Blog di Marco Castellani

Tag: Italia

Cittadino d’Europa (apologia del bacio)

E’ successo proprio ieri. Dopo aver riflettuto su qualche cinguettìo (diciamo) autorevole, aver letto due o tre articoli da Repubblica (anche se dei giornalisti, sappiamo, è lecito dubitare…), ho iniziato a vederci un po’ chiaro. Mi sembra, almeno, di vederci più chiaro.

Il problema, alla radice, è il deficit. 

Quanto possiamo sforare, quanto ancora possiamo sforare questo deficit di poesia di dolcezza immaginativa, di lievità propositiva. E ho iniziato a desiderare di riprendermi il sogno, quel sogno che mi vogliono scippare. E che invece mi fa respirare. 

Si chiama appena Europa, e vuol dire proprio tanto. 
Europa. Mi sembra che in questi tempi stiamo soffrendo di un svilimento di questo nome, di ciò che di buono, di colorato e fragrante vi riposa, vi danza dentro. Vi dico la mia impressione. Quello che mi pare di aver compreso, o quasi compreso. Certa gente, questa gente, questa che sappiamo, che io e voi conosciamo, vuole una cosa che io non voglio, che (adesso) capisco bene di non volere. Sappiamo infatti – come avvertiva già Montale – ciò che non vogliamo.

Qual è la cosa che vuole, questa gente?
Vuole che io smetta di sognare una Europa vera, unita, affratellata. “Utopia, finzione, caro Marco, comandano le banche, ce l’hanno con noi. Difenditi, riparati, chiuditi.” Perché? Sembra che difendano i diritti sacrosanti degli italiani, sembra così in partenza, ma alla fine inducono un pensiero depresso di difesa ad oltranza del nostro territorio, difesa che si nutre di accusa, di recriminazione. Abbassano le frequenze su una tonalità minore, acida, non fluida.
Essere italiani è essere aperti, è baciare l’altro, baciarlo.
Io dico che essere italiani è baciare, in fondo. 
Fino in fondo.
Mia figlia da ieri sera è a Parigi, di ritorno, e magari guarda il cielo e vede lo stesso cielo d’Europa che vedevo io ieri sera, a spasso con il cane in un frammento periferico di Roma. E se esce a comprare qualcosa da mangiare, o un giornale, usa lo stesso denaro che ha usato oggi qui, non deve cambiare valuta (foraggiando le banche con le commissioni), non deve mostrare un passaporto perché sia lì.
Poi mi veniva da pensare anche al romanzo Il ritorno. E di capire una cosa nuova. Mi pare di aver scritto, di aver voluto scrivere, un romanzo impastato di Europa, senza calcolarlo, senza saperlo. Un romanzo sicuramente imperfetto, non perfettamente calibrato, probabilmente, anche se con schegge di luce qui e là, magari. Con tutto il fulgore dell’imperfezione, la grana grossa (in taluni casi) e saporita di un affondo in un terreno bellissimo e complesso (tale è quello del romanzo, in sé). E involontariamente impastato di Europa. Roma, Parigi, Monaco… un tessuto di esperienze e di sensazioni, colori e odori e atmosfere che rifrangono i moti del cuore, vi si specchiano e trovano riparo.

Ricordo l’amica pittrice, la telefonata che mi fece per dirmi che aveva apprezzato molto il romanzo, e soprattutto la parte ambientata a Parigi. Si capisce che Parigi ti piace, deve aver detto qualcosa così, rendendomi questa verità ancora più chiara a me stesso.

Roma, Parigi, Monaco. Voci del concetto Europa

Io sento che vogliono rubarci tutto questo, per qualche motivo lo vogliono. Vogliono riempirmi di calcolata acredine per i burocrati di Bruxelles che pagherei io (ma le persone al governo in Italia non lo pago io ancora più interamente ed esclusivamente?), vogliono avvelenare il mio sogno.
Che ha mille declinazioni imperfette (pure lui!) ma ha una grande anima, e ha già grandi realizzazioni. Certo, è totalmente imperfetto ma è vivo, palpitante: emozionante.
Senza confini, senza più confini.
E l’Europa insieme ha una potenza una varietà una pluriformità culturale e una profondità culturale che ogni America se la sogna, ogni Cina se la sogna. E ogni politico italiano un po’ forastico, un po’ interventista e sovranista (come si dice oggi), un po’ aitante e ruspante, forse potrebbe utilmente riscoprire. Auguri!

