Blog di Marco Castellani

Categoria: leggere

L’opzione della poesia

Sono sempre meravigliato quando cose di tempi ed ambienti diversi si incontrano così bene. Come nuove cose e nuove possibilità rendono presente una cosa antica. Una cosa non fatta per questo ma che trova inaspettato segmento espressivo in questa nuova possibilità.

Lo so, non ci avete capito niente. E avete ragione. Mi spiego con degli esempi. Tipo, ecco: l’algebra di Boole. Squisitamente teorica fino a quando non ci si è accorti che andava benissimo per i calcolatori. Anzi, era necessaria per i calcolatori. O tipo la poesia. Certa poesia. Come le poesie di Saffo. Frammenti brevi, istantanei. Antichissimi. Ma anche molto, molto moderni. Non so se vi capita di leggere Saffo e sentirla più moderna – poniamo – di un sonetto del Guinizzelli. Prendete Lo vostro bel saluto e ‘l gentil sguardo.

Intendiamoci, è molto bella. Ma ecco, facciamo un rapido (e certo non esaustivo) esperimento: accostiamo appena un verso del Guinizzelli

Per li occhi passa come fa lo trono,
che fer’ per la finestra de la torre
e ciò che dentro trova spezza e fende

dove parla della “potenza” dello sguardo dell’amata, con un frammento di Saffo, sempre dedicato allo sguardo

Rapita
nello specchio dei tuoi occhi
respiro 
il tuo respiro.
E vivo ……

Non sempre assai più moderna la seconda? Asciutta e diretta – e anche meno attenta nello stemperare l’effetto nella intelaiatura formale. Ovvero, libera dalle forme, con un contenuto che ti arriva addosso subito, e capisci a botto quello che vuol dire. Antica e modernissima, in un certo senso.

Più moderna di Guinizzelli, oserei dire.

O di un Foscolo, un Carducci. Per capirci.

Insomma, è moderna perché – come ci è arrivata a noi – è frammentata, diretta, decisa. Breve. Non è formale. Ed è moderna perché si sposa benissimo con il modo moderno di (uso una brutta parola) consumare l’informazione. In altre parole, è moderna (anche) perché si trova perfettamente a suo agio su di un libro come su di uno schermo dell’iPhone.

Come gli haiku, per dirne un’altra. 

L’ho scoperto soltanto da poco, da quando ho iniziato a leggere (e scrivere) su Wattpad. Che detto tra noi, mi sembra sempre più un modo efficace e moderno di scrivere per dispositivi mobili (certo anche per computer, ma è sui tablet o sugli smartphone che rende al meglio). 

Sì, è così: l’ho capito bene soltanto oggi. Leggendo una raccolta di Haiku su Wattpad, tramite l’iPhone, appunto. Portandomela appresso e approfittando dei tempi morti per tornare a leggerla.

Ora, apriamo una piccola parentesi. Non so voi, io pur nelle giornate più convulse, incontro sempre dei tempi morti. Ovvero, dei momenti in cui sei un un posto A aspettando l’evento B (un incontro, l’apertura di un negozio, l’orario di una visita). Certo, puoi consultare Facebook. Spedire foto di appetitose pietanze su Instagram. Ma dopo un po’ rimane un senso di stanchezza, di tedio, perché rimani sempre su uno strato orizzontale. Non vai nel profondo. Come puoi fare con la letteratura, o la poesia.

L’arte affonda in verticale, è un balsamo. Deframmenta il tuo hard disk celebrale. Unisce. Guarisce.

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Ormai si può leggere ovunque, in ogni momento…

Certo che nelle piccole pause di solito non apri Guerra e Pace  oppure Il dottor Zivago, di solito (sopratutto su uno smartphone con schermo da quattro pollici): capace che prima che ritrovi il punto in cui stavi, l’attesa è finita. Poi comunque devi caricare in memoria una situazione, un antecedente, ricordarti cosa stava succedendo. Ma un haiku, o un frammento di poesia di Saffo, non ne hanno bisogno. Quelli in un istante ti possono dare accesso ad una dimensione verticale. Che ti radica più sul terreno, cioè in quello che fai.

In un certo senso la compattezza, la brevità, sono favorite dai nuovi media: ormai ragioniamo per serie di tweet. Però questo non vuol dire necessariamente rinunciare alla profondità. Sopratutto non vuol dire sempre consegnarsi inermi al processo continuo di frammentazione e centrifugazione informativa a cui siamo sottoposti.

Perché l’arte trova sempre un modo per raggiungerci. Anche forme antichissime d’arte: che inaspettatamente, si possono trovare a loro agio con la tecnologia più moderna.

E così l’ultimo, decisivo passo, è di nuovo a noi, alla nostra libertà. L’opzione di vivere distratti, o di trattarci bene, di avere cura di noi stessi. Anche, di lavorare su noi stessi (con delicata attenzione e una punta di simpatia).

Ovvero, di leggere poesia.

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Leggere, digerire

C’è voluto il passaggio al digitale, in un certo senso. C’è voluto – come spesso accade – il transitare in un altro territorio, per tornare arricchito di una consapevolezza diversa. Che poi, uno nemmeno si rende conto che sia davvero una nuova consapevolezza, o chissà che altro. C’è che una cosa a cui eri abituato, improvvisamente ti sta stretta. 

C’è voluto questo, per me. L’abituarsi alla lettura di ebooks ha comportato un diverso modo di avvicinare il testo. Sì perché il mezzo non è irrilevante, quello che fruisci è tutto un misto tra quello che è davvero scritto e i modo con cui ti arriva. E’ così tutto intimamente legato e non riesci a separare, a dividere i vari fattori. Grazie al cielo. 

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Photo Credit: pedrosimoes7 via Compfight cc

Nello specifico, la lettura in digitale mi ha riabituato – senza che lo mettessi a programma – ad un certo lavoro sul testo (quello che dirà è vero principalmente per i saggi, ma non ne sono completamente esclusi nemmeno i romanzi). Il fatto tecnico assai banale, se vogliamo, per il quale si può agevolmente evidenziare un passaggio – senza di fatto alterare o rovinare il libro – mi ha riportato inevitabilmente all’attitudine di leggere sottolineando i brani più importanti, le frasi che più mi colpiscono: insomma, quelle che vorrei ricordare, o perlomeno alle quali vorrei poter tornare, per digerirle meglio.

Il libro digitale ha un grosso limite, comunque, allo stato attuale. E il grosso limite è che non vi si trova tutto: molti libri sono ancora, e forse lo saranno sempre, disponibili esclusivamente in formato cartaceo. Quello glorioso, quello di sempre (la carta, la sua consistenza, il suo profumo.. etc etc..). Non è come per la musica digitale, lì più o meno se cerchi bene, trovi l’emmepitre praticamente di tutto. Qui no. Diversi saggi ed anche romanzi, o libri di poesia – anche di recente pubblicazione – vivono allegramente (e misteriosamente) soltanto nel formato cartaceo. 

Allora, ecco. Se mi trovo a leggere un saggio pubblicato su un libro di carta , ora sento che mi manca qualcosa. Mi manca la possibilità, appunto, di sottolineare. Per chiarire, va detto che io aderivo, fino a poco tempo fa, a quella disgraziata corrente di pensiero per la quale il libro non può essere alterato in alcun modo (facevo eccezione per la firma e la data di acquisizione nella prima pagina, come avevo visto fare da mio nonno materno). Ovvero, a parte un libro di testo, non reputavo ragionevole sottolineare un libro che leggo per interesse.

E infatti comprendo che il motivo è tutto lì. E’ lì il fraintendimento.

