Blog di Marco Castellani

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L’ordine naturale delle cose…

Scrive lucidamente Jeremy Rifkin che
Il nuovo concetto della natura è sempre l’argomento più importante della matrice che costituisce ogni nuovo ordine sociale. In tutti i casi, la nuova cosmologia serve a giustificare la giustezza e l’inevitabilità del nuovo modo in cui gli esseri umani stanno organizzando il proprio mondo, presupponendo che la natura stessa è organizzata secondo linee simili. Ogni società si può così sentire rassicurata dal fatto che il modo con cui conduce le proprie attività è compatibile con l’ordine naturale delle cose e, inoltre, è un giusto riflesso del grande disegno della natura.
Non è dunque casuale la cosmologia che ogni epoca umana si trova a dover affrontare. Non è semplicemente una questione di progresso lineare della cultura scientifica, mentre appare piuttosto come uno specchio del sentire diffuso e comune, quel substrato condiviso che informa tanto lo scienziato più specialistico come la persona più aliena da ogni velleità scientifica.
E’ come percepiamo il cosmo, e intendo in senso veramente ampio, ovvero tutto quello che sentiamo esterno a noi stessi. Il cosmo, in questa accezione, è veramente molto presente, perché inizia appena dove finiscono le mie dita, ed è anzi quell’ambiente dove le mie dita, le mie mani, la mia attività e la mia volontà si esercitano.

Chiaramente il modo in cui percepisco il cosmo informa profondamente ogni mia azione, oserei dire, ogni mio respiro. E questo cambia continuamente.
Ci avverte Marco Guzzi d’altra parte che

… l’ordine del mondo (cosmologico, politico, conoscitivo, e perfino morale) non è statico, non è definito una volta per tutte, ma è storico, si dà cioè temporalmente, attraverso una processualità di mutazioni sostanzialmente “rivoluzionarie” (dalla rivoluzione copernicana in poi)

Difficile negare che stiamo attraversando un’epoca di insicurezza, di crisi che sovente si ripercuote dal livello meramente economico a quello esistenziale. Diceva il celebre sociologo Zygmunt Bauman, pochi mesi prima di morire, che
il sentimento di “insicurezza” deriva da una miscela di incertezza e ignoranza: ci sentiamo umiliati perché inadeguati al nostro compito, e la conseguenza è il crollo della stima e della fiducia in noi stessi. È qualcosa che riguarda tutti.

Non a caso questa insicurezza si riverbera nella percezione del cosmo.

 Così nel il cammino storico, dove ci sembra di aver percorso tutto, esplorato e bruciato tutto (impeti rivoluzionari, ideologie, tirannie…) dove le stesse democrazie liberali mostrano impietose i loro limiti. Ci sembra, in altri termini, di conoscere molto di più degli uomini di qualche tempo fa, di essere avvertiti e disincantati allo stesso tempo, come pure di essere arrivati ad un punto di confusione, di stallo. Di conoscere e non conoscere allo stesso tempo — o perlomeno di non avere la conoscenza necessaria per agire in modo costruttivo nell’agone sociale.

Così è interessante notare come questa situazione, di sapere di non sapere, si ritrova mappata nella nostra percezione del cielo, in cui mai come in questi esatti anni, si coniuga un senso di comprensione globale con una eclatante consapevolezza di profonda ignoranza. E non come la immaginiamo, ma come la scienza contemporanea ce la porge, ce la dipinge.
Non è quel cosmo che poteva avvertire sopra la propria testa una persona come Cartesio, come Newton. E’ un cosmo più chiaro, di cui possiamo finalmente dire scientificamente il momento di nascita, l’estensione, certo-— ma al contempo immensamente più complicato e misterioso.
Un cosmo in ultima analisi più morbido rispetto al meccanicismo implacabile con il quale lo abbiamo vissuto in passato, un cosmo elettrizzante, in un certo senso, perché si apre di nuovo ad un intervento profondo e creativo dell’uomo, finalmente libero perché finalmente liberato (e sempre da liberare ancora) da un meccanismo stolido di azione-reazione, affrancato da un reticolo di dinamiche freddamente impersonale.
Scrive ancora Marco Guzzi,

L’uomo è inserito in questo processo storico con la propria libertà creativa, può cioè intervenire attivamente, non deve solo prendere atto di un mondo esterno sovrastante e bloccato e adeguarvisi, ma può interagire appunto creativamente col darsi storico del mondo. La creatività umana è dunque reale e radicale, in quanto la sua libertà è reale e radicale: per cui l’uomo, si potrebbe anche dire, trascende sempre il mondo dato.

Fino ad arrivare al nodo reale, al punto intorno al quale possiamo lavorare, verso una nuova comprensione di noi stessi, come uomini: una comprensione che restituisca a noi stessi la nostra creatività (in ogni senso, dal cosmologico all’artistico, passando per l’agire sociale)

D’altronde se il sistema del mondo (cosmico come politico) fosse chiuso in sé (bloccato in una necessità tragica e fatale, come il cosmo greco), che spazi di libertà autentica e quindi di creatività radicale avrebbe l’uomo?

C’è spazio per la creatività, dunque, intorno a noi, in noi? Abbiamo affondato le nostre radici su un terreno tanto solido da sgretolare quella disgraziata stazionarietà, sia cosmologica che mentale, che nega sottilmente l’utilità e la unicità del nostro attraversamento del cosmo, per quanto breve possa essere, rispetto alle scale di vita delle stelle, delle galassie?
Una sfida culturale, artistica, cosmologica, ormai non più procrastinabile.

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Spunti per… onde nuove

E’ stato un simpatico trappolone quello che mi hanno teso i simpatici e bravi Alessandro e Gabriella, all’incontro dell’associazione Darsi Pace che è avvenuto ieri mattina. Complici anche loro: le famose onde gravitazionali finalmente (ri)trovate, dopo tanto affannoso cercare. 
Proprio giovedì scorso è stato dato infatti l’annuncio ufficiale, che queste elusive increspature dello spazio-tempo, previste da un certo Albert Einstein addirittura un secolo fa, sono state finalmente rilevate. Ed è certo una conferma di grandissima importanza per la teoria della relatività generale:  una cosa non proprio ininfluente, perché (andando per le spicce) è proprio la teoria sulla quale si impernia la nostra conoscenza dell’universo, così come lo comprendiamo ora
Diciamo in pratica che ci siamo accorti ancora una volta che l’universo risponde ai nostri schemi interpretativi, ci racconta che i nostri sforzi per capirlo sono sforzi produttivi. Risuona sull’ambito di frequenze nelle quali gli inviamo le domande. Sono dunque le domande giuste, per questo nostro tempo. 

E forse è possibile, è lecito, chiedersi se questa scoperta scientifica può suggerirci qualcosa che vada oltre la scienza, se ci aiuti – come sempre – a comprendere il mondo anche in senso più culturale e spirituale. Ovviamente per fare questo, per lanciarci in questo spunto di indagine, dobbiamo dismettere i panni del rigore scientifico e lanciarci in una ricerca a tutto campo che però procede con strumenti diversi. 
Scienza e cultura, scienza e spiritualità, non solo si possono parlare, ma debbono farlo, perché l’uomo non si sviluppi a compartimenti stagni, in collisione tra loro. E’ salutare che lo facciano, purché appunto si usi un linguaggio (tentativamente) onesto, che non pretende di portare il rigore scientifico dove non vuole e non può arrivare.
Con questa coscienza, si può provare ad esprimere qualche suggestione che questa recente scoperta può evocare in una persona che per mestiere è condotta ad occuparsi del cosmo. Io almeno ci ho provato, ieri mattina (accogliendo una richiesta simpaticamente a sorpresa, chiamata informalmente trappolone). Potete vedere il video in cui, peraltro, provo un po’ all’impronta a riassumere quanto ho argomentato in un post scritto per l’associazione Darsi Pace

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La mia storia con GAIA (intervista)

Eccovi qui una recente intervista che ho rilasciato di recente a Marco Staffolani per Tendopoli, la rivista dell’omonimo movimento. Ringrazio Marco per avermela proposta, è stato bello e divertente prepararla. Trovate l’intervista anche su GruppoLocale.it 😉

Ciao Marco, benvenuto in questa rubrica scientifica del giornale Tendopoli. Descrivici brevemente chi sei, la tua famiglia, il tuo lavoro.

Ciao Marco, sono lieto di fare il mio ingresso nel vostro giornale!

