Blog di Marco Castellani

Categoria: meditazione

Ragionamento

Siamo strani, siamo umani. Siamo universi sempre diversi. Un approccio logico-razionale tra due persone, comunque, porta rapidamente ad un attrito, una frizione, una consunzione, come due ingranaggi che girano a regime diverso e si volessero mettere in connessione. Tale approccio porta in realtà allo stesso stress delle strutture anche nel rapporto di una persona con sé stessa, come sappiamo. Siamo, mi pare, in una epoca di ipertrofia della logica, che viene applicata spesso fuori dal suo specifico campo d’azione. 
Sarà perché la logica è in un certo senso, falsamente rassicurante. Ci fa sentire padroni della situazione, ci fa sentire in pieno controllo. E’ una cosa che possiamo dominare, e sembra lì apposta, per fare chiarezza. Tipo, enucleare i termini di un problema, descriverne i contorni, per poi operare in maniera logica e razionale, verso una soluzione (o mitigazione del problema). Dividere, sezionare, scansionare, enucleare all’infinito, per comprendere, o per risolvere. 

E’ un abbaglio della ragione, fondamentalmente. Una sua hybris, abbastanza perniciosa. Nella sua ansia risolutiva, si scorda di tutto un mondo attorno, che però non può essere escluso senza alterare e avvelenare il contesto, il campo da gioco. Si scorda – per dire – dell’esistenza delle stelle. 

Ci siamo molto abituati a diffidare di tutto tranne che del ragionamento, che invece a volte è proprio l’ultima cosa alla quale ricorrere per affrontare i problemi. Avete presente quella sensazione che tanto più ragioniamo su una certa circostanza, tanto più ci impantaniamo?

Forse perché il ragionamento ci illude di tenere presente tutto, e ponderare tutto. Mentre in realtà ha fatto fuori dal suo stesso moto iniziale quella salutare pratica di affidamento ad una forza più grande e benevolente, che spesso – a parole – diciamo pure di considerare, o di onorare (chiamatela Dio, o Essere, o Vita, o in qualsiasi modo vi risuoni di più). O più semplicemente,  se volete, a qualcosa che non cade nella nostra orbita di analisi, al momento.

Alla base del ragionamento c’è infatti un assioma, un postulato, quello segretamente prometeico che dice “bene, ora vediamo come io posso risolvere questo problema”. Come tale esclude appunto un qualsiasi affidamento a qualcosa che sia esorbitante dalla mia cognizione razionale. Ed esclude dunque qualsiasi sorpresa.  Come dire, “poche chiacchiere, quando si arriva veramente ai problemi, me la devo vedere da solo”. 

Dunque in un certo senso, un approccio totalmente razionalistico ad un dato problema è prima di tutto e subito una mozione di sfiducia. 

Come appunta  Etty Hillesum nel suo Diario,

Dammi pace e fiducia. Fà che ogni mia giornata sia qualcosa di più che le mille preoccupazioni per la sopravvivenza quotidiana. E tutte le nostre ansie per il cibo, i vestiti, il freddo, la salute, non sono altrettante mozioni di sfiducia nei tuoi confronti, mio Dio? 

Certo non è facile, lasciarsi andare, provare ad affidarsi, mollare la presa (per me, ad esempio, è francamente difficilissimo). Ma non per questo dobbiamo desistere, anzi forse dobbiamo lavorare di più e con più allegra determinazione a lasciare, ad abbandonarci ad un flusso più grande e più saggio di noi. 
Certo, non ci riusciamo subito. 
Ma fare delle prove di abbandono, magari anche spezzare la catena perversa di ragionamenti, la proliferazione di pensieri, con qualche minuto di meditazione, o di lettura profonda? Perché no? O comunque, appena, sapere che a volte la soluzione non viene dai pensieri – per quanto la mente ci suggerisca di pensare più a fondo se non troviamo soluzione. Paradossalmente, una buona cosa potrebbe essere quella di accogliere la situazione presente, rinunciando – almeno per un po’ – alla idea, alla pretesa di cambiarla, o di cambiarci. Onorare la situazione presente, accettandola
Senza tanti ragionamenti. 

