Direi che è un tempo più che propizio – con la contingenza delle elezioni 2013 – per esplorare questa parola. “Politica”. Da ragazzo politica esprimeva in maniera rapida e quasi omnicomprensiva tutto l’universo delle cose che non mi interessavano. Cose che non percepivo come vicine alla mia esperienza, con le quali non trovavo punti di intersezione. Perché interessarsi di politica, quando a me interessava la vita? 
Adesso mi chiedo cosa fosse successo, cosa fosse nell’aria, per cui si sentiva meno la percezione di vita politica come partecipazione alla costruzione del bene comune? Certo c’erano le ideologie (adesso un po’ meno). Ma le ideologie – ora capisco – non costruivano veramente, non erano elaborazioni critiche e costruttive, erano appunto drammaticamente statiche, come tutte le ideologie. Statiche e monolitiche fino a negare l’evidenza storica, all’occorrenza. Minimizzare e trascurare la verifica empirica.

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costruire, partendo da dove si è… (Crediti: Amadika su Flickr)

Piccola digressione. L’ideologia mi fa pensare alla pseudoscienza. La pseudoscienza è rigida (magari nasce da una intuizione con alcuni aspetti di verità, ma poi rimane rigida), mentre la vera scienza si adatta e si modifica continuamente. La vera scienza è empirica, umile, ascolta i fatti. La pseudoscienza dei fatti non sa che farsene, ha troppa impazienza di validare un’asserzione, calarla sulla realtà. Forzarla in uno schema. Gli UFO, i fantasmi, i segreti esoterici delle piramidi, quello che volete. Ma l’esperimento paziente e ripetuto, quello no, perfavore. Il confronto con la realtà, una irritante perdita di tempo. 
Tornando al tema, ecco, mancava in molti una percezione sufficientemente chiara di poter costruire il bene comune. Costruire, intendo, con pazienza. Rinunciando a tutte le pericolose utopie, di ogni color vestite. Mancava la percezione (sanissima, a mio avviso) che la politica fosse una lenta progressione, una scelta anche di compromessi. Sopratutto mancava la percezione che la politica fosse una forma di attenziona alla gente e ai suoi bisogni: l’ideologia non ha tempo per i bisogni spiccioli e concreti delle persone, è troppo occupata nella convinzione di poter risolvere tutti i problemi del mondo propagando se stessa. Invece la politica è “la più alta forma di carità”, come dice Paolo VI. 
Credo che la gente che abbia lavorato con pazienza nel migliorare le cose, che abbia posto attenzione ai problemi concreti, accettando di “sporcarsi le mani”, magari mossa da un ideale, abbia fatto molto, molto di più di chi inseguiva le ideologie abbagliato dalla loro effimera luce. Vedo gente che le insegue ancora oggi, e mi sembra vi ripongano come una sorta di tensione messianica, di anelito di pace e giustizia, che potrebbe trovare utilmente ben altre sponde. 
A proposito di sponde: l’altra sponda melmosa, che intrappola, è lo scetticismo. E’ parente stretto dell’ideologia, pronto ad entrare in gioco quando la prima si dimostra ormai palesemente insostenibile. Stessa avversione all’umile lavoro, all’adesione attenta e stupita alla realtà.

Non si scherza. Me lo sento addosso io per primo, immerso in esso dalla testa ai piendi. Eppure è una trappola, devo cercare di reagire. Sono con Giuseppe Frangi quando avverte che “… la politica, per quanto ci abbia costretto in questi anni a spettacoli davvero annichilenti, può essere ancora cosa buona, una passione positiva, alla faccia di tutto lo scetticismo dilagante”. Lo scetticismo in politica mi sembra una declinazione spicciola del nichilismo culturale che purtroppo è così dilagante. 

Così torniamo al fatto che la politica è un’arte, l’arte del compromesso, intesa nella maniera più nobile. E’ un lavoro, quotidiano. Che può appassionarci di più, penso. Come che vadano queste (ed altre) elezioni.

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