Blog di Marco Castellani

Categoria: Immagini Page 1 of 3

Questa non è una galassia

Qui, tanto per mostrare che siamo gente di cultura, si potrebbe scomodare il celebre verso di Montale, Codesto solo possiamo dirti / ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, della poesia Non chiederci la parola scritta nel 1923. Tra l’altro, periodo di furibonde scoperte riguardo la natura del cosmo, a pochissimi anni dal Grande Dibattito e appena un anno prima che Edwin Hubble determinasse con chiarezza l’esistenza di altre galassie.

Tutto veniva investito da questa estesa rivoluzione cosmica, per la quale ben presto il vecchio modo di vedere l’universo sarebbe stato spazzato via. Ma le rivoluzioni si muovono affiancate, il modo di pensare il cosmo è in corrispondenza stretta al modo di pensare noi stessi. Così che un certo disorientamento diventa comprensibile. Non che Eugenio Montale si occupasse di astronomia (almeno non credo): è qualcosa di diverso, di più sottile. Riguarda l’aria che si respira in una certa epoca, il clima culturale e direi quasi l’assetto esistenziale: territori nei quali l’impresa scientifica entra molto più di quanto forse saremmo disposti a credere.

A questo pensavo rimirando la intrigante composizione grafica di APOD di qualche giorno fa, servita in salsa insolitamente enigmistica, la quale sfida a rintracciare, su un campione di 225 immagini, quell’unica che è reale (tutte le altre sono artefatti generati al computer, che simulano immagini astronomiche). Se ingrandite l’immagine (magari non da telefonino, sarebbe un compito assai penoso) potete cimentarvi anche voi, magari scrivendo nei commenti quanto per voi la sfida è stata difficile. Non per bullarmi, ma io ci ho messo abbastanza poco a capire qual’è l’unica immagine vera. Ha delle caratteristiche piuttosto uniche, per cui è veramente difficile pensare che sia una simulazione. E poi è così ben conosciuta! Ma non dico altro anzi… ho già detto troppo. Eccovi comunque il campionario di immagini: come dicevo, tutte false tranne una.

Un interessante “trova l’intruso”, l’unico vero in un mondo finto…
Crediti: M. J. Smith et al. (U. Hertfordshire)

L’avete trovata? Sì, era proprio quella, ottimo.

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Scatti, dalla “grande congiunzione”

Le stelle si impicciano di quello che accade sulla Terra, altroché. Non ci credo troppo, sul fatto che le stelle stanno a guardare. E i pianeti anche, altroché. Un allineamento di pianeti è un evento che si rifrange in diecimila storie, come viste e vissute da posti differenti. Da cuori, differenti.

Congiunzione, in panorama italiano. Crediti: Cristian Fattinnanzi

Sono belle queste immagini – una galleria in crescendo come riporta il sito APOD – perché ci parlano innanzitutto di noi. Ci parlano di come sulla Terra, da tanti luoghi della Terra, si sia guardato alla grande congiunzione di ieri. E ogni posto ha un suo colore e una sua luce, un suo carattere e un suo profumo. Ogni persona che ha scattato la foto, che ha guardato il cielo, ha una storia unica, ha una profondità ed insondabilità propriamente cosmica.

Sono belle queste immagini perché parlano di noi, innanzitutto. Così, è bello il cielo perché è un modo per parlare di noi, senza immediatamente mettere noi al centro.

Forse il mondo più vero di tutti, per parlare di noi.

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Sorger di Luna piemontese

Era il sette di maggio, proprio una settimana fa, e la Luna era appena sorta, poco dopo il tramonto del Sole. Ed è stata proprio una luna in fiore (in inglese, Flower moon): così si chiama infatti la luna di maggio secondo le tribù degli algonchini, l’insieme di tribù dei nativi americani più numerosi esistenti tuttora.