Perché in fin dei conti dietro il fatto che il libro debba rimanere intonso il più possibile, c’è l’idea che tu ci debba passar sopra in modalità leggera e non invasiva, come a volo d’uccello, immergendoti in modo elegante e discreto in quello che ha da dire, per poi salutarlo lasciandolo il più possibile senza traccia del tuo passaggio.

Eh no, invece no. La cosa non funziona così.

Il rapporto con un libro è un rapporto carnale, un rapporto in cui i due partecipanti si modificano, si compenetrano, si sporcano l’uno dell’altro. Non si può far finta che non sia mai avvenuto (io? Quel libro? no, no mica l’ho mai toccato… non è come pensi, posso spiegarti tutto…). Perché le idee non le sorvoli elegantemente. No, con le idee ti devi misurare, ci devi lottare, devi permettere che ti saltino addosso, devi respingerle o accoglierle, resistere e poi cedere, oppure cedere subito e poi cambiare idea. 

Così diceva Giorgio Gaber, in una della sue intuizioni più folgoranti, Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione. L’idea va ruminata, andrebbe fatta propria, perfino mangiata, se possibile.  

Così anche mi conferma una frase di un poeta, Davide Rondoni, quando nell’Avvertenza che prelude al bel libro (cartaceo, soltanto) sulle poesie di Ada Negri, Mia giovinezza, mette in guardia, Si legge per crescere in umanità. Leggere fa parte del lavoro.

Così maturo il distacco dalla scuola il libro non si tocca con un senso di sollievo, finalmente. Perché c’è anche la concezione che leggere sia un passatempo, una cosa per riempire i vuoti. No, non sono d’accordo. Leggere è qualcosa che arricchisce, è proprio un lavoro. E questo vale anche per molta letteratura leggera, secondo me. Puoi imparare molto, da come sono messi in fila aggettivi, avverbi, dalla lunghezza delle frasi, dalle situazioni. Leggere accende sempre la mente. Io sospetto che un si impari di più, per dire, da un brutto libro – ma uno scritto proprio male, vorrei dire – che da uno spettacolo televisivo di qualità media (eccezioni ve ne sono e ve ne saranno sempre, ma in media mi sembra sia così).

Beh, tutto questo per dire che ad un certo punto di questa evoluzione (o involuzione, a seconda di come la pensiate) ho guardato con occhi diversi quell’evidenziatore giallo: quello che era qui appoggiato sul comodino, a non far nulla.

Ecco (i puristi smettano di leggere) … l’ho preso, ho preso il saggio che stavo leggendo (Dennis Gira, La scelta che non esclude. Buddismo o cristianesimo), e ho iniziato a sottolineare. Prima con un senso di disagio, come mi guardassi nell’atto di compiere una marachella. Poi con un vero senso di liberazione. Finalmente. 

E poi ancora, emozionato dalla mia trasgressione, invece di smettere e pentirmi, ho continuato. Le altre vittime sono state, per ora, Imparare ad amare, di Marco Guzzi, e lo stesso libro delle poesie di Ada Negri (limitatamente alla parte di Rondoni).

Niente va perduto, niente è sprecato. Leggere fa parte del lavoro (e anche l’evidenziatore giallo  ne fa parte, aggiungo di mio). Che bello che sia così. Che bello che il libro sappia di me, dopo che l’ho incontrato. Vuol dire che se qualcuno viene dopo di me a leggerlo, sarà non appena un lettore, ma un testimone di un passato incontro d’amore. 

Passato, sì: ma sempre rinnovabile.

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Ogni volta…


Poesia
Originally uploaded by Roby1kenobi

Ogni volta che leggo di poesia
mia moglie diventa
più bella


e ho più voglia
di amarla


ho più voglia
di sentire musica,


di sorridere.


Si solleva il velo opaco
della realtà
e il grande inganno
per un poco si svela.


Si scopre il cuore
di carne


la possibilità laterale
della felicità


Cos’ forte che quasi la temo,
questa gioia.


Chi sei tu, dunque,
poesia?

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