Blog di Marco Castellani

Categoria: papa

Sporcarsi le mani

Che non si possa vivere senza sporcarsi le mani, è una cosa abbastanza evidente — se non si è troppo prigionieri di schemi ideologici di qualsiasi natura — ed è tuttavia qualcosa che, al tempo stesso, così facile da dimenticare, che (almeno per me) ogni accenno ad una maggiore consapevolezza, è benvenuto e salutare.
E’ dunque con gratitudine che leggo un accenno all’omelia del 28 marzo di papa Francesco. Perché colpisce nel punto giusto, risana esattamente dove c’è da farlo.

“Il Signore a ognuno di noi dice: ‘Alzati, prendi la tua vita come sia, bella, brutta come sia, prendila e vai avanti. Non avere paura, vai avanti con la tua barella’. Ma vai avanti! Con quella barella, anche se brutta, ma vai avanti! E’ la tua vita, è la tua gioia. ‘Vuoi guarire?’, prima domanda che oggi ci fa il Signore? ‘Sì, Signore’ — ‘Alzati’”.

Così è molto bello, davvero molto bello e liberante, questo far piazza pulita di quel pantano melmoso di obiezioni parziali, mezze dette mezze pensate (quasi mai teorizzate compiutamente), tipo ma non sono bravo abbastanza, non sono in grado, oppure sì , ma con calma, devo prima sistemare questa cosa, limare quel difetto, arrivare a quel punto di perfezione, poi certo…

No, non è così che vanno le cose. Insomma, non è così che funziona l’universo. Così ci dice Francesco, che dell’argomento ne sa più di qualcosa (e credo che dica una cosa qui così importante, in maniera così semplice, da interessare ogni uomo, a prescindere da quel che crede di credere):

Non avere paura, vai avanti con la tua barella.

Mi fa bene rileggerlo. Ecco, siamo tutti impastati da questi pensieri, questi propositi di perfezione, che in realtà sono niente altro che erbe infestanti, scorie tossiche per la nostra creatività e la nostra gioia di vivere. Ma ne siamo davvero così impastati che a volte non ce ne rendiamo conto: ci vuole davvero un percorso di liberazione. Concreto, quotidiano.
Diceva Don Giussani che non bisogna coltivare progetti di perfezione ma guardare in faccia Cristo. Ovvero non guardare sé ma guardare altrove, un Altro, la sorgente del bello e del vero. Comunque guardare fuori da sé, alzare lo sguardo.
Diceva anche, in Certi di alcune grandi cose,

Sono diverso da come dovrei essere, ho vergogna, le Sue parole sono ben lontano da quel che faccio io. Lo scarto. Questa è la prima cosa tremenda, che bisogna che avvenga; anzi, prima di qualunque tentativo di coerenza, questa è la suprema coerenza. Qual è la suprema coerenza con Cristo, nel riconoscere Cristo? Che anche se tu sei un mucchio di letame, Cristo è più grande del tuo mucchio di letame…

Credo che siano parole che investono chiunque, qualsiasi cosa pensi dell’uomo Gesù Cristo, vissuto duemila anni fa in Palestina. Perché non si scappa dalla partita: si creda o no, comunque siamo soggetti a certe dinamiche di vita, che sono sempre quelle. Conoscerle, approfondirle, è parte importante di quel lavoro di ogni giorno, che accomuna uomini di ogni fede e ogni credo.
Mi dimentico facilmente questa verità elementare. Ogni bilancio che faccio su di me è incompleto, errato, deformato, alienante. Se prescinde da una Sorgente di irradiazione di bene e di gioia, che per la sua stessa esistenza permette una continua (e felice) rinegoziazione del reale, per come lo percepiamo.
E’ poi quello che si riverbera nella bella canzone di Samuele Bersani, La fortuna che abbiamo. Questo invito a vivere si appoggia alla bella musica e mi ricircola felicemente nelle vene, alleggerendomi di pesi non necessari.


Le parole sono importanti, diceva Nanni Moretti. Sono tutto. E ogni rivoluzione è anche linguistica.

Voglio spremere il tubetto fino in fondo
La fortuna che abbiamo
Ridipingere con un colore più intenso, meno opaco
E finalmente indelebile

Non è ipotizzabile, non è fisico, spremere il tubetto fino in fondo (cosa che in fondo tutti vorremmo) senza sporcarsi le mani (cosa che non vorremmo mai). E’ la dinamica della vita, né più né meno.
Annotava già Cesare Pavese nel suo diario, “No, non sono pazzi questa gente che si diverte, che gode, che viaggia, che fotte, che combatte — non sono pazzi, tanto è vero che vorremmo farlo anche noi.”

Il punto è che (solo) se c’è una Presenza amica, se dietro ai miei tentativi parziali e perfettibili esiste uno scenario di benevolenza, di amore incondizionato a me stesso e alla mia povertà creaturale, io posso sempre ricominciare. Posso riprovare, imparare dagli scarti di strada. Che spesso servono per crescere.
Il punto in fondo è vivere. Come mi ricorda Don Juliàn Carron (Appunti della “Scuola di Comunità” del 22 marzo)

Il segno è se noi siamo sempre di più coinvolti, se siamo sempre più intensamente implicati nel reale, se abbiamo la voglia di mettere la mani in pasta, senza pretendere che un altro ci dia la soluzione. È questo che potrà veramente far crescere la persona, farla partecipare di quella pienezza che Cristo vuole comunicare all’uomo nella storia. E questo, invece di svilire il cammino, fa sperimentare una tale energia da consentire di entrare nelle pieghe della storia, nella concretezza dei problemi.

La questione di urgente attualità, per chi crede, è anche redimersi da un concetto sbagliato di cristianesimo, da un modo errato di intenderlo, per il quale la cosa giusta sia porsi fuori dal mondo, o perlomeno contaminarsi il meno possibile.
Invece io credo che sia esattamente l’opposto. Dobbiamo entrare sempre più nella storia, non cercare di uscirne. Per tornare a Giussani, l’unica condizione per essere sempre e veramente religiosi è vivere sempre intensamente il reale.
Sporchiamoci le mani. Possiamo farlo, se c’è un destino buono che ci attende. Lì, tra le stelle. Scrive Marco Guzzi in una sua poesia,

Chiara, te lo prometto, risorgeremo ./ Io, te, mamma, e Gloria e Gabriele/ Rideremo in eterno e un nuovo gioco / Impareremo a vivere tra Sirio / E l’Orsa Maggiore.

Abbiamo questa barella, sì? Ebbene, portiamocela appresso.
Camminiamo. Anche zoppicando, saltellando. Le stelle ci aspettano.

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Benvenuto papa Francesco

Sono rimasto un attimo interdetto, quando ho sentito il nome. Come molti, probabilmente. Eppure mi è bastato attendere qualche momento, vederlo affacciarsi con quel modo così affabile.. è bastato quel Buonasera con cui si è presentato, misto di gentilezza e premura…

Stavo portando mio figlio in palestra, erano da poco passate le sette di sera. Mi arriva un SMS da mia moglie con scritto soltanto papa (mia moglie è ampiamente sintetica nei messaggi). Per un attimo penso papà. Qualcosa a  che fare con i figli. Mi sarò scordato qualcosa? papà devi fare questo, mi devi portare… Boh. Eppure arriva da mia moglie. Poi capisco. Papa. 

Porto Andrea in palestra. Faccio un giro con la macchina e poi ritorno a prenderlo all’uscita. Cavoletti, vorrei andare a casa ma c’è troppo traffico: non ce la faccio ad arrivare in tempo per vedere la diretta. Ormai andare direttamente a San Pietro non è praticabile, arriverei tardi e sarà già pienissimo di persone. Ritorno alla palestra di Andrea anche se è presto.
Come da copione, sono in anticipo e devo aspettare mezz’ora. Che faccio? Mi metto nel parcheggio e inizio a guardare la diretta dall’applicazione ThePopeApp dall’iPhone. L’avevo scaricata qualche giorno fa, quasi per curiosità. Ora che ci sia bella pronta e disponibile è – possiamo dirlo – quasi una benedizione. Sono un po’ a corto di batterie, speriamo di farcela… 20%… 10%… Ce la faccio, ce la faccio ancora. Così riesco a non perdermi i momenti in cui papa Francesco si affaccia, seguo il suo discorso, posso ricevere la sua benedizione.
(Però andiamo, chi ci avrebbe mai pensato, che avrei seguito i primi momenti del nuovo pontefice in un parcheggio di una palestra, seduto in macchina con l’iPhone che trasmette lo streaming…!)
Così posso stupirmi dell’essenzialità che Francesco porta, la sua mite gentilezza fa breccia in quell’attimo di iniziale incertezza. Avevo le mie ‘simpatie’, come tutti, com’è naturale, probabilmente. Ma pure – almeno un pochino – la consapevolezza che grazie al cielo c’è Chi interviene e dunque mi posso pienamente fidare.

E a casa mia moglie mi ricorda che l’abbiamo anche “incontrato”. E’ venuto tempo fa, a celebrare delle cresime nella basilica dove andiamo di solito. Amico del sacerdote che abbiamo seguito per anni. Poco dopo, la sorpresa di ascoltare l’intervista in televisione a Don Donato, che ha battezzato due dei miei figli, parroco di una chiesa non lontano da casa mia. 

Così tutto si incastra, per me. Segni di una storia personale che continua. Una traiettoria che nonostante tutte le resistenze e le deviazioni, invita sempre di più ad affidarsi al Mistero, a dire Sì a Cristo e a dirlo spesso
C’è una Storia grande che si riverbera in tante storie personali, in un modo misterioso e penetrante e adeguato ad ognuna. Non so spiegare come mai, ma lo avverto in modo sempre più netto, limpido: le circostanze sono per me, sono un invito alla mia libertà. 
Dice Don Giussani, in una frase che mi risulta sempre più vera, fino a diventare quasi un criterio di interpretazione del reale…. Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama. 
Sono perché cresca, perché io cresca: così sono aggangiato a tutti e (quando ho questa coscienza) tutto mi interessa. Così – oso dirlo – anche questo papa, questo regalo dato alla Chiesa, in fondo, è per la mia crescita, per il mio percorso di guarigione/conversione, è… per me.

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Maestro

Ecco un’altra parola su cui ci si potrebbe passare una vita, o probabilmente (potendo) anche ben di più. Maestro. Mi viene in mente prima di tutto la frase del Vangelo, “dove stai di casa, Maestro?” (Gv 1, 38). Unica coincidenza, in cui Chi indica la strada, è Lui stesso la strada.

Perché, chi è un maestro? Secondo me, un maestro è uno che ti indica la strada. Non ti porta verso lui ma ti rilancia in un cammino. Così che se anche lui dovesse cadere, niente di quello che ti ha insegnato perde valore. Segui lui per seguire ciò che lui segue. Un maestro è qualcuno seguendo il quale si entra più in sé stessi. Un maestro non ti porta mai lontano da te, ti aiuta a scoprire il tuo cuore. 
Vi sono sempre stati maestri. In ogni epoca. 
Mi sembra si debba registrare come caratteristica un po’ triste della modernità una generale diffidenza verso i “maestri”. Almeno è quello che percepisco io, come dire, “fidati, ma non fidarti troppo”. Questa è l’aria nella quale sono cresciuto. Passato il tempo di ubriacature ed entusiasmi per rivoluzioni sociali e politiche (le cui promesse sono state palesemente disattese), ecco che una generale diffidenza ha inquinato l’aria. E, per carità. Ha degli aspetti positivi. E’ sana e naturale una certa dose di diffidenza. Ma portata all’eccesso diventa velenosa un dubbio sistematico. Paralizza, lascia nella solitudine.
Path
Un maestro ti può indicare la strada, e può essere saggio affidarsi…

Maestro. C’è un motivo di cronaca che spiega perché mi confronto adesso con questa parola. Ho pensato al ruolo che rivestono quelli che riconosco in vari modi come “maestri” nella mia vita, nel caso eclatante della rinucia al ministero petrino da parte di Benedetto XVI. La mia prima impressione – come tanti, probabilmente – è stata di incredulità, stupore. Poi anche, una istintiva tristezza. Mi piace questo papa, mi piace quello che scrive, quello che dice. La discrezione e l’umiltà con cui si pone. E non capivo le ragioni di quel gesto. Lo ammetto, non sapevo interpretarlo. 
Ero ancora confuso quando – a pochi minuti dall’annuncio ufficiale – Valerio Albisetti, che stimo come persona e apprezzo come scrittore e saggista, postava su Twitter e Facebook il seguente messaggio…

Albisetti. I cui libri mi hanno aperto degli squarci stupendi e confortanti nella comprensione di me stesso. Che mi ha aiutato e mi aiuta a trovare un senso all’interno di me, e un cammino, al di fuori…

Beh, mi spiazzava. Pensavo inizialmente, ma come sarebbe? Coraggioso e chiaro? Però intanto mi sospingeva a vedere più in la del mio naso, di non fidarmi troppo della mia reazione istintiva. L’autorevolezza che si è guadagnata Albisetti presso di me, rimetteva in circolo tutto. Perché lui dice così? Perché proprio lui (un maestro per me) dice così? Allora il punto diventa, cosa mi sto perdendo? Devo capire cosa è che non ho capito (perché a questo punto diventa ragionevole ipotizzare che mi manchi un tassello, per comprendere il quadro).

In successione temporale piuttosto serrata, ecco apparire un articolo di Monica Mondo, che mi colpisce già dal titolo, “Che la sua decisione sia la nostra speranza.” Speranza. Non tristezza.

E poi il messaggio di Julian Carron, presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione. Già come inizia, mi spiazza.

“Con questo gesto, tanto imponente quanto imprevisto, il Papa ci testimonia una tale pienezza nel rapporto con Cristo da sorprenderci per una mossa di libertà senza precedenti, che privilegia innanzitutto il bene della Chiesa. Così mostra a tutti di essere totalmente affidato al disegno misterioso di un Altro. Chi non desidererebbe una simile libertà? (…) accogliamo anche noi con libertà e pieni di stupore questo estremo gesto di paternità, compiuto per amore dei suoi figli …”


Così due persone che considero – diciamolo pure – come maestri, nei loro ambiti e competenze, oltre a registrare una confortante concordanza, mi indicano che forse posso andare più in là con il ragionamento, posso superare lo sconforto iniziale. Posso aprirmi al fatto, misterioso ma reale, che il gesto privilegia innanzitutto il bene della Chiesa. Un bene legato al mio personalissimo bene, come  esplicita la frase per amore dei suoi figli (altrimenti perché preoccuparsene? Con tutte le cose a cui dobbiamo pensare, non abbiamo certo tempo per cose astratte). 
Ed essere rilanciato, lo sento, mi fa bene. Trasforma la tristezza in fiducia, pur ammettendo aspetti di mistero che probabilmente non mi si chiariranno mai fino in fondo. E con la fiducia torna il sole a fare capolino, torna l’ipotesi dell’affidarsi tranquillo, torna la possibilità che tutto sia per il mio bene.

Una chiave di lettura che si fa, se possibile, ancora più dolce e accorata nell’intervento di Carron  pubblicato su Repubblica di oggi. E capisco ancora meglio l’importanza, la rilevanza per tutti di questo gesto
“L’ultimo atto di questo pontificato mi appare come l’estremo gesto di un padre che mostra a tutti, dentro e fuori della Chiesa, dove trovare quella certezza che ci renda veramente liberi dalle paure che ci attanagliano.”

Liberi dalle paure. Ecco una cosa che mi interessa davvero, tra tante parole che si sono dette su questa vicenda. Liberi dalle paure che ci attanagliano. Ecco una cosa che parla al mio cuore, al mio desiderio.

Un gesto che libera dalla paura, non è fatto per paura. Infatti…

Io sono contento di avere dei maestri. Persone che mi indicano la strada.
Che non pensano al posto mio, ma mi aiutano a pensare.

A pensare davvero, fuori dagli schemi comuni.
Perché la vita sia più vita.
Sia più piena.

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