E’ stata peraltro l’ultima in una serie di quattro superlune, come si dice di solito. A proposito, questo termine, che avrete sicuramente incontrato vari volte sui media, è stato creato dall’astrologo Richard Nolle nel 1979, e si riferisce sia ad una Luna piena (o anche nuova) che capiti entro il 90% dalla posizione del perigeo lunare, il punto di l’avvicinamento maggiore alla Terra del nostro satellite. In particolare, poi, questa luna piena si è verificata ad una distanza temporale di appena 32 ore dal momento effettivo dell’attraversamento del perigeo.

Per questa stupenda immagine il sito APOD ricorre all’opera e alla passione di un fotografo del nostro paese, Tiziano Boldrini. I campi allagati e la chiesa in rovina, che donano un tocco di magica suggestione a questa immagine, si trovano infatti nella zona di Casaleggio Novara, nel Piemonte.

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Due milioni per Hubble…

Sarebbe impresa difficilissima, quella di chi volesse esagerare sulla portata che ha avuto – e sta ancora avendo – il Telescopio Spaziale Hubble per la moderna visione del cosmo. Sono veramente innumerevoli, infatti, le cose che Hubble ci ha aiutato a comprendere, in tutti questi anni di onorato servizio: un insieme di ricadute scientifiche che spaziano dalle stelle a noi più prossime fino ai più remoti quasar, in una mole di dati che ancora attendono per buona parte di essere compiutamente ed accuratamente esaminati, e che ancora aspettano pazientemente l’estrazione di tutte le informazioni ivi contenute.

In diverse occasioni in questo blog ci siamo occupati delle scoperte di Hubble, alcune davvero mirabolanti. Stavolta perciò vorrei tentare un discorso più generale: Invece di parlare di cosa ha trovato Hubble, vorrei volgere un attimo lo sguardo su di lui, su questo fantastico telescopio spaziale. E mentre lui lassù impiegava sapientemente il tempo ad osservare altri mondi, su come intanto sia cambiato il nostro. E profondamente.

Nebulosa Carina

Una suggestiva immagine della Nebulosa Carina vista da Hubble (Crediti: NASA, ESA, and the Hubble SM4 ERO Team)

Consideriamo soltanto che Hubble viene lanciato nel 1990 (con un ritardo sulla data prevista di diversi anni, anche in seguito al terribile disastro del Challenger). E’ interessante analizzare questa storia dal punto di vista delle comunicazioni: il lancio infatti precede di pochissimo la nascita di quella innovazione relazionale che avrebbe cambiato completamente il nostro mondo: la nascita di Internet possiamo infatti datarla al 1991, anno in cui Tim Berners-Lee definisce il protocollo HTTP. Questa è la base teorica di partenza per lo sviluppo di sistemi testuali distribuiti, ovvero, quello che ci voleva per riempire le nuove connessioni di rete di contenuti. In poche parole, nasce il web, anche se all’inizio avrà diffusione lenta e ci vorrà molto tempo prima che le persone comuni si accorgano che qualcosa è cambiato.

Ma ci siamo, qualcosa ormai sta cambiando. Così, mentre Hubble osserva le più lontane galassie (sopratutto dopo aver risolto il problema dell’aberrazione sferica di cui soffriva all’inizio), il mondo sotto di lui, il nostro mondo, inizia a sperimentare un nuovo ed inedito modo di sentirsi connesso, un nuovo modo di far circolare le informazioni. Una nuova umanità si trova affacciata su uno strato di bit che piano piano ricopre il pianeta, lo percorre da parte a parte.

Oso dirlo, una umanità nuova, perché lo stesso strumento – con le sue potenzialità – chiama ad una evoluzione della specie che lo ha inventato. La capacità estrema di comunicare richiede sia un nuovo atteggiamento relazionale, che contenuti validi e condivisi che possano essere trasmessi efficacemente e con profitto. L’evoluzione dell’uomo è più lenta di quella delle macchine, lo sappiamo. Ma i tempi forse sono maturi perché veramente si possa piano piano far germogliare un modello di uomo anch’esso davvero proficuamente inserito in una rete di relazioni.

