Balsami per l’autunno

Il cosmo e la poesia (X)

Dice Carlo Rovelli, già citato il mese scorso, che

Nulla ha esistenza in sé, tutto esiste solo in dipendenza da qualcosa d’altro, in relazione a qualcosa d’altro … le cose sono “vuote” nel senso che non hanno realtà autonoma, esistono a, in funzione di, rispetto a, dalla prospettiva di qualcosa d’altro.

Cosa mette in connessione stabile scienza e poesia? Le pone in condizione di mutua dipendenza, per dirla con Rovelli? Entrambe cercano di farci comprendere l’ambiente in cui viviamo, lo spazio che occupiamo. E rendercelo più abitabile. Tutto qui, se con ambiente intendiamo tanto quello esterno (lo spazio propriamente detto) quanto quello interno (sentimenti, emozioni). Le connessione tra i due spazi sono virtualmente innumerabili, tanto che secondo diverse correnti di pensiero, in realtà si tratta di un solo spazio: celebre la frase di Agostino, l’anima è in qualche modo, tutto.

Sostengo che la poesia esiste solo in funzione di qualcosa che gravita al suo esterno, così come la scienza. Ogni nuovo testo poetico, se riuscito, è anche e soprattutto una investigazione cosmologica. Ogni produzione poetica è anche un lavoro di ricerca, che estende e raffina le ricerche precedenti, smentisce alcune tesi, ne conferma altre.

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Una questione di linguaggio

Il cosmo e la poesia (IX)

Come fa ben notare il noto fisico Carlo Rovelli in Helgoland (Adelphi, 2020), lo sconquassamento teorico più efficace del mondo moderno e di tutto il suo assetto è opera di un manipolo di ragazzetti, che investono la perenne ricerca della radice profonda del reale con l’ardore rivoluzionario tipico della loro età. Questi rivoluzionari del pensiero – Heisenberg, Jordan, Dirac e Pauli – sono tutti ventenni. Tanto che a Göttingen la loro fisica viene chiamata «Knabenphysik», la fisica dei ragazzi.

A loro – nelle fondamenta del secolo così tormentato ma al contempo così audace verso il nuovo, come il Novecento – il compito di svelare il segreto, di denunciare che il re è nudo, che il modello di realtà che ha eletto la fisica dell’ottocento a modo privilegiato di vedere il mondo, è ormai deprivato di ogni consistente radice che voglia affondare nell’ordine profondo delle cose, ovvero in quel mondo subatomico che sorprendentemente si rivela tanto elusivo quando rivoluzionario.

Un cosmo di buchi bianchi” (generato con Bing Image Creator)

Al fondo, è una questione linguistica. Nè potrebbe essere altro, se è vero che l’universo è fatto di storie, come asserisce la poetessa Muriel Rukeyser. Al poeta, dunque, il compito di cesellare il linguaggio adatto, facendosi voce di ciò che non ha voce, accogliendo ogni incertezza. Così Gian Mario Villalta, in Dove sono gli anni (Garzanti, 2024)

Non sei tu, ibisco, non sei tu,
ma prendi nella mia voce parola, nella mente,
come ogni cosa che vedo e sento. Ti importa
se non sappiamo che cosa siamo io
per te, tu per me, per tutto tu e io l’universo?

Seguendo l’invito della poesia, è la grammatica stessa della nostra comprensione della realtà che, noi fisici, dobbiamo accettare di modificare. Nello stato di bassa energia non solo mi percepisco isolato, ma erigo barriere per difendere il mio isolamento. Disgregato in particelle elementari in urto pazzo e fuga scombinata in direzioni casuali: questo mi aspetto come destino ultimo, conclusione logica del mio assetto mentale. In breve, non vivo. Difatti non si vive fuori dalla relazione. Questo ci dice la nuova scienza, questo ci ha sempre detto la vera poesia. Pur riconoscendo di non sapere cosa siamo io per te, tu per me, indubbiamente siamo coinvolti in qualcosa, insieme.

