Interessante l’articolo su Notus che viene segnalato – nella parte dei link – nell’edizione dell’otto giugno di Scripting News, il notiziario di Dave Winer (mi arriva ogni giorno via email e non lo leggo sempre, ma quando lo leggo spesso mi accorgo che vale la pena, è raro che non si incontri qualcosa che val la pena approfondire).
Nell’esteso articolo si parla di Donald Trump (ma ora non questo mi interessa) e di Elon Musk (nemmeno lui, per il momento), e di un sacco di gente che se ne era andata da Twitter, ma ora sta tornando.
La cosa mi ha subito interessato perché mi sono sentito coinvolto. Io infatti avevo abbandonato Twitter per spostarmi su Mastodon. Ma fatemi dire, prima di proseguire, che questa cosa di abbandonare Twitter per qualcosa e poi tornarci dopo, non è affatto nuova.
Mi fermo ancora a parlare un po’ di Vivaldi, perché lo trovo straordinario anche in certi dettagli, qualcosa su cui non si indugia spesso. Per esempio, una cosa veramente intrigante, per me, è osservare come Vivaldi presenta la cronologia di navigazione.
Prima di tutto, la cronologia a cui si accede, se si sono sincronizzati i vari dispositivi attraverso i server di Vivaldi, non è appena quella del computer su cui si sta lavorando, ma quella complessiva. Per dire, io ieri ero in lavoro agile e oggi anche in ufficio ritrovo l’elenco dei siti visitati da casa. Indubbiamente utile, portare la propria storia di navigazione sempre con sé.
Nello specifico, un modo molto veloce di accedere alla cronologia è quello di cliccare sul pulsante nella barra laterale sinistra, in modo da far comparire una barra verticale con l’elenco dei siti visitati. L’elenco stesso si può ordinare per data, per numero di visite ad un sito, per titolo od ancora per indirizzo. Indubbiamente comodo, non c’è che dire. Ogni scelta supporta l’ordinamento in senso crescente o decrescente.
Ma dove Vivaldi veramente brilla è quando con CTRL-Y si accede alla pagina completa della cronologia. Beh qui Vivaldi davvero non ha rivali. Provate ad accedere alla cronologia con Chrome, con Brave, con Edge o financo con Safari. Ma veramente non c’è confronto, per le informazioni riportare e per la presentazione stessa.
Il modo di consultare i dati di cronologia in Vivaldi è sorprendente. Vi sono varie viste, Lista, Giorno, Settimana e Mese. Questa che vedete qui sotto è la vista Mese. Sulla sinistra una specie di calendario, con colori diversi a seconda del numero di siti visitati. Al centro un piccolo riassunto delle attività giorno per giorno, più a destra la lista che si può scorrere, nonché altre informazioni sull’attività complessiva di navigazione.
In effetti, diciamocelo: anche nella storia personale, è importante non solo cosa è specificamente accaduto, ma anche – o forse di più – come si guarda a ciò che è accaduto. Questa piccola dimostrazione forse è importante per qualcosa che trascende il semplice browser, per la constatazione che la propria storia può acquistare un fascino del tutto nuovo, se ci permettiamo di vederla in un modo rispettoso del dato, e anche gentile, elegante.
Insomma, una storia interessante, in fondo, non la si sperimenta appena: la si costruisce, mettendo insieme i dati in modo creativo e bello.
Questo è quanto accade nella nuova versione del browser Vivaldi per Android. Veramente un bel browser, ora ancora migliore. Nella nuova versione si può impostare un periodo dopo il quale automaticamente si chiudono le schede rimaste aperte, liberando memoria a tutto vantaggio delle prestazioni del dispositivo.
Vivaldi sembra uno dei pochi a credere seriamente nello sviluppo di un browser per dispositivi Android, che non sia semplicemente una “copia in piccolo” del browser per computer. Mi piace proprio per questo, perché ci credono.
La faccenda delle schede che si “autochiudono” dopo un po’ di tempo è una piccola genialata per evitare gli affollamenti di schede rimaste aperte che contraddistingono Chrome su cellulare dopo un po’ di tempo che uno continua ad usarlo (ogni link che clicchi da WhatsApp o altrove ti apre l’ennesima scheda, tu lo guardi poi vai a fare altro e ovviamente ti dimentichi di chiuderlo).
Vivaldi è un ottimo browser intorno a cui si è sviluppata una comunità piuttosto attiva. Lodevole l’impegno del team, appunto, che non si concentra sul creare un software ma appunto nello sviluppare un ambiente vivo intorno, in cui il senso di comunità appare un fattore niente affatto secondario.
