Blog di Marco Castellani

Categoria: diario

Tenere (veramente) un diario

L’ultimo aggiornamento di DayOne, l’applicazione che ho scelto per mantenere un diario privato, ha introdotto finalmente una caratteristica che aspettavo da tanto. Sono arrivate le etichette. 

E questo cambia tutto! Ho aperto DayOne sull’iPad e ho cominciato a rivedere i post all’indietro, aggiungendo le opportune tag, le etichette appunto, individuando una o più parole chiave. Così poi è facile percorrere in mille direzioni diverse quello che si è scritto: ogni parola appunto rappresenta una direzione di lettura, un possibile percorso nella memoria. 
Diary Page
Il diario (vero o digitale) è una traccia, è lo scrivere la vita. Per capirla.
Mi accorgo che un po’ anche la mia mente funziona a parole chiave. Fin troppo, alle volte. Se ho un disagio nel momento presente, il rischio concretissimo è che riveda la mia stessa storia pescando dall’insieme dei ricordi soltanto quelli che mi confermano nel disagio. Come se senza volerlo deliberatamente, sfogliassi la mia memoria prendendo solo i post con etichetta disagio. Grazie al cielo funziona anche al contrario: quando sono contento è più facile trovare i “post” nella memoria in cui si è contenti.
Ma la cosa più importante è che la memoria ci sia. Il disagio veramente grande secondo me è essere schiacciati sul momento presente. Tutto diverso dal fatto di vivere il momento. Mi pare che è tanto più possibile vivere bene il momento presente se non è vissuto come un granellino pazzo e sconnesso da tutto, ma fa parte di una mia storia. L’angoscia più grande è slittare nel tempo senza lasciare traccia, senza lasciare una storia.
Ma non è tutto, così ancora il cerchio non si chiude. I conti non mi tornano. Per farli tornare scopro (spesso a fatica, con un lavoro) che devo uscire da me, dal mio criterio. Sì, perché è solo quando mi sento parte di una Storia che riesco a guardare con simpatia e rispetto anche alla mia storia personale. 
Così lascio che si dipani, che aderisca allo spazio tempo, che lasci la sua impronta. Se mi sento parte di una Storia, una grande avventura cosmica – diciamo – trovo un senso anche nella mia storia personale, anche se afflitta da strappi e buchetti, da giornate mezze storte, da grumi che non scorrono bene. Il razionalismo che mi sussurra di stare solo a ciò che vedi prima di suscitarmi perplessità od obiezioni teoretiche mi mette innanzitutto una paura matta. 
Se non interpreto quello che vedo come la punta di un iceberg in cui c’è molto più di ciò che vedo, o che tocco scientificamente, la stessa parte di realtà che è visibile mi impazzisce sotto le mani. Non vi trovo il senso. Per trovarvi il senso devo fare un passo in più. Devo abituarmi a guardare il reale, le circostanze (l’unica parte del reale con cui interagisco) come segnale di altro, come invito e occasione a traversarlo per andare giù dentro di me, iniziare il viaggio – fino a trovare segno di Qualcosa che trascende il tempo e allo stesso momento ne è profonda giustificazione.
In fondo, tenere un diario è tener traccia delle manifestazioni più periferiche ma più importanti della storia dell’universo, quelle che arrivano fino alla mia interfaccia e mi provocano a pensieri, azioni, atteggiamenti. Dove la mia libertà entra in gioco. Non vi è parte più importante di tutto l’universo di quella che mi tocca, istante per istante. E l’azione di scrivere è come una ruminatio, una riflessione benefica.

Loading

Tenere (ancora) un diario

Sono un tipo con poca memoria. Credo di esserlo sempre stato, in realtà. Faccio fatica a ricordare le strade, i nomi delle persone, le date. Anche le scadenze, e questo è un po’ un problema.
Di recente (una settimana fa, stando al diario) abbiamo passato la giornata in un agriturismo, un bel pranzo all’aperto in chiusura dell’anno scolastico della piccola Agnese, con genitori e maestri. Ho registrato la mia posizione su Foursquare, per mezzo dal telefonino.

Lui ha preso atto, poi mi ha detto qualcosa tipo ah bene, era da ottobre dello scorso anno che non venivi più qui.

