Blog di Marco Castellani

Categoria: Tantardini

Senza condizioni?

Andiamo subito subito al dunque, senza girarci intorno. 

“Lui mi ama / senza condizioni.”

Leggo questa frase in una poesia di Marco Guzzi, riproposta proprio in occasione di questa Settimana Santa, e mi rimane addosso. Ci rimango addosso. 
Il significato che trasporta è dirompente, scardina ogni logica a cui il mio sistema di pensiero si è abituato. Questa frase presa sul serio, forse solo questa (o qualche frase che comunque esprima lo stesso equivalente concetto), può bucare la retorica dei discorsi d’occasione, solo il rilancio di questo perpetuo scandalo di ogni porzione benpensante in noi, questa ingiustizia bellissima. Questo svincolo soave dall’ansia di prestazione, dalle logiche di marcato, dal dare per avere. Avere gratis, furfanti come siamo. Questo è veramente qualcosa che interessa, che ancora desta curiosità.

Nella radicale delicatezza di una promessa di amore, si salvano le sfumature…
Avverte Don Giussani, nella frase che è stata posta nel volantone di Pasqua di quest’anno, che io resto quel povero cristo che sono, ma con Cristo sono certo, ricco.
Se ascolto il mio cuore, sento che è il suo desiderio più grande, più bello e più grande: essere amato senza condizioni. Le cinque parole più belle del mondo. Fatemi una frase più bella di così. Se ci riuscite. Io non riesco. Riprendo la poesia di Marco, perché mi fa respirare, e mi allargo, espando e riprendo le parole antecedenti, anteriori di quella bellissima frase…

“… posso amarlo senza paura,
abbandonarmi a Lui, alla Vita,
con tutto il cuore colmo di speranza,
perché Lui mi ama
senza condizioni.”

Questo è estremamente liberante, a pensarci già zampilla un inizio di gioia, già zampilla una nascosta Pasqua, può zampillare perfino tra le pieghe dolorose di un Venerdì Santo, dei tanti venerdì santi della mia inadeguatezza congenita ( e santa, in qualche modo, perché amata). Già c’è, lo sento. Perbacco! Essere amati senza condizioni è la buona novella, la più buona novella immaginabile. L’unica buona novella che ancora possa sorprenderci, l’unica buona novella in assoluto. L’unica novità perpetuamente più moderna del nostro sentirci moderni.
Ormai non abbiamo voglia di sentirci dire null’altro. Meno che mai ammonimenti morali. Ma per carità! 
Non abbiamo che voglia di persone (qualsiasi cosa credano) che ci ricordano  – prima ancora che con le parole, con il volto – la scommessa più alta in gioco, qui ed ora: la scommessa di un amore eterno e invincibile, inarrestabile ed immutabile.

Questo mette in salvo la mia vita, se ci credo, ammorbidisce le asperità, quando ci credo, e mi apre sempre, quando mi affido, un riposo di mille sfumature tutte da esplorare, da guardare, da accogliere. 

Come dice Santa Teresina,  tanto amata da Don Giacomo,

Che importa, mio Gesù, se cado ogni istante, in questo modo vedo la mia fragilità ed è per me un grande guadagno… Voi, in questo modo, vedete ciò che posso fare e sarete così più tentato di prendermi in braccio.

Essere presi in braccio. Essere amati, sempre e comunque. 
Custodisco questo pensiero, provo a giocarci un attimo, a nutrirmene.
No no attento, una parte di me dice no, c’è il trucco, si pretenderà pur qualcosa.
Devo essere all’altezza, devo cambiare.
E’ dura questa parte, è incattivita e rabbiosa. Va bene, la lascio essere, non devo essere cattivo con lei, chissà cosa ha sofferto. Che poi lo so, cosa ha sofferto, cosa ho sofferto. Decenni di separazione, di angoscia, di richiesta disperata d’amore, in me. Il vuoto addosso, e un grido d’amore, perfavore amami, ti prego, perfavore salvami.
Decenni, in me. Millenni, dietro di me, ancora dentro di me.
Va bene, ci lavoriamo. Dovrò amare anche il mio bisogno d’amore.
O piuttosto, lo dovrà amare Lui, io non posso. Non riesco, non capisco.
Capisco che Lui può, è la prova gustosa dell’Onnipotenza.
Che bello che Lui possa, amare ciò che io non riesco. Dà gusto.
Così io intanto riposo, avendo affidato a Lui il compito di amarmi.

Certo. C’è tutto un lavoro che dovrò fare,  che devo fare, di emersione dalla paura, di guarigione. Per capire, per lasciarmi insegnare, per lasciarmi guidare dai maestri, per ambientarmi, mettere casa nell’idea che niente, che non c’è da aver paura, non c’è troppo da aver paura. Ma capirlo con delicatezza, con limpida precisione. Già e non ancora, esattamente.

Riprendo il pensiero, lo guardo, come un dono.

Davvero, senza condizioni? Ma come può esserci qualcosa più bello, più bello di così? Quel senza condizioni allora è un proiettile, è un moto di rivoluzione (personale e sociale), è una alleanza mistica di parole, è un soffio, un’idea pazza, santamente pazza, che sgretola millenni di sensi di colpa e inadeguatezza. Ogni volta, ogni giorno, li sgretola di nuovo.
Se lui mi ama senza condizioni, quando io lo sento,
io sono il furfante, il brigante più leggero di tutti:
il più contento.
Auguri.
(Questo testo è la rielaborazione di un commento su un post del blog Darsi Pace)

Loading

Benvenuto papa Francesco

Sono rimasto un attimo interdetto, quando ho sentito il nome. Come molti, probabilmente. Eppure mi è bastato attendere qualche momento, vederlo affacciarsi con quel modo così affabile.. è bastato quel Buonasera con cui si è presentato, misto di gentilezza e premura…

Stavo portando mio figlio in palestra, erano da poco passate le sette di sera. Mi arriva un SMS da mia moglie con scritto soltanto papa (mia moglie è ampiamente sintetica nei messaggi). Per un attimo penso papà. Qualcosa a  che fare con i figli. Mi sarò scordato qualcosa? papà devi fare questo, mi devi portare… Boh. Eppure arriva da mia moglie. Poi capisco. Papa. 

Porto Andrea in palestra. Faccio un giro con la macchina e poi ritorno a prenderlo all’uscita. Cavoletti, vorrei andare a casa ma c’è troppo traffico: non ce la faccio ad arrivare in tempo per vedere la diretta. Ormai andare direttamente a San Pietro non è praticabile, arriverei tardi e sarà già pienissimo di persone. Ritorno alla palestra di Andrea anche se è presto.
Come da copione, sono in anticipo e devo aspettare mezz’ora. Che faccio? Mi metto nel parcheggio e inizio a guardare la diretta dall’applicazione ThePopeApp dall’iPhone. L’avevo scaricata qualche giorno fa, quasi per curiosità. Ora che ci sia bella pronta e disponibile è – possiamo dirlo – quasi una benedizione. Sono un po’ a corto di batterie, speriamo di farcela… 20%… 10%… Ce la faccio, ce la faccio ancora. Così riesco a non perdermi i momenti in cui papa Francesco si affaccia, seguo il suo discorso, posso ricevere la sua benedizione.
(Però andiamo, chi ci avrebbe mai pensato, che avrei seguito i primi momenti del nuovo pontefice in un parcheggio di una palestra, seduto in macchina con l’iPhone che trasmette lo streaming…!)
Così posso stupirmi dell’essenzialità che Francesco porta, la sua mite gentilezza fa breccia in quell’attimo di iniziale incertezza. Avevo le mie ‘simpatie’, come tutti, com’è naturale, probabilmente. Ma pure – almeno un pochino – la consapevolezza che grazie al cielo c’è Chi interviene e dunque mi posso pienamente fidare.

E a casa mia moglie mi ricorda che l’abbiamo anche “incontrato”. E’ venuto tempo fa, a celebrare delle cresime nella basilica dove andiamo di solito. Amico del sacerdote che abbiamo seguito per anni. Poco dopo, la sorpresa di ascoltare l’intervista in televisione a Don Donato, che ha battezzato due dei miei figli, parroco di una chiesa non lontano da casa mia. 

Così tutto si incastra, per me. Segni di una storia personale che continua. Una traiettoria che nonostante tutte le resistenze e le deviazioni, invita sempre di più ad affidarsi al Mistero, a dire Sì a Cristo e a dirlo spesso
C’è una Storia grande che si riverbera in tante storie personali, in un modo misterioso e penetrante e adeguato ad ognuna. Non so spiegare come mai, ma lo avverto in modo sempre più netto, limpido: le circostanze sono per me, sono un invito alla mia libertà. 
Dice Don Giussani, in una frase che mi risulta sempre più vera, fino a diventare quasi un criterio di interpretazione del reale…. Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattore essenziale e non secondario della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama. 
Sono perché cresca, perché io cresca: così sono aggangiato a tutti e (quando ho questa coscienza) tutto mi interessa. Così – oso dirlo – anche questo papa, questo regalo dato alla Chiesa, in fondo, è per la mia crescita, per il mio percorso di guarigione/conversione, è… per me.

Loading

Quando fuori piove…

Fuori piove, ascolto smooth jazz negli auricolari. A casa le persone sono dietro le varie attività, computer, televisioni. Vedo gocciolare dalla finestra. Davanti al mio naso, non molti metri in linea d’aria, c’è un bel pino grande. Sta in silenzio, assorbe l’acqua che gli cade addosso. Oserei dire che è contento.
Alle volte sono nervoso, teso. Misteriosamente. Spesso lo sono in molti, del resto. Chissà perché mi viene in mente di nuovo, che la conversione non è, come avevo spesso immaginato, uno sforzo morale o ascetico, un nuovo obiettivo da raggiungere, un salire. Ora mi viene in mente, come mi veniva in mente qualche tempo fa, che è un nuovo modo di guardare, più rilassato, tranquillo, benevolente. Uno scendere. Come quando sai che non tocca a te di fare tutto, di sistemare tutto quanto. Tranquillo, mi dico: non tocca a te sistemare nemmeno te stesso.

Rain Texture


Ridurre la fede ad etica, a morale, è quanto di più pericoloso ci sia per il cuore dell’uomo. Poi non si capisce più nulla, basta vedere (o immaginare) che un uomo noto (magari un politico) dichiaratamente cattolico, sbagli, e subito si grida allo scandalo. 
Perdendo di vista che la partita che ci interessa non è innanzitutto per la moralità, la partita vera e decisiva è per la felicità. 

Soprattutto non si capisce che la fede non è un’ennesima sovrastruttura, qualcosa per fissati. Ma è qualcosa per gente che si vuole davvero godere la vita, attimo per attimo. E siamo sempre in viaggio, sempre soggetti ad errori. Ma la strada è bella, e non è definita dagli errori. Abbiamo ancora un lungo cammino davanti e siamo felici di poterlo percorrere”, come dice Carron nella bella lettera a La Repubblica del primo maggio.
Fuori piove e io (ri)scopro, che se porto intorno questo sguardo, questa coscienza più tenera e rispettosa di quanto esiste dentro e fuori di me, sono meno nervoso, meno teso. Mi piacerebbe essere così, come un albero che aspetta il sole e la pioggia, e respira. 
Questioni di essere presi in braccio, alla fine. Come la frase di Sant’Ambrogio che era cara a Don Giacomo Tantardini, che tanto ha insistito, fino alla fine, sulla semplicità della fede.

Vieni dunque, Signore Gesù… Vieni a me, cercami, trovami, prendimi in braccio, portami. 

Quando comprendiamo che abbiamo davvero bisogno di essere portati in braccio, possiamo vedere accadere miracoli. E’ quando finalmente cediamo ad un Altro, che comincia lo spettacolo.
E’ molto più bello essere cercato dalla Verità, che cercarla. Credere è ammettere di poter essere cercati, in fondo. Questo ribalta tutta la questione. Cambia il verso della freccia. Ci permette una salutare passività. Non oziosa, ma contemplativa. Come davanti ad una cosa bella.

Che bello quello che ha detto Carròn ai funerali“don Giacomo ci ha testimoniato la bellezza dell’essere cristiano e ha trascinato tanti di noi dietro di lui. “

L’albero davanti a me. Ecco. Un albero non si giudica, per esempio. Vive e respira. Le radici ben piantate nella terra, sa cosa lo tiene in piedi. Io non giudico nessuno, nemmeno me stesso esortava tanti anni fa Don Luigi Giussani. 
Rileggo. Volevo dare a questo post un’atmosfera, un senso meno diretto, più allargato, errante. Un procedere in linea curva, docile, non rettilineo. Come pensieri durante un giorno di pioggia… Non so se ci sono riuscito, alla fine mi faccio prendere la mano, cerco istintivamente di trovare una tesi e dimostrarla… e non è quello che conta, non contano le parole. 
Anzi, alle volte ci vuole un vuoto di parole, uno spazio di silenzio.
Perché conta questo, la dolcezza del cuore, quando si sente grato.

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén