Blog di Marco Castellani

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Un asteroide per la pace

Appena tornata la capsula con quel pezzetto di asteroide. Cioè 250 grammi di materiale extraterrestre, tutto da esaminare. Molto ci potranno raccontare i campioni, sull’origine del Sistema Solare, molto ci potranno dire di ambienti così lontani da noi. Insomma, abbiamo tanto da fare, da studiare (anche qui in Italia), da capire, con questo quarto di chilogrammo che ci arriva dallo spazio.

La notizia è di questi giorni: la sonda Osiris-Rex, dopo aver prelevato il suo carico dall’asteroide Bennu, ce lo ha riportato a casa. Sorpresa: possiamo ormai toccare mondi lontani e anche tornare indietro portandoci appresso qualcosa. Tutto questo era impensabile solo pochi anni fa.

La capsula di ritorno di Osiris-Rex, poco dopo il suo atterraggio nel deserto dello Utah
Crediti: NASA/Keegan Barbe

Siamo contaminati di universo e anche il nostro pensiero si adegua. Non ci è più permesso di pensarci separati dal cosmo, semplicemente perché è sempre meno vero. I fatti di cronaca smentiscono clamorosamente questo assetto mentale ormai antiquato, ancora così difficile da superare.

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L’ultima occhiata, prima del contatto

Questo che vedete è estremamente interessante, e non è cosa da poco. L’ultima foto presa dalla sonda DART dell’asteroide chiamato Didymos, appena prima dell’impatto, compiuto alla scopo di provare a deviare l’orbita dell’asteroide stesso.

DART, è propriamente un impattatore preparato dalla NASA che è stato lanciato da SpaceX il 24 novembre 2021 ed ha impattato 65803 Didymos il 26 settembre 2022, quando si trovava a circa 17 milioni di chilometri di distanza dalla Terra.

Un momento prima del “botto” (Crediti: NASA/Johns Hopkins APL)

Stiamo cioè osservando un particolare minimo di un asteroide che si trova a milioni di chilometri da noi. Già questo rende l’immagine straordinaria.

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Oumuamua, l’asteroide interstellare

Ha certamente una particolarità, oltre naturalmente alla forma particolarmente elongata: è il primo asteroide interstellare  che abbiamo mai scoperto. Anche se c’è da giurare che presto – grazie ai recenti progressi delle tecnologie osservative – altri corpi simili, fuori dal Sistema Solare, verranno individuati.  Il nome è praticamente  impronunciabile, Oumuamua, e nonostante questo sta catturando in questo periodo l’attenzione di un bel po’ di telescopi a Terra, giustamente desiderosi di scoprire qualcosa di più di questo ospite, che viene da molto lontano.

Un’immagine di fantasia del visitatore interstellare (Crediti: ESO, M. Kornmesser)

L’asteroide – beninteso – è appena di passaggio nel nostro Sistema Solare. Da quanto ora riusciamo a comprendere delle sue caratteristiche, la traiettoria, il colore, la velocità, e la stessa probabilità di essere visto, si armonizzano assai bene con l’ipotesi che si sia formato naturalmente attorno ad una stella del tutto normale, diversi milioni di anni fa.

L’evento che ha cacciato Oumuamua fuori dal suo ambiente, è stato con ogni probabilità, un incontro gravitazionale con un pianeta, per il quale poi è stato espulso dall’orbita che aveva intorno alla sua stella. Così, ora vaga libero per la nostra smisurata Galassia, avendo del tutto smarrito il contatto con casa. 

E l’insieme dei delicati equilibri gravitazionali, ha voluto che si spingesse fino dalle nostre parti. A testimoniare, silenzioso ma imponente, quasi come una nave spaziale di qualche aliena civiltà, come i segni di un nuovo universo stanno premendo sempre di più alle nostre porte. Il cosmo ci viene a trovare, ora a noi mantenere gli occhi aperti: le sorprese non mancheranno di certo.

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E ora dove atterriamo…

Ok, ragazzi, e ora dove vogliamo atterrare? Questo è ciò che si staranno certamente chiedendo ad ESA, riguardo al modulo Philae. E’ la decisione principale da prendere, intanto che la sonda Rosetta continua a gironzolare intorno alla Cometa 67P. Una decisione alla fine deve essere presa, perché alla fine di novembre si prevede che Philae scenda a “terra” per fare i suoi esperimenti (aiutato da un paio di “rampini” per evitare di scappare via).

In un certo senso, c’è già da essere più che soddisfatti. Aver raggiunto la cometa, all’inizio di questo mese, è stata sicuramente una grande impresa. Il termine di un viaggio che durava da dieci anni. Un viaggio che ha reso necessaria l’ibernazione degli strumenti scientifici, poi risvegliati con pieno successo a metà del mese di maggio, in preparazione dell’arrivo alla cometa.

Insomma, una impresa emozionante. Anche per chi non è – diciamo – addetto ai lavori.

Ora che siamo arrivati, però, le immagini che ci manda la sonda (straordinarie, di per sé, considerando il grado di dettaglio), non sembrano poter tranquillizzare troppo gli scienziati. Guardate l’immagine ravvicinata della cometa, così come ce la può presentare adesso Rosetta con i suoi occhi. Eh beh. Non sembrano esserci molti posti dove il terreno si presenti sufficientemente liscio. 

Rosetta02 esa 960

L’immagine compare su APOD del 19 agosto, Crediti: ESA / Rosetta / MPS for OSIRIS Team; MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Guardando bene, però, forse un posto si trova.

E’ proprio a metà dell’immagine, in quella specie di incavo, un po’ butterato ma comunque abbastanza omogeneo, se confrontato con il resto. Potrebbe essere il luogo più idoneo per l’atterraggio di Philae. Dopotutto, non possiamo aspettarci grandi piste di atterraggio, se consideriamo che stiamo ragionando  di un gigantesco “sasso” di circa 3,5 x 4 chilometri di estensione (anche se del peso di più di tremila miliardi di chili…).

 Il viaggio di Rosetta ci ha già regalato diverse emozioni: nel 2008 ha sorvolato l’asteroide 2867 Steins, nel 2010 ha poi incontrato 21 Lutetia, che è l’asteroide più grande di cui si siano potute avere osservazioni ravvicinate. Dopodiché, come dicevamo, è stato messo “a nanna” in modo da garantire la sopravvivenza degli strumenti anche a distanze molto elevate dal Sole (con temperature non proprio miti…). Ora è ben sveglio e ci regala immagini fantastiche della 67P.

E Rosetta promette di tenerci ancora con il fiato sospeso: almeno fino a novembre, per la procedura di atterraggio di Philiae. Una cosa di una certa complessità, considerando che si tratta di agganciarsi a questo grosso sasso lontano “appena” 405 milioni di chilometri. Insomma, tenetevi liberi, sarà una cosa che varrà la pena seguire! 

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Il primo sistema di anelli attorno ad un asteroide

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L’asteroide Chariklo in una rappresentazione artistica con due anelli. Crediti: ESO/L. Calçada/M. Kornmesser/Nick Risinger. Fonte ESO: http://www.eso.org/public/italy/images/eso1410c/

La grande scoperta è arrivata dall’ESO: il remoto asteroide Chariklo è circondato da due densi e stretti anelli.

Telescopi in ben sette luoghi differenti nel Sud Ameria, tra cui il telescopio danese di 1,54 metri e il telescopio TRAPPIST all’Osservatorio di La Silla dell’ESO in Cile sono stati utilizzati per fare questa sorprendente scoperta ai confini del nostro Sistema Solare interno, ossia oltre l’orbita di Nettuno.

Questo risultato suscita grande interesse e dibattito dato che Chariklo rappresenta il più piccolo oggetto, oltre che estremamente lontano, all’interno del nostro Sistema Solare ad avere un sistema di anelli. E’ il primo asteroide ad avere questa caratteristica a parte i quattro pianeti giganti gassosi: Giove, Saturno, Urano e Nettuno.

La scoperta è avvenuta durante un transito sul disco della stella UCAC4 248-108672 il 3 giugno 2013, visibile dall’America meridionale. La stella è svanita per pochi secondi quando l’asteroide è transitato davanti, una vera e propria occultazione. Lo stesso metodo che usa il Telescopio Spaziale Kepler della NASA per osservare pianeti extrasolari.
In questo caso i cali di luce sono stati due. Grazie alle osservazioni in punto differenti è stato possibile calcolare la forma, la larghezza e le altre caratteristiche degli anelli appena scoperti.

Si fa l’ipotesi che tale sistema di anelli si sia formato dai detriti lasciati da una collisione. Ma ora ci si aspetta che Chariklo abbia almeno una piccola luna che gli ruoti attorno.
I responsabili del progetto hanno provvisoriamente chiamato questi anelli con i nomi di Oiapoque e Chuí, due fiumi alle estremità Nord e Sud del Brasile.

Ulteriori informazioni su ESO-http://www.eso.org/public/italy/news/eso1410/ in italiano.

Fonte ESO: First Ring System Around Asteroid – http://www.eso.org/public/news/eso1410/
ESO Cast – episodio 64 First Ring System Around an Asteroid – http://www.eso.org/public/announcements/ann14022/

Sabrina

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Osservato 2012DA14 da Campo Imperatore!

Il 16 febbraio alle 03:00 UTC, dalla Stazione di Campo Imperatore, il team che presiede al controllo della stazione (una delle sedi dell’Osservatorio Astronomico di Roma) è stato in grado di osservare il “famoso” asteroide 2012DA14 con il telescopio AZT-24 e la sua camera IR.

A causa della copertura nuvolosa non si è riusciti ad effettuare l’osservazione in prossimità del momento di maggiore avvicinamento alla Terra dell’asteroide 2012DA14, che invece era avvenuto circa 7 ore prima.Tuttavia si è riusciti sia ad osservare il passaggio dell’oggetto attraverso il campo di vista della camera (prima delle animazioni) mentre il telescopio inseguiva la volta celeste (procedura relativamente facile) e sia ad effettuare il puntamento e l’inseguimento direttamente sull’oggetto (seconda delle animazioni) in cui l’asteroide rimane fermo e le stelle gli sfilano attorno (tecnicamente, piuttosto difficile da realizzare).

2012DA14_J1 (1)

Il fatto di aver utilizzato la camera SWIRCAM, da un lato ha permesso di osservare un oggetto piu’ brillante di quanto possibile nell’ottico (in linea teorica oltre una magnitudine in meno, ma questa non ha costituito un vantaggio pratico in imaging vista la luminosita’ comunque grande dell’oggetto) e dall’altro ha creato notevoli difficolta’ di puntamento per il ridotto campo di vista. Va detto infatti che SWIRCAM ha un campo di soli 4.4×4.4 arcmin al cielo e dunque centrare ed inseguire l’oggetto che si muoveva molto velocemente ha rappresentato una sfida non da poco dal punto di vista tecnologico. Tutte le esposizioni sono state effettuate in banda J con un tempo di posa di 10 secondi.

2012DA14_J2 (1)

Visto il successo delle esposizioni guidate sull’asteroide si è poi tentato con successo di ottenerne anche uno spettro. Qui ovviamente il problema del puntamento e centraggio si e’ complicato ulteriormente per la presenza della fenditura da 3 arcsec utilizzata e per l’imminenza del crepuscolo (4:30 UTC). I 60sec di esposizione non sono molti ma la luminosità dell’oggetto ha comunque permesso di ottenere un buon risultato. Nell’immagine mostrata qui sotto la fenditura è orizzontale, lo spettro dell’asteroide e’ la colonna luminosa sulla destra e le righe sono prodotte dall’emissione del cielo. Il nuovo sistema di puntamento del telescopio ha dimostrato la sua efficacia e consentirà nei prossimi mesi di ottenere nuovi risultati nell’osservazione e nel follow-up di NEO e Space Debris.

spettro

Andrea Di Paola, Alessio Giunta ed il Team di Campo Imperatore desiderano inviare un ringraziamento particolare a tutti quelli che hanno reso possibile questo ottimo risultato ed in particolare ai colleghi dell’amministrazione e dell’ufficio tecnico che si prodigano per mantenere operativo e funzionale l’Osservatorio di Campo Imperatore. A sua volta GruppoLocale ringrazia Andrea di Paola ed il resto del team per aver messo a disposizione il materiale di questo post (e si complimenta per l’ottimo lavoro svolto)! 

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Le alte montagne di Vesta

Anche gli asteroidi possono riservarci delle sorprese. E’ il caso di Vesta, di cui si sta ricostruendo la topografia grazie alla sonda Dawn, entrata in orbita attorno all’asteroide gigante nel mese di luglio. Intorno al polo sud si trova infatti un rilievo che risulta alto ben tre volte l’Everest, raggiungendo circa i 22 km. L’immagine che mostriamo è stata elaborata da un modello che tiene conto dei profili inviati dalla sonda; presenta una risoluzione di circa 300 m per singolo pixel, con la scala verticale pari ad una volta e mezzo quella orizzontale.

 

Il modello dei rilievi al polo sud di Vesta (NASA/JPL-Caltech/UCLA/MPS/DLR/IDA/PSI)

 

Tra gli asteroidi, Vesta è sicuramente un “outsider”: con un diametro superiore ai 500 km, da solo si “ruba” circa il 12 % della massa dell’intera “Fascia Principale” degli asteroidi. Per le dimensioni, e la superficie brillante, spesso risulta l’unico tra gli asteroidi ad essere visibile ad occhio nudo dalla Terra. La sua scoperta risale al 1807, ed è dovuta all’astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers, che la individuò dall’osservatorio privato posto al piano superiore della sua casa a Brema.

NASA/JPL Press Release

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Come ha cambiato il mondo il Capitano Kirk…

“In orbita standard, signor Sulu”. Il capitano Kirk impartisce l’ordine con grande confidenza. Sa bene infatti come la USS Enterprise possa entrare ed uscire fuori dalle orbite planetarie con estrema facilità. Ma tutto questo è possibile, come sappiamo, solo nel regno della finzione fantascientifica. Nel mondo reale, tali manovre risultavano impossibili….

… almeno fino ad ora!

Benvenuti a Dawn, la missione di punta della NASA verso la fascia degli asteroidi.

Alimentata con una tecnologia dal sapore del tutto futuristico, denominata “propulsione a ioni”, la navetta sarà capace di effettuare traiettorie nello spazio comparabili (forse) a quelle della mitica Enterprise di Star Treck.

In questo preciso momento, Dawn è occupata a guadagnare pian piano distanza dal Sole, affrancandosi dalla sua influenza gravitazionale: si trova oltre l’orbita di Marte, sulla strada della sua prima destinazione, l’asteroide Vesta. Dawn entrerà nella sua “orbita standard” intorno a questo piccolo mondo roccioso restandoci per un intero anno, esplorando in dettaglio i suoi molti misteri.

Dopo aver raccolto abbondanti informazioni su Vesta, la sonda Dawn farà qualcosa di assolutamente nuovo nel campo dell’esplorazione spaziale: uscirà dall’orbita di un corpo celeste lontano, per volare fino ad un altro, immettendosi poi nella relativa orbita. Il secondo obiettivo che attende questo “autobus dello spazio” è l’asteroide Ceres.

Dawn sarà la prima sonda mai costruita ad orbitare intorno a due corpi celesti, dopo aver lasciato la Terra” dice Marc Rayman, capo ingegnere dei laboratori JPL della NASA. “Non c’è nemmeno una strategia per poter effettuare una missione di questo tipo con sistemi di propulsione convenzionali. La sonda dovrebbe portarsi appresso così tanto carburante, che sarebbe troppo pesante anche per essere lanciata”.

Per ovviare  a questo problema, la sonda Dawn si affida alla propulsione a ioni, che non richiede un carico troppo pesante. Rayman ha sentito il termine per la prima volta – l’avrete già capito – mentre vedeva Star Treck!

In breve, l’idea è la seguente: attraverso degli ampi pannelli solari, Dawn raccoglierà abbastanza potenza dal Sole per ionizzare degli atomi di Xenon. Gli ioni saranno espulsi da un forte campo elettrico fuori dal corpo della sonda, producendo in questo modo una spinta gentile ma significativa, in assenza di attriti e gravità.

Come avrebbe detto un certo personaggio a bordo dell’Enterprise (con delle curiose orecchie a punta).. “Affascinante”.

NASA JPL Press Release


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