Una foto presa all’agriturismo (via Instagram)



Accolgo la cosa con qualche perplessità. Anzi, a dirla tutta, con molte perplessità. Un botto di perplessità.

Come sarebbe, ottobre? Ma non ci eravamo venuti l’estate scorsa, in chiusura dell’anno scolastico precedente? Ecco, il mio telefono è impazzito. Oppure quelli di Foursquare hanno dei problemi con il database.
Che fare, concediamo il beneficio del dubbio…? Non è che magari ci siamo stati in estate e poi tornati anche ad ottobre? No, non sembra. Neanche a mia moglie risulta, ci siamo venuti una volta sola.

Alla fine viene fuori, la verità.  Siamo venuti effettivamente ad ottobre. Non era affatto estate (ottobre può essere amabile, ma non è certamente un mese estivo).

Ha ragione Foursquare. Ovviamente.

Ricostruiamo (cioè, ricostruisce mia moglie, io ho come al solito ricordi slavati e svaporati in una fitta nebbia). Ecco. Siamo venuti per  festeggiare il pensionamento della maestra… E con l’occasione abbiamo fatto vedere ai pargoli la raccolta delle olive. I bimbi hanno potuto osservare le varie fasi, la macchina che scuote i rami e poi la raccolta con le reti, poi ancora la stanza dove vengono lavorate le olive… ricordo un pochino… quella miscela densa da cui alla fine viene fuori l’olio…
Il diario ha definitivamente messo a posto la quesitone. Ho aperto DayOne e ho fatto una ricerca per “agriturismo”. Eccolo, salta fuori il post. Eravamo lì il 16 ottobre dello scorso anno (in caso vi interessi). 
Rileggendo le note del diario carico in memoria non solo il fatto, ma le mie sensazioni, i fastidi, le soddisfazioni, le cose che mi passavano in testa quel giorno.

Da quando tengo un diario mi sono riappropriato di una parte del mio tempo. Prima, tutto si addensava nell’indistinto, scompariva alla vista dopo qualche giorno. 
Il diario mi aiuta a sondare la dimensione del tempo. E mi permette di scrivere senza problemi, senza pensare a chi mi legge. 
Ho capito che scrivere un diario personale non è più un’opzione. E’ una necessità.

Però lascio ancora troppi spazi vuoti. Dovrei scrivere qualcosa ogni giorno, almeno una riga. Buttar giù almeno qualche metadato della giornata. Tanto per permettere alla memoria di riprendere il file in oggetto.

E per capire, finalmente, che nessun giorno è davvero uguale all’altro.

Loading

Sul primato della geografia

A volte ci metto un po’ per capire delle cose. Capirne il significato vero, oltre le parole.

“…non perché siamo bravi, ma perché accettiamo di essere all’interno di un luogo dove Lui ci fa capire, sperimentare, gustare Chi è e quindi, cosa è la vita, cosa può essere la vita”
(Julian Carron, “L’inesorabile positività del reale“)

Meditavo su questo passaggio stamattina, uscendo dalla palestra. E’ qualcosa che fa una differenza radicale, completa; di quelle differenze capaci di cambiare la vita. Mi sono visto alla luce di questa frase e improvvisamente ho capito qualcosa di me. Ho sempre cercato la “prestazione” e mi sono giudicato, severamente, su questa. Essere capaci di raggiungere un certo “standard”, spirituale, morale, etico, familiare, lavorativo, etc… Raggiungerlo, tenerlo, nel tentativo di porre argine all’insicurezza, al dubbio, alle occasionali derive di mancanza di senso.
Ma che bello spreco di energia, a pensarci.
Si perché invece è una cosa tutta diversa. Non è una questione di standard etici (“non perché siamo bravi”), ma di semplice geografia. Scegliere dove stare e non tormentarsi più sul come si è. Stare nel luogo dove Lui ci fa capire, ecco. Stare. Tutto qua, tutto qua! La vita è semplicissima. Stare in questo luogo, e non preoccuparsi più di niente. Stiamo, e lasciamo fare. Sarà Lui a preoccuparsi di noi.