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Fare casa

Fare casa, scegliere un posto che ti piace. Iniziare ad arredarlo come preferisci. Ecco, qui ci sei tu, ci sei solo tu. Cioè, la scelta è tua. Tu devi solo dire se ti ci trovi bene, se ti piace. Se ti va di portarti i tuoi libri (Jung, Joyce, Davide Rondoni, e tutto Andrea de Carlo, a prima botta direi), i tuoi dischi (ci mettiamo, intanto, tutto quanto Battisti, ovviamente: primo e soprattutto secondo periodo), i tuoi film (Stregata dalla Luna, Jerry Maguire, Love Actually, ma subito subito, poi vediamo), insomma le tue cose più care. Quello che definisce chi sei, quello che ritaglia un tuo contorno, di fronte al mondo.
Se definisci un contorno, definisci un ambiente in cui ti riconosci e ti ritrovi, arrivi a considerare che tutto sommato sei unico, non sei appena una fotocopia di mille altri. E allora, finalmente, puoi iniziare a rilassarti. Senti che c’è un motivo per cui sei qui. Senti che questo ambiente è così irresistibilmente tuo che nessun altro lo avrebbe mai costruito così.
Senti, all’inizio un po’ timidamente, che ti puoi rilassare, ti puoi un po’ sdraiare in questa tua unicità.
Del resto, pensaci: quand’è che non respiri, che ti senti soffocare? Quando ti senti preso in un ingranaggio per il quale tu sei un’unità impersonale, sei un numero, sei alienato da te stesso, corri e lavori e produci ma non sai più perché. Quando il tuo sapore unico si stempera, si slava. Tenti di essere così pulito e stereotipato che non sai più di niente.
Pulito, sì. Perché avere un ambiente, una casa, è fare anche pace con le tue granulosità, le tue imperfezioni. Perché comunque riverberano i tuoi colori, sono così tue che nemmeno te ne rendi conto, di quanto di meraviglioso trattengono. I tuoi colori, i tuoi odori, il fatto che sei tu, passa attraverso di queste, in modo non trascurabile.
Tu devi tornare tu, unico al mondo. Adesso.
A volte non sono necessarie svolte decisive, drastiche. A volte basta iniziare a fare casa. O meglio, riprendere a fare casa. Perché secondo me è una cosa spontanea, è un movimento costruttivo e creativo della mente, che può avvenire se appena c’è calma abbastanza.
D’accordo, può servire una tecnica, un’ordine, un cammino. Magari fa bene un po’ di meditazione, qualche respiro profondo. Ogni tanto sì, ogni tanto ci vuole: meglio se con regolarità (ma senza perfezionismi). Magari anche cinque minuti al giorno, appena. Come un gioco, un gioco di casa.
Ah sì, quasi dimenticavo: nella mia casa ci va un cuscino da meditazione e un tappetino. Giusto.
L’idea, insomma, è ritornare a coltivare i propri pensieri tranquilli. Che inevitabilmente pescano in quella zona sacra costituita dalle nostre più vere passioni, delle nostre inclinazioni creative. Da ciò per cui siamo qui al mondo, potremmo anche argomentare (volendo scomodare tematiche “alte”).
Ma torno alla casa, al piccolo e al riparato.
Fare casa è anche (e forse soprattutto) allestire un angolino immaginario dentro di sé. Niente muove il sentimento e il cuore più che una cosa immaginata con la massima libertà e niente coinvolge più di un gioco.
Niente è più serio e con più conseguenze dei pensieri che lasciamo circolare nella nostra testa. I pensieri esistono, cambiano le cose, colorano la realtà. Coltivare un buon rapporto con i pensieri è un atto di amore personale altissimo (ed anche di grande altruismo).
Uhm. Vengono fuori temi alti, di nuovo qui. Ma voglio cercare di riportarmi al piccolo, al riparato, a ciò che scalda nel nascondimento, nel riparo caldo mentre fuori è freddo. Insomma voglio articolare variazioni su un tema deliziosamente autunnale.
Ecco. Fare casa è — appunto— anche e soprattutto un esperimento mentale, è allestire un angolino della mente con le cose più tue, più personali. Ho scoperto che ti ci puoi rifugiare, quando fuori sembra freddo. Non serve mica muoversi fisicamente. Basta tornarci con la mente, volerlo fare, volersi bene tanto da rinunciare per un po’ alle immagini negative e di autosvalutazione, e permettersi di coccolare quei riverberi buoni, tranquilli, calmi. Di qualcosa o di qualche progetto che possiamo far crescere lentamente, magari. Di quel momento bello vissuto, che ci riscalda ancora. Di quel sorriso imprevisto, di quella ragazza incrociata in metropolitana, o magari di quella vecchina un po’ acciaccata ma con quegli occhi luminosi, aperti, buoni. Un sorriso gratis, di pura cordialità umana.
Con le mie cose più tranquille nella testa, come direbbe Alex Britti, insomma (canzone che, sia detto di passaggio, trovo decisamente terapeutica).

Io credo che oggi c’è un grande bisogno di fare casa, di rilassarsi, prima di tutto. Come poi nella canzone di Alex (il cui testo meriterebbe peraltro una esegesi minuziosa), potresti scoprire che in atto in primo (superficie) moto d’animo avresti detto egoistico, è invece il principio fondante del vero altruismo.
Insomma. Come vuoi essere utile agli altri se sei perennemente fuori da te stesso, se sei perennemente fuori casa?
Costruisci casa. Tornaci quando ti capita d’esserti perso, e farai un favore a tutti. Ma proprio a tutti (e te ne accorgerai). Perché emetti delle onde buone, da qui fino alle stelle.
E inizi perfino a cambiare il mondo, con tuo grandissimo stupore.

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Strumenti di lavoro

A volte uno fa lunghi ed estesi giri per riscoprire ciò che magari era già noto a tanti, da molto tempo. Però non credo siano mai giri inutili, siano mai peripezie invane. Intanto perché nella vita la cirtuitazione non è mai uguale a zero. Vivendo ti sporchi di quello che vivi, lo trattieni, te lo porti dietro. 
Contrariamente al detto una pietra che rotola non raccoglie mai sugo, secondo me di sugo ne raccogliamo tanto. E comunque. Tutto sta a volerne fare, con questo sugo, una bella pastasciutta. Oppure considerarlo solo come qualcosa che ci può sporcare il vestito. 
Il primo caso è quello davvero più interessante, perché se lo esploriamo a fondo vediamo che niente è veramente mai invano. Tutto serve. Magari si capisce subito, o dopo vent’anni. Ma tutto serve, sempre e comunque. Questo principio di conservazione squisitamente antispreco è qualcosa di molto confortante, a rifletterci bene. 
Così uno può attraversare delle fasi in cui, diciamo, sente il bisogno di aiuto nel comprendere la specificità e la unicità di ogni giorno. Così, tanto per essere sostenuto nella lotta ai pensieri pigri di andamento vagamente depressivo: quelli, per capirci. che assalgono tutti e ti avvelenano lentamente di frasi tipo è tutto uguale, non cambia mai niente, oggi è come ieri… 

Sono pensieri pigri da combattere, perché è noto a tutti il fenomeno: più ti ci incastri dentro, più sembra che la realtà ti si confermi in tale attitudine, mentre invece sei tu che selezioni dalla vita ciò che te la conferma. In un gioco, direi, che pur sembrando alquanto masochistico, comunque ci ritroviamo sovente a giocare, al di là delle nostre dichiarate intenzioni. 
E può capitare che un suggerimento ascoltato durante un incontro di Darsi Pace, trovi una eco imprevista nel cuore, come l’apertura di una possibilità. E non in una cosa nuova o particolarmente originale, ma in una nuovo sguardo su una cosa che più antica e tradizionale non si può.

Strumenti di lavoro… 

Si tratta infatti – ed è questa la sfida – di trovare una propria personalissima strada nel solco della tradizione. E’ questa la sfida veramente creativa, è questo il percorso interessante. Molto più fecondo dell’adesione cieca o del  rifiuto totalizzante.

Se infatti accettiamo – o meglio quando accettiamo – questa ipotesi di lavoro (Cristo come compagno del cammino dell’uomo), superando quella misteriosa repulsione tutta moderna, o almeno investigandola a fondo, ecco che torniamo alla sfida di nutrirci anche di testi e strumenti di cui si sono nutrite generazioni e generazioni.

E in questa luce, la tensione nel cercare qualcosa di nuovo si traduce e si riverbera – in modo forse più costruttivo – nella tensione nel cercare di vivere l’antico in modo nuovo. Come deve essere infatti veramente vissuto. 

Allora si comprende come l’avventura del rapporto con la divinità sia una cosa molto personale, in fondo. Personale, nella piena accoglienza della dottrina. E’ una sorta di paradosso che si risolve solo in modo esperienziale, vivendolo. Capita così di avvertire i dogmi non come limitazioni alla libertà di pensiero (cosa salubremente intollerabile per l’uomo moderno), ma come gli argini di un fiume, che aiutano a convogliare l’acqua, a farla scorrere l’acqua in modo diverso e personale per ognuno di noi.

E si riprendono magari degli strumenti di lavoro, come il calendario liturgico e la frequentazione di testi, che possono offrirsi alla meditazione di ogni giorno come aiuto anche a dare un colore alle varie giornate, e a rischiare la navigazione in mare aperto, secondo una rotta che è soltanto nostra, che è tutta da inventare. Una lettura nuova, che non dimentica niente delle acquisizione della modernità, che accoglie ogni fermento anche dalle posizioni più critiche. Una lettura che si pretende adulta, consapevole.

Ma che, al contempo, è saggiamente protetta, amorevolmente tutelata.

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