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Qualcosa di epocale

Noto anche come l’ammasso di Pandora, si chiama in realtà Abell 2744 e si trova a circa tre miliardi e mezzo di anni luce da noi.

La cosa intrigante è usarlo come lente gravitazionale. Gli astronomi hanno utilizzato questo fantastico effetto per osservare galassie primordiali che altrimenti sarebbero del tutto inosservabili. In particolare, nel caso di Abell 2744 si è evidenziata una galassia di sfondo, chiamata UHZ1, con un redshift (lo spostamento verso il rosso della luce, legato alla distanza da noi) che raggiunge l’incredibile valore di z=10.1.

L’ammasso di Pandora visto dalla combinazione dei satelliti Chandra e James Webb. Negli inserti le evidenze di un gigantesco buco nero, visto dai due strumenti.
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO/Ákos Bogdán; Infrared: NASA/ESA/CSA/STScI; Image Processing: NASA/CXC/SAO/L. Frattare & K. Arcand

Stiamo dunque osservando un oggetto visto quando il nostro universo aveva appena il tre per cento dell’età attuale. In altre parole, stiamo maneggiano una cartolina che il cosmo ci ha spedito quando era veramente un bimbo. Innumerevoli le cose che possiamo comprendere da questi dati.

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Prima del salto

Ammettiamolo. I buchi neri sono difficili da trovare. Per un astronomo dell’ottocento sarebbero qualcosa di incomprensibile. Ciò che non fa luce è invisibile, inaccessibile. In pratica è come se non esistesse. Non esiste.

Il quadro è cambiato e un nuovo universo si è affacciato alla nostra percezione. Riceviamo segnali dal cosmo che vanno ormai ben oltre il flusso di fotoni nella banda del visibile. Siamo entrati da tempo nella astronomia multimessaggio, che ci parla di un cielo molto più complesso ed anche emozionante di quanto si pensava un tempo.

Un’immagine artistica di un buco nero.
Crediti: XMM-Newton, ESA, NASA

I buchi neri sono comunque difficili da trovare, perché possiedono una gravità così forte che nemmeno la luce può sfuggire, è come intrappolata. Che la luce e la gravità abbiano qualcosa a che vedere – in pratica, che la materia piega lo spazio – è un’altra cosa inconcepibile per il nostro astronomo ottocentesco.

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Capire di non capire (parole al cane)

Il fatto è che nemmeno io me ne rendo conto. Da scienziato, intendo. Penso quasi sempre nello schema usuale, mi muovo all’interno di quello. Dove non ci sono poi molte sorprese. Mentre l’interessante sarebbe, uscire da lì, non appena si può.

Ci vuole uno sforzo, ci vuole volontà. E percezione della strada da fare, soprattutto. Perché uno si costruisce il suo bel mondo a prova di sorprese, costellato di certezze granitiche, e poi si accorge stranamente (ma non troppo) che gli va stretto. Ed è qui che un animale domestico può aiutare. Un cane, probabilmente, può fare molto, molto di più di mille discorsi. Osservare un cane, oso dire, può valere più di mille corsi di approfondimento sulla percezione e sulla conoscenza.

Sì, sembra paradossale. Ma ora vi spiego. Il punto è semplice, capire che c’è qualcosa da capire, è quasi tutto. Capire che c’è una questione aperta, vuol dire essere arrivati quasi alla soluzione, la maggior parte delle volte. Per le cose che ci sorpassano completamente, per le cose dove non possiamo minimamente nemmeno sperare di poter portare un contributo, non abbiamo infatti alcuna percezione. Non si percepisce il problema, intendo. E non a caso, direi. Se non c’è possibilità di intervento, fai anche fatica a inquadrare la cosa. Troppo sopra di te.

