Libero come l’universo

Questa è una foto – sempre bella ma già molto vista, a dire il vero – di un campo profondo di galassie vista con il Telescopio Spaziale James Webb. Vanta un bel primato, perché è la prima immagine in assoluto che è stata mostrata al grande pubblico, per questo strabiliante telescopio spaziale.

L’ammasso di galassie Smacs 0723 ripreso dal JWST. Crediti: Nasa, Esa, Csa, and Stsci

Nel dettaglio, ritrae l’ammasso di galassie Smacs 0723 ed è l’immagine dell’universo nell’infrarosso alla risoluzione più elevata di sempre. Colpisce, prima di tutto, la varietà estrema di galassie, quasi straripante da questa immagine. Il messaggio che ci tocca è straordinariamente chiaro: per l’universo moderno, la varietà è la norma, non c’è più niente di uniforme, omologato. Non esiste galassia, o addirittura stella – a guardarla bene – che sia davvero uguale ad un’altra.

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L’inizio di una storia

Abbiamo già visto qualcosa di questo ammasso, nel recente passato, ma ora entriamo proprio – per così dire – nel suo cuore. Il cuore, cioè, dell’ammasso giovane di stelle chiamato NGC 1333. Distante da noi appena mille anni: un’inezia, dal punto di vista astronomico.

Il Telescopio Spaziale James Webb lo scruta attentamente, con l’idea interessante di identificare piccole stelle nane brune e pianeti liberamente vaganti per la nube stessa.

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L’inizio della storia

Come è forte l’evidenza, ormai, che tutto è in evoluzione. Come si allontana sul nostro orizzonte concettuale, l’idea di un universo statico, sempre uguale a sé stesso. Di un universo indifferente, placidamente autoevidente, senza una storia.

Sappiamo bene che non è (più) così, l’universo ha una sua storia, l’universo è in continua mutazione: niente di quello che era ieri è nella stessa posizione, oggi. Il cielo stellato, anche se non ce ne accorgiamo ad occhio nudo, è ogni notte differente. Sappiamo anche che siamo figli delle stelle, siamo davvero materia stellare.

Ciò ha una portata culturale immensa, che ancora fatichiamo a comprendere appieno. Quello a cui ci spinge la moderna cosmologia, l’astrofisica contemporanea, è ad un salto di pensiero che non ha precedenti nella storia umana. In qualche modo, è come se l’universo ci stia spingendo verso una nuova consapevolezza.

Tale nuova consapevolezza poi è proprio segno dei tempi, procede facendosi strada comunque, nonostante tutte le nostre resistenze. Più resistiamo, più ci tiriamo fuori dal mondo, per come lo possiamo e dobbiamo percepire oggi: in breve, più resistiamo, più soffriamo. Per questo è importante accogliere, per quanto possibile, la trasformazione cosmica che oggi ci investe.

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Ai confini dell’universo

Per quanto il titolo possa apparire roboante, bisogna dire che non è troppo lontano dal vero, in questo caso. Ed è tutto merito loro, se ci spingiamo fin quasi ai confini del cosmo: merito senz’altro di questi grandi telescopi spaziali dei quali ragiono in questa recentissima chiacchierata svolta in compagnia di Alberto Negri, di SpazioTesla.

Certo di telescopi nello spazio ormai ce ne sono tantissimi, la lista è davvero lunga. Solo per questioni di esempio e per la loro indubbia rilevanza nella storia e nella attualità astronomica, che sono stati scelti questi tre: Hubble, James Webb ed Euclid, tutti e tre già ben presenti tra gli articoli di questo blog (se cliccate sui link sotto il nome dei singoli telescopi potrete verificarlo).

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Sagittarius C in nuova luce

Questa immagine è di pochissimi giorni fa (acquisita il 20 novembre), e ci mostra una regione di fresca formazione stellare, chiamata Sagittarius C, in un dettaglio veramente eccezionale.

Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, and S. Crowe (University of Virginia)

La resa quasi pittorica si deve tutta alla superba precisione della Near-Infrared Camera a bordo del James Webb Telescope. Si stima che circa mezzo milione di stelle brillino in questa splendida immagine, insieme ad alcuni dettagli che ancora non sono completamente chiari per gli astronomi. Tra l’altro, questa spettacolare regione si trova ad appena trecento anni luce dal buco nero supermassivo al centro della nostra galassia, il temibile Sagitarius A*.

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Cercando nuova vita (il metano ci dà una mano)

Era un antico refrain pubblicitario, in realtà: il metano, ci dà una mano. E già la mente indugia sui bei tempi passati, comprende anche ogni epoca aveva le sue suggerite priorità, i (tenacemente) sussurrati ordini del giorno. Come accade oggi, in pratica. Né più né meno. Solo che liberarsi è sempre più difficile. Ma questo è già un altro argomento e ci porterebbe fuori strada.

A parte notare quanto questi semplici slogan si incastrino nella memoria e vengano fuori a distanza di decenni, se c’è (come qui) appena un appiglio. Il che può anche apparire inquietante, per certi versi.

Però qui il metano non ci dà una mano per l’uso più o meno virtuoso dell’energia (fateci caso, qualsiasi cosa viene sempre soprannominata pulita oppure verde a seconda delle priorità del momento), piuttosto ci aiuta a capire quanto siano vivibili dei luoghi molto lontani. Argomento, dunque, ben più serio di uno slogan pubblicitario o di una tecnica per acquisire consenso sociale.

L’immagine di fantasia ritrae il pianeta (a destra) attorno al quale orbita una luna (al centro), con la stella madre sullo sfondo (a sinistra). Crediti: Ahmad Jabakenji (ASU Lebanon, North Star Space Art); Data: NASA, ESA, CSA, JWST

Dove altro potrebbe esistere la vita? Una domanda di sempre che sempre più trova nuove risposte, in quest’epoca. Nel 2019 si scovò un esopianeta con una significativa parte di vapor d’acqua in atmosfera, il pianeta K2-18b. Con la sua stella madre (K2-18, lo so non è un gran nome…), vive a circa 124 anni luce da noi. Ben più grande e pesante della Terra, orbita comunque nella zona abitabile della sua stella.

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Quarantacinquemila galassie

Sembra impossibile, ma qui sotto ci sono circa quarantacinquemila galassie. L’immagine è stata acquisita con il Telescopio Spaziale James Webb e mostra una regione nota come GOODS-South, già ampiamente investigata da Hubble.

Il campo profondo GOODS-South.
Crediti: NASA, ESA, CSA, Brant Robertson (UC Santa Cruz), Ben Johnson (CfA), Sandro Tacchella (Cambridge), Marcia Rieke (University of Arizona), Daniel Eisenstein (CfA). Image processing: Alyssa Pagan (STScI)

Ed è assai importante per gli astronomi. Perché tra le questioni più spinose c’è ne è sempre una in particolare: come si sono formate le prime stelle e le prime galassie? Uno dei programmi più ambiziosi del James Webb, chiamato JADES dedica ben 32 giorni di tempo telescopio ad individuare e caratterizzare le galassie deboli e lontane. Proprio per riuscire a capirci qualcosa (di più).

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Quei lievi giochi di gravità

Buttando l’occhio fuori di casa, ad appena 56 milioni di anni luce potreste imbattervi in una enorme galassia a spirale, chiamata NGC 1365. Indubbiamente gigantesca, perché si estende per circa duecentomila anni luce (il doppio della nostra, che già non è affatto piccola).

L’enorme galassia NGC 1365
Crediti: NASAESACSA, Janice Lee (NOIRLab) – Processing: Alyssa Pagan (STScI)

Questa immagine straordinariamente definita proviene (indovinate) dal Telescopio Spaziale James Webb. Il suo campo di vista copre un’area di circa sessantamila anni luce intorno ad NGC 1365, più che sufficienti per esplorare il nucleo della magnifica galassia, come pure gli ammassi stellari di formazione più recente.

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