Due parole sul sottoscritto, prima di addentrarci nella scienza? Ebbene, io sono Marco Castellani nato a Roma nel lontano novembre  del 1963. Dopo il liceo scientifico mi sono iscritto alla facoltà di Fisica presso la (allora neonata) Seconda Università degli Studi di  Roma “Tor Vergata”, dove mi sono laureato nel 1990. Nella stessa università ho conosciuto Paola, una bella ragazza che frequentava  il corso di laurea in Biologia e che poi, nel 1991, sarebbe diventata mia moglie. Ora viviamo sempre a Roma e abbiamo quattro  figli, Claudia, Andrea, Simone e Agnese. Per quanto riguarda il percorso professionale, dopo la laurea ho conseguito il dottorato in Astronomia, e infine sono entrato a tempo indeterminato presso l’Osservatorio Astronomico di Roma, dove ora ricopro il ruolo di  ricercatore.
 
Riguardo le mie passioni, ho sempre avuto un forte interesse per la scrittura creativa: in questi ultimi anni ho scritto diversi racconti e  raccolte di poesie. In particolare un racconto, “La bambina e il quasar” è stato recentemente proposto in una scuola media inferiore, grazie all’entusiasmo di una professoressa di scienze. La cosa è stata per me di  grande soddisfazione, in particolare i commenti degli alunni mi hanno decisamente gratificato. Ho al mio attivo anche un romanzo vero e proprio, “Il ritorno”, il cui nucleo è stato realizzato partecipando al “National Novel Writing Month” del 2009,  un’avventura pazza ed entusiasmante il cui scopo era di scrivere 50.000 parole in un mese. Ce l’ho fatta e ne sono piuttosto fiero! Per questo e altro maggiori informazioni si trovano sul mio sito, www.marcocastellani.it (in particolare, segnalo la sezione “libri“).
 
Immagine artistica del satellite GAIA (Crediti: ESA)
 
Insomma, un astronomo ma non solo! Ma entriamo nell’argomento della rubrica: proprio alla fine dell’anno appena passato, il 19 dicembre, è partita la sonda GAIA, un progetto europeo nel quale l’Italia ha contribuito molto. Questo nome è curioso! può dirci quale è lo scopo di questo missione?
 
 
Certamente! Partirei proprio dal nome: GAIA sta per “Global Astrometric Interferometer for Astrophysics”, è una missione spaziale astrometrica realizzata dall’ESA, l’ente spaziale europeo. In realtà la parte di interferometria è stata da tempo abbandonata in favore di nuove specifiche per il progetto, ma il nome originale è rimasto (a volte noi scienziati siamo pigri, e poi GAIA era molto carino…). E’ un progetto molto grande ed ambizioso, che già da diversi anni coinvolge un gran numero di ricercatori e tecnici che collaborano da diversi paesi europei. In vari sensi si può intendere come la continuazione (enormemente migliorata) del progetto Hipparcos, una prima sonda dedicata all’astrometria (la misura della posizione e delle velocità delle stelle) che – nonostante le limitazioni – ha consentito un deciso passo avanti nella nostra conoscenza della Via Lattea – la grande galassia entro la quale viviamo – della quale sappiamo molto ma ancora molto ci rimane da comprendere.
 
Se pensiamo che GAIA compilerà un catalogo di circa un miliardo di stelle – per le quali avremo misure accurate di posizione e di moto proprio – a fronte di circa 120.000 facenti parte del catalogo finale di Hipparcos, abbiamo un primo sentore del gigantesco balzo in avanti nella conoscenza che promette la missione stessa. Da GAIA ci aspettiamo una vera e propria “mappa” tridimensionale della Galassia, un’opera davvero senza precedenti! Il lancio di GAIA è avvenuto con pieno successo appena prima del Santo Natale dello scorso anno, la mattina del 19 dicembre, dalla Guiana Francese. A bordo di GAIA vi sono due telescopi che hanno il compito di “spazzare” il cielo in maniera ininterrotta, mentre la sonda effettua una particolare orbita intorno ad un punto particolare dello spazio, chiamato “L2”, a circa un milione e mezzo di chilometri da terra. Nel corso dei suoi previsti cinque anni di autonomia, riuscirà a trasmettere a terra i dati di un elevatissimo numero di stelle. Inoltre, per maggiore precisione, ogni stella sarà osservata diverse volte: si pensi che dovremmo avere una media di settanta misurazioni per stella! Questo ci consentirà di raffinare la precisione delle misura a livelli finora impensabili, soprattutto per una quantità così grande di oggetti.
 
Quale è il tuo compito particolare in questa missione?
 
 
Per rispondere in maniera esaustiva, dobbiamo mettere l’occhio, sia pure rapidamente, a come viene concepita ed organizzata una moderna missione spaziale. Perché il progetto possa funzionare senza intoppi, è necessaria una divisione molto particolareggiata dei compiti, e un coordinamento preciso e puntuale tra le persone che lavorano nei diversi ambiti. Così ogni ricercatore si trova ad essere destinato ad una parte molto specifica del progetto, di cui è insieme massimo esperto e diretto responsabile. Il mio compito particolare, insieme con colleghi di Roma e di Teramo, consiste nel produrre e testare il software che si deve occupare di una situazione delicata ma frequente: l’estrazione dei profili stellari (ricostruire la “forma” delle stelle) dai dati, nel caso in cui le stelle risultino parzialmente sovrapposte sul rivelatore. Ci si aspetta che questo accada con grande frequenza, visto l’affollamento stellare della nostra Via Lattea (in particolare in zone come gli ammassi globulari, condensazioni di anche un milione di stelle in configurazioni a simmetria sferica, decisamente “impacchettate”).  La sfida è stata tutt’altro che banale, perché abbiamo dovuto soddisfare i requisiti di precisione con quelli imposti dal coordinamento, di velocità di esecuzione e di interfacciamento con le altre procedure. Il compito non era facile, ma pensiamo di essere riusciti a fare la nostra parte. Ora speriamo che GAIA… faccia la sua, e che – completate le operazioni tecniche di verifica – ci mandi a Terra i dati che tanto attendiamo!
 

GAIA potrà trovare anche pianeti in altri sistemi solari. Credi che ci sia vita nell’universo? in caso come te la immagini?

GAIA potrà certo trovare pianeti all’esterno del nostro Sistema Solare: al termine della missione, intorno al 2018, ci si aspetta un numero di circa 8000 pianeti rilevati, che non è affatto poco! Purtroppo per le caratteristiche del satellite, e per la difficoltà intrinseca di tale ricerca, non saremo in grado di dire se in alcuni di essi vi sia o vi sia stata la vita, comunque sarà un grande passo avanti per stimare la probabilità delle configurazioni planetarie più adatte alla vita. Come scienziato che si attiene ai dati, devo dire che finora non abbiamo nessun indizio di forme di vita intelligente oltre il nostro, nell’Universo. E’ vero che la vastità dell’universo fa ritenere a molti implausibile l’idea che la vita come la conosciamo si sia sviluppata solo sulla Terra. Tuttavia non sono ancora del tutto chiare le probabilità dei vari fenomeni che darebbero origine alla vita, e la stessa origine della vita rimane un mistero. In tale situazione, considerazioni filosofiche e metafisiche possono portare un ricercatore a ritenersi, in cuor suo, certo della diffusione della vita, e un altro a ritenere che la Terra possa essere il solo pianeta che la ospita. Se comunque vi fosse, non me la immaginerei molto diversa dalla nostra: dopotutto, gli elementi “base” per la costruzione delle forme di vita sono uguali in tutto l’universo, e anche i meccanismi biologici e chimici che la governano.

Marco in questa rubrica trattiamo di scienza ma anche di fede. La fede e la scienza hanno avuto nel corso dei secoli un rapporto dialettico. La domanda sorge spontanea: tu come vivi fede nel tuo ambiente di lavoro?
 
 
Ritengo che vivere la fede nell’ambiente di lavoro di uno scienziato non sia troppo diverso da quanto può capitare ad un qualsiasi credente in un diverso ambito lavorativo, sai come sfida che come possibilità. Tra gli astronomi (il campo dove posso più propriamente esprimermi, per la mia esperienza) si rintracciano difatti tutte le possibili posizioni dell’animo umano davanti alle sfida e alla portata della fede. Da chi non crede a chi è agnostico a chi è devoto e praticante, si possono incontrare scienziati  – anche di valore – che si fanno espressione di ognuno di questi atteggiamenti. Visto il momento storico, in ogni caso, mi pare che la sfida del cristiano sia di rendere ragione della sua speranza in un ambiente che, comunque, è ampiamente secolarizzato. La mia esperienza è che l’adesione alla fede renda più vivo e creativo anche il lavoro scientifico: Cristo non può non entrare in tutti gli ambiti! Vorrei citare al proposito un brano di Don Luigi Giussani, che intuì bene questa cosa già nella sua giovinezza “Una sera d’inverno in seminario, dopo cena (…), Enrico Manfredini insieme ad un altro nostro compagno, De Ponti (…), mi viene vicino e mi dice: «Senti, se Cristo è tutto, che cosa c’entra con la matematica?». Non avevamo ancora sedici anni. Da quella domanda, per la mia vita nacque tutto. Quella domanda convogliò ad iniziativa organica tutto quanto, di pensiero, di sentimento, di operosità, la mia vita sarebbe stata capace di dare.” (da “Tracce“, marzo 2005.)
 
 
Si sente spesso dire che l’Italia è una patria di cervelli in fuga. Che in Italia non c’è spazio per chi vuole fare ricerca. Tu come vedi questa situazione italiana? 
 
 
Oggettivamente la situazione italiana dal punto della tutela e promozione di chi fa scienza o studia per farla, può sembrare sconfortante. E’ un dato di fatto che anche giovani di grande capacità sono costretti – per lunghi periodi o addirittura per la vita – a uscire dai nostri confini per trovare un posto di lavoro confacente alle loro abilità.  D’altra parte è la società contemporanea che comunque premia le persone elastiche e disponibili anche a dei sacrifici, per cui non è così difficile che una persona di buona volontà e di buona applicazione possa comunque trovare una sua strada, anche se comunque deve mettere in conto di passare dei periodi all’estero. Da questo punto di vista, la situazione sembrava migliore nel passato, e la crisi dalla quale stiamo tentando di uscire non ci ha certo giovato. Nonostante tutto l’Italia continua a sfornare scienziati di eccellenza e siamo presenti in tanti progetti importanti (non ultimo certo il caso di GAIA, che ha una presenza italiana importante). La speranza è che tutto questo ci aiuti a sollevarci, a ripartire con rinnovato entusiasmo, e soprattutto a dare più speranze anche ai giovani che scelgono di laurearsi in materie scientifiche.
 
 
Molti giovani leggono questa rubrica. Che suggerimento daresti loro riguardo al futuro? 
 
 
E’ una domanda delicatissima. Il suggerimento che mi sento di dare, in questo periodo di generale crisi che si esprime anche nel mondo del lavoro, è di mettersi in ascolto della propria interiorità, per capire il percorso al quale si è chiamati. Il criterio di scegliere un percorso di studi che “garantisca” il lavoro non è più un criterio valido, perché l’incertezza ormai raggiunge più o meno tutti gli ambiti. E’ piuttosto il momento di avere il coraggio di seguire la propria vocazione, fare silenzio dentro di sé e capire cosa veramente siamo “chiamati” a fare, per servire il Mistero e per servire, con la nostra opera, i nostri fratelli uomini. Sia che si faccia il lavapiatti, che si scriva, o che si indaghi l’universo primordiale; cosa che che dal punto di vista della dignità umana non fa assolutamente alcuna differenza.
 
 
Beh eccoci giunti alle battute finali. Marco, nella precedente puntata abbiamo parlato della cometa ISON. Come i lettori stessi avranno constatato nella notte di Natale non si è vista nessuna cometa nel cielo, segno evidente che la cometa non è riuscita a passare indenne il suo giro intorno al Sole che è avvenuto verso la fine di novembre 2013. Sarebbe stato sicuramente un bellissimo spettacolo! Ma se la cometa ci ha deluso, non è questa il solo astro che c’è in cielo. Penso di smuovere bellissimi ricordi tra i tanti tendopolisti facendoli ripensare allo spettacolo del cielo estivo sotto al gran Sasso: infatti l’esperienza comune per ognuno di noi guardando il cielo e le stelle, penso sia quella di percepire qualcosa che va oltre noi stessi. E per te? Che sensazione ti da guardare il cielo?
 
