Blog di Marco Castellani

Tag: astronauti

Quelli che arrivarono prima di noi

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Michael Kagen, Those Who Came Before us (2018)

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Essere liberi

Volare liberi nello spazio. Essere liberi. A cento metri dalla stiva del Challenger, Bruce McCandless stava davvero vivendo un sogno, fluttuando nello spazio più distante dalla navicella di appoggio, di quanto fosse mai stato fatto.

Essere liberi, nello spazio.  
Crediti: NASASTS-41B

Era il 1984, ma già da diversi anni la NASA aveva sperimentato le passeggiate spaziali: il primo americano a condurre una di queste passeggiate fu, infatti, l’astronauta Edward H. White nel lontano 1965, che si intrattenne al di fuori della navetta Gemini 4 per ben venti minuti.

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Ammirare lo spazio

Questa non è una immagine astronomica in senso stretto. E’ una immagine molto umana, invece. Persone che hanno fatto del conquistare lo spazio, anzi direi dell’ammirare lo spazio il loro progetto di vita.

L’equipaggio 4 di NASA e SpaceX partirà il 23 aprile per la Stazione Spaziale Internazionale.
Crediti: NASA/Joel Kowsky

Parlare di conquista non mi piace più. Ricade nei vecchi schemi, mi ricorda troppo la conquista di territori, cioè qualcosa che da tuo diventa mio, con la forza bruta. Invece è più bello pensare a qualcosa che diventa nostro, con la nostra amicizia, con la nostra comunione.

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Espulsa dalla Stazione Spaziale Internazionale

Il fatto è questo, non c’è da girarci intorno. Espulsa dalla ISS e lasciata vagare nello spazio, da sola. Abbandonata a sé stessa, proprio. Nessuna investigazione è stata condotta in merito, ma tutti sanno che a farlo è stato l’equipaggio della Stazione Spaziale Internazionale. Lei, si chiamava Suitsat-1 ed era appena una tuta spaziale della serie Orlan, non più utilizzata, riempita di vestiti vecchi e equipaggiata di una radio trasmittente, posta in orbita intorno alla Terra.

Abbandonata nello spazio… ma senza pericolo! Crediti: ISS Expedition 12 CrewNASA

La Suitstat-1 ha compiuto due interi giri intorno alla Terra (e chissà che spettacolo, se solo avesse potuto guardare), prima che il segnale radio diventasse inaspettatamente debole. Ha poi continuato a orbitare intorno al nostro pianeta ogni novanta minuti fino a che ha terminato la sua “esistenza” bruciando nel “rientro” nell’atmosfera terrestre, dopo qualche settimana.

Nell’immagine, la tuta fotografata nel 2006 appena dopo essere stata “buttata fuori” dalla Stazione Spaziale.

Certo, non un vero esperimento scientifico ma poco più di un gioco, se vogliamo. Eppure in questo c’è tutta la grandezza umana, nel prendere confidenza e nel permettersi di giocare anche nell’immensità dello spazio. Vuol dire anche, piano piano, farci casa in questo spazio, non sentirlo più così ostile come nei tempi passati. Un mondo da conoscere e da visitare anche, con la dovuta prudenza: un mondo comunque carico di meraviglia. E non c’è meraviglia senza un po’ di voglia di giocare. Perché no, anche con una vecchia tuta spaziale.

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Questo nostro mondo…

Lo sappiamo, a volte il modo più efficace per non comprendere qualcosa, è esattamente quello di starci dentro. A volte è necessario un po’ di distacco, per poter ragionare in modo pacato e comprensivo, senza farsi catturare dai complessi meccanismi di azione e reazione, di possesso e non possesso, con i quali combattiamo ogni giorno. Soprattutto, per far sì che la ragione dialogica ceda il passo allo stupore, si faccia da parte consapevole che la ragione è uno strumento meraviglioso ma, come ci ricorda Kant, è semplicemente un’isola nell’oceano sconfinato. 

Quell’oceano sconfinato che esonda dal nostro pensare spicciolo, e si percepisce (e si inizia a godere) soltanto allargando lo sguardo.

Non è strano dunque, che anche la persona più propensa ad ammirare le meraviglie dello spazio profondo, a studiarle ed indagarle e magari a discorrerne, nel proprio quotidiano mestiere di vivere si dimentichi dell’ambiente incredibile che ha intorno a lui, si scordi del pianeta meraviglioso che abita, insieme a tanti altri esseri viventi. Si perda per strada una parte importante di stupore possibile.

Bei discorsi, mi direte. Magari, mi direte anche, buttarsi in mezzo al traffico, compressi in file a lento movimento dopo appena mezzo caffè e ancora una notte da metabolizzare bene, non aiuta. Comprendo.

Meglio allora stare a chi si sveglia con un panorama un po’ diverso (e vede le cose da un ambiente in cui il traffico non è ancora il problema)..

Crediti immagini: NASA

Questa è l’immagine che l’astronauta Annie McClain ha mandato su Twitter il 21 del mese di febbraio, accompagnata dalla frase (mia libera traduzione) “Buon giorno a tutto questo mondo stupendo, e a tutte le stupende persone che lo abitano, che lo chiamano casa” .

Niente. Perché a volte bisogna guardare le cose da lontano, per capire quanto sono preziose. Quanto sono uniche, in tutto l’Universo.

E quanto siamo unici, anche noi.

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Quarantacinque anni dopo…

Bisogna tornare decisamente  indietro, riavvolgere veloce fino a ben quarantacinque anni da adesso, per ritrovare una presenza umana sul nostro caro, unico satellite naturale. Le cronache ci riportano, per la precisione, a quel lontano dicembre del 1972, quando gli astronauti Eugene Cernan ed Harrison Schmitt si trovarono a trascorrere ben 75 ore sulla superficie della Luna, mentre il loro collega Ronald Evans orbitava sopra la loro testa, nella paziente attesa del rientro.

Crediti: NASA

L’immagine qui sopra mostra Schmitt sulla sinistra del rover lunare, proprio ai bordi del cratere chiamato Shorty. Assai interessante il fatto che l’equipaggio della Apollo 17 riportò a terra ben centodieci chilogrammi di roccia e campioni di suolo lunaredunque assai più di quanto è stato mai riportato da ogni altro sito di atterraggio lunare.

Centodieci chili che, tra l’altro, sono sul nostro pianeta e testimoniano senza troppo clamore ma con indubbia efficacia che – ancora ci fosse chi ne dubita – sulla luna ci siamo stati, ci siamo stati davvero. 

E’ questa, una evidenza solidamente corroborata dai fatti, a dispetto anche di recenti clamori che, proprio per il caso dell’Apollo 17, vogliono vedere bizzarri e fantasiosi complotti laddove, assai più realisticamente, c’è “solo” il caso di una esplorazione scientifica e di una impresa tecnologica, che è stata (grazie al cielo) pienamente di successo.

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Dall’orbita, verso terra

TerraOrbita

Ecco una bella immagine dell’astronauta Chris Cassidy – un ingegnere di volo della missione #36 – intento ad acquisire una foto della Terra attraverso un obiettivo da 400 mm connesso ad una macchina fotografica digitale. In questo momento la Terra si trova più di 400 km sotto di lui. Cassidy si trova a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dalla fine di marzo, e rimarrà a bordo fino a settembre.

Crediti immagine: NASA

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Saranno così gli insediamenti su Marte?

Guardate la foto riprodotta qui sotto. Potrebbe a tutti gli effetti assomigliare ad uno dei futuri insediamenti umani su Marte, non pensate? Almeno, è quello che ha ritenuto il nostro astronauta Luca Parmitano esprimendosi così in un suo tweet di ieri: “E’ probabile che un giorno i nostri insediamenti su Marte saranno così.”

Ma alla fine cos’è questa struttura misteriosa – che deve essere enorme e sembra anche trovarsi nel mezzo di … assolutamente nulla? Un nuovo ramo segretissimo della famigerata Area 51?

Non esattamente. In realtà è una delle più grandi strutture per la produzione di sali di litio, e si trova nel cosiddetto “triangolo del litio”, tra Argentina, Cile e Bolivia. Nella fattispecie, la foto mappa una zona del deserto cileno di Atacama.

La colonizzazione di Marte in realtà – lungi dall’essere appena una simpatica boutade astronautica – è ritenuta da molte persone uno dei passaggi chiave nello sviluppo futuro dell’uomo. Molte agenzie spaziali hanno concentrato la loro attenzione sul pianeta rosso, per definire delle possibili strategie di insediamento sul pianeta. Va detto che con le tecnologie attuali, un viaggio umano verso Marte richiederebbe almeno sei mesi. In ogni caso, è il pianeta raggiungibile da Terra con il minor impiego di energia; e vi sono anche diverse analogie tra la Terra e Marte (ad iniziare dalla durata del giorno solare marziano, straordinariamente simile a quello terrestre) che rendono lo scenario meno ‘fantascientifico’ rispetto alle ipotesi di colonizzazione di altri pianeti del sistema solare.

Certo vi sono anche importanti differenze: Marte è decisamente più freddo della Terra, con una temperatura media di -63 gradi Celsius, e con punte minime anche di -143 gradi. Inoltre, possiede sì una atmosfera, ma non dimentichiamoci che è una atmosfera costituita principalmente di diossido di carbonio. Inoltre a causa dell’assenza di una magnetosfera, i venti solari vengono a colpire direttamente la sua ionosfera.

Vi sono addirittura progetti di singoli privati, come Mars One (proposto e guidato dal ricercatore olandese Bas Lansdrop), che articolano nei dettagli le tappe di una conquista umana di Marte. Quanto poi vi sia ancora fantascienza, in tutto questo, è ovviamente una ottima domanda…

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