA/CXC/SAO/L. Frattare & J.Major

L’ammasso in questione è NGC 2264, un brillante ammasso aperto circondato da un esteso sistema di nebolosità diffuse.

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Piccole donne crescono

Mi è piovuto in testa venendo in osservatorio, stamattina. Si può benissimo chiamare così, l’articolo che voglio scrivere oggi: piccole donne crescono. Perché il nuovo logo appena diffuso dall’Ente Spaziale Europeo (ESA) per i dieci anni di attività del satellite Gaia in fondo fa pensare a questo. E per tale motivo lo trovo geniale.

Faccio un piccolo salto indietro. Non è soltanto perché ci lavoro, nel gruppo scientifico di Gaia, che il suo logo originale mi è sempre piaciuto moltissimo. Quella bambina che guarda le stelle e quasi vorrebbe afferrarle, mi appare come simbolo vivo e palpitante del desiderio di conoscenza e di più – di unione con il cielo. E un po’ mi fa pensare alla mia Anita, la protagonista dei due volumetti di racconti (Anita e le stelle, La saggezza di uno sguardo) che sono stati preziosissima occasione di rapporto e di confronto con ragazze e ragazzi delle scuole. Con stelle in formazione, dunque, vorrei dire.

E ci sarebbe tanta umanità da raccontare. Incontri, persone e momenti di persone. Però torno alla missione. Per chi non se lo ricordasse, ecco qui il logo originale della missione Gaia.

Il logo originale della missione Gaia.
Crediti: ESA

Siamo ormai vicinissimi ai dieci anni dal lancio di Gaia, ecco il motivo della ricorrenza. Gaia, che poi è una missione ad importante contributo italiano, cioè è una cosa anche nostra in cui l’esperienza e la genialità di tanti ricercatori del nostro paese ha trovato un terreno su cui misurarsi ed eccellere.

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Venticinque anni fa

L’oscurità dello spazio profondo e l’orizzonte terrestre, sullo sfondo della foto. Davanti, i moduli Unity costruiti in Russia (sinistra) e negli Stati Uniti (destra), dopo poco dopo aver lasciato la stiva di Endeavour. Era il dicembre del 1998. Era l’inizio dell’avventura chiamata Stazione Spaziale Internazionale. Era l’inizio, appunto: tutto il resto si sarebbe assemblato, con il tempo, attorno a questo nucleo essenziale.

L’inizio della Stazione Spaziale Internazionale
Crediti: NASA

I componenti dell’attuale stazione spaziale sono stati costruiti in vari paesi del mondo, con ogni pezzo che viene portato nello spazio e collegato agli altri da complessi sistemi di robotica e dall’abnegazione di umani protetti da tute spaziali: una testimonianza di un affiatato lavoro di squadra e di una grande coordinazione tra persone e tecnologie di varie culture.

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Vittoria contro la polvere

Il match al momento in pieno svolgimento è stelle contro polvere nella Nebulosa della Carena ed il nostro cronista ci assicura che – di fatto – le stelle stanno vincendo la partita. Più precisamente, la luce energetica ed i venti generati dalle enormi stelle appena formate stanno implacabilmente evaporando e disperdendo gli strati di polvere in cui le medesime stelle si sono formate.

Stelle contro polvere, ma l’esito è già noto…
Crediti: NASAESAHubble Heritage (STScI/AURA); Processing: Franco Meconi (Terraza al Cosmos)

Siamo precisamente all’interno di una regione conosciuta in modo informale come Montagna Mistica, l’aspetto di questi imponenti pilastri è dominato dalla polvere marrone opaca anche se risultano composti principalmente da idrogeno, perfettamente trasparente. A circa 7.500 anni luce di distanza, l’immagine in primo piano è stata scattata con il Telescopio spaziale Hubble ed evidenzia una regione interna della nebulosa conosciuta come HH1066 che si estende per quasi un anno luce.

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Qualcosa di epocale

Noto anche come l’ammasso di Pandora, si chiama in realtà Abell 2744 e si trova a circa tre miliardi e mezzo di anni luce da noi.

La cosa intrigante è usarlo come lente gravitazionale. Gli astronomi hanno utilizzato questo fantastico effetto per osservare galassie primordiali che altrimenti sarebbero del tutto inosservabili. In particolare, nel caso di Abell 2744 si è evidenziata una galassia di sfondo, chiamata UHZ1, con un redshift (lo spostamento verso il rosso della luce, legato alla distanza da noi) che raggiunge l’incredibile valore di z=10.1.

L’ammasso di Pandora visto dalla combinazione dei satelliti Chandra e James Webb. Negli inserti le evidenze di un gigantesco buco nero, visto dai due strumenti.
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO/Ákos Bogdán; Infrared: NASA/ESA/CSA/STScI; Image Processing: NASA/CXC/SAO/L. Frattare & K. Arcand

Stiamo dunque osservando un oggetto visto quando il nostro universo aveva appena il tre per cento dell’età attuale. In altre parole, stiamo maneggiano una cartolina che il cosmo ci ha spedito quando era veramente un bimbo. Innumerevoli le cose che possiamo comprendere da questi dati.

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Quel molto di più

Nel suo tredicesimo giorno di viaggio della missione Artemis I (era il 28 novembre del 2022), la navetta Orion ha raggiunto la sua massima distanza dal pianeta dove era stata pensata, progettata ed assemblata. Più di 430.000 chilometri da Terra, sorpassando così il record di distanza per una oggetto progettato per portare umani a bordo (per la più grande distanza in assoluto di un oggetto costruito dall’uomo, bisogna invece rivolgersi verso la Voyager 1, attualmente alla rispettabile distanza di 24,33 miliardi di chilometri da casa, a tutti gli effetti nello spazio interstellare).

Artemis 1, giorno di volo numero 13: Terra e Luna in bella vista…
Crediti: NASAArtemis I

Il record che Orion ha appena sorpassato è quello della missione Apollo 13, che, come sappiamo, rientrò fortunosamente alla base per un guasto, mancando l’obiettivo di toccare la Luna ma riportando a casa sani e salvi tutti gli astronauti.

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