Un futuro su Marte, un presente da vivere

Il rover Curiosity della NASA continua a fare il suo lavoro paziente e meticoloso. Curiosity è arrivato sulla superficie del pianeta rosso ad agosto del 2012, per una missione prevista di 669 giorni marziani (in gergo, chiamati sol), ma al momento di scrivere tali giorni sono diventati ben 3315 e proseguono pure (per tenerne conto c’è una pagina apposta).

Dunque una missione che ha superato abbondantemente le prudenti stime iniziali di durata, che continua a fornirci utilissimi dati e sorprendenti immagini di un pianeta che stiamo cominciando a conoscere davvero.

Uno stupendo bianco e nero per un pianeta che ormai ci attende… Crediti: NASA/JPL-Caltech

Questa immagine in bianco e nero (ma se preferite, i ragazzi della NASA ci hanno anche aggiunto i colori), acquisita un paio di settimane fa, riesce a mostrarci una grande quantità di dettagli, perché in realtà è una combinazione di due foto prese a momenti diversi del giorno, in modo da sfruttare al massimo la diversa illuminazione e mettere “in luce” il massimo di quel che si può.

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Dirupi e comete

L’imponente dirupo che vedete nella foto non è stato fotografato in una qualche sperduta regione della Terra. E nemmeno su un altro pianeta, o su una luna del Sistema Solare. No, è un panorama di una cometa. Per la precisione, è parte del nucleo della cometa Churyumov-Gerasimenko (CG in breve) ed è stato scoperto dalla sonda Rosetta, una sonda lanciata dall’Agenzia Spaziale Europea che ha incontrato la cometa CG (in orbita attorno al sole) nel 2014.

 Crediti & licenzaESARosetta spacecraft, NAVCAM; Processamento: Stuart Atkinson

Abbastanza impressionante pensare che stiamo osservando la superficie di una cometa, e che sia così frastagliata. Personalmente trovo questa immagine preziosissima, anche a livello culturale. Non siamo infatti abituati a pensare alle comete come ad un qualcosa di strutturato, come qualcosa da esplorare e solo osservando queste foto ci rendiamo conto di quanto complesso e variegato è il nostro Sistema Solare, quanti incredibili panorami ci aspettano, se perfino una cometa si rivela così complessa e variegata!

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Un Sole ancora misterioso

L’astronomia è cosa strana, in un certo senso. Riusciamo ormai ad indagare con estrema precisione fenomeni che avvengono anche a miliardi e miliardi di anni luce di distanza da noi (come la fusione di due buchi neri), così che saremmo propensi a credere che, dalle parti di casa nostra sia ormai tutto chiaro.

E invece no, non è affatto così. Perfino il nostro Sole, per quanto si possa dire che conosciamo il suo funzionamento a grandi linee, presenta ancora una serie gagliardissima di misteri, che spronano senz’altro la nostra voglia di conoscere. L’apparente paradosso riguardo al Sole (ma in generale alle stelle) è che in un certo senso è molto più chiaro quello che accade dentro rispetto a ciò che vediamo sulla superficie (per le… notizie dall’interno del Sole, peraltro, potete sempre affidarvi al vostro fidato Phòs, che su questi argomenti la sa lunga).

Il Sole ai raggi X, da NuSTAR (Crediti: NASANuSTARSDO)

Ma l’immagine di questa volta ci porta a domande molto specifiche. Perché le regioni sopra le macchie solari (in questa immagine che combina dati in banda ultravioletta con altri in banda X, tali regioni sono indicate da aloni bluastri) sono così calde? Sabbiamo bene come le macchie stesse siano un poco più fredde rispetto a ciò che le circonda. E dunque? Eccoci con qualcosa da capire bene, qualcosa non a miliardi di anni luce da noi, ma appena… ad otto minuti (e qualche spicciolo).

Per capirci qualcosa, la NASA ha spedito il satellite NuSTAR (Nuclear Spectroscopic Telescope Array) ad indagare il Sole con i suoi telescopi in banda X. Sono proprio queste immagini che ci potranno aiutare a far luce (è il caso di dirlo) sui meccanismi di riscaldamento sulla superficie del Sole. Perché si parte sempre da un’osservazione, non da un ragionamento.

