Ancora, scrivere

Scrivere mi fa stare meglio. A volte non c’è altro, non c’è altro che posso fare. In certi momenti bassi dell’anima – che a volte mi giungono addosso così misteriosamente – l’unica cosa è scrivere.

Mettere in fila parole, una dopo l’altra, pensare alla prossima parola da inserire, ponderare l’uso di due parole simili… tutto questo mi fa assaggiare di nuovo un ordine bello, calmo, pacato, stabile. Entro in contatto con questo ordine superiore, scrivendo. Di qualsiasi cosa, di qualsiasi argomento. Come adesso. Scrivendo, semplicemente. Ed accade che mi calmo. Qualcosa nel mio cervello si placa, avverto nuovamente l’onda placida di una pienezza che mi lambisce, per cui non devo più agitarmi, non devo preoccuparmi, non serve più, è ormai inutile, si può finalmente riposare.

Perché poi riposare scrivendo, davvero non lo so. Dopotutto, non penso nemmeno sia una cosa che devo sapere. Penso sia una cosa così, una cosa che viene e che non posso e non devo dominare. Che ne voglio sapere io, in fondo? Chi ha una comprensione veramente chiara e limpida di sé stesso? Mi basta capire cosa mi faccia stare bene, poi il resto non mi compete.

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Le faccio un misto? Grazie, no.

Crescendo, cambio. Credo capiti a tutti. A me capita per certo. Anche nelle scelte che potremmo dire più spicciole, registro un cambiamento di attitudini. Non solo davanti ai grandi temi della vita, mi sento un po’ diverso rispetto a prima. Ad esempio, se considero il mio rapporto con la tecnologia, noto alcune differenze sensibili, rispetto anche a poco tempo fa.

Credo che se uno cambia, cambia un po’ in tutto. Vuole fare tutto in modo nuovo, esplora diverse possibilità, si fa domande che prima non si faceva, sulle cose che utilizza, sul modo in cui lo fa. Questo, è il modo migliore per me, adesso? Forse sono stanco delle mie modalità ormai supercollaudate di fare le cose, e desidero forse provare altro?

Io lavoro da diverso tempo in ambiente misto, ovvero uso un iMac (uno a casa e uno al lavoro), ho un portatile Windows, ho un Chromebook. Come sistema operativo mobile (smartphone e tablet) uso dispositivi Android. Questa varietà è stata una scelta deliberata, del mio me stesso di qualche tempo fa.

Da curioso della tecnologia, l’idea era di mettere il naso in tanti framework diversi, per imparare qualcosa da ognuno. Perché mai togliersi il piacere di studiare Windows 11, come pure investigare in profondità macOS Sonoma? Basta utilizzare strumenti con Windows assieme a dispositivi Apple, ecco lì che il gioco è fatto. Si prende il meglio di tutti e due gli ambienti. A questo poi associamo quanto sarebbe divertente esplorare ChromeOS, il sistema operativo di Google, perché no? Sempre tutto intrigante. Eppure.

Eppure? C’è questo, che niente viene gratis (no, alla fine non è vero, ma la frase ci stava bene). Perché uno scopre che tutta questa esposizione alla varietà viene necessariamente a scapito della profondità. E questo è un problema, tanto più quanto i sistemi operativi si fanno articolati e complessi.

In altre parole, lascia stare il fatto che tutti sanno usare Windows nella maniera “basica”. Lanciare un programma, perfino istallarlo, è piuttosto facile (averlo reso facile e disponibile alle masse è un grande merito del sistema operativo di Microsoft). Lo stesso anche per il Mac (e ormai anche per Linux, anche se lì rimangono ampie possibilità, volendo, di complicarsi la vita oppure, diciamo, di rendersela più interessante). Lascia stare questo, questo infatti è assodato. Ma se vuoi usare il sistema al meglio, ti tocca imparare una serie di scorciatoie, combinazione di tasti per arrivare rapidamente ad un risultato, automazioni, e via di questo passo. Per gestire bene molte applicazioni allo stesso tempo, devi padroneggiare il sistema a finestre che ti trovi davanti. E non sono mica tutti uguali, i sistemi a finestre. Certe combinazioni per massimizzare la finestra, minimizzarla, affiancarla alle altre in quel determinato desktop virtuale, sono uniche del tal sistema operativo. Se vuoi essere veloce ed efficiente nel tuo lavoro, devi impararle.

Poi le applicazioni. Non tutte le applicazioni esistono per tutti i sistemi operativi, dunque magari succede che ti abitui ad un certo flusso di lavoro (tipo cosa uso per portare a termine cosa) e poi ti sposti nell’altro ambiente – passando magari dal fisso al portatile e scopri che una delle applicazioni che usavi dove sei partito, qui non c’è. Certo la suite Office esiste su Windows e su Mac, siamo d’accordo. Ma se voglio usare (anche) altro? Metto tutti i miei testi (che vanno solitamente su Stardust e EduINAF) su Ulysses? Ma su Windows non c’è. E nemmeno su Android. Uso Paint per elaborare rapidamente una immagine, magari con l’aiuto della famosa Intelligenza Artificiale (certo, per quel che vale)? Va bene, ma considera pure che sul Mac non c’è.

Edito un video con iMovie? E se voglio finire il lavoro sul portatile? Ah no, lì non c’è iMovie, lì trovo Climpchamp.

Oppure (e non è detto affatto che sia meglio), l’applicazione esiste, ma è diversa. Cioè, è lei ma non è lei. Un caso eclatante è iA Writer, l’applicazione con la quale scrivo praticamente tutti i post (e anche altro, come poesie e racconti, o come un romanzo). Esiste sul Mac e c’è per Windows, ma le applicazioni sono significativamente differenti. Puoi fare cose da una parte, che dall’altra non puoi fare. Del tipo, vuoi cercare del testo tra tutti i tuoi files dell’archivio? Lo puoi fare dal Mac, non dal PC Windows. Vuoi un indice autogenerato che si possa fruire già dall’anteprima del file, visibile nella libreria? Su Windows c’è, sul Mac invece no.

Già tutto questo mi porta a pensare che, abbandonate le passate velleità di conoscenza enciclopedica, in futuro puntare su una certa omogeneità di ambiente potrebbe essere una gran buona idea.

Ma la faccenda si fa decisamente più pregnante quando si prendono in considerazione anche i sistemi mobili. Quando è iniziato questo blog, la cosa tutto sommato non era così importante. Adesso, con il moltiplicarsi di applicazioni mobili per cui diverso lavoro si può svolgere da smartphone, è diventato importante che computer e smartphone si parlino efficacemente. Ma questo (state tranquilli) sarà oggetto di una mia prossima ruminazione.

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Certo che iA Writer…

Certo che iA Writer ha questo, che apri il programma e ti viene voglia di scrivere. Ancora non sai bene cosa scriverai, anzi non lo sai per nulla affatto. Però questa cosa è certa, ti va di scrivere. L’interfaccia linda e pulita è proprio un invito. Le lettere scorrono grandi dentro la finestra e il preview istantaneo ti dà un gusto particolare. Questo forse, chissà, è perché sei abituato ai codici che compilano, cioè a scrivere in un modo ed aspettarti che quello che scrivi venga modificato, interpretato in qualche modo.

Quindi anche se è un poco rozzo in tante parti gli si perdona molto, perché è molto simpatico per il resto. Poi il fatto che fa venire voglia di scrivere, davvero non ha prezzo.

Ho fatto l’abbonamento anche ad Ulysses perché mi attira molto con tutte le sue caratteristiche spaziali straordinarie, ma poi non so perché a scrivere torno sempre qui. Quasi sempre qui, voglio direi. Quindi non so, magari toglierò l’abbonamento tra un po’ di tempo, risparmiando qualche soldo. Tutto sta a vedere se riesco bene a proseguire il progetto del quaderno di Astronomia qui dentro iA Writer. Che poi è sempre il solito dilemma, Ulyssess esiste solo per il mondo Apple, e io nel mondo Apple ho appena un piedino, cioè ho mantenuto l’uso dell’iMac avendo sostituito il mio vecchio con quello equipaggiato con M1. Bel prodotto, non c’è che dire. Però in questo modo sono sempre a metà, un po’ su Apple un po’ su Windows (e un po’ su Android per tutto il resto), e quindi l’integrazione direi che manca. Abbastanza manca.

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