Blog di Marco Castellani

Categoria: figli

Ipercarmela

Un titolo che se vi dice qualcosa… vuol dire che siete come il sottoscritto, ovvero relativamente stagionati. Si affonda infatti nei lontanissimi anni settanta, e precisamente nell’anno 1976, quando venne rilasciato da De Gregori l’album Bufalo Bill.

 

Quanto tempo, potremmo dire.
Intanto dico che è bello avere ricordi, sensazioni, immagini di vita ed atmosfere che spaziano ben oltre l’immediata prossimità. Il sapore degli anno settanta, per esempio, è completamente diverso da quello di adesso, chi l’ha vissuto lo sa bene. Ricordarlo, ricordare certa tensione ideale, certa voglia di cambiare il mondo, un certo acuto sentore del sociale, pur con tutti i debiti correttivi che la storia stessa ha mostrato necessari, è comunque qualcosa.
Però Ipercarmela, dicevamo.
Niente, che ogni tanto mi prende questa cosa qui: di riascoltare da grande gli album che sentivo da ragazzo, con la coscienza di adesso, l’orecchio che ha sentito (grazie a Dio) tanta altra musica, e anche con una qualità acustica migliore, rispetto alla musicassetta dove viaggiava gran parte del mio patrimonio musicale.
Quante cose hanno ospitato, negli anni, queste piccole bobine rotolanti…
Così sparo Ipercarmela in macchina, ieri. Il punto è che in macchina c’è anche Andrea. Come reagisce un ragazzo nato nel 94 alla musica degli anni settanta?
Abbastanza analiticamente, sembra.
Un giovane Francesco esordisce (l’esordio quasi esitante e poi come lanciato in discesa di Ipercarmela mi ha sempre mandato ai pazzi) cantando che

La cucina era
vuota, il bicchiere a metà,
l’uomo guardava serio il muro e poi seguiva
il fumo che saliva lento verso la lampadina.

Andrea mi fa: ma se la cucina era vuota, come faceva ad esserci qualcuno?
E io penso che quello splendido quadretto abbozzato con due o tre parole appena, buttati lì come sapienti spatolate di colore, è già stata compromessa da un figlio che fa uso della logica abbastanza convinto ma spietato…
Vabbè.
Quadretto compromesso. Poi quando accade che la coppia di emigranti del sud, stabilitisi a Torino (come ho appreso da poco, prima la ascoltavo senza capirci assolutamente nulla, ma gustando le parole), ha una figlia…

Dentro una città pulita e violenta
la donna partorì una stella e la chiamò Carmela,
figlia di suo padre e sua madre,
fiocco rosa da crescere in fretta.

Il commento è: beh certo che è figlia di suo padre e sua madre, come potrebbe essere altrimenti…
E pur essendo incontestabile, è ugualmente tutto un universo di rapporti di parole, e tra parole e cose, e tra parole e persone e tra persone e cose e tra persone e persone, tra persone e stelle, che riceve una delicata ma decisa spallata. Quel modo di dire apparentemente inutile ma che, nel ribadire un concetto ovvio, è come se rimarcasse una evidenza, figlia di suo padre e sua madre, una evidenza di derivazione — in questo caso meridionale— che piaccia o non piaccia non ti puoi levare di dosso, un senso di radice che ti insegue e ti raggiunge anche in un paese lontano, per cui rimani comunque innestata nel tuo modo di vivere, nella tua solarità mediterranea, per cui…

Rideva quasi sempre e piangere non piangeva, mai.

Così anche un modo di suonare e di esprimersi degli anni settanta rimane comunque lì, all’interno della sua bolla temporale, difficilmente esportabile e riproponibile tout-court ad una persona dalla sensibilità più moderna.
Rimane una sorta di incanto nostalgico per chi ha vissuto anche quella lontana epoca, un incanto che magari trattiene selettivamente quello che più desidera. Un incanto, non una cronaca oggettiva, un resoconto imparziale. Una cosa che parla tanto del mondo, quanto di te.
Una cosa, insomma, da Ipercarmela.

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Papà alto spilungone…

   Certo non è di tutti i comuni mortali, avere la soddisfazione di essere oggetto di una poesia. Non parliamo poi di quando la descrizione che vien fatta sembra – almeno per talune parti – rispondente abbastanza alla realtà (citerò soltanto i piedi molleggiati, leggendo capirete…)

   Pertanto venuto a conoscenza di questo mio indiscusso privilegio, no.. non me la sono proprio sentita di lasciarlo passare sotto silenzio, proprio no! Ecco dunque, senza ulteriori preamboli, la poesia a me dedicata, presa dal quaderno di Simone…

Papà alto spilungone,
ti vesti di verde o di marrone,
cammini sui piedi molleggiato,
e sei spesso per questo sbeffeggiato,
con noi sei invece buono e assai paziente
anche se spesso non meritiamo niente.
Ti vuole tanto bene quel figlio un pò puzzone
di nome Simone.

Che dite? Io “sospetto” anche lo zampino della mamma, in ogni caso…
Comunque, in ossequio al detto per il quale una immagine val più di mille parole (visto che sono riuscito a mettere le mani sul prezioso originale) ecco qui la poesia corredata da una spassosissima illustrazione (per la cronaca, sono io con la borsa della palestra…)

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Descrivi un animale che conosci…

Riporto il tema di cui al titolo del post, svolto da mia figlia Agnese (sette anni, seconda elementare) … come vedrete, contiene dei punto davvero divertenti… !

Un giorno comprai una cavia peruviana e mia sorella la chiamò Plunkie.

Era una cavia belllssima!

Era una cavia pelosa, il pelo era color bianco e marroncino chiaro, la frangetta gli arrivava fino agli occhi, le zampe quando la prendi in braccio senti un pò di solletico perché le sue zampette hanno le unghie affilate e rosa, ha un muso carinissimo e dolce quasi sembra un topo, ha anche delle orecchie abbastanza grandi e rosa.

E’ grande quasi come un telecomando.

Plunka sta quasi tutto il tempo a mangiare e infatti quando sente il rumore di una busta comincia a fare dei versi tipo “squit”. Quando fa squit che muoviamo una busta lo fa perché pensa che è una busta d’insalata o di fieno.

Quando fa le feste si alza in piedi e si appoggia sulla sbarretta di ferro.

Gli voglio tanto bene ed è anche un animale da compagnia!

E’ il più bell’animale che ho avuto, solo che è di mia sorella Claudia, ma la prendiamo tutti e la accarezziamo ed è come se fosse di tutti.

Agnese C.

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Quale genitore c’è ?

– Simone! Ma come mai ti sei andato a mettere sul divano..? Potevi rimanere a dormire ancora un pò. E’ presto..

– No, no, è che sono venuto qui solamente a riposarmi. Volevo solo vedere quale genitore c’è..

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