Blog di Marco Castellani

Tag: istruzione

Un mondo di relazioni

Smart working. Due parole di strettissima attualità, in questo tempo così particolare.

Le ricerche sullo smart working indicano che il lavoro a distanza ha livelli di efficienza simili a quello in presenza, ma ci si interroga meno sugli effetti di lungo periodo di una società sempre più smaterializzata e delocalizzata.

Così scrive Davide Prosperi, Presidente ad interim della Fraternità di Comunione e Liberazione, in un recente articolo apparso sul Corriere della Sera.

La scoperta della possibilità di lavoro agile è senz’altro una bellissima cosa, peraltro avvenuta tardivamente (da noi) e solo sotto l’incalzare dell’emergenza sanitaria. Ma dobbiamo tener presente che la vita è relazione, tutto l’universo è una trama di relazioni, se scendiamo nel regno delle particelle elementari troviamo al fondo di tutto sempre questo, la relazione (e a dirlo non sono certo fisici misticheggianti). Ebbene, elidere la relazione sostituendola con l’azione a distanza, non è un gioco che si può rilanciare indefinitamente. Le conseguenze si pagano. Psicologicamente, prima di tutto.

Lo smart working è senza dubbio una conquista di civiltà. Ma i rapporti umani vanno comunque difesi e protetti, se vogliamo crescere noi e far crescere davvero i nostri figli.

Si tratta allora, secondo alcuni, di agire in maniera plastica e dinamica, reagendo agli eventi (diffusione del virus, varianti, eccetera) in modo intelligente e flessibile. Cauti e prudenti, certo. Ma anche consapevoli che le chiusure drastiche e i confinamenti prolungati oltremisura risultano sempre più indigesti, dopo mesi e mesi di cultura dell’emergenza. E che i ragazzi, per crescere, hanno bisogno di intessere vere relazioni umane, non di ricadere dietro l’ennesimo schermo luminoso. Anche se su questo venissero proiettati corsi formativi stupendamente ideati, anche se si cercasse (giustamente) di rendere il tutto più interattivo possibile.

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Se il ministro pensa ad un tunnel…

Ha ormai fatto il giro di Internet (e ritorno), suscitando commenti di ogni tipo, la nota del ministro Mariastella Gelmini (che stranamente al momento in cui scrivo, non è ancora stata “rivista”) riguardo il recente esperimento in cui si sarebbero trovati (il condizionale, vista la portata della cosa, è più che mai d’obbligo) neutrini più veloci della luce. Nella nota si plaude ad un fantomatico “tunnel” tra Svizzera ed Italia (“tra il CERN e i laboratori del Gran Sasso”, sic), di ben 700 km e passa, attraverso cui si farebbero correre i neutrini.

Ora, questo fa capire che un ministro – specialmente un ministro dell’istruzione – prima di parlare dovrebbe documentarsi un attimino. Dunque tutti i frizzi e i lazzi a commento dell’improvvida nota hanno la loro ragion d’essere.

Una antica foto di un vero tunnel, in costruzione. Quello della metropolitana di Parigi.

Però a mio modesto avviso fa capire anche come la fisica, perfino nelle sue acquisizione fondamentali, sia lungi dall’essere patrimonio culturale comune. Uno magari pensa, beh per far viaggiare sottoterra qualcosa, bisogna fargli spazio, ci vuole un tunnel. E magari, improvvidamente, scrive un comunicato.

Ma la realtà è sempre più fantasiosa.

Se per i neutrini ci volesse un tunnel, vuol dire che la materia li bloccherebbe, o almeno li disturberebbe. Dunque vuol dire che l’interazione del neutrino con la materia sarebbe non trascurabile. Invece la materia è quasi completamente trasparente, per un neutrino.  E meno male, a pensarci bene. Visto che ogni secondo, ogni centimetro della nostra pelle, a motivo dell’attività del Sole, è attraversato da circa cento miliardi di neutrini. Staremmo freschi se ci fosse una interazione anche vagamente significativa. Con questa pioggia addosso, staremmo proprio freschi.

Ma quanti lo sanno?

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