Blog di Marco Castellani

Tag: Etty Hillesum

Venticinque anni fa

L’oscurità dello spazio profondo e l’orizzonte terrestre, sullo sfondo della foto. Davanti, i moduli Unity costruiti in Russia (sinistra) e negli Stati Uniti (destra), dopo poco dopo aver lasciato la stiva di Endeavour. Era il dicembre del 1998. Era l’inizio dell’avventura chiamata Stazione Spaziale Internazionale. Era l’inizio, appunto: tutto il resto si sarebbe assemblato, con il tempo, attorno a questo nucleo essenziale.

L’inizio della Stazione Spaziale Internazionale
Crediti: NASA

I componenti dell’attuale stazione spaziale sono stati costruiti in vari paesi del mondo, con ogni pezzo che viene portato nello spazio e collegato agli altri da complessi sistemi di robotica e dall’abnegazione di umani protetti da tute spaziali: una testimonianza di un affiatato lavoro di squadra e di una grande coordinazione tra persone e tecnologie di varie culture.

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Nominare le cose

La poesia è bella, è importante, mi dico, soprattutto per questo. La poesia prende sul serio le parole, le prende sul serio e le ama una per una. Il poeta smonta e rimonta un verso, ed è attento ad ogni singola parola. La rispetta, la onora. Anche una congiunzione, addirittura un carattere sospensivo, una virgola. Ecco, anche questa. Muovere un virgola in un verso a volte è cambiare tutto.
Il poeta ascolta le parole e ne estrae il succo, le mette insieme alle altre e controlla la miscela, gestisce l’alchimia. O almeno prova a farlo, perché poi la vera poesia, sfugge sempre di mano, esonda dai calcoli ordinari, acchiappa quell’aggancio di infinito che ha appena sfiorato e ci fa dimora, ci fa casa. Da lì si comunica anche ad altri, perché è irresistibilmente missionaria. E si realizza la magia, la rinnovata fratellanza tra gli uomini, legati dal comune anelito del cuore. 
Viviamo in una epoca diametralmente opposta alla poesia. La quantità di parole scritte è altissima (sui social, sulle reti di messaggistica), ma una gran parte di queste è utilizzata al minimo potenziale, è svilita, è prostituita. La parola così depotenziata è volgare, sempre volgare. E’ questa, a ben vedere, la vera pornografia. Perché è la più perniciosa: induce un pensiero parimenti depotenziato, servile, non libero. La vera poesia è liberante, non sopporta costrizioni ideologiche o morali, non le sopporta affatto.

Nacque il tuo nome da ciò che fissavi è il titolo del meeting di Rimini di quest’anno, ed è soprattutto un verso di una poesia di Giovanni Paolo II. Il segnale che raccolgo è positivo, confortante. In tempi di slogan e pensiero semplice, dove i cinguettii informatici di illustri ministri fanno a gara in inciviltà e nel rilancio del pensiero pigro, mettere un verso di una poesia a titolo di qualcosa, è andare in salutare controtendenza.

Come dice assai bene l‘articolo di Fabrizio Sinisi,  Tornare a nominare le cose, riscoprirne il nome, è un modo di sancire un nuovo inizio: è come nascere di nuovo. E cosa chiede il mondo d’oggi più di ogni cosa, se non il dono di poter rinascere? 

Abbiamo bisogno di un nuovo inizio, ne abbiamo sempre più bisogno. Ne abbiamo bisogno a livello personale e a livello sociale, in maniera inscindibile. Abbiamo bisogno di riprendere a sperare, di comprendere che erigere muri (dentro e fuori di noi), chiudere gli accessi (personali e nazionali), serrare i confini (di ogni tipo), non è la risposta alla sete di sicurezza, che è solo un ingabbiamento ulteriore nelle nostre paure e nella nostra solitudine. E chi fomenta tutto questo, giocando sporco sulle nostre paure e le nostre fragilità, non sta facendo un buon servizio, ai singoli e alla società.

La poesia è un superamento allegro e curioso, di ogni recinto… 

Abbiamo bisogno di un riscatto, di una ripresa. Diceva Don Giussani, alcuni anni fa, che abbiamo una sola legge: riprendere, ricominciare, risorgere. La poesia ci aiuta in questo, solo che le diamo udienza. Se accogliamo il suo modo di parlare al cuore, il nostro cuore si riapre, si allarga di nuovo. Possiamo ascoltare, di nuovo, il canto del mondo. E noi, di nuovo, respiriamo.

Ritorna bella e invitante, seducente e accogliente, la prospettiva di guarire, di ritrovare un modo e un mondo di rapporti più sereni, distesi, pieni ed appaganti. Ed il cielo ritorna a vivere dentro di noi, come recita il titolo della mostra su Etty Hillesum al meeting (e questa, a Dio piacendo, dovrò proprio contemplarla nella mia visita).

Etty non ha scritto poesie, che io sappia, ma il suo diario è un’opera incredibilmente poetica, e profetica anche. E’ un punto di partenza prezioso per ogni progetto di umanità nuova, che non eriga a sistema le sue paure, non le congeli dentro la vergogna di controversi decreti di sicurezza, ma le attraversi costantemente, slanciandosi verso l’ideale e la sua scintillante bellezza.

Non abbiamo bisogno di tanti discorsi, non c’è bisogno di retorica. Abbiamo bisogno di poesia, che è l’antidoto emozionante ad ogni sclerotizzazione ideologica, è una delle poche risorse per venire a galla dai discorsi, dai discorsi che non servono più.

Come già scriveva Alda Merini, nella lirica Ho bisogno di sentimenti,

Ho bisogno di poesia,
questa magia che brucia la pesantezza delle parole,
che risveglia le emozioni e dà colori nuovi.

Il meeting (se uno non si fa imbrigliare dai discorsi, appunto, e dall’idea che si è fatta di Comunione e Liberazione, ma semplicemente procede ad occhi aperti e cuore allargato) è una splendida occasione di sperimentare una umanità in ricerca, aperta agli stimoli della modernità e affezionata al valore buono delle tradizione, ai valori della cultura e della solidarietà (cosa non troppo banale, di questi tempi). Ed è sempre propositivo, un calderone – anche a volte affastellato, piacevolmente confuso – di proposte perché si comprenda che una vita migliore, più umana, è sempre possibile.

E non si ottiene certo chiudendosi dietro un limite, ma attraversandolo continuamente.

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Ti racconto il mio Sanremo

 … solo un caso: la trasferta è iniziata il 17 gennaio, festa si Sant’ Antonio abate, monaco eremita…

Non sarà un caso se gli accadimenti e i percorsi che ho intrapreso in varie modalità in questi ultimi tempi (il bellissimo Darsi Pace, il lavoro sul cuore con Giulia, l’incontro con suor Sveva eremita, il passaggio alla Pieve di Romena, insieme al richiamo di don Carron e di Papa Francescomi stanno avvicinando a un desiderio di silenzio e di svuotamento. La percezione oggi è quella di camminare su sentieri tortuosi con deviazioni, scale, discese e salite ma che conducono sulll ‘unica strada:  LA STRADA .


cielo mare  a Sanremo 

Sanremo è stata una bella esperienza. Il mio compito era che il lavoro per il programma che seguivo  che non era il festival, venisse seguito e realizzato con meno problemi possibili e nei tempi stabiliti. Non dovevo fare altro che essere accanto al mio collega che più giovane e più bravo di me ha svolto la parte creativa e che si trovava in prima linea a dover relazionarsi e mostrarsi ai committenti. Io ho potuto rimanere un passo indietro, essere “al servizio “, allenandomi nel metter a tacere un certo EGO che spesso fa capolino.

Il tempo di trasferta è un tempo particolare, ma anche privilegiato. Si è lontani dalla normalità della vita, e dagli amici, e dagli affetti quotidiani. Tutto viene sostituito dalla convivenza tra colleghi. Il tempo e l’impegno ruotano intorno al Festival di Sanremoe a tutti gli eventi collegati ad esso.
Ho desiderato da subito che il mio tempo non fosse inutile, disimpegnato o distratto nel turbinio di cene e pranzi a  tema fisso con pochissime eccezioni: lavoro, lavoro, lavoro farcito da pettegolezzi e le solite problematiche aziendali, tutto con un ritmo monotono fino ad arrivare alla nausea.
STARE con le persone anche dentro quella nausea è stata una sfida supportata anche dal pensiero che “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori (devastati) di altri uomini. (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.  E.Hillesum
Così non ci sono più spazi o circostanze inutili. Con la preoccupazione di salvare quell’angolo di cuore, ma senza per questo sentirmi “migliore “degli altri, ho partecipato pienamente alla baraonda di queste giornate.
Ma come si fa a conciliare il bisogno di ESSENZIALE che sento come desiderio di pienezza, con il chiacchiericcio, la distrazione e il gigantesco superfluo di parole e cose di cui si viene bombardati senza tregua?
Bisogna nutrirsi!  Così il silenzio, la meditazione imparata con Darsi Pace, la bellezza del mare e del cielo, le biciclettate e miei pranzi solitari davanti al mare, il passaggio quotidiano nella Chiesa dei frati francescani, sono stati il nutrimento per non annegare nel nulla delle troppe cose …
Pur stando con le persone ho vissuto in una solitudine, e, come spesso  ormai mi succede, sentendomi un po’ “strana”. Queste giornate sono state un’attesa continua nel desiderio d’incontrare un’anima …
Regali ne ho avuti tanti: la breve colazione con Paola, in cui scopriamo il comune desiderio di stare “interi e centrati” e non far diventare una parentesi di vita questi giorni, poi la fresca ‘amicizia con i nostri” vicini di casa,  i frati, poi la  conoscenza e l ‘invito a cena di due bellissime famiglie di Sanremo in cui ho respirato la semplicità, l’ accoglienza e la pace dentro l ‘eccezionalità di una vita “normale “ma non facile.
Tra le cose che ascoltavo e mi nutrivano durante le mie biciclettate c è stata anche un’intervista di Simone Cristicchi che riprendeva la parola” essenziale” raccontando di due ragazze del terremoto dell ‘Aquila che hanno capito che per loro l essenziale era possedere solo 2 magliette, poi della felicità sorprendente incontrata nel volto di una monaca di clausura, e del significato della sua canzone….

E’ con questo cuore gonfio di attesa che quando  ascolto la canzone di  Simone Cristicchi  mi commuovo. Ho la fortuna di poterlo incontrare “dal vivo”, devo attendere che si concluda l ‘inseguimento dei cacciatori di selfie. Supero  mio timore di essere presa come una molestatrice perché io DEVO  parlargli.!  Dopo breve inseguimento lo blocco.

Il mio GRAZIE è venuto fuori come strabordante  e da un bicchiere troppo pieno. Era il riconoscimento di un cuore. Ci siamo  detti delle cose  e riconosciuti in  questa esigenza di  tempi di  silenzio davanti alla bellezza  regalata dal mare.
Era quel ‘anima che attendevo. Così inaspettata!  Improvvisamente ho sentito che il senso del mio essere a Sanremo era lì: un risveglio del cuore , una riprova di essere sulla stessa STRADA. 
Il giorno dopo lui torna nello studio per la trasmissione-talk pomeridiana. Ascolto l’intervista. Uno spazio di verità in cui  Cristicchi racconta come coraggiosamente ha presentato quella canzone, poi accenna alle nostre maschere, agli schiaffi e alle carezze della vita.  Dentro tanto parlottìo televisivo noiosissimo che  seguirà subito dopo con “gli esperti “, le poche parole ascoltate splendono come luce e vanno dritte come una lancia a colpire il cuore della gente. Il pubblico  infatti  applaude spontaneamente con forza.
Si, Simone Cristicchi  solo per questo ha già vinto! Tutto il resto e cosa ne seguirà non ha importanza .
Penso in quel momento al potere del microfono di cui aveva parlato lui stesso . Se la TV produce spazzatura, si mangerà spazzatura, ma se qualcuno risveglia il cuore, la gente se ne accorge, si muove, gioisce e si accende una speranza.
(a me  torna   in mente quando ho iniziato a lavorare in TV, quanto ero idealista  immaginando la possibilità di cambiare un pezzo di mondo.  Risvegliare le menti assopite, risvegliare le coscienze addormentate, aprire il cuore alla creatività e alla bellezza, educare alla solidarietà, credendo che questo fosse la mission del servizio pubblico…) 
 Nel breve colloquio avevo raccontato a Cristicchi che ero stata a Romena e avevo conosciuto don Luigi Verdi. Lui mi dice che, guarda caso, proprio la sera verrà  a trovarlo e m’ invita a passare a passare a salutarlo.
Un altro regalo è stato l’incontro inaspettato con Don luigi Verdi con cui trascorro del tempo prezioso  Parliamo di Dio, del silenzio, della fraternità di Romena, del dolore, della pace, dell ‘armonia, della ricerca, del bisogno di sintesi.
Questo è stato un ulteriore carezza o di Dio, un regalo più grande di ciò che potevo solo immaginare.
Così sazia di tutto ciò che avevo già avuto, non attendo il rientro di Cristicchi dal festival per festeggiare insieme. Il mio senso del dovere mi ha fatto rientrare al mio  lavoro.
Ma anche questo faceva un po’ parte del piano di Dio. Si vorrebbe rimanere lì, stare con chi riconosci come vero, come compagnia, ma non sempre è possibile.
Non possiamo metter le tende, dobbiamo tornare e stare nel mondo, mantenendo quella gioia riassaporata re incontrata per quel poco tempo di verità.
Così me ne torno tra la mia gente, con una letizia rinnovata e visibile. E’ come quando ci si innamora, improvvisamente tutto diventa bello!
Quella sottile tristezza e stanchezza che portavo con me in quelle giornate era scomparse ma ne ho visto  il senso ricordando certe parole di Giussani :
Le due grazie che il Signore dona sono: la tristezza e la stanchezza.
La tristezza perché mi obbliga alla memoria
E la stanchezza mi obbliga alle ragioni del perché faccio le cose.


Ho voluto scrivere per non dimenticarmi delle cose 
belle e inaspettate che accadono.

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Il cielo è pieno di uccelli

Nasceva oggi, Etty Hillesum, il 15 gennaio del 1914. Lo sappiamo, è morta in un campo di concentramento nazista. E ha lasciato un diario che è una delle cose assolutamente più straordinarie, più fluide e spiazzanti, che si possano trovare in forma di stampa.
 
 
Scrivere qualcosa, qualsiasi cosa, che circondi il fatto di Etty mi spaventa totalmente. E’ impossibile. Se sono qui che comunque metto una parola dietro un’altra, completamente cosciente della sproporzione a dire che si apre in queste righe, che quasi le divora prima che le scriva, è appena per un atto di omaggio.
 
Ecco, credo che solo questo mi sia possibile. Un omaggio.
 
Così è la faccenda. Non posso analizzare, circondare, circoscrivere nulla, in questo caso. Posso solo arrendermi ad essere circoscritto. Entrare nel suo diario in fondo è questo. E’ sentirsi addosso una vita, una vita carnale, carnalissima (con tutti i particolari del caso, riportati nel testo) ed insieme intrecciata sempre più irriducibilmente con l’Essere, con quella Entità personale diversa dal mondo ma immanente ad esso, che chiamiamo Dio.
 
Etty attraversa il mondo senza particolari tentazioni spiritualistiche, senza azzardare alcuno spiritual bypassing, ma vivendo nella carne. Con la sua umile scrittura fa (senza volere) una cosa rivoluzionaria, fa piazza pulita di tutti i nostri schemi su cosa debba essere una vita davvero carnale e una vita realmente spirituale (e tutte le distanze tra le due che ci riusciamo ad inventare, in modo a volte perverso), ci fa capire in modo molto salutare ed assai benefico (meglio di una bastonata zen, per capirci) che non abbiamo ancora capito niente.
 
E insomma, c’è tutto nel diario. C’è anche la psicanalisi, c’è la letteratura, c’è il turbamento emotivo della giovinezza, i dubbi, la politica. E c’è la poesia, c’è la grazia esistenziale — fonte di perpetuo stupore — di una ragazzina che annota, nei suoi ultimi giorni prima di essere uccisa nel campo di concentramento, che
 
Il cielo è pieno di uccelli (…) il sole splende sulla mia faccia, e sotto i nostri occhi avviene una strage, è tutto così incomprensibile. Io sto bene.
Diceva Etty che la gratitudine è sempre più grande del dolore.
 
Ecco, io che sto leggendo il tuo diario, ti sono grato, cara Etty. Mi sei tanto cara, perché il tuo stesso percorso esistenziale mi mostra quanto sia irriducibile ad una visione egoica/materialistica, mi dimostra che l’armonia nascosta vale più di quello che appare, per dirla con Eraclito. Per mostrarmelo l’Essere ti ha condotto a donare la vita, per mostrarlo davvero sul campo e non appena elaborarlo come concetto.
 
Ecco perché ti sono grato, ecco perché ardisco di scrivere di te, consapevolissimo della mia piccolezza. Non per citare brani del tuo diario, per commentarli. Sarebbero troppi, e ogni mio commento rischierebbe di addomesticare la meraviglia, di ucciderla.
 
No, ti scrivo appena per questo. Per dirti grazie.
 
E scelgo di non sistematizzare troppo, stavolta, ciò che dico. Di non bilanciare. Perché stavolta non me la cavo, non me la cavo se non con lo stupore. Nessun ragionamento bilanciato, no proprio nessuno.
 
E poi questo, che mi ricollega così dolcemente al momento presente. Non so se è una citazione esplicita, ma ecco: mi piace pensare che lo sia. Quello che Kate Bush, in un brano introduttivo della seconda parte dello splendido Aerial, fa dire a Bernie, il suo bambino, è infatti straordinariamente simile alla frase di Etty. E ne rilancia l’intrinseca, irriducibile armonia poetica.
 
Il cielo è pieno di uccelli… sembra che stiano parlando…
 

 

 

Armonia poetica. Cioè vitale.

 
A dispetto di ogni campo di concentramento, del corpo o dell’anima.
 
A suo perenne scacco. Non in forza di una idea, ma di una armonia.

 

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