Blog di Marco Castellani

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Creare una nuova scienza e una nuova umanità

Viene qui pubblicata integralmente l’introduzione di Carla Ribichini al volume “Anita e le stelle: la saggezza di uno sguardo” appena uscito presso Amazon (in cartaceo e in digitale). Il volume ospita sei racconti scritti da Marco Castellani, che fanno idealmente seguito ai sei già apparsi nel volume “Anita e le stelle“. Le frasi scritte dai ragazzi della scuola Corradini, che compaiono nel libro tra un racconto e l’altro, si possono leggere a questo indirizzo.

Lo stato di salute della nostra umanità è grave, i giovani sono smarriti e disorientati, eppure sono fatti per credere, per trovare un significato, per cercare qualcosa più grande di loro. Si portano nel cuore un desiderio infinito di vita, perché la loro vocazione è la vita e Anita, la protagonista dei racconti di Marco Castellani, questa vita ce l’ha raccontata insegnandoci l’arte dello stupore e della contemplazione.

Semi della nuova umanità…
Carla Ribichini al lavoro con i suoi alunni (Istituto Comprensivo P.M. Corradini, Roma)

Marco Castellani è un astrofisico per formazione e professione ed un poeta per passione e vocazione; ha lavorato nelle classi della scuola media in cui insegno rivolgendosi a ragazzi appena dodicenni; pur nella diversità dei nostri ruoli la finalità educativa è stata la medesima, abbiamo condiviso contenuti e strategie e cercato insieme una nuova visione per sviluppare intuito, creatività, consapevolezza e libertà di pensiero. La scienza è stata solo il punto di partenza e il grande merito dell’autore è stato quello di averla inserita in una dimensione più profonda, di averla trasformata in letteratura e di averla tradotta come impegno per il mondo.

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La vera stella che vuoi essere

Assai volentieri ospitiamo la presentazione integrale della professoressa Carla Ribichini (I.C. Comprensivo “Marcello Corradini”, Roma), contenuta nel volume di racconti per ragazzi “Anita e le stelle” (Arsenio Edizioni, Euro 14) in uscita in questi giorni, già disponibile su Ibs.it.
 

«A volte  mi  sento  brillare  come  una  stella  che  non  vive  in  cielo,  vive sulla  terra  e  brilla  anche  di  giorno.  È  facile  sentirsi  una  stella,  basta amare  la  vita  e  sentire  dentro  la  vera  stella  che  vuoi  essere.  Dentro tutti  siamo  stelle.»  

 
Così  Davide,  in  modo  semplice  e  commovente,  racconta  la  sua  esperienza  dopo  la  lettura  del  racconto  di  Marco  Castellani La bambina e il quasar
 
Gli  alunni  della  scuola  media  “P.M.  Corradini”  di  Roma  hanno partecipato  al  progetto  Educare  narrando… tra  Scienza e Poesia e hanno  compreso  che  raccontare  una  storia  non  è  pratica  oziosa,  ma strumento  per  educare  e  risvegliare  i  cuori.  Lasciar  parlare  la  voce delle  storie  è  importante  perché  le  storie  mettono  in  movimento  la vita  interiore,  soprattutto  quando  è  denutrita,  spaventata  e  messa  alle strette,  come  spesso  lo  è  la  vita  dei  nostri  giovani. 
 
 
Unire  lo  studio  metodico  e  rigoroso  dello  scienziato  allo  stupore e  alla  meraviglia  del  poeta  è  l’azione  coraggiosa  di  Marco  Castellani. I  momenti fondamentali  del  suo  prezioso  lavoro:  ricerca  e  conoscenza, restituzione  e  servizio,  sono  stati  per  noi  strumenti  di  apprendimenti significativi.  La  sua  passione  per  l’universo  e  il  suo  amore  per  l’uomo che  lo  abita  lo  hanno  spinto  a  donarci  una  scienza  nuova.  Lo  scienziato  illuminato  sa  che  la  conoscenza  da  sola  non  basta,  ed  ecco  allora  che,  tra  le  righe  dei  suoi  racconti,  si  affaccia  una  scienza  che  si rende  disponibile  e  comprensibile  e  si  mette  a  disposizione  di  tutti  attraverso  emozioni  e  ritmi  narrativi.  

