Rabbia, disgusto, gioia, paure e tristezza… tutto serve, se ben composto. |
Avverte Marco Guzzi, in apertura appunto del libro Darsi Pace, come “dal punto di vista emotivo la nostra umanità sembra sempre più fragile e infantile, sembriamo spesso inconsapevolmente posseduti da flussi emotivi, da passioni mai seriamente indagate, come diceva Jung, che possono diventare tempeste collettive quando si scaricano sui teatri ormai planetari della storia.”
Ben venga dunque un richiamo a riprendere familiarità con i nostri stati emotivi. A cercare di riprenderli, riabilitarne la dignità, comprendere come servono alla vita, alla vita vera. Un primo atto di riconciliazione con sé stessi, che è anche inevitabilmente un atto sociale e politico, nel senso che incide radicalmente nella percezione che abbiamo di noi e degli altri, e dunque inevitabilmente sui rapporti più risanati che diveniamo capaci di intrecciare.
Una seconda cosa che mi è tornata in mente, in relazione al film, è un passaggio della bella canzone Fango di Lorenzo Cherubini, “L’unico pericolo che sento veramente, è quello di non riuscire più a sentire niente…” Ecco. Questo nel film è palese, scoperto, manifesto. Il momento più terribile, direi quasi orribile, non è affatto uno di quelli nei quali la simpatica protagonista agisce dominata da una emozione magari “sgradevole” (rabbia, disgusto, paura, tristezza). Assolutamente no. E’ invece quello in cui lei stessa perde il contatto con le sue emozioni. Di qualsiasi tipo possano essere.
Scrive assai lucidamente Claudio Risé, in un articolo su Tempi, che ” …il guaio oggi non è lo strapotere delle emozioni, ma il fatto che non ci siano quasi più. Nessuno che prenda a pugni un tavolo come fa Rabbia (rosso, basso e inquartato, grande casinista), o che sia gioiosamente pazzoide come Gioia, radicalmente pessimista come Paura (che a un certo punto esclama: «Ottimo, oggi non siamo morti»), schifato come Disgusto davanti al broccolo, esausto e contagiosamente melanconico come Tristezza (che quando tocca un bel ricordo, lo rompe). Tutti neutri, beneducati, che non si capisce cosa pensino. Un vero guaio, anche per la psiche. Che senza emozioni si spegne.”
Riconoscere che la salute mentale è anche nel permettere l’avvicendarsi delle emozioni (senza “bloccare” per forza quelle che non ci aggradano) vuol dire essenzialmente volersi bene. E’ l’inizio di una insurrezione benefica, un cammino nuovo di amicizia con la vita, dopo tanto freddo esercizio di logica. Eccole qui: rabbia, disgusto, tristezza, paura, gioia. Le prime quattro le bandiresti dal tuo orizzonte interno, potendo. Vorresti essere un uomo migliore, una donna perfetta: concederti queste passioni non è bene, non è adulto. Non si fa… Eppure sono proprio loro che – in uno splendido gioco di squadra – renderanno possibile il ritorno della gioia nella vita di Riley.
Davvero tutto coopera a rendere colorata la vita, a vivere sempre intensamente il reale (per riprendere una bella frase di Luigi Giussani), se davvero niente si censura, nulla si esclude.