Vi avviso subito. In questo post sto per violare una regola elementare. Quella che viene insegnata appunto in ogni rispettabile scuola primaria di primo grado. La regola riguarda, chissà perché, la frutta. La conoscete, è questa: non si sommano le mele con le pere. Ora, a parte il fatto che non ho mai capito bene perché (se sommo tre pere e quattro mele avrò appunto questo, tre pere e quattro mele. Posso semmai capire che non si moltiplichino le mele con le pere: due pere per tre mele che mi darebbe?)
Per passare dalla frutta all’informatica, vi spiego la mia perplessità. Sto per confrontare Facebook con Twitter. Certo, lo sappiamo bene tutti che sono social network, ma presentano caratteristiche fondamentalmente differenti uno dall’altro. Tali che appunto rendono abbastanza inutile – anzi, mal posta – la domanda su quale dei due sia migliore. Non si confrontano mele con pere, insomma.
Attenzione a non confonderle con mele…
Una cosa in comune ce l’hanno, comunque. Sono le due reti sociali sopravvissute alla grande potatura (per rimanere in ambito agrario…) avvenuta spontaneamente negli ultimi anni: i due esperimenti che hanno ottenuto un successo stabile e (a quanto sembra) duraturo. L’ho detto, ma lo ripeto: sono gli unici due network “incorporati” nei sistemi operativi Apple. Piaccia o non piacciano i prodotti della casa di Cupertino, è un indiscutibile riconoscimento di chi sta dominando la scena.
A parte questo, in ogni altra cosa si differenziano. Twitter è più minimalista, più ferreo nel mettere limiti alla lunghezza dei post. Ha un meccanismo di “commento” che non è un vero commento, ma un link incrociato tra pagine. Questo è interessante e abbastanza peculiare: il commento rimane nella pagina di chi l’ha inviato, dunque, in suo totale ed esclusivo possesso.
Facebook ha una serie considerevole di possibilità; le pagine, i gruppi, gli interessi. Twitter ha le liste, stop.
Negli ultimi anni sono progressivamente ricaduto nell’uso quasi esclusivo di Facebook. Il motivo è essenzialmente legato al fatto che quasi tutte le conoscenze del mondo reale sono lì. Tanto che la mia timeline Twitter per molto tempo è rimasta a languire, con radi aggiornamenti.
Ci voleva una occasione particolare per farmi un po’ cambiare idea. Ci voleva il Meeting di Rimini. Nei miei tre giorni al meeting ho seguito abbastanza assiduamente l’hashtag #meeting13 su Twitter, fino a riprendere quasi senza accorgermene confidenza con il mezzo. A riapprezzarne le caratteristiche. Velocità, semplicità, meccanismo del retweet, la comodità dei “preferiti” per ritrovare una lista di cose importanti anche a distanza di tempo (non c’è in Facebook). Possibilità di usare il client che più mi soddisfa (c’è molta più scelta rispetto a Facebook). Anche, la necessità di cambiare, dopo tanto tempo. Tornare in un certo senso a sperimentare, come si faceva negli anni d’oro dell’avvento del web2.0 e ora non si fa più.
In ogni caso, al di là di tutte le considerazioni, quello che mi continua ad attrarre in Twitter è una cosa semplicissima. Per le caratteristiche intrinseche del mezzo, non è strano postare anche molti interventi brevi in poco tempo. Quello che su Facebook sarebbe considerato eccentrico, o addirittura maniacale, qui è la norma. Su Facebook ogni post è come – in qualche senso – una richiesta di commento, dunque essere oggetto di molte richieste in poco tempo è seccante. Su Twitter non c’è modo di inserire un vero commento, dunque lo senti già diverso. Così se segui un evento, come mi è capitato al Meeting, puoi inviare diversi tweet in stretta sequenza, magari con i passi più significativi di un certo intervento, ed è tutto perfettamente normale. Magari qualcuno “risponde” (alla maniera di Twitter, con un intervento sulla sua timeline, che cita la tua), magari qualcuno mette qualcosa tra i preferiti o retwitta il tuo post. Comunque ti senti più libero di postare ciò che vuoi, ciò che senti in quel momento. E soprattutto, di infilare una serie di post senza seccare nessuno.