L’autore,  scienziato  e  poeta,  ha voluto  divulgare  la  scienza  in  modo  nuovo,  l’ha  liberata  dalle  sue  catene.  Una  scienza  non  più  prigioniera,  ma  dettata  dal  cuore  ha  reso comprensibili  i  concetti  più  astratti  e  complessi;  l’intimo  colloquio  che l’autore  è  riuscito  a  stabilire  tra  scienza  e  poesia  è  stato  la  chiave  segreta  per  conoscere  il  mistero  della  vita.  
 
I  racconti  sono  stati  una  finestra  aperta  sul  cielo.  La  curiosità  e  lo  stupore  della  protagonista  e la  sua  forte  determinazione  alla  conoscenza,  hanno  aperto  un  varco e  spalancato  le  porte  dell’universo;  la  classe  si  è  trasformata  in  un vero  e  proprio  osservatorio  e  i  ragazzi,  che  generalmente  hanno  lo sguardo  rivolto  a  terra,  hanno  alzato  gli  occhi  e,  con  il  naso  in  su,  si sono  divertiti  a  contare  le  centinaia  di  migliaia  di  stelle,  hanno  assaporato  l’armonia  perfetta  che  anima  il  cosmo.  E  il  cosmo,  prima  lontano  ed  oscuro,  a  poco  a  poco,  si  è  fatto  loro  più  vicino,  i  corpi  celesti  sono  entrati  nello  spazio  del  loro  cuore  cambiando  il  loro  universo interiore:  tutti  hanno  conosciuto  il  cielo  sopra  e  dentro  di  loro  e  fatto esperienza  del  legame  profondo  che  c’è  tra  gli  uomini  e  le  stelle. 
 
Così  raccontano  Marika  e  Aurora 

«In  un  punto  sparso  dell’universo  ci  siamo  io  e  le  mie  possibilità:  ogni  mia  molecola  è  unica,  capiente  di  speranza  e  saggezza,  voglio  incamminarmi,  fare  un  passo in  avanti  e  trovare  la  mia  luce.  Vari  stadi  di  conoscenza  evoluta  mi attendono  e  le  stelle  aspettano  il  mio  arrivo.»  (Marika) 

«Sono  una  piccola  stella  che  brilla,  silenziosa  e  tranquilla,  sempre in  evoluzione.  L’essere  umano  è  rinchiuso  nella  parte  più  buia  e  triste di  sé.  Credo  che  tutti  noi  siamo  stelle  e  dobbiamo  evolverci,  uscire  da quella  profonda  oscurità  e  affrontare  la  vita  nella  luce.»  (Aurora) 

La  lettura  è  stata  un’avventura  affascinante,  ha  permesso  ai  ragazzi  di  diventare  un  po’  esploratori,  un  po’  scienziati,  un  po’  poeti  e conoscere  le  meraviglie  della  scienza.  L’autore,  con  umiltà,  ha  guidato  tutti  a  scoprire  la  bellezza  che  dorme  nascosta  nell’universo  e, in  modo  delicato  e  discreto,  ci  ha  coinvolti  per  proteggere  e  salvare la  nostra  dimora  planetaria.  I  ragazzi  si  sono  sentiti  chiamati  a  fare la  loro  parte,  hanno  lavorato  con  la  serietà  di  veri  scienziati,  hanno imparato  a  guardare  il  cielo  e  hanno  sentito  il  desiderio  di  portare  la sua  luce,  il  suo  raccoglimento  e  il  suo  silenzio  sulla  terra  bisognosa. Queste  sono  le  loro  sincere  e  commoventi  promesse:  

«Le  corde  dell’Universo  mi  avvolgono  e  mi  trascinano  in  un  insolito  viaggio. Vedo  sfumature  di  energia  potente  che  galleggiano  sulle  onde  del mare  infinito.  Le  stanze  dell’Universo  sono  aperte  e  il  ragazzo  che non vuole  sprofondare  in  un  buco  nero  guarda  oltre,  ascolta  il  silenzio delle  stelle  e  della  loro  pazienza.  Sa  trovare  la  giusta  direzione, mantenere  le  promesse  e  migliorare.»  (Marika) 

