Microsoft ed Android, prove tecniche di convergenza

In questi tempi di progressioni furibonde e di convergenza sempre più spinta tra fisso e mobile, c’è una cosa che mi pare particolarmente degna di nota. Una cosa da seguire con attenzione, in questo  nostro piccolo laboratorio. Del resto, ogni ipotesi e schema di convergenza è interessante. E’ un allaccio di universi distinti, una strada di amicizia tra protocolli diversi. Un cammino che non è scontato a priori, ma è sempre una avventura.

Sappiamo bene della convergenza che è in atto da diversi anni, nell’interno del mondo Apple: chi ha un telefonino e un computer con il celebre marchio della mela morsicata, si trova piano piano a disporre di un ambiente integrato e sempre più omogeneo, con possibilità estesa di dialogo tra i vari apparecchi, con possibilità di riprendere il lavoro spostandosi da uno all’altro apparecchio, sincronizzazioni automatiche, e via di questo passo. Indubbiamente molto comodo.

Prove tecniche di convergenza (vabbè, con un po’ di cammino…) 

L’altro lato della faccenda, è che se ti capita di mettere un piede fuori da questo ecosistema, iniziano le difficoltà, cominciano i guai.

Se poniamo (non sia mai) ti risolvi a ritornare su Android, per il tuo smartphone, ma ti mantieni più o meno aderente ai dettami Apple in quando computer e/o portatile, devi certamente venire a patti con una prevedibile difficoltà di interfaccia, tra i due mondi. Per esempio, se colleghi il tuo Android al tuo iMac, non ti aspettare che avvengano cose particolarmente audaci.

Infatti, non accade nulla.

Certo, puoi montare Android File Transfer, così hai accesso ai file del tuo telefono, da computer. Ma in modo parecchio spartano, peraltro.

Ovviamente, se invece colleghi l’iPhone all’iMac, ti si apre un mondo. Sempre secondo quanto è stato già stabilito da altri, però. Esempio, il trasferimento della musica lo fai solo attraverso iTunes, altrimenti te lo scordi proprio. Il filesystem dell’iPhone è peggio della materia oscura, del resto: non lo vedi proprio, per quanto lo cerchi. Al di là di questo, che può piacere o no: indubbiamente l’ambiente ti viene incontro per facilitarti in quel che devi fare.

In questo contesto, è degno di nota lo sforzo di Microsoft la quale – dopo aver abbandonato il tentativo di sfondare con i suoi Windows Phone (chi ce l’ha ancora?) – si sta applicando seriamente per realizzare una convergenza virtuosa tra il sistema Windows e i telefoni Android. Le ultime notizie vanno sempre più in quella direzione, ed è francamente incoraggiante, per chi (come me) ha fatto da tempo la scelta di rientrare in Android e ora si trova anche felice possessore di un sistema Windows, il Surface 4.

L’obiettivo di una reale convergenza tra sistemi in linea di principio eterogenei – perché Google e Microsoft sono ovviamente due entità diverse – è reso più facile dalla plasticità intrinseca del sistema Android, in contrasto con il capillare controllo che invece Apple detiene sul suo sistema mobile (anche qui, pro e contro, non ci dilunghiamo).

Concretamente? Su Android posso cambiare launcher, se mi stanco di quello “della casa”. Posso scegliere tra varie possibilità, e cambiare secondo i miei gusti, o le mie risorse hardware. Questo lo dico ogni volta che un aficionado Apple (niente di male, lo sono stato anche io) inizia a magnificare la brillanza e l’omogeneità di iOS (la risposta ovvia che mi viene data, è “ma perché dovrei voler cambiare?”).

Niente, a me piace cambiare. Sopratutto mi piace la libertà di poterlo fare.

Tornando a noi, la mossa intelligente di Microsoft – che prende fiato proprio dalla architettura più aperta di Android – è quella di aver ideato e distribuito Arrow, un suo launcher, ovviamente progettato per rendere possibile questa convergenza. E’ da un po’ che lo uso sul mio glorioso Galaxy Note 3 e devo dire che, convergenze a parte, è realizzato molto bene e in modo intelligente. E’ facile configurarlo ed è un piacere usarlo.

E poi la convergenza comunque aumenta, aumenta ad ogni aggiornamento (e gli aggiornamenti sono parecchio frequenti), come si vede. Qui sotto, vedete come mi si presentavano le novità dell’aggiornamento più recente.

Così, mi piace e mi intriga questa ricerca di un ambiente comune per due entità in principio molto diverse (anzi, competitor), che trovano in questa convergenza, evidentemente, un mutuo vantaggio. Mi piace la scelta di Microsoft che, una volta accolta la sostanziale sconfitta del progetto Windows Phone, abbia imboccato una strada virtuosa e feconda: come dire, se non puoi batterli, allora fatteli amici. Se non puoi sconfiggerli, allora lavoraci insieme. 

E’ sostanzialmente  – al di là di ogni retorica – un approccio aperto, pensato per interfacciarsi con chi è diverso, massimizzando le possibilità di contatto, di scambio. Lavorando a smussare le differenze, o meglio, a fare sì che non siano ostative di un vero rapporto di scambio, di una reale interazione.

Al di là dei motivi squsitamente commerciali (le ditte sono ditte, non enti di beneficienza) che potremmo ci sono e pure potremmo analizzare, mi piace approfondire, capire questa attitudine.

Per  far questo, infatti, devo avere un atteggiamento aperto verso l’altro, devo assorbirne i caratteri, il modo di essere, e sintonizzarmi di conseguenza. Devo prima guardare, capire, assorbire l’altro. Uscendo fuori dai miei schemi. Ci vuole disponibilità, concretezza, anche molta umiltà.

Lungi dal demonizzare il mio avversario, del dire – o pensare – me ne frego (come purtroppo capita), mi aspetta un paziente lavoro di ricerca di punto di contatto. Mi aspetta un lavoro di inedita relazionalità, nell’interesse comune. Un lavoro, probabilmente, che trova un suo specifico accordo con le linee di forza dell’universo (azzardo, lo so, ma è bello pensare così), poiché alla fine l’universo non è altro che un sistema relazionale, come ci dice il fisico Antonio Bianconi.

Tutte cose su cui è interessante riflettere. Tutte cose utili, a ben pensarci, anche fuori dall’ambito di computer e telefonini. Anzi, se possibile, molto più utili e fecondi esattamente fuori da tale ambito. 

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Perché XP, ancora

E’ noto che da aprile di quest’anno la Microsoft ha deciso di interrompere del tutto il supporto al suo prodotto di maggior successo, probabilmente. Parliamo di Windows XP, quel sistema operativo che per diversi anni è stato sinonimo di computer per tantissime persone. Per molto, molto tempo, è stato così. Era talmente soverchiante rispetto alle altre possibilità, da aver definito chiaramente uno standard.  Il computer per antonomasia era quello: era un PC con Windows XP (più o meno originale) istallato sopra. Era la piena ortodossia informatica. Non c’era che un modo per farlo, in pratica.

Il resto era l’eccezione, la stranezza, l’eccentricità. Era una cosa per geek, certamente non qualcosa per poter lavorare semplicemente e velocemente. Linux – tanto per dirne una – era una avventura, un’avventura eccitante ma anche potenzialmente piena di frustrazioni (ad esempio, già far lavorare sotto linux il modem di casa poteva essere già un’impresa, al tempo: per me certamente lo è stata…). 

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Le “finestre” vecchie, se ancora molto usate, vanno sempre curate… 😉

Windows XP è stato rilasciato nell’ottobre del 2001. E’ perciò stesso un sistema operativo antichissimo: per gli standard informatici tredici anni sono davvero un’eternità (anche se ad onor del vero bisogna dire che con i vari service pack il sistema stesso si è radicalmente evoluto nel tempo). 

Ora, da un certo punto di vista è più che logico che il supporto si interrompa ad un certo punto, specialmente dopo diversi anni da quando è stato sostituito con altri sistemi più moderni (seppure con alterne fortune, come ben sappiamo: Vista docet, e non dico altro). E’ anche più che logico che una ditta dopo tanti anni si riservi – a pieno diritto – la prerogativa di interrompere gli aggiornamenti, perfino quelli relativi alla più stretta sicurezza informatica.

Se non fosse.

Se non fosse che qui non stiamo parlando di un sistema operativo qualsiasi, nemmeno di un sistema operativo di particolare successo. Assolutamente. Qui stiamo parlando di un unicum nella storia dell’informatica. Bisogna necessariamente tenerne conto. Ragazzi, qui stiamo ragionando di un sistema operativo che al momento attuale adesso, non cinque o dieci anni fa – gira su più di un quarto dei computer del mondo (secondo netmarketshare.com, vedi sotto). Possibile che si interrompano gli aggiornamenti di sicurezza per un sistema così diffuso?  

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L’obiezione consueta a questo, lo sappiamo bene, è tutta racchiusa nel reiterato slogan è bene aggiornare. Ora, diciamolo subito. Questo nessuno lo nega. Nessuno si sogna di dire che un computer vecchio con un sistema operativo vecchio è meglio di un computer nuovo. Ovvio. Però ci sono certi casi in cui non è possibile cambiare. Spesso, semplicemente, non ci sono le risorse. E se il computer fa bene quello che deve fare (magari è connesso ad un dispositivo per cui esiste il software per XP, e fa ancora  bene il suo lavoro), in realtà – non stracciatevi le vesti – non ci sarebbe veramente bisogno di cambiare. Tenendo presente che un cambio di SO implicherebbe quasi certamente la necessità di un cambio di hardware. 

E in ogni caso, se XP è il secondo sistema operativo, è piuttosto improduttivo insistere nello stigmatizzare la cosa. Bisogna prima di tutto prenderne atto.

Può il secondo sistema operativo al mondo essere vulnerabile sotto il profilo della sicurezza?

Può un quarto del mondo essere esposto al capriccio di un quattordicenne molto intelligente e (magari) poco etico, che si diverte a fare un programmino devastante, sfruttando una vulnerabilità nota alla quale nessuno si sente di provvedere?

Secondo me no. Citando l’editoriale di aprile di PCProfessionale (titolato significativamente Microsoft ripensaci), “In un mondo ideale Microsoft avrebbe dovuto attendere, per dare ossigeno alle aziende che non possono far migrare i propri sistemi informativi in tempi brevi e per permettere a banche e ospedali un aggiornamento dei propri sistemi critici.”

Secondo me, Microsoft potrebbe – con grande ritorno di immagine – concedere un supporto ridotto all’osso e relativo solo alla stretta sicurezza, per il suo XP, ancora per un altro po’. 

Non la obbliga nessuno, ovvio.

Non lo possiamo pretendere beninteso.

Però fossi in loro – vista la situazione – io un pensierino ce lo farei…

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Il problema è il software

Man mano che passa il tempo, rifletto e a volte mi capita di… aggiustare il tiro. Anche e soprattuto in relazione alla tecnologia di uso quotidiano. In realtà devo dire che mi capita abbastanza spesso. Fossi un consulente informatico di una ditta manderei tutti ai pazzi, perché ogni due settimane proporrei e illustrerei dettagli di strategie di sviluppo e adozione software completamente diverse. Forse è per questo che faccio l’astrofisico, invece.
Tanto per spiegare. Perché a breve distanza dal post dove magnificavo Android a scapito di iOS, ora sto per scrivere un altro contributo che va in direzione esattamente opposta (o più propriamente, nella stessa direzione e in verso opposto). Tuttavia, per non contraddirmi completamente e perdere del tutto quel poco di credibilità che ancora potevo avere, cercherò di approcciare la faccenda da una direzione lievemente diversa. Ovvero quella del software.
Ce la farà Google Play ad offrire
una esperienza d’uso completa e coerente
per app, film, libri e musica?

Infatti il problema è il software. E’ chiaro, no? Siate onesti: quante volte avete anche voi lo avete pensato? La mattina, lavandovi i denti davanti allo specchio, pettinandovi, prendendo la giacca (attenzione, non scordate le chiavi della macchina, sono lì sul tavolino all’ingresso) ? Il problema è il software, esatto.

Mi ha fatto riflettere anche un bell’articolo su PC Magazine di aprile. La scelta di un tablet è data in ultima analisi dalle cosiddette killer application che intendiamo farci girare sopra. Dunque la scelta di uno non è quella dell’altro: Franco sceglie un iPad e Carla sceglie un Sony S. Non c’è una cosa migliore in assoluto. Tutto uguale, dunque?

In effetti… c’è un però. Azzardo. L’approccio degli sviluppatori per Android deve ancora maturare: non si può sviluppare per un device da 10” come se fosse un 4” allargato. Altrimenti lo spazio non si usa bene, viene sprecato. Su questo devo dar credito ad Apple. Le applicazioni per iOS – anche quelle cosiddette universali, che funzionano su iPhone e iPad (e iPod touch) – sono di norma ottimizzate egregiamente per trarre il massimo vantaggio dello spazio disponibile (e quasi sempre, anche dell’orientazione del device). 

Per Android non è ancora proprio così, mi sa.
Detto questo (e fatte salve le riserve su iOS come sistema operativo, presentate nel recente post), mi sto chiedendo quali siano le mie killer applications, ovvero ciò che vorrei portarmi dietro in uno smartphone
E’ una cosa molto personale, ma in questo caso, pur essendo personale, è anche cosa che si può scrivere su un blog. Se devo pensare alle applicazioni più ghiotte per me, ecco quello che mi viene in mente (elenco assolutamente incompleto, badate bene!):
  • DayOne. Colpa sua se ho ripreso gusto a scrivere un diario privato. Colpa sua se mi piace rileggere cosa ho scritto il giorno prima, o la settimana prima o ancora più indietro. E capire meglio il senso di cosa succede e cosa faccio, o lascio succedere quando ci riesco. 
  • MomoNote. Eccellente sistema di etichette, ogni volta che c’è una cosa che mi voglio ricordare la butto dentro. Citazioni, parti di email, brani di libri. Mi servono tanto i buoni spunti, per attraversare le giornate. Qui li ripesco al volo, quando voglio.
  • iA Writer. Ti fa riscoprire il piacere di scrivere. Sopratutto ti fa riscoprire l’attraente semplicità di buttare giù parole. Elegante e minimalista. Io lo trovo ottimo soprattutto per scrivere poesie (in questo si sta candidando a sostituire Google Docs, che era perfetto nell’era informatica precedente, quella che si viveva usando solo il computer). Certo scrivere con lo smartphone non è ideale, ma ho la sensazione che per appuntare qualcosa da rivedere in un secondo tempo, può andar bene.
  • Google Reader & Feedly. Non dimentichiamoci i feed.
  • Gmail (posso fare senza?)
  • Facebook (quasi come sopra)
  • Twitter (quasi come sopra)
  • Foursquare (forse inutile, ma divertente)
  • Kindle app e un lettore di libri in formato epub 
  • Waze per le info sul traffico (occhio a non cercare di usarlo mentre si guida però!)
  • Edge. Quanto mi piace questo giochino elegante e tranquillo…. 😉
  • …. (to be continued) …
DayOne, MomoNote e iA Writer sono solo per iOS (almeno, al momento). Questo è un bel colpo per la mia permanenza nell’ecosistema Android. Poi, avendo un MacBook e un iPad (e un iMac in arrivo) mi tenta l’integrazione in uno stesso ecosistema (certamente chiuso, ma coerente e ben realizzato). Insomma non è così improbabile una futura migrazione.

Per ora, comunque, aspetto con una certa curiosità l’arrivo di Android Ice Cream Sandwitch sul mio Sony-Ericsson Xperia Ray, in modo da poter fare le mie valutazioni. E con pari curiosità, sto a guardare le recentissime mosse di Google per creare un ecosistema finalmente completo e coerente, avviate con l’apertura di  Google Play.

Se penso che in anni passati mi appassionava la sfida linux vs. Windows, oggi guardo alla contesa iOS vs. Android con lo stesso identico interesse. Sono cambiati i tempi, le possibilità offerte dalla tecnologia, o sono cambiato io? O entrambe le cose?

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Linux a casa? Non è il caso…

Un post sul blog pclinuxos2007 ha destato il mio particolare interesse, in chiusura dello scorso anno. Al di là infatti dei diversi proclami, che si sono spesso susseguiti, sul fatto che si fosse in procinto di ottenere una larga diffusione per linux, l’autore dell’articolo esordisce esprimendo la sua gratitudine per fatto che nessuno abbia ancora dichiarato “il 2012 sarà l’anno di linux sul desktop”.
Sano realismo, nella mia umile opinione.
Ora, chi scrive è antico abbastanza da averne viste, di dichiarazioni simili. Ho usato linux, se non erro, dal lontano 1996 (e ancora lo uso). Ne ho viste e ne ho provate, di distribuzioni. Ne ho caricati, di aggiornamenti. E ne ho letti, di post linuxiani, di riviste. Quasi ci siamo, il 20xx sarà l’anno di linux sul desktop. Non era infrequente leggere dichiarazioni entusiastiche di questo tipo, in chiusura dell’anno 20xx-1. Ebbene, concordo con l’autore del post. Questo possiamo dire che certamente non è avvenuto, e probabilmente non avverrà (mia opinione personale, beninteso). Malgrado linux abbia fatto passi da gigante, in pochi anni.

Il comodo sistema di “lenti” di Ubuntu (alla Mac OS X)
(Crediti: Ubuntu website)

Intendiamoci, linux è fantastico perché è libero, è configurabile senza limiti (e questo a volte è però anche un… limite), può essere istallato quasi dappertutto (non provate con il gatto di casa, però). Gira sui server di Google, dunque possiamo dire con buona approssimazione che Internet si basa su di esso, in larga parte. Vi sono tonnellate di smartphone Android in circolazione. Ovvero dispositivi che fanno girare una versione appositamente modificata del kernel linux. 


D’accordo.
Tuttavia la base di utenti desktop è ferma intorno all’uno per cento, a quanto leggo.

Se devo parlare delle mia esperienza di questi anni, nell’ambito della comunità scientifica (che mi è particolarmente familiare per il mio lavoro di astronomo) posso dire di aver visto intorno a me una descrescita netta delle macchine e dei portatili con linux, non una crescita. Windows, soprattutto con Vista, era stato un fiasco. Non ho visto molti ricercatori che lo usassero. Anzi. 
Vista probabilmente sta alla Microsoft come la Duna sta alla FIAT, se capite cosa intendo.
Tuttavia mi sento di dire che linux ha perso l’occasione offerta da Vista e dai suoi numerosi problemi. 
Penso agli ultimi anni. Più passava il tempo, più vedevo intorno a me un nuovo tipo di computer. Era quasi Unix, ma non era linux. Funzionava subito e dicevano che funzionasse bene. Sempre più colleghi lo adottavano. Richiedeva poco apprendimento, per chi era abituato a linux. Il software scientifico non mancava, via porting o – man mano – proprio nativo per la piattaforma.
Sì, parliamo di Mac OS X. Se guardo intorno a me, e penso alla situazione degli ultimi anni, devo dire che ha vinto lui. Prima un ricercatore con un MacBook veniva guardato con curiosità; si osservava come fosse una eccentricità, una stranezza. Ora è lo standard. Nelle varie riunioni alle quali ho l’onere e l’onore di prendere parte, la quantità di MacBook è sempre molto elevata (non sono infrequenti casi di maggioranza bulgara).
Ora, mi rendo ben conto che questo è un “ecosistema ristretto”, gli astronomi non sono la maggioranza della popolazione (per fortuna o purtroppo, su questo si può disquisire a lungo). Però è un segnale.
A pelle, lasciatemelo dire, ho la sensazione che linux abbia perso la partita. O meglio, l’abbia vinta in ambiti dove prima nemmeno si pensava si giocasse:  penso al settore degli smartphone ed anche dei tablet.  Nel mio Xperia Ray batte un cuore Android, cioè Linux. Se guardo nelle impostazioni, trovo una Versione kernel 2.6.32.9.etc…  E Android è adesso il sistema più diffuso per gli smartphone.
Le cose cambiano, quasi niente rimane come prima.

Questo nonostante molte cose. Linux (luogo comune forse, ma con un fondo di verità) ha sofferto della amplissima frammentazione; gli sforzi si sono allargati in una miriade di distribuzioni, spesso – diciamolo – diverse in minima parte (o costruite una sull’altra con variazioni non sempre di grande impatto). Poche con idee veramente innovative. 

Sono molto affezionato a linux, e dirlo un pò mi dispiace. Ma lo dico, sperando di essere smentito…
Questo, ovviamente, se si pensa alle percentuali. Va anche detto, il vantaggio di buttar dentro un disco di Ubuntu e rimettere in attività un computer ancora decente ma con un vecchio Windows malfunzionante, ritrovarsi a costo zero un sistema operativo moderno (un pò alla Mac OS X, ma per me va bene), dove lo vogliamo mettere?

Ma gli anni passati a discutere della imminente vittoria di linux sul desktop mi sembrano, appunto, passati.

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Se il leone ruggisce (male)…

La celebre canzone recitava Il coccodrillo come fa… In questo contesto mi viene piuttosto da pensare Ma questo leone come fa… ruggisce? O ha il raffreddore?

Infatti l’ultimo aggiornamento di Mac OS X, nome in codice Lion, ha portato una serie di interessanti novità (debitamente raccontate sul sito di Apple), epperò ha pensato bene di introdurre – perlomeno per molti utenti –  una serie di fastidiosi problemini (o problemoni), decisamente insoliti e non troppo nello stile Mac. 

Sono sbarcato su Mac OS X nel dicembre del 2008, con un MacBook da 13” che uso tuttora con buona soddisfazione. Utente Linux da molto tempo, ero abbastanza diffidente verso il sistema Mac (anche per motivi ideologici, diciamo la verità); la spinta al (parziale) salto è stata data da motivi di compatibilità con il resto del team che lavora (qui a Roma) nel progetto GAIA di ESA. Tuttavia con il tempo ho dovuto ancheprendere atto – quasi mio malgrado – che lavorare entro l’ecosistema Mac ha i suoi vantaggi. 
Mi sono anche abituato ad avere un sistema che funziona senza storie, senza dover per questo immettere astruse stringhe a linea di comando, e nel quale batte un solido cuore Unix. Ottimo per l’attività desktop, con potenti strumenti per lo sviluppo, solido e affidabile nell’utilizzo. Così pure passare da Leopard a Snow Leopard è stato semplice e deliziosamente lineare (a parte il fatto di dover pagare l’aggiornamento, com’è ovvio)
Così non è stato per il passaggio dal leopardo della neve al leone. Pur apprezzando il prezzo irrisorio dell’aggiornamento (per confronto, non so se qualcuno si ricorda i prezzi di listino di prodotti “imbarazzanti” come Vista Ultimate, ad esempio…), pur apprezzando moltissimo le innovazioni desktop, come le nuove gesture, che ne fanno un sistema operativo davvero comodo, per la prima volta in ambito Mac, ho dovuto registrare una serie di problemi che affliggono il “sistema desktop più evoluto al mondo” (sic). E poi mi sono accorto che non sono affatto solo miei: basta dare uno sguardo ad uno dei tanti topic nel forum di Apple che riguardano Lion.

