Blog di Marco Castellani

Categoria: pioggia

Tuona di già…

Non c’è niente da fare. Oggi mi rientra nei neuroni continuamente. E’ quel grumo di note e parole che definisce la mia giornata, la identifica e la separa dalle altre.
 
 
 
Complice il tempo che su Roma è veramente di diluvio accentuato, complice anche il fatto che l’ho risentita stamattina in automobile, venendo al lavoro.
 
Complice soprattutto il fatto che, sotto la scorza un po’ difficile, come quella tipica delle canzoni del Battisti “secondo periodo”, si schiude dopo qualche ascolto una tenerezza bellissima. E si rivela per quello che è, una stupenda ed appassionata canzone d’amore.

 


Così un amore, un fatto apparentemente privato, assume una rilevanza immediatamente cosmica, totalizzante.

 

Perché un amore non può assumere nessun’altro tipo di rilevanza, dopotutto.

Altrimenti non è niente.

“Tuona di già / stai buona…”

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Pioggia d’inverno

L’inverno è il tempo del riparo, del nascondimento. Ogni stagione ha il suo sistema di leggi, di valori tipici, di autofunzioni. Ogni stagione riprende il canto politonale dell’universo e lo modula su alcune specifiche frequenze. Esaltando delle particolari armoniche, deprimendone altre.

Così mi pare questo, che a rotazione ogni sensazione, ogni impressione venga portata alla luce. L’inverno mi piace per questo, perché è il tempo della contrazione. Mentre scrivevo l’inizio di questo post la pioggia cadeva ed il vento spazzava e muoveva gli alberi. Una giornata livida, senza dubbio.
Eppure vedere il parco battuto dalla pioggia è come ascoltarne il respiro, percepire il ritmo segreto della sua danza invernale.

Winter Rain - Abstract
Winter Rain (by dibytes on Flickr)

“Stare in casa quando fuori piove fa bene all’autostima”, diceva scherzando il mio figlio quattordicenne, qualche giorno fa. Con la sua giovanile baldanza, fotografava una sensazione che sicuramente è nota a tutti. Potrei chiamarla il ‘senso di tana’, di riparo caldo, di discesa nel sicuro. Come una irresistibile regressione primordiale, come una caverna con il fuoco. Ecco… sono dentro una caverna e sono antichissimo, improvvisamente sono vecchio come la storia dell’uomo. Una caverna che si spalanca davanti ad un mondo ignoto ed incerto, battuto dal vento e dalla pioggia. 
E la casa è una tana e non cerco tanto il fascino della ricerca e l’esplorazione estiva, ma il tepore degli affetti, la sicurezza del rifugio. E stare attenti ad uscire, non prender freddo. Si dice stai coperto ed è come un segno di attenzione vicendevole.
Finalmente non è tutto facile, immediato. Come se la difficoltà, l’avversità metereologica, suggerisse uno stop salutare. Come un malessere – uno di quegli strani e indefinibili malesseri dell’anima – che venisse per dirti ti devi fermare, devi andare più piano: devi prendere tempo per te.

L’inverno è questa evidenza, che devi fare i conti con ciò che è fuori di te. Devi rispettarlo. Fosse pure il clima. Non è tutto a portata di mano, il pensiero angosciante dell’autosufficienza è messo a terra, in maniera salutare. 

Vedi, non uscire, piove. Copriti.
Copriti. Richiamo ancestrale, capace di far tornare bambini.
E’ anche bello tornare bambini, ogni tanto.

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Quando fuori piove…

Fuori piove, ascolto smooth jazz negli auricolari. A casa le persone sono dietro le varie attività, computer, televisioni. Vedo gocciolare dalla finestra. Davanti al mio naso, non molti metri in linea d’aria, c’è un bel pino grande. Sta in silenzio, assorbe l’acqua che gli cade addosso. Oserei dire che è contento.
Alle volte sono nervoso, teso. Misteriosamente. Spesso lo sono in molti, del resto. Chissà perché mi viene in mente di nuovo, che la conversione non è, come avevo spesso immaginato, uno sforzo morale o ascetico, un nuovo obiettivo da raggiungere, un salire. Ora mi viene in mente, come mi veniva in mente qualche tempo fa, che è un nuovo modo di guardare, più rilassato, tranquillo, benevolente. Uno scendere. Come quando sai che non tocca a te di fare tutto, di sistemare tutto quanto. Tranquillo, mi dico: non tocca a te sistemare nemmeno te stesso.

Rain Texture


Ridurre la fede ad etica, a morale, è quanto di più pericoloso ci sia per il cuore dell’uomo. Poi non si capisce più nulla, basta vedere (o immaginare) che un uomo noto (magari un politico) dichiaratamente cattolico, sbagli, e subito si grida allo scandalo. 
Perdendo di vista che la partita che ci interessa non è innanzitutto per la moralità, la partita vera e decisiva è per la felicità. 

Soprattutto non si capisce che la fede non è un’ennesima sovrastruttura, qualcosa per fissati. Ma è qualcosa per gente che si vuole davvero godere la vita, attimo per attimo. E siamo sempre in viaggio, sempre soggetti ad errori. Ma la strada è bella, e non è definita dagli errori. Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e siamo felici di poterlo percorrere”, come dice Carron nella bella lettera a La Repubblica del primo maggio.
Fuori piove e io (ri)scopro, che se porto intorno questo sguardo, questa coscienza più tenera e rispettosa di quanto esiste dentro e fuori di me, sono meno nervoso, meno teso. Mi piacerebbe essere così, come un albero che aspetta il sole e la pioggia, e respira. 
Questioni di essere presi in braccio, alla fine. Come la frase di Sant’Ambrogio che era cara a Don Giacomo Tantardini, che tanto ha insistito, fino alla fine, sulla semplicità della fede.

Vieni dunque, Signore Gesù… Vieni a me, cercami, trovami, prendimi in braccio, portami. 

Quando comprendiamo che abbiamo davvero bisogno di essere portati in braccio, possiamo vedere accadere miracoli. E’ quando finalmente cediamo ad un Altro, che comincia lo spettacolo.
E’ molto più bello essere cercato dalla Verità, che cercarla. Credere è ammettere di poter essere cercati, in fondo. Questo ribalta tutta la questione. Cambia il verso della freccia. Ci permette una salutare passività. Non oziosa, ma contemplativa. Come davanti ad una cosa bella.

Che bello quello che ha detto Carròn ai funerali“don Giacomo ci ha testimoniato la bellezza dell’essere cristiano e ha trascinato tanti di noi dietro di lui. “

L’albero davanti a me. Ecco. Un albero non si giudica, per esempio. Vive e respira. Le radici ben piantate nella terra, sa cosa lo tiene in piedi. Io non giudico nessuno, nemmeno me stesso esortava tanti anni fa Don Luigi Giussani. 
Rileggo. Volevo dare a questo post un’atmosfera, un senso meno diretto, più allargato, errante. Un procedere in linea curva, docile, non rettilineo. Come pensieri durante un giorno di pioggia… Non so se ci sono riuscito, alla fine mi faccio prendere la mano, cerco istintivamente di trovare una tesi e dimostrarla… e non è quello che conta, non contano le parole. 
Anzi, alle volte ci vuole un vuoto di parole, uno spazio di silenzio.
Perché conta questo, la dolcezza del cuore, quando si sente grato.

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