Tra il serio e il faceto, mi verrebbe poi da aggiungere che vi sono anche altri motivi
Ho capito. @twitter ti permette di esprimerti più liberamente di @facebook. Sopratutto perché i tuoi familiari, di solito, non ci sono — Marco Castellani (@mcastel) August 25, 2013
Insomma – per una quantità di argomentazioni – starei per dire che ha ragione Don Tommaso (anche se pure lui mischia mele e pere impunemente)
Facebook ha dalla sua molti pregi, d’accordo. I gruppi e le pagine sono strumenti molto efficaci e – devo dire – ben congegnati. Li uso e intendo continuare ad usarli. Ma non è Twitter, e in nessun modo può sostituire Twitter. D’altra parte, una mela non è una pera, né può mai sperare di diventarlo.
E sopratutto certi confronti, me lo dicevano alle elementari, non andrebbero fatti…
Ogni tanto ci penso. E’ che chi non ha vissuto il tempo glorioso della sperimentazione probabilmente non può comprendere appieno. C’è stato un tempo nel quale fiorivano diverse piattaforme, si sperimentavano modelli di social network, per ogni paradigma che sembrava farsi strada, vi era tutto un sottobosco di esperimenti più o meno riusciti che avevano i loro sostenitori, e comunque ti facevano capire che c’era ben più di ‘un modo per farlo’. Di modi ce ne erano a decine, ognuno in sana competizione con gli altri.
Ci penso. Penso che Twitter è nato con una struttura così elementare che nessuno gli avrebbe dato mezzo euro di credito. Brevi post di 140 caratteri appena (fatti apposta da poter essere scritti come SMS dal cellulare), nessuna possibilità di commenti, di citazioni di altri. Poi è venuto – dalla comunità degli utenti – il meccanismo della risposta, ottenuto premettendo la “@“ al nome dell’utente al quale si vuol parlare. Poi è stato integrata una dinamica di citazione, di ‘retweet’. Sono arrivati gli hashtag.
Oggi Twitter è il paradigma assolutamente imperante per questo tipo di social network. E’ uno standard, non più una particolare realizzazione. E’ come la posta elettronica – non è percepito come un servizio commerciale di un dato fornitore. E’ quel servizio. Basti pensare che quando Benedetto XVI ha aperto il suo microblog, logicamente lo ha fatto su Twitter. Logicamente, realisticamente: perché è “lo” standard per il microblogging (tanto che quest’ultimo termine comincia a perdere di significato, visto che dovrebbe indicare una galassia di servizi per la quale la luce di uno solo offusca tutti gli altri). Onestamente: ogni altra scelta sarebbe sembrata “strana”, non trovate?
Ma prima no. Prima c’erano altre strade, altre vie. Altri modi di vedere il mondo. Ecco, prima c’era Jaiku. Ricordiamocelo. Quando Twitter non aveva ancora nulla, Jaiku aveva messo su un vero sistema di commenti, ad esempio. Non solo. Aveva i gruppi: potevi associarti ad un gruppo con cui condividere un dato interesse, ognuno con il suo forum di discussione. Jaiku inoltre aveva un client per Symbian che – per l’epoca – era davvero un gran bel pezzo di software. L’ho usato sul mio Nokia 73 e vi posso garantire che era splendido. La scommessa per il mercato mobile era stata lanciata. L’alleanza con Nokia (dire Nokia qualche anno fa era come dire iPhone oggi) un’arma formidabile.
E’ stato un bell’esperimento…
Poi per qualche motivo la scommessa è stata anche persa. Jaiku è prima stato comprato da Google, poi è defunto. Qaiku – nato sul suo modello – ha subito lo stesso destino. Il mercato è implacabile. E ha leggi a volte imperscrutabili.
Facebook aveva pure i suoi antagonisti. La guerra Facebook – MySpace, chi se la ricorda ora? Chi dice più “cercami su MySpace?”. Senza contare tutti gli altri network che spuntavano come funghi. Bello il periodo che è passato. Ogni giorno c’era una cosa nuova da provare. Fotografie di un passato recente, che sembra già antichissimo.
Ora il mercato ha scelto. Si è ristretto su Facebook e Twitter (Google+ tenta di entrare in partita, ma non mi è chiaro quanto riesca davvero). Prima era divertente (tanti network con cui giocare, sperimentare) e frustrante (per collegarti con Tizio dovevi registrarti da una parte, con Caio dall’altra…). Ora è efficiente, utile (o inutile), rapido (siamo tutti su Facebook), e… noioso.