Loading

Il contributo dell’Italia alla sonda GAIA

Mancano ormai pochi mesi (la data di lancio è ora fissata per ottobre), ma il team è al lavoro ormai da anni ed anni. E in realtà chiamarlo team in questo caso è davvero riduttivo. Nei tempi moderni è normale, è la regola. Un satellite scientifico è innanzitutto una impresa tecnologica, che passa attraverso varie fasi e muove una organizzazione decisamente complessa e articolata. Il satellite GAIA di ESA non fa eccezione. Ne abbiamo parlato in varie occasioni su GruppoLocale, ma ci piace tornarci ora che si è appena concluso il mini-workshop “L’Italia in GAIA” presso gli HeadQuarters dell’INAF, ovvero la sede di Monte Mario dell’Osservatorio Astronomico di Roma .

Image converted using ifftoany

Una immagine “artistica” della sonda GAIA (crediti: ESA)

Forse la cosa che colpisce di più, ad uno scienziato magari non introdotto a GAIA ma presente al workshop, è l’ampissimo spettro di temi e di ricerche nei quali la sonda promette (con buona ragione) di portare avanzamenti significativi. Siamo abituati a pensare a GAIA come alla sonda che rivoluzionerà la conoscenza delle popolazioni stellari nella Galassia, ma non è soltanto questo. Come il workshop ha efficacemente dimostrato, le potenzialità di GAIA sono molto maggiori. E lo spettro di aree dove i dati di GAIA avranno un impatto significativo è sorprendentemente esteso. Si va dai pianeti del sistema solare ai quasar, agli esperimenti di realatività generale.

Eh già, perché la comunità scientifica è al lavoro da molto tempo, per capire che tipo di dati invierà a terra GAIA, e come utilizzarli al meglio per estrarne ogni informazione scientifica possibile.

vedutaroma

Dall’osservatorio si gode anche una meravigliosa vista della città eterna (Crediti: INAF) …

Pesco un po’ a caso dai miei appunti, tanto per dare un’idea (sommaria ed imprecisa e parziale quanto si voglia, ovviamente)… dunque, avremo dati per mezzo milione di nuovi quasar (non male per una missione ‘stellare’ eh?), avremo inoltre la possibilità di esplorare tematiche di fisica fondamentale. Ben di più: GAIA (e questo lo ignoravo anche io, in buona parte) si presenta come il più grande esperimento di relatività generale mai realizzato, segnando (come è stato detto al congresso) il primo vero accesso dell’astronomia relativistica nella fisica fondamentale.

Potremmo poi parlare (o prima) di tutta la parte tecnologica che è dietro il progetto GAIA. Sotto questo punto di vista – come tutte le più moderne imprese spaziali – GAIA è una conquista ed insieme una sfida. Certo, perché comunque la realizzazione pratica di quanto ideato in astratto è una conquista. Si potrebbe parlare delle collaborazioni con l’industria, come con Oracle che si occupa di una parte importante del progetto, come i database. Potremmo accennare a questo punto alla ingente quantità di dati che dovremo gestire, quando la sonda sarà in opera. A tutte le sfide che si stanno affrontando anche nel campo del software.

Chi scrive è nel team di persone che devono elaborare degli algoritmi per separare i profili di stelle parzialmente sovrapposti. Non proprio uno scherzetto, se considerate che per minimizzare il flusso di dati trasmesso dalla sonda le stelle meno luminose, prima di essere inviate a Terra, vengono artificialmente “schiacciate” in una dimensione soltanto… pertanto è necessario “riespandere” il segnale in 2D, poi finalmente usare delle tecniche matematiche relativamente complesse (come la “Analisi delle componenti principali”) per separare i profili delle due stelle.

