A circa 26000 anni luce da noi (inezie, per gli intrepidi navigatori del cosmo), c’è questo tesoro: si chiama NGC 6325, è un ammasso globulare ma soprattutto è un agglomerato di stelle così bello, a vedersi, che non so come mai non ne ho scritto prima di oggi.
Il meraviglioso ammasso globulare NGC 6325 visto da Hubble. Crediti: ESA/Hubble & NASA, E. Noyola, R. Cohen
Gli ammassi come NGC 6325 contengono molte migliaia – a volte milioni – di stelle, finemente impacchettate in una meravigliosa struttura sferica. Si trovano praticamente in tutti i tipi di galassie e sono meravigliosi laboratori naturali per studiare la formazione e l’evoluzione delle stelle. Chi non è nel campo non può avere idea di quanto abbiamo capito sul fenomeno stella osservando, negli anni, questi ambienti così ricchi!
Bella questa immagine dell’ammasso globulare NGC 2419 acquisita da Hubble. NGC 2419 è uno degli ammassi più remoti nella Via Lattea, si trova infatti a circa trecentomila anni luce dal Sistema Solare. Al confronto, la Grande Nube di Magellano, esterna alla Galassia, si trova a poco più di metà distanza. In sè è un ammasso molto grande, sul tipo di Omega Centauri: lo vediamo debole soltanto a motivo della sua enorme distanza.
Ma è proprio la distanza che ce lo rende difficile da studiare, da confrontare con gli altri ammassi globulari presenti nell’alone della Via Lattea. Peccato, visto che quel poco che sappiamo tratteggia una storia già molto interessante. NGC 2419 è infatti un vero viaggiatore intergalattico, perché per le sue caratteristiche sembra davvero essere venuto da fuori della nostra galassia.
Una volta governavano la Via Lattea. La facevano da padroni, insomma. Ai tempi della formazione della Galassia, si ritiene che fossero addirittura migliaia gli ammassi globulari che, in gran parte, migrarono poi verso l’esterno. Adesso ce ne sono rimasti un poco meno di duecento, a contar bene.
L’ammasso globulare galattico NGC 6355 (Crediti: ESA/Hubble & NASA, E. Noyola, R. Cohen)
Non è stata solo una fuga. Nel tempo, molti ammassi che avevano scelto di rimanere, sono stati anche distrutti da incontri ripetuti con altri ammassi oppure con il centro galattico, altra regione densissime di stelle. La cosa interessante è che i relitti rimasti sono antichissimi, più antichi di ogni altra struttura esistente nella Galassia, tanto che i più vecchi, stabiliscono un limite inferiore all’età dell’universo.
Non può che sembrare un gioiello cosmico, l’ammasso globulare M53. Uno dei tanti, ammettiamolo. Nella Galassia ce ne sono più di duecento, alcuni scoperti anche molto di recente.
La maggior parte delle loro stelle sono più vecchie del Sole, e più rosse. Quelle che nell’astrofisica vengono chiamate stelle di Popolazione II, in pratica. Eppure c’è anche qui, l’intruso, a spaginare un quadro troppo tranquillo. Ci sono stelle che appaiono più blu e più giovani del Sole, e non si capisce bene come mai. Certo, visto che gli ammassi globulari sono tra le cose più vecchie in circolazione, in questo universo.
Queste stelle birichine, suggestivamente indicate come vagabonde blu, sono stranamente abbondanti nell’ammasso M53. E sparigliano allegramente le opinioni consolidate, queste vagabonde. Hanno smantellato l’idea un po’ semplicistica che avevamo prima, che tutte le stelle degli ammassi globulari fossero nate nello stesso momento (prendete un qualsiasi testo di astronomia del secolo scorso, c’è scritto proprio così).
Vivaci dibattiti e svariati dialoghi (e scontri) tra scienziati, sono serviti a capire meglio. Ora si pensa che queste stelle siano in realtà “ringiovanite” da materia che cade loro addosso da una compagna vicina (molte stelle sono in sistemi binari, in effetti). Intanto, l’idea che gli ammassi globulari abbiano un solo episodio di formazione stellare, è tramontata. Grazie anche ad un contributo sostanziale di ricercatori italiani.
Ma questo M53 non lo sa. Lui continua ad impreziosire il cielo notturno con la luce di oltre 250.000 stelle, incastonate in questa struttura così ammirabile. Così semplicemente, perfetta.
Ancora il Telescopio Spaziale Hubble viene in aiuto alla nostra fame di meraviglia, e ci regala questa notevole istantanea dell’ammasso globulare chiamato Messier 107.
L’ammasso globulare Messier 107. Crediti: ESA/NASA.
Che dire? Sembra quasi uno stadio prima di uno show, quando ancora ci si poteva radunare tutti insieme per partecipare ad un evento (ma ci torneremo). Con la piccola differenza che queste stelle stanno brillando da miliardi di anni.
Messier 107 è uno dei circa 150 ammassi globulari della Via Lattea. Ognuno di loro contiene centinaia di migliaia di stelle (a volte anche milioni), estremamente antiche: anzi, tra gli oggetti più antichi che si conoscano nell’universo.
C’è stato un tempo – ormai nel secolo scorso – in cui l’astronomia era sommessamente entrata in crisi, proprio per colpa di questi ammassi: le loro stelle sembravano essere ben più vecchie (e di molto) dell’età stimata dell’universo. Ora le stime convergono e non c’è più questa frizione, ma è stato comunque interessante viverla, dall’interno. Il problema ha stimolato la fantasia e l’inventiva dei ricercatori, fino a rivedere molte stime di età che a loro volta si basavano su elementi di fisica stellare da riconsiderare e su modelli cosmologici da raffinare .
Nella scienza si va avanti incontrando ed elaborando problemi. Ognuno di questi custodisce una possibilità: di imparare ancora, di rivedere convinzioni sedimentate. Quanto tutto appare spiegabile e coerente, non stiamo scoprendo niente di nuovo. Certo, nella vita reale non è così semplice. Ma non è detto che qualcosa anche qui, dalla scienza, non lo si possa imparare…
Il famoso catalogo di Messier era fatto così, una lista di cose che non sono comete, al fine di aiutare gli astronomi evitando loro perdite di tempo.
Difatti le comete erano, al tempo (intorno alla metà del settecento) tra le cose certamente più interessanti da osservare, e togliere di mezzo oggetti di “scarsa rilevanza” era una esigenza tale da motivare Charles Messier a compilare un catalogo che – ironia della sorte – l’avrebbe reso famoso proprio per quello che contiene.
Il primo oggetto del suo catalogo è la celebre Nebulosa del Granchio, appunto nominata Messier 1 (M1 per andare per le spicce).
Il secondo oggetto, che abbiamo già accennato l’altra settimana, è invece questa meraviglia qui.
Messier 2 (M2, appunto) è uno dei più grandi ammassi globulari che popolano l’alone della nostra Galassia. Ce ne sono più di centocinquanta, e sono stati accuratamente studiati tanto che esistono cataloghi delle loro caratteristiche.
Questa che ammirate è una foto dei quaranta anni luce centrali di questo incredibile ammasso di stelle. L’ammasso è noto anche con il nome alternativo di NGC 7089 e il suo diametro si allarga per circa 175 anni luce. Si ritiene che contenga circa 150.000 oggetti stellari.
Molto di quello che sappiamo riguardo le stelle, lo dobbiamo a questi ammassi. Difatti, avere la possibilità di studiare ambienti così popolati, dove le stelle di dividono per una grande varietà di caratteristiche (grandi, piccole, in fasi particolari dell’evoluzione…) e allo stesso tempo vantano alcune caratteristiche in comune (età e composizione chimica, almeno in prima approssimazione) ha aiutato moltissimo nello sviluppo della disciplina dell’evoluzione stellare.
Questi oggetti non sono solo suggestivi, a vedersi. Sono stati, storicamente, la nostra porta di accesso alla comprensione accurata del fenomeno stella. Ancora oggi tanti interrogativi sulla dinamica degli ammassi globulari attendono una risposta compiuta.
Ciò che cometa non è, insomma, ha ancora molto da dirci. E l’Universo può essere pensato come un sistema complesso, che ci invia un flusso di informazione virtualmente infinita. A noi, alla nostra capacità di ricezione, cogliere e decifrare quel canale, quella frequenza, che abbiamo imparato a capire, che possiamo mappare nella nostra mente.
Charles Messier, probabilmente, non avrebbe avuto grandi speranze di comprendere davvero, se per ipotesi fosse arrivato un uomo dal futuro a parlargli di materia ed energia oscura. Il moto delle comete era l’astronomia di frontiera, era quello il canale su cui l’uomo poteva sintonizzarsi. Molto doveva avvenire perché la mente umana si preparasse a ragionare di temi che oggi, peraltro, sono nell’immaginario comune.
Tra la panoplia di messaggi dal cosmo, scegliamo quello che possiamo comprendere, momento per momento. Che sempre ci dice qualcosa di nuovo.
Se appena ascoltiamo, cioè. Se ci poniamo in ricezione, facendo spazio, lasciando stemperare pensieri e preoccupazioni quotidiane. Facendo silenzio, perché arrivi quel segnale dal cosmo, debolissimo e prezioso, esilissimo e luminoso, che sempre ci spinge avanti. Nella conoscenza di ciò che è lontanissimo, ma anche di ciò che è profondamente innestato in noi, figli delle stelle quali indubbiamente siamo.
L’immagine che proponiamo oggi è una suggestiva porzione di un ammasso aperto, appartenente alla nostra Galassia. Per la precisione, è l’oggetto chiamato Messier 11.
Crediti: ESA/Hubble & NASA, P. Dobbie et al
Bisogna dire che M11 è uno degli ammassi aperti più ricchi di stelle che facciano parte della Via Lattea. La sua età dovrebbe essere di poco superiore ai 200 milioni di anni: così si evince, almeno, dall’analisi dei colori e delle luminosità delle stelle che ne fanno parte.
Per quanto suggestivo, un ammasso aperto è tipicamente surclassato – in termini di numero di stelle che ne fanno parte – da uno qualsiasi degli ammassi globulari, che possono contenere anche (nei casi più estremi, come Omega Centauri) anche milioni di stelle. Qui, appunto, se ne trovano “appena” qualche migliaio. Un bell’ammasso globulare come Messier 2 ne contiene circa centocinquantamila, molto concentrate e disposte in una suggestiva simmetria sferica. Sappiamo anche che gli ammassi globulari sono molto più vecchi, con stelle di età paragonabile all’età stessa del nostro Universo (quei tredici miliardi di anni e qualche spicciolo, come ci dicono le stime più recenti).
Comunque sia, il fatto evidente – quasi invadente – è che il fenomeno stella appare quanto mai ubiquo nell’Universo. Sappiamo bene l’importanza che gli astri hanno avuto e ancora oggi hanno, nel nostro tragitto d’uomini. Sappiamo bene oggi come funziona una stella, almeno nei suoi termini più generali (molti particolari ci sfuggono ancora, anche se il quadro teorico è ormai ben consolidato).
Conosciamo bene anche – in un ottica diciamo biologica – la loro funzione nel cosmo, che è duplice (sempre fondamentale).
Da un lato la stella si propone come unica fucina cosmica per gli elementi più pesanti di idrogeno ed elio (con pochissime eccezioni): dunque le stelle che ammiriamo in cielo, oltre a stupirci per la loro bellezza, stanno proprio in questo momento occupate in qualcosa di abbastanza importante. Stanno, in questo esatto istante, costruendo l’universo.
Insieme a ciò, la stella è l’unico oggetto celeste che mette in piedi (e se va bene, garantisce per qualche miliardo di anni) una interessante zona di “vivibilità” al suo intorno. Parliamo di ambienti con temperature intorno alla zona di acqua liquida, con variazioni contenute. La casa per la vita così come la conosciamo, o la possiamo ipotizzare.
In vari modi dobbiamo la nostra esistenza alle stelle. Noi per certo, e chissà se in qualche remoto angolo della Galassia, c’è chi sta pensando la stessa cosa. Non possiamo ancora esserne sicuri, anche se per certi versi sembrerebbe probabile. Quel che invece è già assodato, è che se vive, lo deve a una stella.
Questa bella immagine di Hubble dell’ammasso globulare NGC 3201 ci consente di tornare su questi straordinari agglomerati di stelle, importantissimi per la comprensione dell’Universo e dell’evoluzione delle galassie.
L’ammasso globulare NGC 3201 (Crediti: ESA/Hubble & NASA, Ringraziamenti: Sarajedini e collaboratori)
Questi ammassi sono agglomerati molto densi di stelle (centinaia di migliaia, in alcuni casi anche milioni), tanto che (più o meno) solo il Telescopio Spaziale Hubble riesce a cavarsela egregiamente nel mappare le zone centrale, grazie al suo grande potere risolutivo. Loro, gli ammassi, si trovano praticamente in tutte le grandi galassie, anche se il loro ruolo nella formazione delle stesse rimane ancora non completamente chiarito.
Ma NGC 3201 peraltro ha delle peculiarità importanti, che lo rendono unico tra i circa 150 ammassi globulari che impreziosiscono la nostra Galassia. Intanto, possiede una velocità molto alta rispetto al nostro Sole, e la sua orbita è retrograda (si muove ad alta velocità allontanandosi dal centro galattico). Inoltre il moto delle stelle più interne fa pensare alla presenza di un buco nero centrale.
Le peculiarità del suo moto suggeriscono, per questo strano ammasso, una sua probabile origine extragalattica. Insomma, potrebbe essere nato altrove, e ad un certo punto catturato nella nostra Via Lattea. Niente di strano, in questo: noi abitiamo una galassia molto grande, con un “potere di attrazione” non indifferente.
Se non fosse che la storia, in realtà, è più complessa di così! Le abbondanze chimiche delle stelle in NGC3201 ci racconterebbero una storia differente: infatti, sono simili a quelle di vari altri ammassi della Galassia, cosa che fa comunque pensare ad un ambiente di formazione comune.
Qual è la soluzione del rebus? Non è chiaro, e la maggior conoscenza della Galassia (a cui si sta lavorando alacremente, anche con missioni come Gaia) sicuramente potrà aiutare a ricostruire un quadro coerente.
C’è insomma molto ancora da capire di questi intriganti oggetti. Ma già ora possiamo gustare la innegabile bellezza di questi impareggiabili scrigni di stelle. Gelosi custodi – ancora oggi – di molte informazioni sull’Universo che dovremo imparare a leggere, e comprendere.