Libero come l’universo

Questa è una foto – sempre bella ma già molto vista, a dire il vero – di un campo profondo di galassie vista con il Telescopio Spaziale James Webb. Vanta un bel primato, perché è la prima immagine in assoluto che è stata mostrata al grande pubblico, per questo strabiliante telescopio spaziale.

L’ammasso di galassie Smacs 0723 ripreso dal JWST. Crediti: Nasa, Esa, Csa, and Stsci

Nel dettaglio, ritrae l’ammasso di galassie Smacs 0723 ed è l’immagine dell’universo nell’infrarosso alla risoluzione più elevata di sempre. Colpisce, prima di tutto, la varietà estrema di galassie, quasi straripante da questa immagine. Il messaggio che ci tocca è straordinariamente chiaro: per l’universo moderno, la varietà è la norma, non c’è più niente di uniforme, omologato. Non esiste galassia, o addirittura stella – a guardarla bene – che sia davvero uguale ad un’altra.

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Libertà di ricerca

Lo spazio è stato creato, io credo, per essere vissuto in libertà. La sua stessa espansione può essere letta come un rimando alla espansione della nostra consapevolezza. Credo valga lo stesso anche per il cyberspazio.

Internet agli inizi – per chi si ricorda, per chi come me l’ha vissuto – era una cosa eccitante, una cosa nuova e divertente, frizzante e piena di possibilità. Questo spazio si espandeva (anche lui) in modo accelerato, con l’allegria e l’entusiasmo di tecnici ed appassionati, affascinati dalle potenzialità di questo inedito strumento di comunicazione, che andava oltre i sogni dei più intrepidi scrittori di fantascienza. Ora non ci viene facile pensarlo, ma all’inizio degli anni Novanta, solo poter progettare una semplice pagina (quasi tutto testo, poche immagini perché si caricavano lentamente) in modo che potesse venire vista istantaneamente da ogni parte del mondo, tramite un computer collegato alla rete, era una cosa che spalancava la mente.

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Tecniche di trasloco, da Geocities fino a Mastodon

In un certo senso mi ricorda quello che accadeva su Geocities, molti molti anni fa. Dove ti sceglievi un quartiere per abitare, a seconda dei tuoi gusti, delle inclinazioni, di quello che volevi pubblicare. Anche, dei vicini che preferivi avere. Ricordo che io ad un certo punto passai dal quartiere di CapeCanaveral al quartiere Paris/Bistro (i nomi degli arrondissement erano pensati al fine di organizzare tematicamente le varie pagine, per cui si vede già da questa mossa che la mia parte creativa stava lottando per emergere sempre più su quella razionale/scientifica).

Potevi appunto traslocare, se trovavi un quartiere che ti rappresentava di più. Certo, era appena un gioco, ma l’analogia con le vere abitazioni era straordinariamente potente,secondo me. A rinforzare la metafora, cliccando sul quartiere ti si apriva una pagina con delle casette connesse da una strada, ogni casetta ovviamente era la homepage di qualcuno: potevi cliccare ed entrare.

Traslocare è un’arte, dove la creatività trova ampio spazio…

Geocities era ovviamente un servizio centralizzato. Cambiare casa era appena cambiare indirizzo (sul web), ma non era niente di più. Per arrivare al presente, cambiare casa su Mastodon è un po’ diverso, in effetti. Vuol dire realmente cambiare. Migrare su un nuovo server (probabilmente), in una instanza differente, con persone diverse, regole diverse, amministratori diversi. Insomma un vero cambiamento.

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Fare casa nel fediverso?

Uno dei sottoprodotti più interessanti di tutta la bagarre che c’è stata (e ancora c’è) in seguito all’acquisizione di Twitter da parte di Elion Musk, con tutto il casino derivato anche dalle mosse incongrue del noto miliardario (come Paolo Attivissimo ha gustosamente documentato nel suo podcast, alcuni giorni fa), è che molta gente ha cominciato, come dire, a guardarsi intorno.

Passeremo dall’uccellino al mastodonte? Presto per dirlo, ma è il momento giusto per provare…

Sì, a cercare di capire se ci sono alternative praticabili a Twitter, per esempio. Sarebbe peraltro legittimo dubitare di una piattaforma finita in mano ad una persona che, in appena un giorno, ha licenziato metà dei dipendenti, si è mosso in modo randomico per cui si è fatta grande confusione con i famosi “bollini blu” di autenticazione, e infine – chicca delle chicche, probabilmente – ha affidato ad un sondaggio online una cosa tanto delicata quanto il ritorno su Twitter di Donald Trump.

Per inciso, sull’esito (di poco) favorevole al rientro di Donald (che peraltro ha detto grazie ma anche no) Elion si è affrettato ad affermare Vox Populi Vox Dei. Peccato che però tale conclusione – nel caso di Twitter almeno – sia parecchio discutibile, come altri hanno subito evidenziato.

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