La missione (ben vista e concretamente sostenuta anche dai vertici dell’INAF, come ha esplicitamente dichiarato il nostro presidente Bignami in apertura di congresso) è uno sforzo tecnologico e scientifico tutto europeo, essendo un progetto di ESA.

In questo sforzo europeo – come è stato rilevato giovedì scorso a Monte Mario – l’Italia è in prima linea come uno dei contributori più decisi, sia in termini di risorse stanziate che di uomini. E questo non può che farci piacere. E anche – perché no – ci permette ancora una volta di essere orgogliosi dell’appartenenza a questo nostro Bel Paese.

Senza eccessiva retorica si può ben dire che se tutto andrà bene, si dovrà all’Europa e al contributo finanziario e scientifico di tutti i suoi cittadini – Italia inclusa, a pieno titolo – se la conoscenza della Via Lattea e del cosmo in generale, avrà fatto, nei prossimi anni, un grande e forse decisivo passo in avanti.

Loading

I ragazzi del meeting

Questi tre giorni al meeting sono stati esaltanti. E’ vero, un conto è seguirlo sui media ed un altro è andarci veramente. C’è un’aria, un’aria che respiri, che sembra allontanare il pessimismo di tanti giorni e tante sere. Qui lo capisco di nuovo, arrivo naturalmente al punto. Ci vuole un avvenimento per vincere la paura del futuro, non servono le studiate parole, i dotti discorsi. 
Qui ci sono i volti lieti delle ragazze e dei ragazzi volontari al meeting. E li vedi appena arrivi, i volti lieti e la cordialità che scalda il cuore. Se interagisci con loro ti trattano come persona. C’è qualcosa, qualcosa a cui non siamo molto più abituati: ti guardano davvero. Non sei uno dei tanti che chiede una informazione, che domanda dove si svolge un evento, che vuole comprare una maglietta o una piadina. Sei tu. 

Rientrando a Roma, qualcosa mi ricorda il meeting…
Sì, potrebbero essere miei figli, tanti di loro, anagraficamente parlando. E non mi dispiace imparare (o  meglio, reimparare) da loro, se può servirmi a vivere meglio. Non mi dispiace apprendere da come si muovono, come guardano, come sorridono. Tutto serve, tutto ha un senso. 
Potrei parlare di quello che ho visto e ho ascoltato, ma per questo vi rimando al breve “racconto” che ho assemblato su Storify. Mi fermo invece ai volontari, il cui spettacolo  – spesso silenzioso – parlava più di molte altre cose (tanto che anche un ministro se ne accorgeva). Trovare gente che fa gratis un lavoro anche pesante, non è una cosa che si dimentica facilmente. Te lo chiedi, te lo domani, perché lo fanno.

Ha ragione Giulio Terzi, è una cosa che dà fiducia per il paese. Ti viene voglia per una volta, di tirarti fuori dai soliti discorsi, dalla disillusione e dal pessimismo sulle sorti dell’Italia. Non è che hai risolto tutto, hai trovato la parola magica, la soluzione. La crisi è la crisi. Ma in tutto ciò, questi ragazzi ti danno fiducia, speranza. Se ci sono realtà così, se possono crescere, lasciatemelo dire, non siamo a terra. 
O se anche ci fossimo, da qui (ad esempio) possiamo ripartire. 

Loading

Dolce Italia

A Boston c’e’ la neve e si muore di noia
Urla tristi di gabbiani nell’acqua della baia
Gente dalla pelle grigia che ti guarda senza gioia
Tutti freddi e silenziosi chiusi nella loro storia

Ma in Italia oh dolce Italia
In Italia è già primavera
In Italia oh dolce Italia
La gente è più sincera, la vita è più vera… “

Ho ricevuto ieri il pacco che aspettavo da bol.it, col il dizionario di francese per Andrea, e con il CD Acustica di Eugenio Finardi (uno dei miei “amori di ritorno”, un ritorno gradito dagli ascolti di tanti anni fa…). Il disco è del 1993 ma io non l’avevo mai ascoltato. Ho scoperto di aver speso una manciatina davvero irrisoria di euro per trovarmi tra le mani un disco dolcissimo, tenero e sublime…

Sarà pure che la musica ha valore non solo di per sè, ma per l’interazione che compie con l’ascoltatore, con il suo bagaglio di sensazioni, esperienze, opinioni, paure e gioie… sarà che in questo momento del percorso della mia vita, questa musica la sento così confacente… Non saprei dire. Ma mi commuove innazitutto l’ascolto della splendida Dolce Italia, e la musica dolce porta della parole che mi entrano all’interno, mi muovono qualcosa di benefico, un sentimento sopito, forse, da troppo tempo….


Lo dico, senza retorica: il senso della patria. Di una appartenenza ad un popolo. Con nomi, volti, storie. Perchè sopito? Per pudore, vergogna, timore di essere inattuale? Di essere catalogato politicamente, socialmente, forse… Eppure la rimozione del senso della patria non è sinonimo di libertà o grande sentire, mi accorgo. Me ne accorgo non teoricamente, ma ascoltando le mie sensazioni, i disagi e le gioie che si muovono al mio interno a seconda delle posizioni che assumo… dunque non voglio convincere nessuno, in quel che dirò, sarà semplicemente quel che penso.

Forse è questo: sono cresciuti in una epoca, a ripensarci (anni settanta) in cui nell’aria stessa che si respirava, più che in chiari enunciati, in un clima culturale (o sottoculturale) vi era la pervasiva suggestione che l’idea di patria fosse solo un artificio retorico, una sovrastruttura inutile o addirittura perniciosa. Di più ancora, l’idea della patria, sembrava appannaggio di una parte politica sola (non quella che andava per la maggiore, chiaramente…), ed era associata a sentimenti di belligeranza, di animosità. Insomma collegata, più o meno direttamente, alla volontà di conflitto, palesata o meno che fosse, ad una generica volontà di potenza. Allora poteva capitare che un ragazzo crescendo, desiderando la pace, con tutta la forza degli ideali dell’adolescenza, era portato a considerare questa cosa della patria come una cosa del passato, come una idea superata, antica, inattuale…

… Mi accorgo ora di quanto era sbagliato. Mi accorgo di quanti sentimenti ho rimosso, di una parte di me che non ho lasciato esprimere fino in fondo… di aver bevuto anch’io, per conformismo, per pigrizia mentale, alla fonte intorbidita del concetto falsissimo (provato sulla mia pelle) che veniva subdolamente veicolato da tante parti, ovvero che ogni appartenenza fosse “pericolosa”, “sbagliata”, “vecchia”, che ogni appartenenza (famiglia , religione, patria) dovesse essere dissolta, smantellata per fare posto al “nuovo”, oppure fatta scomparire nel “privato”, resa invisibile, senza impatto nella realtà… Invece credo che lo sradicamento provochi disorientamento, rabbia, e alla fine, violenza, teorizzata o praticata, grande o piccola. Tutto il contrario della pace…

Attenzione però, non si tratta di negare quel che non va. Tante cose in Italia non vanno, chi potrebbe negarlo? Ma è la mia gente. Il mio popolo. L’amore non copre le cose sbagliate o parziali, ma le ricomprende in sè, mi dico. E poi, lasciatemi dire… se penso allo stupendo e mirabile contributo dato all’umanità in termini di poesia, di musica, ai Santi….. sì lasciatemene gioire di tanta umanità! Sento gratitudine per l’appartenenza alla stesso popolo da cui viene San Francesco, San Benedetto, e ancora Vivaldi, Puccini, e ancora l’immortale Dante, e tutta la poesia bella e commovente di Ungaretti, e tanto altro ancora…

Ma sì, rischiamoci: amiamola questa terra, di sole e di mare, questo popolo…Dolce Italia, in Italia è già primavera.

..E grazie Finardi per questa ed altre meravigliose canzoni. Di questo disco ne voglio riparlare, mi ha preso troppo…

Loading

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén