Conosci il respiro e quel volo di stelle che la sera riempie l’aria e ti lascia
sola, nello spazio stesso di quel respiro sbigottita nella pace inedita propria d’esser sola tra quel pazzo flusso di astri, che ti inebria d’orzo e grano il ventre.
Che poi solo il tuo sorriso lo sa, lui soltanto lo sa il come ed il perché le stelle volino, che qualsiasi
trito discorso le tirerebbe tutta a terra, non splenderebbero più né mai ardirebbero ancora, di volare.
Volan stelle solo, se il tuo sorriso le tiene sempre per l’aria, il tuo dire e non dire che c’è sempre questa via di gioia le mantiene tutte slanciate nella loro corsa siderale, perché
alla fine è così proprio così, tutte le stelle sempre ti guardano, ogni istante ti guardano per sapere cosa fare per sapere se un tuo dire di sì un tuo sorridere, le lascia esistere
Parole parole parole. Ogni cosa è avvolta di parole, può essere avvolta, può, in modo che non fa male, entra docile con le altre cose, non fa male. Un mondo che finalmente non fa male.
Ogni respiro è avvolto di parole.
Le tue gambe sono avvolte di parole, di ragioni.
Le tue gambe sono fasciate di parole, come mattini di aprile.
Il tuo sguardo intero è sempre pieno di parole, dette, non dette.
Troviamo una strada nelle parole, come nido di uccelli in primavera.
Il tuo sesso è odoroso di parole,
se tace fa male, colpisce fitto.
Se parla è dolce, lento, leggero. Mi culla.
Lo posso respirare.
Così percorri le strade gialle di luce
nel piccolo borgo
e appena capissi che senza parole non ho più te, non ho te non ho
nessuno, non sono niente.
E il coraggio lo bevo dalle luci gialle
dalle donne che allegre passano in strada
non posso amarle tutte, averle tutte e devo scrivere.
Sto scrivendo, vedi.
Non torni qui che in luce riflessa. La tua figura oggi mentre ti vestivi
dicevi “sì tu ne hai pieno diritto”
– di vederti nuda, intendevi.
Diritto di parole tese, teso muscolo verbale. Genitale.
Ti inchinavi al mio diritto generativo eppur mi domina intera – adesso –
la tua architettura di femminilità in potenza,
gemito elettrico nelle placide ore estive.
In Provenza,
ove le parole gemmavano dalla tua giovane pelle,
specchiavano il mio futuro
incastonato icasticamente fra le tue ossa.
Di vederti nuda, intendevi.
Nuda. Congiunzione, impavida legatura del discorso.
La scrittura è nuda, le parole sono ormai spoglie:
tu sei fatta di parole, alla fine.
Sei detta quindi sei.
Quale verbale ardire penetrare tra le parole
come aprirmi strada tra le tue labbra
farti di parole e bianca schiuma di sostantivi.
Riprendersi lieve l’ordine delle cose, parlandole. Finalmente. Aspetta!