Poncho, in un momento di “battaglia” con un bastone

Va bene per questo guardare Poncho (il mio cane). Io l’ho capito proprio così. Mentre lo stavo portando fuori per la passeggiata nel parco, così oziosamente, mi sono messo a parlargli (va bene, una volta possiamo fare un post sulla mia sanità mentale, ma non è questo).

Apro piccola parentesi. Parlare al cane è più soddisfacente di quanto possa pensare chi non lo fa. Intanto, c’è il fatto che lui ti ascolta praticamente sempre. Non ti interrompe mai, non si mette di mezzo per inserire una sua visione delle cose, non pretende di correggerti. Non ti blocca con le frasi briganti tipo hai ragione, ma non hai riflettuto sul fatto che… Nemmeno, ti si spazientisce mai. Esistenzialmente, la cosa è interessante. A volte uno non cerca necessariamente un confronto serrato, a volte uno ha bisogno di essere ascoltato, e basta. Per questo un cane è insostituibile. Per giunta, ti fa segno che lui ti ascolta, senza fare suoni, che si sovrappongano fastidiosamente ai tuoi: usa semplicemente la coda (un umano non può farlo, almeno non così agevolmente). Se parlo al cane in un certo modo, gentile, morbido, la frequenza e l’ampiezza dello scodinzolamento cambia, in segno di apprezzamento.

Questo lo sappiamo più o meno tutti. Il fatto è che, mentre parlavo, pensavo sì d’accordo ma tanto tu non capisci nulla di quello che sto dicendo. E poi d’un tratto ho capito che tra i due, ero io quello che non capiva la situazione. Tra i due, ero io che non stavo comprendendo, non stavo nel reale. Quello che non stava sul pezzo ero proprio io. Lui comprendeva tutto, o meglio (ed è questo il mio punto) tutto quello che c’era da capire.

Tutto quel che c’era da capire, in quel momento, era la modulazione della voce, indice della mia attitudine verso di lui. Il resto non gli interessava, non gli interessa. Gli interessa quello che gli serve. I concetti che esprimo a parole non gli servono, non stanno nel suo universo, hanno un impatto nullo sulla sua esistenza: lui estrae dal reale tutto quello che può avere importanza per la sua vita e il suo benessere. Il resto per lui non esiste. Il resto, dal suo punto di osservazione, non esiste affatto. E in generale, se una cosa per me non esiste, se non ha alcun modo di entrare nel mio percorso storico e psicologico, posso tranquillamente dire che non esiste affatto.

La realtà fisica che noi pretendiamo di comprendere, scordandoci che siamo esseri limitati: questo è il bello. Questo è l’errore incredibile che facciamo. Come fossimo osservatori distaccati ed imparziali, con risorse di connessione, analisi e comprensione potenzialmente infinite. E siamo pieni di cose che non si capiscono, infatti. Prima di tutto il comportamento bizzarro della materia a piccola scala, la meccanica quantistica (e le sue incredibili connessioni con chi appunto, osserva). Cerchiamo di ricondurre alla nostra logica – derivata dalla manipolazione del reale come più o meno fa Poncho (solo ad un livello appena superiore) – delle cose apparentemente assurde, e giustamente non ci riusciamo. La nostra logica è limitata, ma noi ce lo dimentichiamo (come fa il mio cane, ma almeno lui non pretende di avere tutto sotto controllo e di rado lo vedo pontificare sulla vita, l’universo e tutto quanto).

Osservando Poncho (cosa che mi è stata anche raccomandata per il suo valore terapeutico), ho capito l’approccio al mondo fisico (e tecnologico) che ha. Lui si trova a vivere in un mondo informatizzato e meccanizzato, ma la cosa non lo interessa. Quindi lui adotta un approccio molto pragmatico, in materia. Esemplare in questo senso, il suo rapporto con l’ascensore.

Varie sessioni di accompagno, mi hanno persuaso di quel che ora scriverò. Lui ha capito questo. Entra in ascensore, io spingo un bottone, c’è qualche vibrazione, poi si riapre la porta. Esce su uno scenario diverso da quello da cui è entrato. Ed è tutto. Non si meraviglia, non si chiede nulla. Ha imparato a gestire la situazione, ed è a posto così. Non si chiede come mai cambia la realtà che trova all’apertura della porta, ha registrato la cosa e la usa. Con il tempo ho capito che c’è una differenza di approccio sostanziale, tra il farsi domande a cui non si riesce a rispondere, e il non farsi proprio domande, perché non si vede il quesito. Vedere il quesito è già dimorare nel campo dove (prima o poi) potrà giungere una soluzione.

Poncho non vede alcun quesito nel fatto dell’ascensore. Lo vedrebbe se, dopo la passeggiata, risalissimo ad un piano differente, e dunque uscendo non trovasse la porta di casa. Allora si girerebbe verso di me e mi guarderebbe, aspettando una soluzione. Ma normalmente non vede alcuna necessità di domandarsi qualcosa. Ha imparato a modellarsi su quello che accade, ed è sufficiente.

Mi chiedo a volte cosa accadrebbe se si potesse tornare indietro e parlare di fisica quantistica a Laplace, o di relatività generale a Galileo. A volte penso che non capirebbero proprio l’argomento della conversazione. Troppo fuori anche dalle domande che potevano avere sul mondo fisico.

Alla fine mi sembra che la vera ingenuità è la nostra, ed è quella di pensare che abbiamo un modello di mondo oggettivo e asettico, limpido e preciso, non legato alla nostra esistenza biologica, con tutto quel che ne deriva. Come se la conoscenza fosse insomma di natura puramente matematica, disincarnata. Quando invece, il modello di mondo che abbiamo è declinato secondo le direttive del nostro vivere biologico, e pesantemente influenzato da esse.

Tutte le volte che penso di vedere il mondo, devo pensare che quella che mi arriva è una articolazione di informazioni organizzata e mediata affinché i miei sensi specifici possano lavorarci un’ordine, una consequenzialità, una possibile modalità di intervento. Questo è ciò cui ho veramente accesso (e detto tra noi, non è affatto poco). Sono inserito in un contesto dove tra l’altro alcune cose che a me sembrano “granitiche”, come la realtà oggettiva dello scorrere del tempo, sono (ehm) da tempo messe in discussione proprio dalla fisica fondamentale. Nel complesso, dovremmo andarci molto cauti con i termini “realtà oggettiva”, sospetto che molte volte li applichiamo un po’ fuori contesto.

Ci vorrebbe dunque molta più umiltà, meno presupponenza, a volte, nel crogiolarsi nei risultati della scienza. Soprattutto, sarebbe da abbandonare del tutto (e lo dico da scienziato) l’idea che la visione scientifica delle cose sia l’unica ammessa, l’unica affidabile. Tornare al fatto che sostanzialmente ci sono miriadi di cose che non capiamo, facendo così un buon servizio alla scienza vera. Ce lo scordiamo troppo presto, che siamo in un Universo dove appena il 4% è “materia ordinaria” e il resto, praticamente, non si sa. E qui tornerei a Laplace, che una cosa l’ha vista giusta, quando ha detto che (e sembra siano proprio le sue ultime parole) “Quello che sappiamo non è molto. Quello che non sappiamo è immenso”.

Ma son tutte cose che, del resto, conosce bene (senza saperlo) anche il mio cane. Anzi, mi sa tanto che uno di questi giorni, gliene torno a parlare.

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Carnevale della Fisica #40, i risultati

Con questo post ci accingiamo a tirare le fila della quarantesima edizione del Carnevale della Fisica. E’ la seconda volta che il nostro sito ha l’onore e sopratutto il piacere di poter ospitare il Carnevale: la prima volta è stato per la ventisettesima edizione, con il tema Fisica e Letteratura, mentre in questa occasione ci siamo dilettati con un tema affine, Fisica ed Arte.