Sì, dal punto di vista tecnico, noioso. Perché abbiamo perso lo stupore e la varietà. Non abbiamo più che un solo modo di vedere le cose.
Continuo la mia disquisizione sugli ebook di Amazon già iniziata nel post precedente. Che ci volete fare, a me piace ragionare di queste cose e… Ah ecco: na caratteristica su cui non mi sono soffermato, è l’aspetto social che contraddistingue tale negozio di libri digitali.
E’ una caratteristica che garantisce – soprattutto con i libri più diffusi – una esperienza di lettura sociale decisamente interessante e assolutamente inedita, per il corrispettivo cartaceo. Leggendo un ebook di Amazon (su Kindle, su iPad…), puoi imbatterti in alcune frasi che sono state evidenziate da un gran numero di lettori. E’ stimolante vedere se le frasi che sono più importanti per te lo sono anche per altri.
Un’altra cosa simpatica è la facilità con cui puoi pubblicare le frasi che a te piacciono sui social network, Facebook e Twitter. In realtà ogni libro venduto su Amazon si guadagna una sua pagina dove afferisce tutta l’attività dei lettori intorno al dato volume. E’ una esperienza di fruizione del testo del tutto inedita, chiaramente facilitata dal passaggio al digitale. Ecco per esempio la pagina di un libro che a me piace molto, Cose che nessuno sa. Come si può vedere seguendo il link, il libro ha una pagina sociale composta dall’attività dei vari lettori, che evidenziano ed annotano dei singoli passaggi.
Una citazione dal libro di Alessandro D’Avenia.
Questa è una cosa che – a quanto ne so – ancora non ha alcun corrispettivo degno di nota, almeno da parte di iBook o di Google Play Books. Devo dire che è abbastanza nuovo come esperienza, prendere in mano un libro (ops.. un lettore con un libro) molto diffuso e imbattersi in passaggi dove viene riportato questo lo hanno evidenziato 2000 persone… Amazon ci sta insegnando che leggere un ebook è anche una sorta di avventura sociale. Il passaggio al formato elettronico allora non è più una semplice trasposizione ma fornisce davvero qualcosa in più.
E ho la sensazione che la strada sia appena all’inizio: già compaiono i primi esempi di riviste digitali che vanno oltre la semplice trasposizione dell’edizione cartacea, aggiungendo interattività, contenuti multimediali, etc…
Più il tempo passa, più il riferimento non sarà più il cartaceo, ma l’edizione digitale, con tutti i contenuti supplementari che questa può veicolare.
Una strada tutta da percorrere, per gli amanti della lettura.
Google Plus, il social network del gigante del mondo della ricerca (inteso come motore di ricerca, non come attività scientifica!) è da poco diventato aperto al mondo: da ora ci si può iscrivere senza più bisogno di inviti.
Nei circa novanta giorni in cui G+ è rimasto in fase sperimentale, il team non si affatto preso una vacanza, ma ha lavorato sodo apportando circa un centinaio di miglioramenti all’interfaccia e alle potenzialità del nuovo social network. Segno che stavolta Google ci crede davvero, e ci mette la faccia (e una consistente operosità). Stavolta finalmente Facebook ha uno sfidante serio. Dico finalmente perché credo che la competizione sia più che mai salutare, in questo campo. Anche a costo di creare un pochino di confusione, dovuta al fatto che – ovviamente – i vari network non si parlano. Il profilo su Facebook non ha modo di interagire con quello si G+. Sarebbe bello un protocollo minimo comune – allora essere su un network sarebbe come avere un indirizzo di posta: posso interagire via email anche con chi ha un differente provider (grazie al cielo). Ma tant’è, al momento .
Ora su G+ si può anche disegnare…! (dal blog di Google Plus)
E’ intrigante, comunque, accorgersi come i due network si stiano studiando. Se G+ ha preso moltissimo da FB, nei meccanismi e nelle dinamiche essenziali (fino a livelli di dettaglio come la recente l’introduzione dei giochi) è anche vero che nelle ultime settimane lo spesso dormicchiante lento sviluppo di FB ha avuto un sussulto di attività: guarda caso, è stato anche introdotto un meccanismo simile alle cerchie di G+, ovvero una gestione più completa e più immediata di liste diverse di amici. E altre grosse novità pare siano in imminente arrivo.
Il risultato netto, alla fine, è che uno si trova con un profilo su entrambi i network. Sì perché anche se appassionati di G+, Facebook non è facile da abbandonare (e non mi riferisco ai problemi più volte sollevati di rimozione degli account). Non è facile perché ha molte cose che funzionano proprio bene, e che ancora G+ non possiede. Prendiamo soltanto l’esempio delle pagine. Strumento efficacie e flessibile per creare “comunità” attorno ad un progetto, ad un sito, ad un interesse. Ad esempio, se ora io lasciassi FB, a chi li abbandonerei i 730 e passa fans della pagina di GruppoLocale??
Con buona pace di progetti pur interessanti come Diaspora (che reclama come sua – con qualche ragione – l’idea delle liste di utenti), mi pare che G+ sia l’unico credibile concorrente di Facebook, al momento. E non penso la situazione possa cambiare a breve. Ora come andrà? Ci abitueremo a due network? Tornerà uno a prevalere sull’altro? Si parleranno, prima o poi, in qualche misura? Come dice l’amabile canzone di Battisti, lo scopriremo solo vivendolo….
Il varo di Google+ è anche un’occasione per riflettere un pochino su come nasce un social network nell’epoca attuale. Oggi solo una organizzazione gigantesca come Google osa sfidare davvero Facebook, per ogni altro soggetto sulla rete, sarebbe una follia (e forse lo è comunque?)
Ben diverso è stato l’inizio dello stesso Facebook, partito come sappiamo nel 2004 per opera di uno studente allora diciannovenne che si divertiva al computer, e due suoi amici. L’idea come sappiamo è risultata vincente, oltre ogni aspettativa. Ma l’inizio è stato assolutamente “minimo”, in termini di risorse, senza nessuno studio particolare di progettazione. Giusto per divertimento, e per inseguire un’idea.
Una parte della pagina Google+
Quell’idea è diventata una fonte di guadagno incredibile, sollecitando gli appetiti di organizzazioni elaborate e gigantesche come Google, che ha sicuramente impiegato consistenti risorse di uomini e mezzi per sviluppare il suo plus, la sua risposta a Facebook – quel sito creato da un piccolo gruppo di curiosi adolescenti.
Ma oggi, una partenza come quella di Facebook, sarebbe ancora possibile? Due ragazzi e un computer, potrebbero ancora bastare per sviluppare un’idea vincente, o il web si è troppo “scafato” e abbiamo perso l’immediatezza di pochi anni fa?
Dunque Google – nonostante i passi falsi compiuti fino ad ora- non rinuncia alla ricerca del settore di mercato dei social network, più che mai importante e redditizio, e oggi praticamente tutto in mano a Facebook. Lo fa in questi giorni, svelando la sua ultima creatura, battezzata sinteticamente Google+ . Il lancio sembra preparato con cura. Da notare che tutte le pagine rilevanti di spiegazione si trovano anche in italiano, dunque l’attenzione al mercato internazionale c’è ed è in campo fin dalle prime ore.
La pagina di spiegazione del progetto Google+ parte in grande “Tra i bisogni fondamentali dell’essere umano c’è sicuramente quello di stringere relazioni con gli altri”. Una partenza piuttosto “alta”, che inizia tramite considerazioni sulla condizione umana, per poi comunque planare rapidamente sulla “visione Google” dello stato degli attuali social network, stigmatizzandone i limiti (“il problema è che gli attuali servizi online trasformano l’amicizia in un supermercato: prendono le persone e ci appiccicano sopra l’etichetta “amico”. E la condivisione ne risente.”) Segue in alcuni punti il dettaglio di tale affermazione, che comunque trovo “interessata ma condivisibile” (dove la cosa più straordinaria è il fatto di non voler scrivere “Facebook” intendendo esattamente “Facebook” e dunque di dover ricorrere a curiosi giri verbali).
Come potrete leggere, l’approccio di Google ai problemi delineati si basa sul concetto di “cerchi”. Si possono creare cerchi di amici e conoscenti, con opportune regole di condivisione, stabilendo di fatto una granularità molto maggiore di quella permessa oggi da Facebook (il quale propone un approccio che taglia corto, o sei amico o non lo sei: se sei amico condividi tutto, se non lo sei – di norma – non vedi quasi nulla).
L’idea è che puoi voler condividere certe cose con certe persone, e altre con persone diverse (un pò come nella vita reale, in pratica). La cosa potrebbe funzionare; di fatto l’approccio di Facebook è un pò semplicistico, con lo sguardo odierno nutrito della complessità del web 2.0, e pone oggettivamente dei problemi nell’ambito della comunicazione, non consentendo livelli di privacy fini… sarà per tali questioni che a fasi alterne il sottoscritto viene disamicato da Facebook dalla sua stessa figlia: evidentemente non tutto quello che passa tra lei e le sue amiche deve essere accessibile ad un genitore 🙂
I già famosi “cerchi di Google+”
Ecco, mi viene da pensare che con Google+ sarei finito semplicemente in un altro “cerchio” dove presumibilmente vengono fatte passare informazioni alle quali anche un genitore è ritenuto in grado di poter essere esposto… Scherzi a parte, la cosa mi sembra interessante, a patto che si mantenga semplice e intuitiva nell’uso.
Bisogna dire che Google di passi falsi, nel campo dei social network, ne ha fatti già abbastanza (acquisizione e successivo abbandono di Jaiku, Google Wave in chiusura, l’incerto Buzz…). Avrà imparato qualcosa da questi flop? E se invece avesse addirittura imparato dagli errori di Facebook? Non manca nemmeno chi dice, come il celeberrimo David Winer, che la cosa è troppo complessa per funzionare davvero.
Solo il tempo potrò dirci se questo approccio riuscirà a scalzare Facebook da quello che ormai sembra un trono molto saldo (e redditizio). Google ha dalla sua la pervasività dei suoi servizi, per indurre le persone a provare il nuovo G+ (e ben presto vedremo gli opportuni link spuntare fuori da tutte le pagine del colosso del web).
In ogni caso, la sfida tra Google e Facebook si sta facendo più accesa.. bene per tutti, possiamo aspettarci una competizione virtuosa nel rilasciare dei prodotti di qualità, ad indubbio beneficio degli utenti.
La complessità del progetto (di cui i citati cerchi sono solo un aspetto), da come si inferisce dalle anteprime, sembra testimoniare per un impegno deciso di Google, che probabilmente non vuole giocarsi la credibilità che ha grazie ai suoi servizi in un ennesimo social flop. Staremo a vedere: si accettano scommesse (e commenti…)
Interessante l’articolo sul Sole 24 Ore riguardo quello che ci insegna la “caduta” di MySpace. Sappiamo bene come è andata; il braccio di ferro tra i due giganti si sta chiaramente risolvendo a favore di Facebook, decretendone la vittoria, ormai indiscussa, come social network “di riferimento”. Praticamente uno standard.
Su qualche aspetto dell’articolo, tuttavia, ho delle riserve. Dalla lettura del pezzo, difatti, si ha l’impressione che Facebook abbia vinto per la sua intrinesca semplicità, mentre la possibilità elevata di personalizzazione di MySpace abbia invece giocato negativamente sulla sua diffusione.
Ecco, non ne sono proprio proprio convinto. Mò ve spiego…
Intanto mi pare che la semplicità di Facebook sia soltanto apparente; in realtà le opzioni di personalizzazione e le possibilità espressive sono abbastanza ampie, anche se molte “nascoste” abilmente sotto il tappeto. Postare video ed altro materiale multimediale in maniera molto facile, dare il like anche ai commenti (gradevolissima funzione), condividere facilmente i post e le foto di altri, taggare le persone nelle foto… Tutti esempi di potenzialità piuttosto alte e di notevole flessibilità, a pensarci bene.
A ciò possiamo aggiungere i gruppi e le “pagine”. Questa è una vera trovata di Facebook sviluppata in maniera funzionale, e si dimostra uno strumento efficacissimo per creare e mantenere una community intorno ad un tema o ad una pagina web (quella del nostro sito cugino GruppoLocale ha al momento 625 fans); presenta inoltre per gli amministratori un set di strumenti di analisi traffico di tutto rispetto e completamente gratuiti.
MySpace, per quel poco che ci ho giocato, non mi sembrava altrettanto flessibile (magari non ho colto qualcosa, lo ammetto). Certo, potevi cambiare i colori e il tema della tua pagina, mentre Facebook è rigidissimo in questo. Ma per il resto ho maturato l’impressione che Facebook sia uno strumento pià agile (non necessariamente più semplice) per interagire con altre persone. Evidentemente, non sono stato il solo.
Poi, è vero che gioca anche una sorta di effetto gravitazionale, più gente si condensa intorno ad un servizio, più ne viene attirata altra. La standardizzazione non è necessariamente solo un impoverimento, ma apre possibilità inedite. Tanto per dire, se ora voglio interagire con i simpatici mattacchioni della trasmissione radio 610 (Sei Uno Zero) su Radio Due, oppure con i più seri ma gradevolissimi conduttori di Ben Fatto (Radio Uno) che faccio? Vado su Facebook. E Il ruggito del coniglio (ancora Radio Due) dove lo mettiamo? Praticamente ogni trasmissione radio o televisiva ha la sua pagina. Se poi voglio scambiare due chiacchere con il gruppo che fa Pilates nella mia palestra, che faccio? Vado su Facebook. Idem per i colleghi di lavoro, per l’amico delle scuole medie. Caspita, trovi tutto lì, ormai.
A proposito… Ieri ho visto il film, intelligente e molto garbato, “Che bella giornata”. Beh, lo sapete che fa il protagonista Checco Zalone per cercare la ragazza che ha incontrato per caso (o così almeno lui pensa)? La cerca su Facebook, come prima cosa (sulle note di una gustosissima canzone “Se mi aggiungerai”: “«Se inventavo io Faceboòk una regola avrei messa, niente foto sul profilo se sei cessa….”). Efficace fotografia della realtà attuale!
Facebook ha una discreta “parte” anche nel recente film di Checco Zalone “Che bella giornata”
Chiaro che questo può avere aspetti discutibili o margini di “allarme” per il fatto che tutto questo traffico di idee e parole passi per una sola piattaforma, con il potere enorme che si trova tra le mani chi l’ha creata o la gestisce. Ma non si può negare che questa si sia dimostrata finora in grado di fare fronte alle esigenze di connessione sociale proprie di questa epoca.
Un altro aspetto, marginale ma non troppo, che non viene menzionato nell’articolo del Sole 24 ore. La pubblicità. Quella di MySpace l’ho trovata da subito troppo invasiva e assai fastidiosa, con quel grosso banner centrale che campeggiava in ogni pagina. Facebook di pubblicità ne ha, nemmeno troppo poca. Eppure sembra abbiano trovato un modo per far si che non sia troppo fastidiosa. A volte neppure si nota troppo, con quei piccoli box a lato. Sono certo che l’avversione del fondatore Mark Zuckerberg ai banner pubblicitari (chiaramente documentata nel libro “The Facebook Effect”) abbia avuto un peso, in questo senso. E secondo me ha fatto, insieme ad altre cose, la differenza.
Per il resto, tutto si muove molto velocemente, sul web. Appena ieri Yahoo era il gigante indiscusso della rete, oggi è per molti versi quasi allo sbando. Che succederà a Facebook, nel medio/lungo termine?
Del domani non vi è certezza, soprattutto sul web…
Mi sto accorgendo che, pian piano, sta riuscendo a Facebook (forte della sua amplissima diffusione, che la rende praticamente uno standard “de facto”) quello che non è riuscito praticamente mai a nessuno (intendo sul serio). Avete presente quei tastini blu con “mi piace” che compaiono sempre più spesso nei diversi siti? Quelli che segnalano su Facebook il gradimento di una qualsivoglia pagina web, per capirci. La cosa simpatica è che oltre al numero di persone a cui piace una data pagina, vengono elencati espressamente i tuoi amici che hanno dato il gradimento. Siccome gli amici vengono scelti anche in base agli interessi, non è raro trovarne nelle pagine che visitiamo personalmente.
Per esempio, a me che per lavoro e per passione scorro diverse pagine e siti di argomento astronomico (e sempre di più trovo implementate i widget di Facebook), non è raro imbattermi in un sito che trovo già “apprezzato” da alcuni miei contatti. Questo innegabilmente rende la navigazione meno impersonale e aggiunge in alcuni casi un gradevole senso di comunità.
In questo modo si ottiene una sorta di “gradimento” della pagina, per di più “personalizzato”, che tanti indici e rank secondo me non sono mai riusciti a rendere interessante.