 
E’ proprio vero, ammirare il cielo è una esperienza affascinante. Il fatto che la cometa in larga parte sia stata purtroppo distrutta, non ci deve distogliere dall’esperienza incredibile che tutti dovremmo fare, almeno ogni tanto: rimettersi di fronte ad un cielo buio, magari lontano dalla città… per capire che, in realtà,tutto è, tranne che buio! Lo spettacolo della moltitudine di stelle, della fascia della Via Lattea, è qualcosa che fuor di retorica può essere solo provato, non certo descritto. Personalmente, rimirando la volta stellata, avverto un dolce senso di pace, e capisco che il creato è immensamente più ampio ed esteso di quello che di giorno avverto come “il mondo”. A differenza di altri, forse, non mi sento “perso” davanti all’immensità, piuttosto mi sento a casa. E’ meraviglioso pensare che Dio abbia creato tutto questo per noi… per me. Dal punto di vista umano, è una fantastica sfida alla logica di chi va “al risparmio”, negli affetti, nelle amicizie, nel dono di sé, nel “vivere intensamente il reale” (Giussani). E’ un Dio dell’abbondanza, quello che ha creato tutto questo, mi dico. E spero che il mio cuore spesso “in lotta” si apra definitivamente alla Sua più bella abbondanza, l’abbondanza della Sua misericordia e del Suo amore.
 

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Voyager 1, affacciata sull’immenso

Chi mi conosce un po’, lo sa bene. Io ho una sorta di ammirazione incondizionata per le sonde Voyager. Di più, è quasi una fissazione. Il fatto che siano lì a macinare spazio da circa 35 anni, avendo superato nel tempo una bella serie di problemi tecnici, mi desta davvero meraviglia. 
Ora la sonda Voyager 1 sta arrivando ai confini dell’eliosfera. E’ la vera zona di frontiera del nostro condominio cosmico, il Sistema Solare. Dentro, è casa. Fuori, il vero spazio interstellare. Una immensa vastità di spazio dove la nostra stella non è più dominante. Dove piovono raggi cosmici non più schermati e deflessi dal campo magnetico solare. 
Quando le cose erano fatte per durare… (NASA/JPL)
Lo spazio aperto, quello vero. E nessuno, nessuna sonda ci era mai arrivata, prima delle Voyager. 
Il tema del quarto concorso Vittorio Castellani (una collaborazione tra Osservatorio Astronomico di Teramo e UNESCO) quest’anno ha messo a tema proprio un immaginario viaggio con la sonda Voyager. Ne parlerò in un prossimo post, perché i temi svolti dai ragazzi delle scuole sono stati spesso sorprendenti.
Come e più della sonda, se possibile. Perché lo spazio cela meraviglie, ma l’uomo – ogni uomo – non è da meno.
Perché ha un cuore fatto per l’immenso.

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Premio Castellani 2010

Quella che segue è una notizia un pò “particolare”, nel senso che è una cronaca (appena accennata) di un avvenimento vissuto dall’interno, in prima persona, ovvero la cerimonia conclusiva del Premio Artistico Vittorio Castellani 2010. Il premio è alla sua seconda edizione, promosso dall’Osservatorio Astronomico di Collurania (Teramo) e sponsorizzato dall’Unesco.

Il saluto introduttivo della rappresentante dell’Unesco

Dopo la prima edizione lo scorso anno, un pò compressa (giustamente) a motivo del sisma che aveva funestato l’Abruzzo solo pochi mesi prima, posso dire che quest’anno si è potuta svolgere con una ampiezza maggiore e una sua identità più definita.

Con Oscar Straniero, direttore dell’Osservatorio di Collurania (Teramo)

Ho accolto volentieri l’invito degli organizzatori, soprattutto di Mauro Dolci, ricercatore all’Osservatorio di Teramo, per partecipare alla manifestazione, che si è tenuta nella bella sede della Provincia di Teramo.

Il mio contributo si è articolato in una “chiacchierata” di circa un quarto d’ora, con l’aiuto di qualche slide che mi ero preparato, per ricordare la figura di mio padre  (astronomo, speleologo., e tanto altro…) “dal mio punto di vista”;  il tentativo era di evitare ogni retorica, parlare dei suoi interessi e del suo approccio alla scienza e alla cultura, della sua passione per il sapere, della sua avversione ad ogni artificioso steccato tra le discipline, del suo perenne desiderio di comprendere e conoscere…

Spero di esserci riuscito. A giudicare da quanto mi hanno detto dopo il mio (un pò emozionato) intervento, penso di poter dire di sì. 

Durante il mio intervento…

 E’ stata un’esperienza nuova stare dalla parte degli speacker, seduto accanto al direttore dell’Osservatorio di Teramo, ascoltando la sua relazione o quella di Mauro sull’asteroide Interamnia, dopo il saluto della rapprentante dell’Unesco e delle autorità. 

Soprattutto è stato bello il fatto di avere di fronte  non un pubblico di addetti ai lavori, ma dei ragazzi delle scuole, tra i quali, naturalmente, i destinatari dei premi. Per me è stato bello perché mi ha portato a ricordare l’attenzione che papà ha sempre avuto per la divulgazione e l’insegnamento, come pure la sua sensibilità alle nuove idee e prospettive, da qualsiasi parte potessero arrivare. E il suo grande rispetto per chi, magari a fatica, si arrampicava per i primi gradini del percorso affascinante dell’astrofisica…

I ragazzi delle scuole: un uditorio inaspettamente attento… 😉

Sono dunque grato agli organizzatori, contento di aver vinto un pò di timidezza e aver accettato di partecipare. Contento perché Mauro sia rimasto colpito dalla poesia che avevo scritto per papò, che mi abbia presentato come autore e scienziato… che abbia voluto citare i miei due libri su Lulu e insistito perché la poesia scritta in morte di mio papà  venisse presentata e letta (io da solo ovviamente non avrei osato). 

Ora ho capito, non per voler parlare di me (mi sarebbe sembrato il posto sbagliato), ma ecco… se uno si mette in gioco, non può nascondere parti di sè.  Insieme al fatto di aver trovato persone davvero mosse dal desiderio di ricordare Vittorio, questo è un fatto che mi conforta, e aiuta a “farsi amico” anche il perdurante dolore della sua mancanza…

Da lassù dov’è ora, magari un’occhiata ce l’ha data…

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Osservazione e stupore…

Non è stato per niente difficile. E’ bastato ricercare nei plugin di WordPress, il “motore” di GruppoLocale.it, uno che permettesse di allestire un forum. Ecco che WP Forum Server si è dimostrato pienamente adetto alla bisogna.

Così da qualche giorno GruppoLocale ha il suo forum. Certo, di gruppi di discussione di astronomia ve ne sono diversi, anche in italiano. Anche per questo avevo aspettato… tuttavia l’idea di avere qualcosa proprio integrato nel sito, e anche configurabile con la massima libertà, alla fine mi ha convinto.

Ne sono contento, perchè stanno venendo fuori delle discussioni proprio belle: intendo, che fanno pensare, che aiutano anche a me a riflettere sul mestiere dello scienziato. Ecco un estratto (di un argomento che mi è molto caro, quello del ruolo dello stupore nel conoscere) che riprendo dalla sezione “In cattedra”, che tratta di tematiche relative all’insegnamento e alla divulgazione.

More about Solo lo stupore conosce

E’ una cosa bella il doppio, anche perché non avevo pensato nemmeno a questa sezione, all’inizio.  E poi è stata fin dall’inizio un’avventura condivisa: devo ringraziare almeno tre persone, Daniela, Sabrina e Gloria (le trovate facilmente nel forum, se volete), che hanno creduto alla bontà di questa idea e si sono applicate con suggerimenti e aiuti, e soprattutto lasciandosi “divertire” e prendere dalle prime discussioni … Grazie!!

Quote from anglo on September 9, 2010, 17:29
Il cielo è bellissimo e misterioso, ma l’uomo che lo guarda lo è 100 volte di più.
Perciò grazie! Per i misteri che ci svelate, per la bellezza che ci mostrate, per il grande pezzo di realtà che ci fate conoscere… ma soprattutto grazie perchè vi stupite.
ciao ciao
gloria
Miei cari (anzi mie care..),
ripercorrendo i vostri bellissimi interventi, nel tentativo di formulare una “risposta” comune, trovo facilmente un filo rosso che li unisce, ed è proprio quello che è sommamente caro anche a me, ossia la meraviglia e lo stupore. E’ bello che nelle motivazioni per seguire la strada della “scienza dei cieli”, questi siano stati da tutte voi tenuti in grande considerazione, è bello perchè fa l’uomo più “uomo”… un uomo che segue e ascolta i desideri del cuore (ciò che ci spinge a desiderare grandi cose, mi insegnano, è proprio il cuore).
La mia massima preferita è legata a questo, “Solo lo stupore conosce” (di Gregorio di Nissa), che poi è anche il titolo di un bel libro sull’avventura della ricerca scientifica. Io penso infatti che la passione e lo stupore debbano essere coltivati in ogni fase di questa avventura, e in massimo grado nel percorso educativo (come mi confermate voi tutte), solo questo porta a guardare l’oggetto del conoscere con occhi spalancati e vero desiderio di apprendere, solo questo mette davvero in gioco…
E’ vero, un essere umano che si stupisce è spettacolo esso stesso.. quasi più dell’oggetto della sua indagine. Non voglio essere polemico, ma a mio avviso il vivere attuale sembra sospingere lo stupore fuori dall’ambito dell’interesse umano, sostituendolo con l’efficienza, e la meditazione con la prestazione (lo so, qui pesco dalla lettura di Hadjadj!) …. in una contabilità ultimamente triste e senza prospettive. Invece lo stupore va custodito e protetto, è una molla di una capacità incredibile, per l’apprendimento… e per la vita!
Scusate se mi sono dilungato un pochetto… ;-)
Marco

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E’ pieno di stelle…!

Il cielo stellato è fonte di perpetua meraviglia: lo era certamente millenni addietro, per gli uomini delle passate ere, lo è anche per gli uomini di oggi. O meglio, lo sarebbe, se a tanta parte del mondo civilizzato non fosse precluso questo semplice atto di poter alzare la testa – la notte – e meravigliarsi per la panoplìa di puntini brillanti di cui è costellata la volta del cielo.

Mi viene da pensarci mentre cammino sulla stradina che porta alla casa di montagna. Anche oggi infatti il cielo è uno spettacolo, nonostante la giornata di tempo prevalentemente piovoso ci abbia lasciato diverse nubi ad oscurare in parte la luce degli astri celesti; non importa, ugualmente sono belle a guardarsi: quelle che si vedono offrono parimenti uno spettacolo di indubbia suggestione.

Così, alzare la testa alla volta celeste ora mi sembra un gesto antichissimo, un po’ come potrebbe esserlo scaldarsi seduti davanti ad un fuoco: quando lo faccio mi sembra come di attraversare il tempo, e mettermi in contatto con generazioni e generazioni di individui che mi hanno preceduto su questo piccolo pianeta; di ripetere un gesto antico come un rito.

Perdere il cielo stellato è una grave perdita culturale, poichè equivale a perdere la consapevolezza di essere immersi in un Universo vastissimo, di una grandezza che già da sola è fonte di continua meraviglia.

Speriamo che questo anno 2009 appena cominciato, decretato Anno Internazionale dell’Astronomia, possa portare un briciolo di consapevolezza in più perchè anche chi non può spesso ammirare il meraviglioso spettacolo della volta celeste trapuntata di stelle (che è poi la condizione prvalente per molti di noi), possa aver comunque modo di continuare a stupirsi dell’Universo in cui è immerso, e delle sue meraviglie. Che possa venire comunque a contatto con il fatto che c’è uno sconfinato terreno di ricerca sopra e intorno a noi, che stupiscce tanto il poeta per quel che dice alla sua anima e alla sua sensibilità, quanto lo scienziato che indaga i reconditi meccanismi dei lontani corpi celesti che questo ospita.

Manter vivo lo stupore insomma: in questo ambito, direi che noi astronomi e astrofisici abbiamo una bella responsabilità: c’è il cielo sopra di noi, non dimentichiamocelo. Ed è un cielo affollato, pieno di puntini brillanti… E’ pieno di stelle! come recita la suggestiva chiusa del celeberrimo film 2001 Odissea nello Spazio.

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Coperta novembrina, ed altro…


November cover
Inserito originariamente da LucaPicciau

…Lo so, lo so: non dite nulla! Sono fissato con le foto della natura con i colori autunnali, ormai è cosa assodata…….. 😉

Tra una cosa e l’altra, sono riuscito finalmente proprio stamattina a finir di approntare la nuova versione del database degli ammassi globulari, che tanto mi ha fatto “tribolare” per la riorganizzazione delle tabelle MySQL.. si raggiunge all’indirizzo http://snipurl.com/gclusters

PS pensavo tra me e me.. non lo scrivo sul sito, ma questa per me è la “release Paola”.. beh un piccolo tributo alla mia sposa e al suo amore 🙂

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