Abbiamo il piacere di listare dei contributi di indubbio interesse, così preferiamo non rubare altro spazio in discorsi introduttivi e scegliamo di buttarci senza indugio nella lista dei post pervenuti. Nonostante il tema  scelto sia da intendersi come suggerimento e non come obbligo, quasi tutti i contributi si sono attenuti all’argomento da noi indicato. E’ dunque con un piacere ancora più vivo che procediamo alla rassegna, ringraziando in anticipo i partecipanti, e rimandandovi al Carnevale #41che si sta aprendo sulle pagine dell’eccellente blog dell’amico Umberto Genovese, Il Poliedrico (sì, anche se siamo in tempo di Quaresima, possiamo ben dire che – grazie a questa manifestazione – per la fisica è sempre carnevale…). Siamo certi che sarà un’altra edizione eccellente, non mancate di consultare il suo sito!

Apriamo la nostra rassegna… in musica, con il post Helmohltz e la dissonanza redatto da Leonardo PetrilloSeguendo il suo contributo veniamo condotti nell’affascinante analisi della dissonanza in ambito musicale, con tanto di abbondanti esempi presi dalla storia della musica e corredati di una spiegazione fisica approfondita. Lo stesso autore ci fornisce una illuminante sintesi del suo esteso intervento: 

Il post va ad analizzare il rapporto sussistente tra Fisica e Musica. In particolare, l’attenzione è rivolta al concetto di dissonanzaDopo un’introduzione in cui spicca la figura di Keplero, che aveva proposto nell’opera Harmonices Mundi un modello cosmologico di tipo musicale, l’articolo si focalizza appunto sulla descrizione della nozione di dissonanza. Viene illustrata anche la cosiddetta dissonanza sensoriale o tonale, dovuta soprattutto al fenomeno acustico dei battimenti, analizzato nello specifico attraverso un rigoroso formalismo matematico. La narrazione procede con la presentazione delle cosiddette armoniche, cioè frequenze che sono multipli interi di una frequenza fondamentale. Da qui in poi entra in scena il fisico Hermann von Helmholtz, di cui viene delineata la biografia e presentata la sua ricerca in merito alle dissonanze sensoriali, approfondita nel 1965 dai ricercatori di psicoacustica Plomp e LeveltIl post volge al suo termine con l’adagio-allegro dal quartetto n.19 di Mozart, denominato “Quartetto delle dissonanze”.

Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz
Hermann Ludwig Ferdinand von Helmholtz

Dalla musica ci spostiamo poi all’arte più in generale, con il post Fisica o Arte redatto da Annarita Ruberto. Ecco come l’autrice stessa ci porta nel mondo magico che si trova all’incrocio tra queste due discipline…

Il titolo non deve stupirvi più di tanto perché, procedendo nella lettura del post, la domanda “Fisica o Arte?” sorgerà spontanea. Fidatevi! Per i più scettici, che non credono alle connessioni tra l’Arte e la Fisica, e più in generale la Scienza, basti pensare che l’Arte può essere considerata come la scienza che rivela la creatività umana e la sua capacità di materializzare la Bellezza. Molti artisti hanno fatto ricorso alla Fisica nelle loro opere. Picasso, ad esempio, ricorre al concetto di relatività einsteniana, superando la geometria euclidea che viene letteralmente “frantumata” in nuovi modi di interpretare lo spazio e la prospettiva. L’introduzione della quarta dimensione, il tempo, rende le sue opere multiprospettiche e calate pertanto in una realtà più completa e complessa. L’opera “Les demoiselles d’Avignon”, il suo capolavoro, introduce il cubismo nella storia dell’Arte.

