In che senso possiamo sostenere che l’universo è elegante? Ed ancora, come possiamo accorgerci di questa eleganza, e che conseguenze può avere? Che conseguenze concrete – intendo – per la nostra esistenza su questo pianetino che ruota intorno ad una piccola stella situata nelle periferie di una enorme galassia a spirale?
Ottima conversazione nella serata, lo scorso lunedì, per la serie Io divulgo forte di Radio Incredibile con Andrea Cittadini Bellini e Valeria Tassotti. Siamo partiti dal rapporto tra scienza e fede ma presto il dialogo si è allargato ad altri temi e altre provocazioni. Alla fine, saremmo andati avanti per ore: l’affiatamento era perfetto e il dialogo scorreva senza intoppi.
Mi sono già occupato di effervescenze solari, ma quando mi sono imbattuto in questo video, non ho potuto evitare di rimanere colpito. Che il Sole sia (per così dire) effervescente è infatti una cosa che sfida il mio paradigma di pensiero ordinario, cioè il modo in cui vedo le cose quando non ci penso. Sì, posso pure aver scritto una monografia sul Sole, ma non c’è affatto problema, mi dimentico uguale.
Un po’ come la faccenda dell’universo in accelerazione, che non mi viene per nulla naturale. Cerco di figurarmela, ma ricado esistenzialmente nella nozione di universo statico, ricado gravitazionalmente in un punto abitato da tanti, con me e prima di me. E’ faticoso andare davvero avanti, ci vuole un bel lavoro di pensiero, di riflessione. Già Jung avvertiva che la cosa più difficile di tutte è essere veramente contemporanei.
Posso pure aver risolto l’equazione di campo di Einstein ed esaminato la legge di Hubble in meticoloso dettaglio, verificando con grande cura i redshift di galassie lontane, ritornano a capire che tutto è in continuo movimento. Ma poi magari torno a casa certe sere, che sembra proprio non si muova nulla, dentro e fuori di me.
L’ho già citata altre volte, ma trovo espressa benissimo questa sorta di inerzia conoscitiva nella canzone Un’idea, del grande Giorgio Gaber
Aveva tante idee Era un uomo d’avanguardia Si vestiva di nuova cultura Cambiava ogni momento Ma quand’era nudo Era un uomo dell’Ottocento
Perché noi siamo così, siamo ancora quasi tutti immersi nell’Ottocento (con il corpo, ma anche con la testa). Cosmo statico, stelle fisse e perfette (non si danno variazioni superficiali su di esse), tutto fermo o impegnato a percorrere splendide circonferenze che si ripetono all’infinito, rendendo dunque inutile il tempo, svuotandolo di senso. Il tempo, inteso come variazione ma anche come progresso. Su questo schema arcaico, retaggio millenario che non vuole cedere, si infrange il nuovo paradigma che la moderna indagine scientifica ci veicola.
L’immagine dell’universo come un orologio è andata in frantumi, e ciò che emerge al suo posto è qualcosa che possiede una natura di gran lunga più olistica, qualcosa che somiglia molto di più a un enorme organismo che non a una macchina.
Tutto questo non può che avere enormi ricadute sul pensiero, ricadute che devono entrare ovunque. Perfino le categorie con cui pensiamo il sacro, ad esempio, devono essere riviste ora dentro il dato cosmologico di un universo in espansione. Se il cosmo cambia, sorge il problema di capire verso dove cambia. Da più parti si avverte come necessaria una nuova alleanza tra metafisica e scienza: non realizzarla, è un danno per entrambe le discipline, ed è un danno sopratutto per l’interiorità della donna e dell’uomo di questo tempo.
Paolo Gamberini, in Deus 2.0, definisce con felice intuizione un significato – tanto cosmologico quanto spirituale – del divenire (un concetto, questo del divenire, inapplicabile al cosmo, già solo per i nostri bisnonni)
Dal disordine il cosmo intero va verso l’ordine in cui nella pienezza sarà realizzata la vita divina che è essenzialmente dare la vita.
E’ molto bello ed utile rendersene conto, perché solo così possiamo fare un vero lavoro su di noi. Altrimenti il grande rischio è di trascorrere la vita in modo irriflessivo, magari dicendo con la bocca tante belle cose sull’universo in espansione ma gravitando al contempo dentro un universo del tutto fuori moda, fuori tempo massimo, ovvero quello statico. In un certo senso io creo il mio mondo, pertanto se io sono convinto di essere dentro un universo statico, in qualche modo ci sono davvero. In qualche modo, per me, l’universo ora non si espande. Accade, accade spesso, di stare in un universo che non si muove.
Un modo privilegiato per lavorare sul necessario svecchiamento delle nostre stesse percezioni è quello di essere aperti ai segnali che giungono dal cosmo. E’ una splendida palestra per rinnovare noi stessi, la ricerca astronomica. Perché sfida costantemente il nostro pensiero stagnante. Non con discorsi, ma con immagini come questa qui sotto.