«Ogni  volta  che  appoggio  la  testa  sul  cuscino,  in  quell’istante prima  di  addormentarmi,  vedo  in  uno  specchio  la  mia  immagine  rifratta  che  si  tramuta  prima  in  acqua  e  ancora  in  aria  e  quell’aria  arriva  nel  lontano  universo.  Da  lì  osservo  il  mondo  e  mi  sento  libera: sono  un  piccolo  anello  di  una  grande  catena,  sono  un  piccolo  strumento  di  un’infinita  orchestra  e  di  un’infinita  armonia.  Come  ragazza dell’universo  prometto  che  sarò  forte  e  tenace  e  lo  salverò.»  (Monica) 

«Prometto  di  trasformare  il  male  delle  persone  in  amore,  di  piantare  il  seme  della  conoscenza,  di  lasciar  giocare  la  mente  con  le stelle  e  di  correre  con  le  comete.  Come  un  vecchio  saggio  prometto di  ascoltare  il  silenzio  siderale  dell’universo»  (Tiziano). 

L’uomo  ha un assoluto  e  urgente  bisogno  di  essere  introdotto  alla Scienza  e  comprendere  il  mondo  in  cui  vive,  da  sempre  si  è  sentito misteriosamente  attratto  dalla  potentissima  energia  che  continuamente  piove  dal  cielo,  da  sempre  ha  percepito  una  forza  primordiale strettamente  connaturata  con  la  sua  vita;  eppure,  di  fronte  all’immensità  del  creato,  ha  provato  paura  e  solitudine;  avvicinarsi  all’astrofisica  e  conoscere  l’universo  è  per  lui  un’esperienza  importante e  necessaria. 
 
L’astrofisico  Marco  Castellani  ci  ha  dato  l’opportunità  di  interagire  con  la  Scienza  e,  con  la  leggerezza  del  poeta,  ci  ha  permesso  di ascoltare  la  voce  dell’universo;  in  modo  stimolante  e  coinvolgente,  ci ha  ricordato  che  l’universo  ha  bisogno  di  ognuno  di  noi,  della  nostra consapevolezza  e  del  nostro  lavoro;  i  suoi  racconti  sono  stati  un  sofisticato  e  potente  telescopio  grazie  al  quale  abbiamo  compiuto  un vero  e  proprio  viaggio  planetario. 
 
Alla  fine  del  viaggio  le  distanze  si  sono  sorprendentemente  annullate:  scienza  e  poesia,  cielo  e  terra,  abissi  e  altitudini,  esseri  umani e  stelle,  tutto  strettamente  connesso,  legato  e  unito.  Ci  siamo  sentiti finalmente  meno  soli,  abbiamo  subito  il  fascino  delle  stelle  e  capito di  essere  a  casa,  innamorati  del  nostro  immenso  cielo,  quello  sopra di  noi  e  quello  dentro  di  noi. 

«Ho  visto  pianeti  conosciuti, 
narrati  con  amore 
ho  ascoltato  le  loro  storie, 
assaporato  le  loro  verità 
mi  sono  accorta  di  essere  tutt’uno  con  l’universo 
e  che  l’universo  è  in  me.» (Daniela)

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L’infinito, presente

Da una riflessione su L’Infinito, di Giacomo Leopardi
L’Infinito è una dimensione dell’anima, dimensione ignorata e spesso invisibile, ma assolutamente presente nelle nostre vite; è quella coscienza globale che dà senso all’esistenza e la risolve.

Esiste un marchio d’infinito dentro ognuno di noi e aderire all’infinito che ci abita dentro è l’esigenza di ogni essere umano. L’uomo vive nelle pseudo sicurezze del mondo finito, si perde nella materia, la vuole dominare, è prigioniero nel mondo delle cose; come diceva Pascal, è posto tra i due abissi dell’infinito e del nulla, fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.       

                                                                                                                              

Duplice, quindi, è la natura umana, ma il centro pulsante della sua interiorità è proprio il bisogno di infinito che, riconosciuto e ascoltato, spinge l’essere umano ad andare oltre l’io di materia fino ad entrare nella coscienza del Tutto. E’ l’esperienza interiore quella che conta, in quel punto profondo nulla divide l’uomo dall’Infinito e dall’Eterno.

