Blog di Marco Castellani

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La scienza è un gioco!

In fondo è questo, è questo che spesso dimentichiamo: la scienza è un gioco! Il gioco è una delle attività fondamentali dell’uomo, tanto che i piccoli – che non hanno tempo da perdere in chiacchiere come i grandi – essenzialmente fanno questo, giocano. La scienza è gioco nella sua parte migliore, gioco di scoperta e di perpetua meraviglia. Non c’è senso del dovere che possa essere così produttivo, per uno scienziato, come un solo momento di sincero entusiasmo per l’oggetto della sua ricerca.

Per l’uomo, scoprire che la realtà del mondo fisico si fa comprendere nella sua complessità è sempre stato un bellissimo gioco. Certo in ogni umana attività ci sono poi frustrazioni, rivalità, invidie, strade sbagliate, riprese, scoramenti, e tutto quello che volete. Ma la base resta quella del gioco, e se togliete quella, temo che rimanga ben poco. Scoprire come funziona l’universo, scoprire sopratutto che l’universo si fa scoprire, è un gioco bellissimo, che apporta significato all’agire umano.

Questo video girato da ricercatori dell’Agenzia Spaziale Europea (dove anche Gaia ha il suo ruolo) nei loro momenti di pausa, ci aiuta meglio di mille parola a ricordarci che gioco fantastico che è la scienza. Molti riconosceranno la musica, e anche il tipo che fa capolino al minuto 5.41.

Insomma, io dico che la massima serietà è possibile solo così, con questa libertà interiore che si nutre davanti ad un bel gioco. Al gioco della scoperta del mondo, inesauribile e continuamente sorprendente.

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Anita e le stelle

E’ giusto, probabilmente, che Anita torni anche qui a parlarci, a presentare brevemente questo libro che la vede protagonista – assieme con la mamma, astronoma di professione – in una serie di sei racconti, parte dei quali sono stati anticipati su questo sito. Ad iniziare da quel primo, La bambina e il quasar, da cui ha avuto origine tutto il progetto.

La copertina del libro è disegnata da Agnese Sampaolo, che frequenta le scuole superiori. I disegni all’interno sono di Ilaria Zof.

Che posso dire? Forse innanzitutto che il libro, reperibile presso IBS (per gli insegnanti, anche con la carta del docente), è un esperimento, un esperimento che è già da tempo in corso in alcune scuole, e che ha portato risultati proprio interessanti, parte dei quali sono raccontati dalla professoressa Carla Ribichini nella sua ottima introduzione al volume, che si può leggere integralmente sul mio blog.

E che scrivere questi racconti è stata un’avventura molto bella, per me.

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Una notte, per la ricerca

Eh sì, anche quest’anno si celebra la Notte dei Ricercatori, un evento che ci serve, ci serve davvero, per rientrare in contatto con quell’opera quotidiana di fare scienza che ferve ogni giorno, ogni momento, intorno a noi, ma di cui solo in occasioni particolari, ne facciamo esperienza.

E’ normale, lo dico subito. Alla scienza non ci pensiamo troppo spesso. Siamo immersi in un Universo decisamente formidabile, lo sappiamo (e qui ce ne occupiamo da molti anni, mettendolo a tema tutte le volte che si può). Ma spesso risulta velato, messo a distanza, tenuto quasi lontano, dalla liturgia artificiale delle luci elettriche che ci precludono la vista di quegli evocativi bagliori, segni della presenza amica dell’infinitamente lontano. E velata anche, forse, da quella rete di comunicazione globale, così onnipresente che a forza di collegare tutto e tutti, diventa autoreferenziale, in qualche misura, e dimentica cosa esiste, cosa vive, da miliardi di anni, al di fuori di essa.

Ma poi siamo presi da mille cose, diecimila impegni, preoccupazioni, decisioni da prendere. Momenti di gioia, anche. C’è vita, dopotutto, su questo pianeta. Ed è normale (un miracolo, che ci pare normale).

Allora, ritornare a comprendere come la ricerca scientifica può entrare in qualche misura nella vita di ognuno di noi, portando quel soffio di voglia di capire, conoscere, di giocare (in fondo) ai piccoli esploratori, a caccia di indizi in un mondo grandissimo e miracolosamente conoscibile, ebbene questo assume – soprattutto oggi – una portata non solo culturale ma – io ritengo – anche esistenziale, della quale è bello fare tesoro.

E comunque, sulla Notte Europea dei Ricercatori 2019 potete trovare un mucchio di utili informazioni, a cominciare dal sito di Frascati Scienza. Se poi, in particolare, gravitate nella zona dei Castelli Romani (più famosa per il buon vino che per la scienza, probabilmente ma non del tutto giustamente…), potreste essere anche interessati alle attività con cui l’Osservatorio Astronomico di Roma (in quel di Monteporzio Catone, nello specifico), prende parte alla celebrazione della scienza, nella notte di venerdì 27 settembre. Le attività sono dettagliatamente elencate nel sito dell’Osservatorio (attenzione che comunque è necessario prenotarsi, per partecipare).

Oh, e se visitate gli stand scientifici, venite a trovarci che parliamo un po’ anche del Satellite Gaia, sul quale qui lavoriamo da un bel pezzo. Io vi aspetto in particolare, con un poster fresco fresco con i “fatti fondamentali” di questo emozionante marchingegno scientifico a spasso per la Via Lattea, di cui tante volte abbiamo scritto qui.

Buona notte… dei ricercatori, dunque! E occhi al cielo notturno, che è (sempre, sempre) pieno di stelle.

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Coelum 223: Gaia, e tanto altro

Lo sapete. Abbiamo ripetuto più volte come l’universo sia un luogo colmo di meraviglie al limite del concepibile ma, e questo forse è l’aspetto più affascinante e intrigante, ciò che possiamo vedere e conoscere di esso è in continua evoluzione. E non solo perché è l’universo stesso a essere in evoluzione, ma soprattutto perché i mezzi a nostra disposizione per indagare nelle profondità del cosmo si fanno via via più raffinati e ci consentono quindi di di osservarlo sempre con una prospettiva ogni volta diversa.

A volte non si tratta solo di tecnologia ma di modalità: è possibile infatti studiare l’universo con diversi strumenti e diverse metodologie, alcune delle quali risultano forse meno note.

Nel numero di giugno di Coelum Astronomia (consultabile gratuitamente) si parla ad esempio di spettroscopia, una tecnica che ha cambiato totalmente il modo di fare astronomia. Approfittando del bicentenario, che cade proprio questo mese, della nascita di una importante figura per la scienza astronomica: l’astronomo italiano, padre gesuita e pioniere dell’astrofisica Angelo Secchi. Nel suo articolo, Rodolfo Calanca traccia un profilo completo di padre Secchi e riepiloga tutte le maggiori scoperte e ricerche compiute dall’astronomo anche grazie anche all’allora nuova tecnica della spettroscopia. Con Fulvio Mete scopriremo anche che l’analisi spettroscopica è qualcosa sì di molto complesso ma alla portata dell’astrofilo.

Tutta da gustare, poi, un estesa sezione sulla seconda mirabolante versione del catalogo stellare della sonda Gaia (con un intervento di Marco Castellani, che nello stesso numero firma anche un pezzo su Saturno).

Non finisce qui, certamente. L’invito a questo punto è dunque a mettere senz’altro il naso nella rivista. E la mente (complice anche Gaia), tra le stelle…

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Un tassellino d’universo…

Così è la scienza del cielo, al giorno d’oggi. Siamo lì, a mettere un tassellino alla volta, con pazienza, per comporre uno scenario che piano piano si lascia intravedere, di una bellezza e di complessità davvero inedita.

Tutto si compone, con pazienza, incrociando i dati che arrivano dalle varie missioni spaziali, variopinte “finestre” sul mondo come si vede sopra la nostra testa (e la nostra atmosfera). Un mondo – come abbiamo visto – ancora tutto da capire. E dunque, di una bellezza che è ancora promessa, un già e non ancora che appare ad ogni momento più emozionante.

Questo un po’ si respira ovunque, nella comunità scientifica. Si respirava anche al recente workshop PLATO sulle attività della sezione più propriamente “stellare”, che si è tenuto la scorsa settimana nella deliziosa cornice della cittadini siciliana di Milazzo (in tale occasione il vostro reporter faceva parte del comitato organizzatore).

Di PLATO abbiamo parlato già in questa sede, sia nel 2011 quando il progetto di satellite era stato selezionato da ESA per la sua “Cosmic Vision”, poi poco più avanti – ad ottobre dello stesso anno – per registrarne l’amara bocciatura in favore dei progetti Solar Orbiter ed Euclid. 

Ma la bocciatura non ha decretato la fine del progetto. Anzi.

A volte da un apparente fallimento fioriscono delle meraviglie. Lo sappiamo nella nostra vita ordinaria, e lo vediamo parimenti anche nella “vita” della scienza. In breve, il progetto PLATO si è ritrovato, dopo un attimo di smarrimento, si è ripreso ed ordinato, si è rimodulato e ha trovato una via di accesso alla rampa di lancio, alla effettiva realizzazione.

Dovremo aspettare il 2026, ma ne varrà certamente la pena.

La cosa straordinaria è che in realtà… non c’è nulla da aspettare! Tutto accade adesso, nel presente. Frequentando il congresso questo si poteva proprio toccare con mano. C’è già un’attività molto intensa, quasi febbrile, di pianificazione tecnica, necessaria già a distanza di anni dal lancio: ormai mandare in cielo un satellite è una impresa complicatissima che richiede veramente tempi estesi di pianificazione accorta.

Una istantanea dai lavori del meeting

Ma soprattutto c’è una attività scientifica che è molto viva, e la settimana scorsa si respirava, quasi (come si respirava la deliziosa aria di mare della Sicilia, perché contenuto contenitore non possono che nutrirsi l’un dell’altro, fecondarsi a vicenda, anche qui). Insomma: un nuovo attrezzo tecnologico che andrà nello spazio in cerca di pianeti extrasolari, che caratterizzerà le stelle con una precisione veramente sconvolgente, è un qualcosa di così intrigante che da subito ti viene in mente di capire cosa davvero ci potrai fare. 

Milazzo è stata cornice splendida ed accogliente. Tenera e viva.

Ed inizia – per te, scienziato – un processo di revisione a tutto campo: le tue teorie, andranno bene? Con dati di questa qualità, cosa ci potrai fare? Si potranno verificare le tue ipotesi sulle stelle e i pianeti? E se incrociamo i dati con quelli di GAIA, che ha appena raggiunto la seconda “edizione” di un catalogo miliardario (in senso, di numero di stelle), cosa mai potremo scoprire? E come farlo, nel modo migliore? E a proposito, visto che si parla di stelle, qual è lo stato dell’arte della teoria dell’evoluzione stellare? I modelli tridimensionali delle strutture? La conoscenza della fisica di base, delle reazioni nucleari, delle sezioni d’urto? E via di questo passo, in una esplorazione che è tanto ricca quanto impossibile da definire e delimitare.

Tutto questo è apparso ben chiaro al vostro articolista, assistendo ai vari interventi del meeting. Dove – tra l’altro – si è anche percepito che la comunità italiana di PLATO è viva, è presente. E’ impegnata e coinvolta, ai più vari livelli. E questo è un bel segnale: un segnale di merito, di valore.

Per qualcosa che trascende la tecnologia. Per noi la tecnologia è importante quando – come in questi casi – non è fine a se stessa ma fa da traino e da motore di sviluppo di una serie di idee e tecniche scientifiche, che poi rimangono patrimonio profondo dell’uomo, mattoncini aggiunti per conoscere l’universo, tassellini ulteriori che rimarranno preziosi e sfolgoranti qualunque sia l’esito della missione.

Perché la promessa di qualcosa che deve ancora venire, non è come niente. E’ un valore concreto, già adesso. Un valore che ha ricadute immediate e concrete, già ora.

A volte non serve nemmeno questo. Ci basta la speranza: come per PLATO, del resto, fino a che non è stato definitivamente approvato dall’ESA, l’ente spaziale europeo (e in questi tempi controversi, di pulsioni politiche anche scomposte, mi piace parlare di Europa e di ideali comuni, di realizzazioni collettive e collaborative). La speranza, proprio lei. Come nella nostra vita, quando comprendiamo finalmente che il cinismo non paga, o paga avvelenando il tempo e svilendo gli ideali. La speranza invece cambia l’universo, lo rende da subito un poco più abitabile, un poco più stellato. 

Quelle stelle che ora aspettano proprio PLATO, per essere guardate, per essere ammirate. E per brillare, se possibile, ancora un po’ di più.

 

 

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Una danza di milioni di stelle…

E’ qualcosa che fino ad ora non si poteva vedere, non si riusciva a vedere. E’ la dimostrazione quasi palpabile che la Grande Nube di Magellano sta ruotando. Per la precisione, la rotazione della Nube (che è una delle galassie satelliti della nostra Via Lattea) è messa in chiarissima evidenza dai nuovi dati del secondo catalogo della sonda Gaia, appena rilasciato al pubblico.

Crediti: ESA, Gaia, DPAC

Come sappiamo, Gaia sta orbitando attorno al Sole (ad una distanza  da Terra pari a circa un milione e mezzo di chilometri) e sta pazientemente misurando le posizioni e velocità di un largo campione di stelle intorno a lei. La maggior parte di esse, appartenenti alla Via Lattea, certamente. Ma non solo, come vediamo in questa immagine, che – mettendo insieme acquisizioni a tempi diversi – cattura parte della traiettoria di milioni di stelle appartenenti non alla nostra galassia ma alla Grande Nube di Magellano.

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Il centro spumeggiante del nostro mondo

E’ davvero istruttivo rivolgere lo verso il centro del nostro “mondo”, ovvero idagare cosa accade nel centro di una galassia smisuratamente grande come la nostra, che è la “casa” per centinaia di miliardi di stelle. Abitiamo parecchio in periferia, lo sappiamo, ma ormai riusciamo a dare uno sguardo piuttosto accurato anche nei quartieri centrali, con l’uso degli strumenti moderni.

Crediti: NASA/CXC / Columbia Univ./ C. Hailey et al.

Ci aiuta Chandra, in questo compito: un telescopio spaziale che è riuscito ad identificare un “grappolo” di buchi neri (con masse di alcune decine di volte il Sole), probabilmente membri di sistemi stellari binari. Sono gli oggetti identificati dai circoletti rossi nell’immagine qui sotto, precisamente. Tutto questo accade in un intorno di appena tre anni luce dall’esatto centro della Galassia,  dove “abita” il buco nero supermassivo identificato come Sagittarius A*.

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