La cosiddetta “galassia occhio nero” (per le cronache, rubricata con il nome di Messier 64) è assai conosciuta tra gli astronomi perché per vederla – nella costellazione della Chioma di Berenice – basta un piccolo telescopio. Il soprannome deriva da una banda scura di polvere che passa davanti al centro galattico.
Qui la vediamo in una immagine riprocessata del Telescopio Spaziale Hubble. Per quanto ben visibile, M64 si trova alla bellezza di 17 milioni di anni luce da noi. L’enorme nuvola che oscura parzialmente la regione centrale è un addensamento imponente di stelle giovani blu, con il bagliore rossiccio dell’idrogeno associato a queste regioni di formazione.
La stella appare di colore arancione a motivo del carbonio disperso nei suoi strati atmosferici, proveniente dalle reazioni interne di fusione nucleare. Questo è ben compreso. Quello che desta meraviglia – ed è bellissimo a vedersi – è la complessità della nebulosa intorno alla stella, il suo splendido intreccio di strati, indicazione preziosa di quel che ancora non siamo riusciti a comprendere.
Sono due le lune di Marte, Phobos e Deimos. Il cratere Stickney è quello più grande in assoluto su Phobos (che pur essendo la più grande delle due lune, di suo vanta un diametro di appena 22 chilometri, niente a che fare con la nostra Luna).
Essendo un cratere largo circa nove chilometri, Stickney occupa una buona parte della luna medesima, una parte così rilevante che si pensa che l’impatto da cui si è originato sia stato vicinissimo a provocare la disgregazione completa della piccola luna.
Gli ultimi raggi di un tramonto colto dall’orbita della Stazione Spaziale Internazionale, mentre orbitava sopra la parte più meridionale dell’America del Sud, ad una altezza superiore ai 430 chilometri.
Uno splendido tramonto osservato dallo spazio. Crediti: NASA
La Stazione Spaziale Internazionale è veloce: compie ben sedici orbite terrestri nell’arco delle ventiquattro ore, così gli astronauti possono godersi ben sedici albe ed altrettanti tramonti.
Rientrando dal bel meeting Scienza per la Pace che si è tenuto a Teramo venerdì e sabato della scorsa settimana (avrò occasione per tornarci sopra), grato per quello che avevo ascoltato, per come era stata accolta la mia relazione, per gli incontri e i dialoghi – una vera ricchezza – non potevo comunque non pensare al fatto che di lì a poco sarebbe stato lanciato finalmente Euclid (sonda sulla quale avevo azzardato qualche considerazione a giugno).
Immagine artistica della sonda Euclid al lavoro Crediti: ESA, CC BY-SA IGO 3.0
Arrivato a casa, sabato pomeriggio, mi sono subito collegato al sito ESA per seguire il lancio, che è andato alla perfezione. Interessante il fatto che il vettore sia un Falcon 9 di Space X, un’impresa privata (quella di Elion Musk per capirci). La sinergia tra pubblico e privato ormai è un tratto distintivo di questa nuova corsa allo spazio: così in questo caso, così per la corsa alla Luna in effetti (ne ho accennato anche al convegno di Teramo).
Stiamo tutti cercando un rapporto nuovo con il mondo, dunque anche con il cosmo. Per molti versi sentiamo che la consapevolezza si accresce, generazione dopo generazione (come pure, nella nostra evoluzione personale), e ciò che andava bene prima ora, semplicemente, non ci corrisponde più.
Ma forse è anche che questo universo in cui viviamo – grazie principalmente al flusso ininterrotto di nuovi dati astronomici e alla tecnologia che ci permette di venirne a contatto in modo immediato – si svela adesso ai nostri occhi in maniera totalmente inusitata. Per la prima volta nella storia dell’umanità, possediamo descrizioni ed immagini di oggetti fuori dal Sistema Solare, dalla Galassia. Riusciamo a leggere segnali addirittura dai primordi del cosmo. Con un clickpossiamo accedere, in un instante, alle immagini dettagliate di corpi celesti lontanissimi da noi come Plutone, come pure a panoramiche spettacolari della sua luna Caronte, ottenuti dopo quasi dieci anni di volo dalla sonda New Horizons.
Fernando Pessoa, visto da Davide Calandrini
Pare conseguente che dalla conoscenza accresciuta nasca – o possa comunque nascere – un nuovo rapporto con tutto. Un rapporto che, senza nulla togliere alla precisa sobrietà dell’indagine scientifica, dentro di noi possa anche colorarsi di una sorta di unicissimo mosaico emozionale. Una parte di emozione in effetti può aiutare la conoscenza: per come siamo fatti, ciò che non ci muove niente dentro, ciò che rimane solo nella testa, si dimentica facilmente. Invece, sentire l’universo, poterlo quasi mordere (un po’ come dicevamo per Ungaretti), e non appena comprenderlo razionalmente, ci immette in un rapporto nuovo, vivo, fresco.
In questo (ed anche molto altro) proprio i poeti sono spesso avanti, ci piaccia oppure no (a me piace, perché non sopporto quegli scienziati che si credono possessori di un qualche accesso privilegiato alla conoscenza tout court: la quale è scientifica, certo, ma non solo). Mi sembra questo il caso per Fernando Pessoa… [Continua a leggere sul portale EduINAF]
Non è certo il pianeta Marte che vediamo di solito, perché queste immagini sono acquisite in banda ultravioletta, invisibile agli occhi umani. Sono state prese dalla sonda MAVEN, in luglio dell’anno scorso e a gennaio dell’anno presente. La sonda è entrata in orbita intorno al pianeta rosso (per i nostri occhi) a settembre del 2014, dunque si avvicina al decennio di attività.
L’ultravioletto ci rivela un Marte ben differente da quello che conosciamo, mettendo in risalto particolari di solito invisibili. Le nuvole appaiono in colori bianchi e blu, mentre l’ozono ad elevata altitudine tinge il pianeta di un forte color porpora. A sinistra, la calotta polare appare di colore bianco, ma come si vede, si restringe molto durante la stagione estiva dell’emisfero meridionale. A destra, la regione polare dell’emisfero settentrionale risulta ben nascosta dalle nuvole di ozono.
La missione Juno, al lavoro intorno a Giove, ha osservato un bel fulmine entro un vortice vicino al polo nord del pianeta gigante. Sulla Terra, lo sappiamo, i fulmini si originano da scariche elettrostatiche tra nuvole di vapore acqueo, mentre su Giove le nuvole contengono una soluzione di ammoniaca.
Nei mesi prossimi l’orbita di Juno sfiorerà Giove diverse volte, soprattutto dal lato notturno, avremo così diverse nuove occasioni per “cogliere” ed immortalare eventi transitori come questo.