Sul Sole, come sulla Terra.

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Almeno un piccolo aiuto

Alle volte, è tutto qui. Farsi aiutare. Permettere agli altri, al mondo esterno, a tutti i mondi che iniziano dopo la nostra pelle, di intervenire. Lasciare lo spazio aperto perché avvenga. Senza pretesa, ma con pazienza. Usare quello che c’è, anche, a proprio vantaggio.

L’esplorazione spaziale è come siamo noi, alla fine. Per la qual cosa, deve molto all’aiuto esterno. Anzi, farsi aiutare è diventato da tempo un must nell’impresa dell’esplorazione del Sistema Solare. Quella che vedete qui sotto è la sonda Mariner 10, che fu lanciata ormai quasi mezzo secolo fa (era il 3 novembre del 1972, per la precisione). La sonda fece ottimo uso del campo gravitazionale di Venere, per modificare il suo cammino e farsi rilanciare verso Mercurio, il suo vero obiettivo.

Una immagine artistica della Mariner 10. Crediti: NASA

Mariner 10 effettuò ben tre sorvoli di Mercurio (ne erano previsti due ma l’accorta strategia di missione rese possibile il terzo), tra gli anni 1974 e 1975. Non sarebbe arrivata facilmente a questo incontro con il pianeta più interno del Sistema Solare, senza l’aiuto del campo gravitazionale di Venere. La sonda si avvicinò fino a qualche centinaio di chilometri dalla superficie rovente del pianeta. Trasmise a Terra circa seimila fotografie mappando qualcosa come il 40% della superficie.

Grandi risultati, senza alcun dubbio. Ma non è più un segreto, il Mariner non fece tutto da solo. Tutto il contrario: si fece aiutare. E noi qui a Terra, cosa mai vogliamo combinare, senza almeno un piccolo aiuto?

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La rocciosa (e istruttiva) Rochette

Questa immagine è stata presa il 22 agosto dal rover Perseverance, mentre contempla un pavimento di rocce nel cratere Jezero, su Marte. Si vede bene una delle ruote del rover, nella parte sinistra della foto. Al centro, una roccia di ottime dimensioni, che è stata chiamata Rochette.

Rochette, una roccia tutta da studiare… Crediti: NASAJPL-Caltech

Rochette potrebbe sembrare un ostacolo per il rover, ma non è così. Almeno non la pensano così al controllo missione: anzi, è stato deciso di dare istruzioni a Perseverance per raggiungere la roccia con il suo braccio robotico e “grattare” un poco la superficie, per valutare se ha una consistenza tale da poter ottenere un campione, utilizzando la punta di carotaggio del rover.

Come sappiamo, i campioni raccolti da Perseverance saranno messi “in sicurezza” per essere portati a Terra da una futura missione.

C’è molto da imparare, dalle missioni spaziali. Quando si va in ambiente ostile, c’è poco posto per inutili ruminazioni, si va all’essenziale. Uno, gli ostacoli vanno visti come opportunità: una roccia che trovi nel cammino, la puoi guardare con curiosità, con interesse. Non come qualcosa che ti sbarra la strada. Due, devi necessariamente lavorare con una prospettiva ampia, se vuoi che il lavoro sia fecondo. La missione che riporterà a Terra i campioni archiviati da Perseverance non c’è ancora, deve essere pensata, chissà quando arriverà. Lei intanto, mette le cose da parte. Ragiona per il futuro, in pratica.

Cosa che è quanto mai urgente fare, anche sul nostro pianeta.

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Riscoprire Nettuno

Accadde una notte di 175 anni fa, precisamente la notte tra il 23 ed il 24 settembre del 1846. Gli astronomi scoprirono Nettuno, l’ottavo pianeta in orbita intorno al Sole. Non fu una scoperta casuale, ma fu guidata da una serie di modelli matematici riguardo la sua posizione. Che ci fosse un pianeta ancora tutto da scoprire, era diventato evidente dalle perturbazioni osservate nell’orbita del pianeta Urano. Era stata, in pratica, la sua gravità a svelarne l’esistenza, anche se invisibile ad occhio nudo.

Il pianeta Nettuno, visto dalla Voyager 2 (Crediti:  NASA/JPL-Caltech)

Da cosa nasce cosa, e presto gli astronomi hanno scoperto una luna attorno al pianeta. Dopo un secolo, ne è stata individuata un’altra. Grandi cose (anche qui) ha fatto la gloriosa Voyager 2 nel suo passaggio ravvicinato nel 1989, inclusa la scoperta di altre cinque lune e la conferma dell’esistenza di anelli scuri intorno al pianeta stesso.

L’immagine che ammirate è storica perché scattata proprio dalla Voyager 2 a meno di cinque giorni dall’avvicinamento massimo al pianeta (eravamo nell’agosto del 1989) e mostra la Grande Macchia Scura, scoperta proprio in questa occasione, probabilmente una tempesta di notevoli dimensioni (ci sono però interpretazioni alternative).

Voyager 2 ha da tempo lasciato la zona, tuffandosi nella sua straordinaria avventura interstellare. A quasi venti miliardi di chilometri da Terra (come documenta lo stato missione) continua diligentemente a inviarci dati riguardo il tasso di raggi cosmici.

Immersa ormai, negli spazi infiniti.

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Tra gli anelli di Saturno

L’illustrazione artistica mostra la sonda Cassini in orbita attorno a Saturno. Cassini (di cui ci siamo occupati spesso) ha compiuto ben 22 orbite intrufolandosi temeraria attraverso gli anelli ed il pianeta, terminando il suo tour di tredici anni tuffandosi nell’atmosfera di Saturno, il 15 settembre del 2017.

A spasso tra modi ghiacciati e fiumi di metano… Crediti: NASA/JPL-Caltech

La sonda Cassini ha il grande merito di averci portato tutti – ormai nell’epoca moderna della comunicazione di massa – attraverso le meraviglie di Saturno e della sua famiglia di lune ghiacciate, conducendoci nel meraviglioso e misterioso regno di mondi dove fiumi di metano sfociano in giganteschi mari (di metano, sempre) e dove getti di ghiaccio ed acqua vengono espulsi nello spazio da un oceano di acqua liquida che – secondo tutte le stime – potrebbe essere un ambiente perfetto per la vita (o almeno per farci un poco di sport, come illustriamo nel sito di Edu INAF in concomitanza con queste Olimpiadi).

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Ganimede, visto da vicino

Il più grande dei satelliti di Giove, tanto grande da superare in dimensioni il pianeta Mercurio. Parecchio interessante, anche: si ritiene che ospiti un oceano di acqua salata sotterraneo, a circa duecento chilometri di profondità, delimitato da due strati di ghiaccio. Questo è Ganimede, che ora possiamo ammirare da vicino, grazie al passaggio nei dintorni della sonda Juno della NASA.

Una luna che è ben più di un pianeta. E che custodisce misteri…
Crediti: NASA/JPL-Caltech/SwRI/MSSS

Juno è passata a poco più di mille chilometri dalla superficie, che in termini astronomici è davvero poco. Nessuna sonda ci era andata più vicino negli ultimi venti anni: fece di meglio solo la sonda Galileo, nel secolo scorso, spingendosi intrepidamente a 264 chilometri dalla superficie di questa luna.

Quella che ammirate è appena una immagine preliminare (per questo è in bianco e nero) ed è stata catturata soltanto due giorni fa. Anche rinunciando al colore, il risultato è francamente impressionante. Il grado di dettaglio che Juno è capace di regalarci è tale che non ci stancheremmo facilmente di guardare, di seguire con gli occhi i vari particolari della superficie.

Poco più di 400 anni sono passati da quando Galileo Galilei scoprì Ganimede. Ad una distanza da Terra che può sfiorare il miliardo di chilometri, ora otteniamo dei dati così precisi e definiti, che ci pare di essere lì davanti.

Galileo sarebbe sbalordito.

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