Leopardi, pastore errante, si interroga sull’esistenza umana e ci dà un’umile lezione di coraggio e di forza. La sua poesia è una vera e propria ricerca di consapevolezza e affonda le sue radici nel dolore; rifiutando e  allontanando ogni tipo di consolazione, ci insegna la dignitosa accettazione del destino umano.  Leopardi cerca la verità, lotta eroicamente per superare l’inquietudine e la sofferenza e porta la lotta dalla biblioteca paterna al mondo. Riconosce solo l’uomo, che rimane il suo punto fermo; è un uomo solo e sofferente, ma non sconfitto, l’accettazione della sua disperata condizione lo rende, anzi, più forte e consapevole.

A noi che abbiamo perduto il senso della vita, della lotta, del coraggio e della ricerca, Leopardi insegna a resistere eroicamente “contro le magnifiche sorti e progressive”, insegna a combattere e a portare in profondità la lotta, insegna a rimanere fermi nella visione stretta della siepe, perché solo da lì si può vedere oltre, ritrovare e accogliere l’Infinito.

Leopardi non rifiuta questo passaggio obbligato attraverso la sofferenza, l’attraversa con tutti i suoi sensi, (mirando odo m’è dolce) poi, però, non rinuncia all’idea dell’Assoluto e, con un esercizio spirituale di contemplazione, (nel pensier mi fingo) superando la bugia che siamo solo materia, ci insegna uno sguardo diverso e una visione superiore. Attraverso il pensiero, con un movimento circolare di spazio e di tempo, si collega e si affida dolcemente al Tutto dimostrandoci che l’uomo è fatto di infinito, sicuramente piccolo di fronte all’universo, ma infinitamente grande e consapevole per poterlo immaginare, contenere e cambiare.                       

Avrebbe mai potuto scrivere questa poesia perfetta se non avesse avuto l’infinito dentro? Il poeta è per tutti noi una guida spirituale, la sua poesia, a scuola, ci spinge a rivoluzionare la pratica educativa, diventando abili costruttori della nostra vita, disposti ad accogliere l’infinito.

La poesia è una soglia tra il visibile e l’invisibile e ci dimostra che abbiamo due modalità diverse di conoscere: oltre la conoscenza razionale e sensoriale, c’è una conoscenza che nasce nella sfera spirituale; una mente pensa e l’altra, più profonda, sente, percepisce e immagina. La ragione umana non basta mai a se stessa e il compito fondamentale, soprattutto a scuola, è di natura emozionale: liberare lo spirito creativo, creare risonanze, innescare sentimenti e pensieri positivi, potenziare le dimensioni umane quali entusiasmo, passione, accettazione, coraggio, motivazione e ricerca.

Questa capacità di visione è fonte feconda e l’Infinito diventa significato di sé e serbatoio di possibilità e risorse davvero infinite.

Esercizi di consapevolezza: il mio bisogno di infinito.

Fare esperienza dell’infinito è per gli adolescenti una vera e propria presa di coscienza e rimarrà per sempre un’esperienza indelebile, anche quando la sofferenza e il dolore sembreranno vincere e voler dire l’ultima parola su tutto.

Infinito astratto, concreto
Infinito colorato penetra senza permessi.
Mi pervade. 
 

Lorenzo 

Certe volte si ha bisogno di credere in qualcosa che ti dia conforto.
In quel momento entra in gioco lui, l’Infinito.
Vorrei perdermi dentro di lui, toccarlo e abbracciarlo.
Mi sento in pace con lui.
La mia pace è infinita. 
 

Nicholas

Come un raggio di sole, l’infinito soffia nell’oscurità dei miei pensieri.  

Fatima 

 Ho bisogno di infinito, ho voglia di toccarlo, sentirlo, vederlo e annusarlo. Ho bisogno di quella sua particella che mi fa cambiare e mi fa sentire un uomo divino. 

 Cosmin 

Cuore e mente insieme formano un grande e accogliente infinito che mi avvolge,
mi sento il centro del mio infinito, lontana dal mondo, sola con me stessa e sto bene. 
 

Alessia 

Il mio infinito mi parla, ha la mia stessa voce.
Facciamo gli stessi movimenti e le stesse smorfie.
Non sono ancora quella magnifica creatura.
Ma lo diventerò e sarò il mio infinito.
 

Monica 

Mirando sovraumani silenzi e profondissima quiete…
Mi calmo e trovo la pace.
Il silenzio cauto del vento
mi culla.
Mi sento protetta, libera e indomabile come l’aria.
Non ho più confini. 
 