Les demoiselles d’Avignon- Fonte
Les demoiselles d’Avignon

Ed è soltanto l’inizio di un articolo che ci porta dentro una intrigante carrellata di esempi in cui la fisica si colora di arte e appaga tanto il senso estetico quanto il ragionamento astratto. Arrivati in fondo davvero ci chiediamo, con l’autrice… la domanda Fisica o Arte è giustificata ? Giustificatissima, diremmo noi… 😉

Annarita partecipa poi con altri due articoli, La teoria della Luce di Newton e Mescolanza di colori puri da raggi laser. Nel primo si delinea un interessante approccio alla Teoria della luce di Newton anche per quanto concerne l’avvicendamento storico degli eventi scientifici ad essa connessi. Decisamente da leggere per capire come la ricerca scientifica non procede quasi mai in linea retta, ma è risultato di percorsi a volte tortuosi e anche di accanite dispute tra addetti ai lavoro.

Schizzo di Newton del suo esperimento cruciale (experimentum crucis), in cui la luce del sole è rifratta attraverso un prisma. Un colore viene rifratto attraverso un secondo prisma per dimostrare che non viene ulteriormente modificato. Viene poi  mostrato che la luce è composta dai colori rifratti attraverso i secondi prismi. Fonte dell'immagine: Warden and Fellows, New College, Oxford
Schizzo di Newton del suo esperimento cruciale (experimentum crucis), in cui la luce del sole è rifratta attraverso un prisma. Un colore viene rifratto attraverso un secondo prisma per dimostrare che non viene ulteriormente modificato. Viene poi mostrato che la luce è composta dai colori rifratti attraverso i secondi prismi.
Fonte dell’immagine: Warden and Fellows, New College, Oxford

Nel secondo, si tratteggia un esperimento in cui si osservano tre getti di liquidi di tre diversi colori rosso, verde e blu che vanno a cadere in una bacinella, dove essi si mescolano dando un liquido di colore bianco! Non lasciarsi ingannare dall’apparenza – avverte l’autrice! – perché i colori provengono da un laser rosso, uno verde e il terzo blu posti dietro i tre bicchieri.

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(Image: Alexander R. Albrecht, University of New Mexico)

La scienza comunque non è solo arte, anche se come abbiamo visto con essa ha diversi punti di contatto. C’è un altro aspetto che vale la pena di approfondire: la scienza può mettersi – lei stessa  – al servizio dell’arte. Proprio questo ci insegna il post di Orfeo Morello, La scienza a servizio dell’arte, i sistemi a scansione laser per creare copie di opere da preservare.

Arte e scienza, cosa mai possono avere a che fare tra di loro due mondi apparentemente così distanti? La scienza ha innumerevoli campi di attuazione e anche l’arte non è esente da questa contaminazione. In particolare in questo breve articolo voglio presentarvi un processo che basandosi sulla costruzione di un modello virtuale di opere d’arte, ne permette la duplicazione.

Interessante seguire l’esempio citato nel testo, che si riferisce alla realizzazione di copie di “due preziosi e fragili rilievi” provenienti dalla necropoli di Saqqara e attualmente conservati presso Museo Civico Archeologico di Bologna.

Dettaglio della copia del rilievo del maggiordomo regale Ptahemwia
Dettaglio della copia del rilievo del maggiordomo regale Ptahemwia

La fisica è dappertutto: e come potrebbe essere altrimenti? Ma è interessante esplorare come si possa vedere dal punto di vista fisico un’arte che sembra spesso ignorare le leggi fisiche – o almeno ce ne restituisce sovente l’impressione. dance

Parliamo qui della danzaFisica e arte della danza di Paolo Pascucci ci porta a comprendere – anche attraverso un video – come arte della danza e fisica sono, in realtà, una cosa sola. La premessa è un valido ingresso ad un mondo intrigante… “nonostante il movimento e il ballo siano manifestazioni di giubilo e attività che pratichiamo nei momenti di allegria e benessere, e quindi apparentemente eseguibili da quasi tutti a piacimento in ogni istante, non sono affatto un esercizio semplice.” La cosa sorprendente è quanta parte la fisica e le sue leggi possano avere in una attività apparentemente libera come la danza!

Claudio Pasqua ci conduce ad un viaggio affascinante all’interno dello studio di un artista la cui opera esplicitamente si ispira alla fisica e alla cosmologia in particolare. Vittorio Varré: Big Bang d’artista ci porta dentro l’attività di un artista peculiare e molto interessante. Estraiamo una domanda dall’intervista presente nell’articolo, rimandandovi al post di Claudio per una lettura integrale.

Il Big Bang è un modello cosmologico riguardante lo sviluppo e l’espansione dell’universo. Cosa ha spinto un artista ad occuparsi di questo tema? 

“L’idea di ciò che si avvicina a quella dell’infinito, di uno spazio in continua espansione, una idea che spaventa se pensiamo alle grandezze in gioco. E’ questo che ha ispirato il filo conduttore che lega tra loro queste opere.”

LAMPI DI LUCE 100X80 2010 ciclo big bang  tecnica acrilico su doppi pannelli (particolare)
LAMPI DI LUCE 100X80 2010 ciclo big bang,
tecnica acrilico su doppi pannelli (particolare)

Arriviamo adesso al contributo di Andrea Mameli, che è significativamente titolato Fisica + arte = stupore e piacere. Ecco come l’autore stesso ci presenta il suo interessante lavoro: Il piacere e lo stupore nel momento della contemplazione e della comprensione, in Arte e in Fisica, si possono accomunare e nel caso dell’attività creativa la loro intensità è moltiplicata per 10, forse anche 100 volte. Questo accostamento tra le sensazioni del fisico e dell’artista è qualcosa di profondo e a tratti indescrivibile. Mentre altri tentativi di avvicinamento tra le due manifestazioni del pensiero e della creatività possono risultare meno fondate, più che altro frutto di esercizi effettuati a posteriori, ma non per questo meno interessanti.

"Dinamismo di un cane al guinzaglio" (Giacomo Bella, 1912)
“Dinamismo di un cane al guinzaglio” (Giacomo Bella, 1912)

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Evidenze di strutture frattali sono diffuse ovunque nel corpo umano, polmoni, cervello, sistema circolatorio…

Cambiamo ambito (ma rimaniamo sempre nella fisica) con il post di Felice Russo, Considerazioni allomertriche sembrano indicare un piccolo errore nella formula del BMI proposta dal professore Trefthen. Può essere sorprendente scoprire che nella trattazione accurata dell’Indice di Massa Corporea (in breve, “BMI”) possano entrare anche … i frattali! Un altro esempio di come nozioni matematiche e fisiche possano trovare spazio anche in ambiti apparentemente lontani.

Leggiamo infatti ad un certo punto della trattazione: “L’assunzione che nella formula del BMI vada considerato un esponente 2.5 (o meglio 2.33?) anziche’ 2 significa assumere che il volume del corpo umano scala come un frattale di dimensione pari a ~2.5. L’esponente 2.5 indica che il corpo umano non e’ assimilabile ne ad un piano ne ad un cubo, ma sta nel mezzo. Questo non ci deve sorprendere in quanto sappiamo che tutti noi siamo dei frattali. I nostri polmoni, il nostro sistema circolatorio, il nostro cervello sono tutte strutture frattali. La geometria frattale permette di avere figure geometriche con area finita e perimetro infinito, volume finito e superficie infinita. La maggior parte degli oggetti naturali sono composti da molti differenti tipi di frattali intrecciati uno nell’altro, ed ognuno con una sua dimensione frattale.”

That’s all, folks! Per questa edizione è tutto. Vi invitiamo a seguire i link e leggere per esteso gli articoli che più vi interessano: scoprirete probabilmente dei tesori, come è successo per noi in redazione. Anche questa è la bellezza del Carnevale della Fisica 🙂

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