E tra queste relazioni c’è sicuramente la comunicazione scientifica. Ma non si pensi qui a semplice divulgazione. La rete che è cresciuta mentre Hubble volava, quella rete che usiamo tutti tanto che ci sembra quasi più preziosa dell’acqua, ci consente di rendere finalmente la scienza una avventura partecipata da un ampissimo numero di persone, a volte (come nei progetti ZooUniverse, di cui ci siamo occupati diverse volte), stemperando perfino il confine – un tempo drasticamente netto – tra chi fa scienza e chi ne viene semplicemente informato. Quel confine prima così deterministicamente tracciato, ora si fa invece morbido, labile, quantisticamente indistinto: non c’è un vero confine, il confine dipende dall’osservatore. Dipende da come tu ti poni davanti a questo mare di potenzialità.

Non è una visione romantica, è la pura realtà. Ormai basta un computer connesso a rete, per seguire, a volte in tempo reale, le esplorazioni di ambienti tra i più remoti ed inaccessibili. Esaminare accuratamente immagini di Marte, o infilarsi tra gli anelli di Saturno. Le risorse alle quali poter accedere – alcune di grandissima qualità – sono ormai sterminate, lo sappiamo: ed è sufficiente coltivare un poco di curiosità per cadere facilmente in tragitti di scoperta impensabili quando Hubble iniziò il suo volo.

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Ed è da pochissimo che la pagina Facebook ufficiale di Hubble si è trovata a festeggiare il superamento dei due milioni di iscritti (mentre scrivo siamo a quota 2.005.015 per la precisione, quando leggerete sarà certo di più). Un risultato che, per un satellite lanciato prima che qualsiasi persona si immaginasse appena qualcosa come un social network, è assolutamente lusinghiero e anche testimone di come – pur da lassù – si sia inserito proficuamente nella grande rete. Diffondendo così un po’ della magia di quello che ha osservato per anni, e sta osservando, ponendolo delicatamente sotto i nostri occhi.

Auguri Hubble! Ti dobbiamo proprio tantissimo, lo sai.

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La cosa più preziosa

Una cosa ho imparato nella mia lunga vita: che tutta la nostra scienza è primitiva e infantile eppure è la cosa più preziosa che abbiamo.
(Albert Einstein)

Members of the New Horizons science team react to seeing the spacecraft's last and sharpest image of Pluto before closest approach later in the day, Tuesday, July 14, 2015 at the Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) in Laurel, Maryland. Photo Credit: (NASA/Bill Ingalls)

Members of the New Horizons science team react to seeing the spacecraft’s last and sharpest image of Pluto before closest approach later in the day, Tuesday, July 14, 2015 at the Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory (APL) in Laurel, Maryland. Photo Credit: (NASA/Bill Ingalls)

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Auguri !!

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Un trio stellare di fantasmi dallo Spitzer Space Telescope

Spitzer Space Telescope-planetary nebula

Nello spirito di Halloween, alcuni ricercatori hanno reso pubblico un tris di spettri stellari catturati in luce infrarossa dal Telescopio Spaziale Spitzer della NASA. Tutte e tre le strutture spettrali, chiamate nebulose planetarie, sono in realtà materiale espulso da stelle oramai alla fine della loro evoluzione.

“Qualcuno potrebbe pensare a delle immagini inquietanti” ha affermato Joseph Hora dell’Harvard Smithsonian Center for Astrophysics, Cambridge, Mass., Principal Investigator del programma di osservazioni Spitzer. “Cerchiamo nelle immagini il significato storico della perdita di massa delle stelle  e per comprendere come si siano evolute nel corso del tempo”.

Tutte le stelle di massa solare terminano la loro evoluzione dopo alcuni miliardi di anni dalla loro formazione, quando l’idrogeno nella regione centrale si esaurisce e la stella perde gli strati più esterni diventando una gigante rossa. Quando la luce ultravioletta proveniente dal nucleo della stella viene ad eccitare gli strati esterni espulsi, i bagliori il materiale risplendono, mostrando le belle forme di luce.

Questi oggetti nelle loro fasi finali, denominati nebulose planetarie, furono chiamate così in modo sbagliato per la loro somiglianza con i pianeti da William Herschel nel 1785. Sono disponibili in una vasta gamma di forme, come illustrato da queste tre immagini nell’infrarosso, ottenute da Spitzer Space Telescope. Il materiale spettrale tenderà ad espandersi nello spazio in poche migliaia di anni prima delle definitiva dissolvenza nel buio dello spazio.

La Nebulosa Cranio Esposto  (Exposed Cranium Nebula)

Alcuni scienziati dello Spitzer Space Telescope hanno denominato questa nebulosa Exposed Cranium, dalla sua forma che ricorda quella del cranio umano. Questo oggetto, che si trova a circa 5000 anni luce di distanza dalla Terra nella costellazione della Vela, ospita una calda massiccia stella nella fase finale della sua evoluzione che sta rapidamente perdendo la sua massa. Le parti interne della nebulosa, che appaiono molli e di colore rosso in questa immagine, sono costituite principalmente da gas ionizzato, mentre il guscio verde esterno è più freddo, composto da molecole di idrogeno.

La Nebulosa Fantasma di Giove 

Il Fantasma di Giove, anche conosciuto come NGC 3242, si trova a circa 1400 anni luce dalla Terra nella costellazione dell’Idra. L’occhio infrarosso di Spitzer mostra l’alone più esterno e più freddo della stella “morente”, qui in rosso. Inoltre, sono evidenti degli anelli concentrici intorno all’oggetto, frutto del materiale che viene buttato fuori periodicamente durante le fasi finali della stella.

La Nebulosa Piccolo Manubrio

Questa nebulosa planetaria, denominata NGC 650 o il Piccolo manubrio, si trova a 2500 anni luce dalla Terra nella Costellazione del Perseo. A differenza delle altre nebulose sferiche, presenta una forma bipolare o di farfalla a causa di una “cintura” o di un disco di materiale spesso, che va dal basso (a sinistra) verso destra. Forti venti portano lontano il materiale dalla stella, sotto e sopra il disco di polvere. Le nuvole verdi e rosse sono composte di molecole di idrogeno incandescente. L’area verde è più calda rispetto a quella rossa.

Fonte JPL-NASA – A Ghostly Trio From NASA’s Spitzer Space Telescope – http://www.jpl.nasa.gov/news/news.php?release=2013-312

Le immagini ad alta risoluzione si trovano sul JPL/NASA: Nebulosa Cranio  (a sinistra): http://www.jpl.nasa.gov/images/spitzer/20131028/B-PMR1.jpg

Fantasma della Nebulosa Giove (al centro): http://www.jpl.nasa.gov/images/spitzer/20131028/C-NGC3242.jpg

Il piccolo manubrio (a destra): http://www.jpl.nasa.gov/images/spitzer/20131028/D-NGC650.jpg

L’immagine è disponibile su: NASA Archive – Death Beckons Three Aging Stars: http://www.jpl.nasa.gov/images/spitzer/20131028/D-NGC650.jpg

Sabrina

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Landing…

Expedition 36 Soyuz TMA-08M Landing

Crediti: NASA, Bill Ingalls

La navicella è atterrata in data 11 settembre, in una area remota vicino alla città di Zhezkazgan, nel Kazakhstan. Si tratta di una Soyuz TMA-08M. Il suo equipaggio ritorna dopo ben cinque mesi e mezzo trascorsi a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. E’ la “Spedizione 36” che rientra. La spedizione attuale è la numero 37, della quale fa parte anche il nostro Luca Parmitano.

La foto è veramente suggestiva ed è stata catturata al momento giusto da un elicottero che sorvolava il luogo dell’atterraggio…

Fonte: APOD

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