Monica 

Mi sovvien l’Eterno…
E mi travolge nell’immensità
Ascolto l’infinito silenzio di un colle addormentato,
il suo respiro legato al mio
in questa fragilità.
Mi addormento e mi calmo
Nel riposo dell’eternità. 
 

Marika 

Il pensier mio…
Ormai stanco,
Si rannicchia nell’immensità di un tramonto
che mette in pace l’anima,
i pensieri grigi, come se non fossero mai esistiti,
annegano nell’acqua profonda
e il cielo si arrossa.
 

Davide 

Mi sovvien l’Eterno…
Mi avvolge, mi travolge, mi coinvolge e mi porta in un Infinito pacifico e armonioso
io mi sento libero.
 

Andrea 

Mirando sovrumani silenzi e profondissima quiete….
Mi tuffo nel mio oceano infinito, scivolo nell’acqua, sento il vento accarezzare la schiuma delle onde,
Ritrovo il mio respiro
E mi sento bene. 
 

Alessia

Tra questa immensità s’annega il pensier mio…
tra queste infinite colline
tutto è pace,
Il vento soffia e
Il mio cuore è libero.
 

Aurora 

Mirando sovrumani silenzi e profondissima quiete….
Si risveglia il mio cuore, e nel fresco mattino

d’inverno, batte soave.

Mentre un cielo infinito si apre davanti a me. 

Valerio

Il tempo si è addormentato nel sole del pomeriggio
sotto fronde di immense querce,
è ricoperto da scricchiolanti foglie secche.
Abbagliata dagli ultimi, candidi raggi di sole, mi perdo nel silenzio infinito.
 

Aurora 

Il tempo si è addormentato nel sole
del pomeriggio
Tutto è immobile nella quiete di un respiro dormiente,
I fili d’erba sono cullati dal fruscio lento di una quercia secolare.
Il sole solitario,
anche lui,
si scioglie
nei freschi profumi e
nei morbidi pensieri
di questo tardo pomeriggio primaverile.
E questa mia costante frenetica agitazione è sopraffatta
Dal desiderio di eternità.
 

Marika 

Il tempo si è addormentato nel sole
del pomeriggio.
Le onde inarcate sono ferme
davanti agli imponenti scogli.
Nel vento ancora riecheggiano
I bianchi profumi e le pacate voci
provenienti dal mare.
Mi sento piena, leggera e serena
non più invasa dall’irruenta fretta.
Sono libera. 
 

Monica 

La luna con i suoi occhi
guarda gli infiniti spazi
sui quali regna assieme
al silenzio eterno
che eterno non è.
Tutto si compone,
tutto si spezza;
che siano vite o oggetti
il cielo infinito affligge tutti.
 

Giacomo

L’infinito mi sovviene
Quando sento la pace calare;
Infinito è ciò che, a guardarlo,
si nasconde dietro ogni cespuglio,
Infinito è la voglia dell’umano
Di vivere questa ardua vita,
lasciando la luna calare,
e su questi campi farla poggiare. 
 

Giacomo 

Lavorare con i giovani è una delle esperienze più belle che si possa fare; senti che, al di là di ogni credo, basta l’uomo, non quello prigioniero dell’ego, l’uomo creativo, cosciente di sé, della sua profondità e della sua dimensione infinita. Promuovere la letteratura significa produrre energia creativa, educare la coscienza critica e favorire la costruzione del pensiero e il potere delle emozioni. 
Quando mente e cuore sono abituati a vivere nel finito, sono sofferenti; c’è bisogno, allora, di immergersi nella realtà espansa della coscienza, avere fiducia nelle leggi interiori dell’essere umano e familiarizzare con il proprio infinito. 
Ricordo ai ragazzi che la poesia è un percorso privilegiato di conoscenza, porta alla luce cose che agli uomini distratti sono nascoste, fortifica e insegna a vivere, conferisce senso all’esistenza e dona il coraggio di superarne la precarietà, immaginando una realtà nuova e creando il cambiamento. 
La poesia leopardiana ha impresso nel cuore dei ragazzi insegnamenti che costruiranno le loro vite: ha insegnato che il trascendente è radicato nella loro esistenza, necessario e irrinunciabile, e che l’infinito del cuore è perfettamente connesso con l’infinito del cosmo. I ragazzi hanno imparato a cercare l’infinito nella radice stessa del dolore e a sentirsi fragili e imperfetti senza rinunciare ad aprirsi a tutte le possibilità della vita, per diventare uomini liberi.

Carla Ribichini insegna materie letterarie nell’I.C. Corradini di Vermicino ed è ideatrice di un progetto innovativo che prende il nome di EDUCAZIONE VISIONARIA. E’ coautrice del libro La scuola visionaria. Un’altra scuola è possibile.

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Ti racconto il mio Sanremo

 … solo un caso: la trasferta è iniziata il 17 gennaio, festa si Sant’ Antonio abate, monaco eremita…

Non sarà un caso se gli accadimenti e i percorsi che ho intrapreso in varie modalità in questi ultimi tempi (il bellissimo Darsi Pace, il lavoro sul cuore con Giulia, l’incontro con suor Sveva eremita, il passaggio alla Pieve di Romena, insieme al richiamo di don Carron e di Papa Francescomi stanno avvicinando a un desiderio di silenzio e di svuotamento. La percezione oggi è quella di camminare su sentieri tortuosi con deviazioni, scale, discese e salite ma che conducono sulll ‘unica strada:  LA STRADA .


cielo mare  a Sanremo 

Sanremo è stata una bella esperienza. Il mio compito era che il lavoro per il programma che seguivo  che non era il festival, venisse seguito e realizzato con meno problemi possibili e nei tempi stabiliti. Non dovevo fare altro che essere accanto al mio collega che più giovane e più bravo di me ha svolto la parte creativa e che si trovava in prima linea a dover relazionarsi e mostrarsi ai committenti. Io ho potuto rimanere un passo indietro, essere “al servizio “, allenandomi nel metter a tacere un certo EGO che spesso fa capolino.

Il tempo di trasferta è un tempo particolare, ma anche privilegiato. Si è lontani dalla normalità della vita, e dagli amici, e dagli affetti quotidiani. Tutto viene sostituito dalla convivenza tra colleghi. Il tempo e l’impegno ruotano intorno al Festival di Sanremoe a tutti gli eventi collegati ad esso.
Ho desiderato da subito che il mio tempo non fosse inutile, disimpegnato o distratto nel turbinio di cene e pranzi a  tema fisso con pochissime eccezioni: lavoro, lavoro, lavoro farcito da pettegolezzi e le solite problematiche aziendali, tutto con un ritmo monotono fino ad arrivare alla nausea.
STARE con le persone anche dentro quella nausea è stata una sfida supportata anche dal pensiero che “L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di Te in noi stessi, mio Dio. Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori (devastati) di altri uomini. (…) tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi.  E.Hillesum
Così non ci sono più spazi o circostanze inutili. Con la preoccupazione di salvare quell’angolo di cuore, ma senza per questo sentirmi “migliore “degli altri, ho partecipato pienamente alla baraonda di queste giornate.
Ma come si fa a conciliare il bisogno di ESSENZIALE che sento come desiderio di pienezza, con il chiacchiericcio, la distrazione e il gigantesco superfluo di parole e cose di cui si viene bombardati senza tregua?
Bisogna nutrirsi!  Così il silenzio, la meditazione imparata con Darsi Pace, la bellezza del mare e del cielo, le biciclettate e miei pranzi solitari davanti al mare, il passaggio quotidiano nella Chiesa dei frati francescani, sono stati il nutrimento per non annegare nel nulla delle troppe cose …
Pur stando con le persone ho vissuto in una solitudine, e, come spesso  ormai mi succede, sentendomi un po’ “strana”. Queste giornate sono state un’attesa continua nel desiderio d’incontrare un’anima …
Regali ne ho avuti tanti: la breve colazione con Paola, in cui scopriamo il comune desiderio di stare “interi e centrati” e non far diventare una parentesi di vita questi giorni, poi la fresca ‘amicizia con i nostri” vicini di casa,  i frati, poi la  conoscenza e l ‘invito a cena di due bellissime famiglie di Sanremo in cui ho respirato la semplicità, l’ accoglienza e la pace dentro l ‘eccezionalità di una vita “normale “ma non facile.
Tra le cose che ascoltavo e mi nutrivano durante le mie biciclettate c è stata anche un’intervista di Simone Cristicchi che riprendeva la parola” essenziale” raccontando di due ragazze del terremoto dell ‘Aquila che hanno capito che per loro l essenziale era possedere solo 2 magliette, poi della felicità sorprendente incontrata nel volto di una monaca di clausura, e del significato della sua canzone….

E’ con questo cuore gonfio di attesa che quando  ascolto la canzone di  Simone Cristicchi  mi commuovo. Ho la fortuna di poterlo incontrare “dal vivo”, devo attendere che si concluda l ‘inseguimento dei cacciatori di selfie. Supero  mio timore di essere presa come una molestatrice perché io DEVO  parlargli.!  Dopo breve inseguimento lo blocco.

Il mio GRAZIE è venuto fuori come strabordante  e da un bicchiere troppo pieno. Era il riconoscimento di un cuore. Ci siamo  detti delle cose  e riconosciuti in  questa esigenza di  tempi di  silenzio davanti alla bellezza  regalata dal mare.
Era quel ‘anima che attendevo. Così inaspettata!  Improvvisamente ho sentito che il senso del mio essere a Sanremo era lì: un risveglio del cuore , una riprova di essere sulla stessa STRADA. 
Il giorno dopo lui torna nello studio per la trasmissione-talk pomeridiana. Ascolto l’intervista. Uno spazio di verità in cui  Cristicchi racconta come coraggiosamente ha presentato quella canzone, poi accenna alle nostre maschere, agli schiaffi e alle carezze della vita.  Dentro tanto parlottìo televisivo noiosissimo che  seguirà subito dopo con “gli esperti “, le poche parole ascoltate splendono come luce e vanno dritte come una lancia a colpire il cuore della gente. Il pubblico  infatti  applaude spontaneamente con forza.
Si, Simone Cristicchi  solo per questo ha già vinto! Tutto il resto e cosa ne seguirà non ha importanza .
Penso in quel momento al potere del microfono di cui aveva parlato lui stesso . Se la TV produce spazzatura, si mangerà spazzatura, ma se qualcuno risveglia il cuore, la gente se ne accorge, si muove, gioisce e si accende una speranza.
(a me  torna   in mente quando ho iniziato a lavorare in TV, quanto ero idealista  immaginando la possibilità di cambiare un pezzo di mondo.  Risvegliare le menti assopite, risvegliare le coscienze addormentate, aprire il cuore alla creatività e alla bellezza, educare alla solidarietà, credendo che questo fosse la mission del servizio pubblico…) 
 Nel breve colloquio avevo raccontato a Cristicchi che ero stata a Romena e avevo conosciuto don Luigi Verdi. Lui mi dice che, guarda caso, proprio la sera verrà  a trovarlo e m’ invita a passare a passare a salutarlo.
Un altro regalo è stato l’incontro inaspettato con Don luigi Verdi con cui trascorro del tempo prezioso  Parliamo di Dio, del silenzio, della fraternità di Romena, del dolore, della pace, dell ‘armonia, della ricerca, del bisogno di sintesi.
Questo è stato un ulteriore carezza o di Dio, un regalo più grande di ciò che potevo solo immaginare.
Così sazia di tutto ciò che avevo già avuto, non attendo il rientro di Cristicchi dal festival per festeggiare insieme. Il mio senso del dovere mi ha fatto rientrare al mio  lavoro.
Ma anche questo faceva un po’ parte del piano di Dio. Si vorrebbe rimanere lì, stare con chi riconosci come vero, come compagnia, ma non sempre è possibile.
Non possiamo metter le tende, dobbiamo tornare e stare nel mondo, mantenendo quella gioia riassaporata re incontrata per quel poco tempo di verità.
Così me ne torno tra la mia gente, con una letizia rinnovata e visibile. E’ come quando ci si innamora, improvvisamente tutto diventa bello!
Quella sottile tristezza e stanchezza che portavo con me in quelle giornate era scomparse ma ne ho visto  il senso ricordando certe parole di Giussani :
Le due grazie che il Signore dona sono: la tristezza e la stanchezza.
La tristezza perché mi obbliga alla memoria
E la stanchezza mi obbliga alle ragioni del perché faccio le cose.


Ho voluto scrivere per non dimenticarmi delle cose 
belle e inaspettate che accadono.

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La poesia è molto più di questo

Guest post di Andrea Castellani
Nel novembre del 2002 si è verificata una curiosa coincidenza: una signora novantenne ha regalato  alla famosa rivista “Poetry” cento milioni di dollari per superare le difficoltà finanziarie di questa nuova epoca, soldi che ha ereditato insieme alla casa farmaceutica produttrice del Prozac. “E’ un segno del destino che il denaro speso per antidepressivi sia andato a finanziare la più antica e ignorata delle medicine”, scrive Gramellini su La Stampa (“I versi della nonna”, 20/11/2002). Ma sa anche che, in fondo, la verità è un’altra, come dimostra l’età della fortunata ereditiera: sono sempre loro, gli anziani, a cercare consolazione per una vita che ormai sfugge dal loro controllo. Emblematica la sua conclusione: “Rimane la gioia di vedere tanti vecchi rifugiarsi nella poesia […]. E la rabbia di saperli quasi costretti a scrivere, dal momento che il mondo non li ascolta più.”
Poesia
“Ovunque io vada,vedrò una poesia abbracciarmi” (Adonis)

Già, perché nel mondo del terzo millennio non c’è più spazio per loro, come non ce n’è per la loro poesia…Essi, come la poesia, sono ormai vestigia di un epoca passata, e non possono certo trovare un proprio posto nella società dell’attuale, tanto presa dal presente da dimenticare il passato, e gettarsi senza scrupoli in un futuro che non comprende. Già nel 1975 Montale aveva avvertito le conseguenze di una società in cui i mass media hanno tentato di “annientare ogni possibilità di solitudine e riflessione” (“E’ ancora possibile la poesia?”, Discorso tenuto all’Accademia di Svezia in occasione del Premio Nobel per la poesia), una società ormai dominata da un “esibizionismo isterico” (o.cit.) che poi è l’apparire, non importa il come e il perché, l’illudersi di essere protagonisti dell’interminabile corsa verso un “attuale” in costante mutamento, quindi irraggiungibile. Da allora, credo di poterlo dire con sicurezza, tale processo non ha fatto che accelerare: i conflitti, i governi, le idee e le mode vanno e vengono con la stessa velocità di una hit dell’estate.

In una società così votata all’apparenza della felicità nel nuovo, che ruolo potrà mai avere la poesia? Per lei non c’è più spazio tra le pagine delle maggiori pubblicazioni, né sui principali canali radio-televisivi, né tantomeno nei famosi caffé di una volta, e neppure nelle parole dei nostri idoli, della nostra classe dirigente. Se questa popolarità, questo indiscusso e riconosciuto ruolo di guida sociale è ciò a cui aspira la poesia, allora sì, è morta, forse per sempre. E a poco servirebbe condannarne gli assassini, perché ne saremmo tutti complici, di questo pubblico delitto… e non la farebbe comunque tornare in vita.

Ma forse la poesia non è davvero questo, forse è altro: una “possibilità infinitamente sospesa” (G. Raboni, “La poesia? Si vende ma non si dice”, sul Corriere della Sera, 18/01/2003), un sentimento unico, sfuggente, sorprendente, che alberga in tutti noi, nel profondo. Se la poesia fosse davvero morta, nota giustamente G. Conte (“Ma la poesia non sempre deve essere popolare”, su Il Corriere della Sera, 15/01/2003), “non sarebbe un capitolo della storia umana a chiudersi, ma sarebbe l’umanità stessa a cambiare”. O, per meglio dire, a scomparire: la poesia, a mio avviso, è molto più che forma, molto più che un paio di pagine scritte in versi… è nella musica, vecchia e nuova, nell’arte, nei romanzi, nel cinema, anche nei videogiochi, purchè tutto ciò sia ispirato da veri sentimenti, piuttosto che da analisi di mercato; è insomma nel nostro linguaggio, nelle nostre idee, nei nostri pensieri, è nella vita di tutti i giorni. Senza di essa, non saremmo che macchine. 
Se è questa la poesia, allora non morirà mai. E fa poca differenza il fatto che, rispetto alle epoche passate, abbia perso un suo preciso riconoscimento sociale all’interno di limiti e convenzioni prestabilite, al punto che oggi  l’occasionale evento mediatico “inquina senza scampo quelle privatissime risonanze” (C. Fruttero, “L’indice di Borges”, Tuttolibri, 11 gennaio 2003) che essa produce…anzi, oserei dire, è un bene: di fronte al conformismo sempre più diffuso della società,  forse essa è davvero l’unica cosa che ci resta di inimitabile, insostituibile, personalissimo, e proprio per questo, quindi, universale.

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