Un magnifico Leone bianco (Crediti: Stano Novak, CC BY 2.5)

Due sono le noie principali che ho individuato nel mio Mac: 

  • l’indicizzazione Spotlight ora non riesce ad essere portata a termine (si avvia un processo decisamente avido di CPU, con conseguente ebollizione del portatile e ventola che gira all’impazzata, senza apparente via di uscita diversa dal killare il processo)
  • il disco esterno USB che uso “da sempre” per il backup via Time Machine, viene sì montato correttamente, ma il sistema non riesce più a produrre il backup.
Sono problemi – appunto – ampiamente condivisi, come ci si può accorgere girando un pò in rete. E probabilmente non sono i soli. Insomma, Huston abbiamo un problema. Più precisamente, Something is cleary wrong with Lion, come recita sconsolatamente un utente nel forum di Apple.
Decisamente. Rinunciare (ancorchè temporaneamente) ai backup di Time Machine e all’indicizzazione del disco rigido per Spotlight – due delle più comode caratteristiche di Mac OS, è seccante. E il primo aggiornamento non ha risolto nessuno dei due problemi.
Irritante.
Hanno avuto fretta con questo Leone? A parer mio, molte di queste cose si sarebbero potute risolvere con un “testing” molto più esteso del nuovo sistema operativo (e va anche detto che Apple ha vita facile per i test, perché la varietà dell’ hardware su cui deve girarare il suo sistema è molto circostritta e assolutamente controllata dalla stessa Apple.. pensate ad una distribuzione Linux, al confronto, ma anche una release di Windows…)
Ora non vorrei dire qualcosa di “ideologico”, ma ecco… davanti a questi problemi, non ho potuto non pensare al modello open source, per il quale le nuove release – poniamo – di Ubuntu, sono disponibili per l’intera comunità, che può sperimentare e segnalare bugs e problemi per tempo. Certo, anche lì poi possono venir fuori problemi “post rilascio”, non siamo ingenui. Va anche detto che fino a Lion il sistema sembrava funzionare egregiamente.
Epperò sono persuaso che qualche guaio del Leone, oso dirlo, potrebbe essere proprio dovuto al modello di sviluppo e al testing “chiuso”. Esagero?

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Giada e il virus di Windows

Racconto a puntate, a sfondo informatico


Due giorni fermi. Due giorni interi. Senza più facebook, twitter, il blog. Nulla di nulla. Tutto per colpa di questo maledettissimo virus che le aveva infestato il computer. Vai a pensare che per scaricare da Internet quel programma di ritocco foto, avrebbe tirato dentro il computer qualche schifezza. E glielo avevano pure consigliato… Avrà seguito un link sbagliato? Uffa però. Ora aveva il computer sdraiato e non sapeva cosa fare.


Cioè una cosa sì. L’unica. Perlomeno, l’unica gratis. Chiamare Stefano.


“Ciao Giada, come va?”
“Beh insomma, così così. Sai, mi si è piantato il computer..:”
“Da solo?”
“Sì. Cioè.. insomma… non proprio da solo. Ecco, è arrivato un virus, mi sa…”
“E’ arrivato tutto da solo?” Che noia Stefano, ora glielo doveva dire.
“OK mi arrendo, Stefano. Ho fatto il pasticcio io, probabilmente. Ho scaricato un programma e quando l’ho istallato… ho provato ad istallarlo.. lui ha fatto il resto.”
“Il resto?”
“Ma sì, ora è tutto bloccato, e non va da nessuna parte, tranne in siti.. poco raccomandabili. Mi compaiono delle finestrine di questi siti dappertutto.”
“Interessante. Quali siti?”
“Dai non fare il cretino. Insomma poi da quando l’ho fatto riavviare, non parte più.”
“Va sui siti porno… o non parte? Non capisco”
“Stefano insomma, il tecnico sei tu! Comunque ora non parte più, uffa.”, sbottò Giada. Si poteva pretendere che una ragazza al primo anno di Lettere alla Sapienza sapesse di computer? Insomma ad ognuno il suo mestiere, no? Sapesse fare Stefano, che studiava ingegneria.
“Ho capito.”
“Che hai capito?”
“Passo dopo… fammi finire di studiare un pò di analisi due. Verso le cinque potrei essere lì, va bene?”
“Ecco va benissimo.” Finalmente l’aveva capito. Insomma, quanto ci vuole ad una ragazza per far fare ad un ragazzo quello che lei vuole, nell’epoca moderna? Pensava fosse più facile.



Arrivò alle cinque e due minuti. Puntualissimi questi ingegneri.
Aprì lei, la mamma era a fare la spesa ed il papà non era ancora tornato.


“Ciao Giada, ti vedo bene”

“Ciao Stefano, grazie.” Stefano era simpatico. Non se se sarebbe innamorato, no. Anche perché stava con Luisa che era amica sua. Non si fa. Chissà, in un’altra situazione, però…
“Bello questo maglione, non te l’avevo mai visto”
Però allora mi guarda, eh. Vabbè pensiamo al computer.
“Guarda un pò qui. Fermo, bloccato. Un ferrovecchio”
“Che aveva sopra?” chiese Stefano guardando il laptop con occhio clinico.
“Ci sta Windows, no? Come tutti”
“No, non come tutti….” puntualizzò Stefano guardandola severamente. Ecco, ora ricominciava, attenzione…
“Ok ci sono quelli con la mela, i… Mac”, si era ricordata, ce l’aveva anche Benedetta, la ragazza del piano di sotto, quella con i capelli lunghi lunghi.
“E niente altro?” incalzò Stefano.
“Sì no, volevo dire, a parte te e qualche altro esaltato che usa quel ufunto, ebunto…”
“Ubuntu. Si dice, Ubuntu. Ed è linux”
“Sì ok, quello che ti pare. Però adesso me lo puoi rimettere a posto?”
“Quale Windows c’è qui?”
Uffa quanto scocci, sarai pure abbastanza carino, ma scocci….
“Windows.. Vista, quello lì”.
“Ahi ahi ahi.”
“Come ahi ahi”
“Eh, quello che ho detto. Ahi ahi ahi.”
“Non va bene?” chiese Giada presentendo la risposta.
“Non direi proprio. Allora meglio XP”
“Insomma non lo so, è quello che stava sul computer. Che ne so io”
“Sei carina quando ti arrabbi, te lo hanno detto?”
Giada arrossì appena, girò la faccia. Uffa ora perché sono così sensibile, cavoli.
“Smetti di fare lo stupido. Me lo sistemi o no?”
Intanto Stefano aveva già iniziato a fare prove, accendeva, spegneva, metteva dischetti, attaccava chiavette usb. Aveva portato uno zainetto pieno di roba.
“No.” disse alla fine.


“No?”, si stupì Giada. Non era la risposta che avrebbe dovuto dare.

“No, è troppo tosto questo virus. Dovrei riformattare e perderesti tutti i dati”
“Come perdere i dati?  Cavoli, tutte le foto, tutta la musica scaricata?”
“Scaricata… legalmente…?” si informò Stefano.
“Ma che sei la finanza? Me lo rimetti a posto o no?”


Però i riccioletti neri sono carini, pensò.

Ma non devo farmi accorgere di questi pensieri, pensò poi.
Luisa è la mia migliore amica, pensò infine. Almeno per quel momento, il caso era chiuso.


“Dovresti prima salvare tutti i dati.”

“Bravo. Ma come faccio se non posso accendere Windows?”
“Windows non si accende. Non è mica un computer” Ecco, ora ricominciava…
“Ok ok, d’accordo. Ma come faccio insomma?”
“Un sistema ci sarebbe. Basta non partire con Windows. Hai presente Ubuntu?”


Giada lo guardò fisso negli occhi. Cosa stava per capitare al suo computer?


(1. continua)

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Tifo di squadra…?

Lavoro su piattaforma Mac OS X da molti mesi, ormai. All’inizio ero alquanto scettico e un pò prevenuto, venendo dal mondo Linux, dove vi ero soffermato per  molto molto tempo. Ho provato diverse distribuzioni, nell’arco degli anni… Mandrake, Suse, RedHat, Fedora… Ho assistito all’arrivo di Ubuntu, l’ho provata, ho cercato versioni leggere per il vecchio PC di casa, mi sono sistemato per un pò con Xubuntu. Ho testato PCLinuxOS e ho capito perchè fosse interessante, ho sperimentato con le distribuzioni “leggere” come la straordinaria Puppy Linux. Ho amato KDE e le sue molteplici configurazioni, ho apprezzato la semplicità di Gnome, ho sperimentato altri ambienti desktop.
Anche, ho partecipato – forse un pò faziosamente, ma la passione spesso non guasta – al tiro alla fune “Lascia Windows prendi Linux goditi la libertà vs. molla Linux non ci fai nulla usa Windows” che ha attraversato gli anni scorsi incendiando gli animi degli appassionati di informatica e sistemi operativi. 
Per una contigenza lavorativa – poco prima del Natale del 2008 – sono poi entrato in contatto con il mondo Mac OS X. Superata una diffidenza verso il nuovo ambiente, di cui sono stato afflitto in forma strisciante per diversi mesi, devo dire che al momento mi ci trovo proprio bene. Seguo comunque sempre gli sviluppi di Ubuntu perchè accanto al MacBook ho un desktop che uso con la versione aggiornata della popolare distribuzione linux. Mi piace verificare il diverso stato di maturità dei due ambienti.
Intendiamoci. Ubuntu è una sfida bellissima, colossale. L’unico sistema operativo completamente libero che abbia raggiunto una rilevante diffusione. Un linux (anche se non l’unico) con una attenzione particolare all’utente desktop e alle sue esigenze. Un sistema dove puoi mettere il naso dappertutto, vedere su web i bachi da risolvere, sperimentare quanto vuoi (scaricando le alpha e le beta) oppure rimanere più conservativi utilizzando le versioni “approvate” o perfino rimanendo sulle release “a lungo termine” per anni, aggiornando solo i pacchetti.
Ciò detto, il mio personale parere al momento è che debba fare ancora diversa strada. L’usabilità di alcuni programmi per Mac OS – oso dire – non ha ancora un pieno riscontro sotto linux. Un esempio banale è iTunes. Dopo un periodo iniziale di ambientamento, ormai lo uso con piena soddisfazione: alcune caratteristiche (come le smartlist molto sofisticate) non mi pare abbiano attualmente un corrispettivo su linux. Oltrechè, va detto, graficamente è davvero una chicca.
Per l’editor di testi, c’è il magnifico TextWrangler, gratis. Per uno che viene da gedit, è certo un salto in avanti considerevole. Per uno che sta tentando di completare il suo primo romanzo, poi, c’è il motivo fondamentale, la killer application costituita da Scrivener. Grandioso, putroppo in questo momento senza evidenti corrispettivi su linux.
Dimenticavo, gedit può anche girare nativamente sotto Mac OS.
Anche se non so se davvero serva…
(Crediti: gedit home page)
Potrei continuare, ma il punto è già chiaro. Certo sono anche preferenze personali (e su queste, come dice l’antico adagio, litigare è inutile). Mi permetto solo di registrare quanto il dibattito Win/Linux/Mac sia tuttora viziato da pregiudiziali che definirei “ideologiche”. Ad esempio, cercando un player audio per linux che supportasse un sistema di “playlist intelligenti” tipo quelle di iTunes, ho fatto qualche domanda in rete: il fatto ha provocato varie risposte, tra le quali notevoli quelle del tipo “piuttosto che usare iTunes preferisco fare a meno delle smartlist”. 
Pienamente legittimo, per carità. Però è quello che definirei una risposta un pò “ideologica”, se capite l’uso del termine. Una sorta di “tifo di squadra”, a volte bello e anche appassionante, che però a volte non tiene in adeguata considerazione i semplici fatti.
Naturalmente la realtà è complessa, molto più complessa di ogni schematizzazione. Vi sono diversi punti di contatto tra Mac OS e linux, tanto per dirne una. E questo non è poi strano, visto che si basano ambedue sul vecchio e blasonato sistema operativo unix. Sarà mica lui, dunque, il vero “vincitore nascosto”….?

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Sette cose che puoi fare in KDE, ma non in Windows

“When I tell people that I use Linux, they look at me with pity. In their minds, I have just confessed to being a fanatic who is willing to undergo daily hardship and inconvenience in defense of my beliefs.
When I go on to tell them that the KDE desktop is in many ways more innovative than Windows 7, the looks of pity changes to caution. I am not only a fanatic, they conclude, but delusional and potentially dangerous”

Interessante e gustoso articolo sulle cose che si possono fare in KDE e non in Windows 7. Certo ancor più intrigante… sarebbe stato un confronto “a tre” che includesse anche Mac OS X, ma probabilmente sarebbe diventato troppo lungo. E’ anche vero che non esaurisce i termini delle questione (ad esempio ogni “pezzo di hardware” di qualsiasi tipo “parla” con windows, putroppo non è ancora vero per linux!) Già così comunque merita una attenta lettura 🙂

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