Ha tutti i vantaggi del classico (e google-centrico) Chrome in termini di universalità di approccio (nessun sito si può ormai permettere di non essere benvisto da Chrome) e di ampiezza del parco di estensioni installabili. Si può avere tutto questo, senza spedire i propri dati di navigazione a Google (o a chiunque altro). Di più, ha una serie di caratteristiche formidabili alle quali, in tempi recenti, si è aggiunto un completo client email, un lettore di feed, un calendario e un task manager.
Ciliegina sulla torta, arriva out of the box con la possibilità di abilitare il blocco dei traccianti oppure anche quello delle inserzioni, con impostazioni predefinite che si possono rifinire sito per sito.
Esiste per Windows, MacOS ed Android. L’unica pecca è che non c’è per iOS, almeno per ora.
Decisamente, sono tempi in cui diversificarsi può far bene. Ampliare i soggetti attivi su Internet e difendere le diversità, è quanto mai importante. Anche piccoli gesti come provare un nuovo browser, possono aiutarci a sentirci veri protagonisti in questo mare magnum informatico, e non semplici consumatori.
Si tratta, come sempre, di non seguire passivamente il flusso. Ma di decidere.
Sì in pratica mi pare senza luce, e per quel che costa non mi pare poco. Senza luce quando è spento, quando non lo usi. Cioè, schermo nero. Voi direte, ma è normale, no? Fino ad un certo punto, normale fino ad un certo punto.
Perché anche molti telefoni di fascia più bassa (sì, sto pensando anche al mio Samsung Galaxy M31) hanno un always on display che ti mostra delle informazioni di base (ad esempio ora, lista di app che hanno notifiche, carica batteria) anche quando non lo stai utilizzando. Quando è appoggiato lì, sul tavolo. Gli butti un’occhiata, e ti dice qualcosa. Comodo, senz’altro. C’è una cosa simile ma solo per la versione Pro oppure Pro Max (prezzi sopra i 1300 Euro per il primo, sopra i 1400 per il secondo).
D’accordo, se sei fuori a vedere le stelle, va bene. Altrimenti, magari ti piacerebbe che lo schermo, anche se non manipolato, ti dicesse qualcosa.
Un’altra cosa che non mi garba è che non lo carichi con la USB-C, come quasi tutto il resto del mondo ormai. Cioè se stacchi il Kindle, o il tablet, e attacchi il tuo bel nuovo iPhone, devi cambiare cavo. Questo sembra una stupidata ma nella vita pratica ti secca, ti secca proprio. Magari sei lì la notte che traffichi sul comodino, vuoi un modo semplice per mettere in carica il telefono, e invece no, il cavo che avevi già attaccato non va bene, ti devi alzare e prenderne un’altro. Poi dove l’avrò messo il cavetto dell’iPhone?
Credo che a volte rischiamo di perderci qualcosa, nel rapporto con tutta questa tecnologia in cui siamo immersi. Rischiamo di perderci il fattore meraviglia.
Un fattore che va assolutamente recuperato, nella sua parte più robusta e sana. Non si tratta infatti di meraviglia ingenua ma di stupore consapevole. Siamo tutti molto ben coscienti dello strapotere delle multinazionali, dell’invasività (tanto per fare nomi) di Google, Apple, Facebook nel monitoraggio delle nostre abitudini. Sappiamo bene, ahimè, che il nostro comportamento in rete è ampiamente monetizzabile e via di questo passo. Siamo nell’era del capitalismo della sorveglianza e ce ne rendiamo conto.
Però io vedo anche un rischio. Che questa necessaria consapevolezza inquini irrimediabilmente anche il fattore meraviglia che dovremmo avere nell’approcciare questo mondo tecnologico che ci contorna, e che ci rende indubbiamente la vita molto più comoda (e anche divertente).
Sono un convinto sostenitore delle cose graduali (sono anche molto impaziente, ma questo rientra nelle normali contraddizioni dell’essere umano). C’è poco da dire, i fatti son questi: là fuori c’è un mondo incredibile, variopinto, mirabolante. Di una complessità irriducibile ad ogni schema. Infinitamente più colorato di tanti pensieri quotidiani. Un mondo che in gran parte, purtroppo, non conosciamo.
Studio da anni la varietà degli ambienti galattici ed extragalattici, a volte la racconto, trovando certo infinite sorprese. Tuttavia, ben pochi panorami spaziali possono tenere il passo con certe meraviglie che vediamo sulla nostra Terra. Ma ci sarebbe tanto, troppo da scoprire. Ci vuole, appunto, un percorso graduale, che si snoda sui giorni. Mi conforta molto l’idea di essere accompagnato, preso per mano, nella scoperta quotidiana della varietà del nostro mondo. Apprezzo il fatto di avere una finestra ogni giorno differente, su scenari che il più delle volte non conosco affatto. Non li contemplo mai, addirittura non li penso esistenti. Mi perdo la loro potenziale bellezza e complessità, semplicemente perché non ne sono mai venuto a contatto.
A metà ottobre mi aggiravo con il tablet per una nebbiosa foresta…
Tutto questo, per dire che trovo irresistibile l’idea dello sfondo quotidiano di Bing, il motore di ricerca di Microsoft (azienda verso la quale in questa sede non sempre sono stato tenero). Ovvero quella di esplorare il mondo, come riportato nella pagina, una foto alla volta. Mi piace sì tanto che ho istallato Microsoft Launcher sia sul telefono (Samsung Galaxy M31) che sul tablet (Huawei Mediapad M5). Messo insieme al mio laptop Samsung Galaxy Book Ion, ho lo stesso background aperto, diciamo, a varie dimensioni nella mia giornata di lavoro. Tanto mi sono abituato, che mi dispiace che non ci sia qualcosa del genere nativo per l’iMac (c’è però un eccellente programmino che costa due lire, funziona bene, e che ovviamente ho acquistato). Mi spiego, non è che manchino sfondi a rotazione per cui ogni giorno, oppure ogni ora, ti cambia panorama sotto il naso mentre tu fai altro, ti rimpalla dalle Cinque Terre ai grattacieli di Los Angeles. Assolutamente. Ma sono cose automatiche, non c’è quel senso di sorpresa che invece posso coltivare quando aspetto che il mio sfondo cambi, in un modo (verso un mondo) che ancora non conosco.
Lui, il beccofrusone…
Mentre scrivevo l’abbozzo di questo post, vedevo una foto di una volpe rossa, presa dalla Foresta Nera in Germania. Ora che riprendo a lavorare sul testo, mi trovo davanti ad un simpaticissimo beccofrusone canadese (l’avevate mai debitamente considerato, prima di adesso, un beccofrusone canadese? Dite la verità). Poi chissà, voleremo in Messico o scopriremo (come spesso accade) qualche bellezza paesaggistica italiana? Ogni giorno una nuova tappa.
Certo, Apple ha fatto le sue scelte per quel che ti propone come carta da parati informatica, e sono anche interessanti. Su macOS è simpatica l’idea dello sfondo che cambia con l’ora del giorno, così che lo stesso panorama ti appare sotto un cielo luminoso (e un poco nuvoloso, invero) oppure trapuntato di stelle, se lo guardi di notte. Però non è la stessa cosa. All’inizio questa cosa dello sfondo che si fa “notturno” mi pareva una cosa veramente intrigante. Dopo un po’ mi sono accorto che mi stanca. E le cose non sono migliorate con il passaggio a Monterey. Apple, fammi vedere cose nuove, e spiegami cosa sto vedendo. Va bene questo sfondo stilizzato del canyon di Monterey, ma insomma non è che qui ci passiamo la vita, dài. Portami altrove.
Così ci siamo lasciato alle spalle – senza troppi rimpianti – l’area di Monterey, di Big Sur e tutti questi posti molto californiani: ora ci avventuriamo giorno per giorno in nuovi territori (o territori già visti ma rivisitati con l’occhio esperto di un bravo fotografo). Perfino, fuori dalla California (osiamo, osiamo).
Forse io desidero proprio questo, essere preso per mano e condotto a scoprire il mondo, un poco alla volta. Mi piace pensare che non ci sia un algoritmo automatico, ma qualcuno che seleziona ogni giorno un certo panorama, un certo ambiente, la foto di un particolare animale, una scogliera, due orsi bianchi, un angolo di New York, un parco canadese, il giorno di Halloween un campo di zucche, quasi magico con il sole basso sull’orizzonte (è accaduto), il pianeta Nettuno il giorno dell’anniversario della scoperta (è accaduto, mi pare fosse Nettuno, comunque un pianeta). Beh viste le correlazioni, se è un algoritmo che sceglie le immagini, è stato programmato bene avendo cura di vedere cosa significano i singoli giorni (bella questa frase, mi pare che dica qualcosa di più rispetto alla descrizione di un software).
Confesso, questo è un desiderio molto profondo, può voler dire tante cose, e probabilmente tutte che trascendono la portata di un semplice servizio che ti cambia l’immagine di background su di un dispositivo (o su molti).
Ovvio, non basta uno sfondo che cambia quotidianamente, per recuperare un significato dei singoli giorni. Un colore, un sapore, un profumo di un giornata, diversa da tutte, speciale. Ci vuole ben altro, siamo d’accordo. Però se uno è già in ricerca, mi sento di dirlo, anche questo un poco aiuta.
Deve essere così. Mi pare molto ovvio che alla Apple leggano questo piccolo blog. Sì, perché quello che sta per entrare in commercio, insieme con l’iPhone 13 e tante varie cose, è un iPad mini davvero interessante. Che appare un po’ come la risposta operativa a quanto si andava argomentando nel post precedente a questo.
Vado subito al dunque. Sono d’accordo con chi dice che nel recente evento Apple (che definirei uno spot di quasi un’ora e venti oggettivamente realizzato benissimo, tanto che ne vorrei riparlare) la parte più interessante è rappresentata proprio questo iPad mini. E mi sento anche di assecondare chi asserisce che tale arnese risulti totalmente interessante anche per chi (come lo scrivente) graviti da molto tempo prevalentemente nel mondo Android.
Caro Google, una mela non è una pera “strana”. Un tablet non è un telefono “grande”.
Tra l’altro, nel momento in cui scrivo, il sondaggio promosso dal sito iMore su quale sia stato l’annuncio preferito nel recente evento Apple, appare decisamente a favore di iPad mini. Ma so che non avete tempo da perdere, quindi entriamo nel merito. Vorrei dire perché mi intriga questo nuovo piccolo iPad.
Le dimensioni. Come si è già detto, considero un tablet di queste dimensioni estremamente usabile, in un ampio assortimento di situazioni. Non sono un grande fan dei dispositivi con schermo intorno ai dieci pollici, non si tengono facilmente in mano, non ci leggi bene sul divano o sul letto (e nemmeno in bagno). Vanno meglio per lavorare, ma a quel punto passi direttamente al laptop o ti siedi e fai le cose per bene, con un vero computer.
La connessione USB-C. Finalmente. Per un utente Android non è una cosa da poco. Vuol dire un cavetto di meno in giro, perché finalmente (qui) Apple adotta quello che è da tempo lo standard, nel resto del mondo. Un solo cavetto. Una grande comodità (e finalmente anche Kindle sta arrivando alla USB-C, ma questa è un’altra storia). Sarebbe veramente ora che Apple abbandonasse Lightning al suo meritato riposo e adottasse USB-C in modo convinto e completo (come anche l’Europa chiede).
Ascolto stereo in modalità orizzontale. Era ora. Ho già parlato del posizionamento bizzarro degli altoparlanti su iPad, tutti sullo stesso lato (corto): all’atto pratico, vuol dire che se ti metti a vedere Netflix tutto il suono lo senti uscire da una parte sola, altro che effetto stereo. In questo piccolo iPad invece l’effetto stereo può essere apprezzato non solo in cuffia, perché gli altoparlanti sono posizionati sui lati corti, appunto per fruire di un ascolto stereo in modalità landscape. Sì, va bene, come il Mediapad M5 di cui dicevo, in effetti. Uscito nel 2018, va detto. Ma è una “innovazione” assai gradita qui.
Il sistema operativo iPad OS. Non è un sistema perfetto, a voler essere pignoli ci sono alcune cose che non mi entusiasmano. Però è un sistema ottimizzato per tablet, ed è comunque ben fatto (e tra poco vedremo la versione 15 come si comporta). Non ci sono altri sistemi analoghi. Dopo l’abbandono da parte di Microsoft del folle (ma intrigante) progetto di mettere Windows 8 anche sui sassi, e perdurante il plateale clamoroso disinteresse di Google verso il mondo dei tablet, iPadOS è in confortante controtendenza: bisogna ammettere che sono rimasti solo quelli di Apple a ritenere che un tablet non sia appena un grosso telefono. No, il tablet è un tablet, appena. E va pensato in modo specifico.
Complessivamente, un grande salto in avanti anche, diciamo, rispetto a certe ostinazioni che francamente ormai risultano poco comprensibili: anche la versione più recente di iPad, mantiene la connessione proprietaria Lightning – anche bella vecchiotta se vogliamo, visto che sta per raggiungere i dieci anni di età – e presenta stolidamente i due altoparlanti sul medesimo lato (corto) dell’apparecchio (a questo punto, perché ostinarsi realizzare un’uscita stereo sugli altoparlanti, non si capisce).
Ecco, direi che le ragioni per acquisire un iPad classico si concentrano necessariamente sul suo sistema operativo iPadOS, ovvero si acquista essenzialmente un ingresso nell’universo Apple (un po’ come per iPhone SE). Qui c’è poco da fare. Oltretutto sul lato hardware un iPad classico non è esattamente al top. Ha comunque senso, soprattutto se associato ad una tastiera e/o ad una Apple Pencil. Ti consente di fare parecchie cose (no, per Netflix, ti conviene infilare gli auricolari).
Tuttavia, le ragioni per acquistare un iPad mini, questo iPad mini, mi sembrano ben più consistenti, anche a fronte di una spesa richiesta significativamente maggiore. Per chi è a caccia di un buon tablet dalle dimensioni contenute, per come già si argomentava, non c’è una grande scelta. Huawei (da quanto si desume dallo store) sembra aver abbandonato il formato “otto e qualcosa”. Samsung lo occupa – al momento – solo con modelli decisamente economici, come Galaxy Tab A7 Lite oppure Galaxy Tab A, interessanti solo se uno deve spendere poco, certo non comparabili con iPad mini (o con il mio buon vecchio Mediapad M5).
Dunque a mio avviso iPad mini costituisce una opzione molto interessante, per chi cerca un tablet moderno di dimensioni contenute. Almeno fino a quando non verrà fuori un’alternativa credibile (nell’hardware e nel software di gestione) dal mondo Android. Il che purtroppo – almeno per la parte software – temo che non avverrà molto presto.
Complice il tempo libero delle vacanze, ho iniziato una ricerca per capire, in prospettiva, se fosse il caso di sostituire il mio tablet Huawei MediaPad M5 (8.4 pollici) che potrebbe essere considerato non nuovissimo, visto che è stato acquistato a novembre del 2018 (per il mio compleanno). Dopotutto, due anni e mezzo abbondanti non sono pochi per un arnese elettronico, in tempi come questi.
Per completezza, devo dire che qualche tempo fa mi sono fatto tentare da un’offerta molto allettante, e mi sono concesso l’acquisto di un iPad (settima generazione) come potenziale sostituto al MediaPad M5, e anche per avere un punto di accesso al modo di vedere Apple, se mi capite (riguardo al quale risento di una forza di attrazione oscillante in modo periodico).
Tuttavia, senza nulla togliere all’iPad (che mi è ben servito per dei lavori specifici, e che attualmente usa perlopiù mia figlia con molto profitto), proprio in questa occasione ho realizzato quanto per me sia comodo il formato otto pollici (tipo). In particolare, come questo realizzi un compromesso veramente splendido tra uno schermo ampio e leggibile e una discreta portabilità.
Siamo d’accordo che un (tipo) otto pollici è la cosa migliore?
Un tablet (tipo) otto pollici te lo porti in giro come se nulla fosse. Se stai leggendo e non vuoi interrompere puoi portartelo perfino al bagno, senza apparire troppo eccentrico (personalmente, non riesco a trasportare in modo dignitoso/casual un dieci pollici nel bagno, non so voi). Per leggere libri – in mancanza del fido Kindle che certo realizza l’esperienza ottimale di lettura, o anche per gli ePub che il Kindle sdegnosamente rigetta – è diecimila volte meglio (fidatevi) di un dieci pollici. Play Book si esprime alla grande sul mio MediaPad. Hai voglia a portarti in giro un dieci pollici per leggere un libro: niente, non è pratico.
Ugualmente quando si tratta di riviste digitali. Lo schermo del MediaPad è quello giusto, non c’è niente da fare. Più piccolo è un fastidio leggere, più grande è un fastidio tenere il lettore in mano. Certo devo usare gli occhiali, come con una rivista cartacea (non invecchiano solo i tablet, bisogna serenamente ammetterlo). Ma qui la cosa è mitigata perché posso allargare un po’ la pagina. Questo per dire, che Readly è di casa sul mio MediaPad. Certo, ho provato Readly anche su iPad, ci mancherebbe. Molto bello, forse superiore come animazioni e transizioni (iPadOS contro Android Pie, il primo vince facile) che si godono sfogliando le varie riviste. Ma niente, scomodo leggere su un dieci pollici, alla fine. Almeno questa è la mia impressione, adesso (le mie impressioni, lo so bene, cambiano con il tempo).
Anche questo, il formato. Ho sempre avuto problemi a digerire il rapporto di dimensioni di MediaPad: fosse stato per me, l’avrei fatto più largo e meno alto. Così, esteticamente: un poco più chiatto. Invece con quel rapporto 16:10 sembra un grosso telefono, non un tablet. Ma quando si parla di vedere Netflix, beh appare semplicemente perfetto. Ah, ovviamente anche YouTube. Dunque, si capisce perché l’han fatto così.
E qui voglio spezzare una lancia sulla genialità dei tecnici Huawei di aver messo i due altoparlanti sui lati corti opposti, in modo che si posizionino alla perfezione quando guardi un video in modalità orizzontale (che è la cosa più ragionevole), restituendoti un suono stereo più che dignitoso. Ah, se vi viene da dire beh ma ce ci vuole forse non avete realizzato come sono dislocati gli altoparlanti di iPad. Ve lo lascio scoprire, come l’ho (amaramente) scoperto io. Se vi trovate un senso, perfavore scrivetelo nei commenti. Devo ancora capirlo.
Nel complesso, sui vantaggi e svantaggi degli otto pollici si possono spendere molte parole, ma alla fine è questione di gusti personali e di come viene usato lo strumento. A me piace che il MediaPad si possa portare in giro molto facilmente, per dire. Già l’iPad ha un ingombro diverso, e si vede.
Quindi da tutto questo sproloquio, avrete capito che un otto pollici (o se vogliamo, otto e un po’) non mi dispiace. Anzi. E quindi, dopo aver cercato su Ecosia best tablet 2021 e cose simili, e aver trovato sorprendentemente pochissimi modelli (tipo) otto pollici, ho raffinato la ricerca e ho tentato aggiungendo, appunto, la specifica degli otto pollici. Così, tanto per andare dritto al punto. Ci sono diversi siti che fanno le loro liste, tra cui WordofTablet (apprezzabilmente nel circuito di ricompense Brave), o anche Lifewire, ed inoltre mytabletguide oppure (in italiano) 10best ed anche AltroConsumo. E via di questo passo.
Qui casca l’asino (diciamo). Se verifico le specifiche di moltissimi di questi, anche usciti più di recente del mio, spesso mi scontro con modelli inferiori, in un senso o nell’altro. Le chiacchiere stanno a zero: difficile trovare modelli con oltre 4 GB di RAM e con risoluzione superiore a 2650 x 1600, appunto (avrete indovinato) le specifiche del MediaPad. Esistono ovviamente una miriade di tablet migliori – e ci mancherebbe altro che mancassero – ma praticamente sempre con il formato dieci pollici o più.
Certo un valido competitor è iPad mini (in verità un poco più piccolo, con i suoi 7.9 pollici di diagonale). Se guardo però la risoluzione, emerge che iPad vanta una griglia di 2048×1536 pixel, dunque inferiore al mio MediaPad. Certo la risoluzione non è tutta la faccendo (poi è vero, la creatura di Apple ha uno schermo più piccolo), ma passando da MediaPad ad iPad mini, sentirei di perdere qualcosa. In questi casi, conta soprattutto se uno vuole (ri)entrare nell’universo Apple, anche magari ad un prezzo un po’ elevato. C’è da capire se vale la pena, e questo è un discorso essenzialmente individuale.
Al di là del fatto che ho compreso – a distanza di anni, d’accordo – che con il MediaPad ho fatto un buon acquisto, è evidente che l’industria non punta molto sugli otto pollici. Non ci crede, non spera di poterci guadagnare abbastanza.
Il che per me rimane un grande mistero. Lo aggiungo allora ai misteri riguardanti lo sviluppo tecnologico, che ormai ce ne sono tanti. Perché la gente si è accanita per anni ad usare Internet Explorer quando era ormai un rottame capolavoro di bachi e maestro d’inscurezza e non adesione agli standard W3C, mentre emergevano già browser più sicuri ed addirittura con la navigazione a schede come Firefox, ad esempio. Oppure, perché VHS ha vinto contro Betamax, tecnicamente superiore (dice chi ci capisce).
Ed intanto mi tengo il mio MediaPad. Che certo, è rimasto ad Android Pie ma, con qualche ritocco e l’interfaccia così carina di Microsoft Launcher, al posto di quella di Huawei (ormai ferma, come è fermo il suo Android), tanto male non è.
E mi interrogo, di quando in quando, sui misteri dell’informatica.