1096 Paris-Montmartre Early Morning
Guardare, prima di tutto… !
Quanto mai vero per Parigi, non vi pare?

Il bello è che riesco a sorprendere questa cosa “in atto”. E’ una cosa di ogni momento, di ogni più piccolo attimo. Se non accetto di essere all’interno di questo luogo, mi attacco immediatamente, per sentire la consistenza di me, ad uno standard, ad una “prestazione”: mi giudico. Non lo dico, ma pongo la salvezza in un mio cambiamento. Mi costringo in gabbia da solo. Guardo me e non guardo fuori. Non guardo davvero i posti, la realtà.
C’è aria stantìa, c’è proprio bisogno di cambiare: ci vuole geografia, non moralismo. La bellezza di un luogo, non la costrizione di un ragionamento, la pericolosa sterilità di un nefasto perfezionismo.

Lo ammetto: non mi piaceva la geografia da giovane studente. Agricoltura, industrie, terziario. La lista di cose da memorizzare per ogni regione, ogni più piccola nazione. Dopo tanti anni, mi devo ricredere. Un bel posto è un bel posto, non si discute. E si stratta prima di tutto di guardare, che di pensare a come comportarsi. Stare in un luogo e scoprirne pian piano la bellezza.

E la vita, infatti, diventa più bella. Da subito.

Loading

Tenere un diario

A volte capita, a casa. O anche altrove. Intendo, quelle conversazioni in cui qualcuno (spesso qualcuno che conoscio bene, con cui condivido una bella parte della vita, come mia moglie) mi dice “Ma ti ricordi qualla volta che siamo andati… che abbiamo fatto… che anno era?” e io invariabilmente rimango in imbarazzo: non mi ricordo quasi mai.
Anche peggio, quando mi sento raccontare le cose che sono successe, poniamo, due anni fa. E io che non recupero dai miei neuroni altro che un magma soffuso e quasi indistinto, con appena due o tre episodi, due o tre picchi che ancora mantengono una loro (parziale) individualità, che li distingue dal resto. 
Eppure se mi ci fanno pensare, se mi indicano qualche specifico episodio, qualche ricordo torna (a volte). Che strana la memoria.
Però la memoria degli eventi (anche “insignificanti”, ammesso che ve ne siano) dà spessore ad una vita, contribuisce a dare consistenza. Ad entrare – azzardo – nel presente con una solidità maggiore, in forza di un cammino che si sta facendo (con tutte le volte che uno si è seduto invece di camminare, ma non è questo l’oggetto del post).
Illustrations, mostly paired comparisons, showing correct and incorrect postures for various household tasks. Date ...
No. non sono io… 😉
Credits: Cornell University
Library

Per questo ho pensato più seriamente di ricominciare a tenere un diario privato. Da vedere anche come una ulteriore occasione per scrivere, cosa che a me piace molto. No, non rende l’idea: cosa che mi sento di dover fare, altrimenti sto male.
Qualcosa sta cambiando, nella mia percezione del valore della scrittura privata. Negli anni scorsi, preso dall’entusiasmo per tutti queste modalità di comunicazione via Internet, mi ero convinto che una sorta di diario sarebbe potuta sempre venire fuori aggregando i vari contenuti online che aggiungevo con buona assiduità (blogs, microblogs, tumblelog, fotografie, etc…). Questo sarebbe stato il mio diario.
Ultimamente le cose sono un pò cambiate. Intanto, non sono più così assiduo nel postare contenuto online (i miei contatti ne saranno lieti). Sono più selettivo. Ammetto che ci sono cose che interessano più me che altri. Ma lo stesso ne voglio tener traccia, me le voglio scrivere. Voglio che la mia stessa esistenza sia intessuta dall’atto quotidiano della scrittura. Ecco perchè l’idea di un diario privato.

Bene, se siete arrivati fin qua, non vorrei tediarvi oltre. A volte sono prolisso: a me piace scrivere, ricordate? Magari una volta vi dico perché, tra varie alternative, ho scelto DayOne come la mia applicazione per il diario (privato sì, ma sempre digitale: ormai a mano non so quasi più scrivere). Ma prima vi faccio riposare, ringraziandovi per essere passati di qui. 
Grazie dunque per la lettura. Ora potete andare a leggere qualcos’altro. Oppure, scrivere.

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén