Blog di Marco Castellani

Tag: letteratura

Pena per le stelle

Stiamo tutti cercando un rapporto nuovo con il mondo, dunque anche con il cosmo. Per molti versi sentiamo che la consapevolezza si accresce, generazione dopo generazione (come pure, nella nostra evoluzione personale), e ciò che andava bene prima ora, semplicemente, non ci corrisponde più. 

Ma forse è anche che questo universo in cui viviamo – grazie principalmente al flusso ininterrotto di nuovi dati astronomici e alla tecnologia che ci permette di venirne a contatto in modo immediato – si svela adesso ai nostri occhi in maniera totalmente inusitata. Per la prima volta nella storia dell’umanità, possediamo descrizioni ed immagini di oggetti fuori dal Sistema Solare, dalla Galassia. Riusciamo a leggere segnali addirittura dai primordi del cosmo. Con un clickpossiamo accedere, in un instante, alle immagini dettagliate di corpi celesti lontanissimi da noi come Plutone, come pure a panoramiche spettacolari della sua luna Caronte, ottenuti dopo quasi dieci anni di volo dalla sonda New Horizons

Fernando Pessoa, visto da Davide Calandrini

Pare conseguente che dalla conoscenza accresciuta nasca – o possa comunque nascere – un nuovo rapporto con tutto. Un rapporto che, senza nulla togliere alla precisa sobrietà dell’indagine scientifica, dentro di noi possa anche colorarsi di una sorta di unicissimo mosaico emozionale. Una parte di emozione in effetti può aiutare la conoscenza: per come siamo fatti, ciò che non ci muove niente dentro, ciò che rimane solo nella testa, si dimentica facilmente. Invece, sentire l’universo, poterlo quasi mordere (un po’ come dicevamo per Ungaretti), e non appena comprenderlo razionalmente, ci immette in un rapporto nuovo, vivo, fresco. 

In questo (ed anche molto altro) proprio i poeti sono spesso avanti, ci piaccia oppure no (a me piace, perché non sopporto quegli scienziati che si credono possessori di un qualche accesso privilegiato alla conoscenza tout court: la quale è scientifica, certo, ma non solo). Mi sembra questo il caso per Fernando Pessoa… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Belle carni del cosmo

L’Italia è terra di poeti, lo sappiamo bene. Ne abbiamo di grandissimi, davanti all’arte sublime dei quali il mondo intero (e chissà, forse anche qualche altro mondo…) non può che inchinarsi. Accanto a questi esiste anche una moltitudine di autori cosiddetti minori, indubbiamente interessanti.

“Le curve degli spazi e degli istanti”, disegno di Davide Calandrini


Non sono affatto a mio agio con la dizione poeta minore. Che vuol dire, in fondo? Se la poesia è veramente personale – un rifulgere misterioso di una individualità unica, che trova il modo di comunicare sé stessa, il suo specifico spettro di colori – come può mai un poeta essere minore? Soprattutto, minore rispetto a chi? Potrebbe un altro – magari un grandissimo, un Nobel – riprodurre lo spettro di colori e sensazioni di un cosiddetto minore? Avrebbe potuto un Ungaretti scrivere al modo (poniamo) di Nicolò Bacigalupo, se avesse voluto? Penso proprio di no… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Tramontata è la Luna

Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte;
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Per me è fonte di stupore osservare come la poesia più antica e quella moderna si ricolleghino e quasi risuonino tra loro, di una consonanza – direi quasi una collimazione – così precisa ed esatta: insospettabile, a priori. Come se i moderni riprendessero il filo di un discorso ancestrale e importante, forse interrotto, o rimandato appena per un poco.

La poetessa Saffo, vista da Davide Calandrini @davidecalandrini 

Ad esempio, leggendo il frammento di Saffo con il quale si apre questo articolo (come il successivo, qui proposti nella traduzione di Salvatore Quasimodo), mi torna in mente subito Giuseppe Ungaretti… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Uno spazio da mordere

Il punto è che anche noi scienziati, ormai, rischiamo di meravigliarci poco. Quando poi la scienza contemporanea, l’astronomia in particolare (secondo me), di motivi per meravigliarci ce ne fornirebbe a iosa. Sicuramente molti più di un tempo. Basterebbe pensare alle immagini del Telescopio Hubble appena ieri, del James Webb oggi.

Ma oltre le immagini, sempre bellissime, c’è altro nello studio dei cieli. E non mi riferisco solo all’aspetto più tecnico o matematico, adatto agli addetti ai lavori. Anche una teoria, un modello ci può parlare: anch’essa è pane per alimentare un sincero stupore, se appena ci manteniamo abbastanza aperti.

Giuseppe Ungaretti, visto da Davide Calandrini @davidecalandrini 

Perché i modelli servono a tutti (scienziati e non). Abbiamo sempre avuto un modello di universo con il quale confrontarci, fin dai primordi dell’umanità. Semplicemente, non si può vivere senza un’idea, uno schema, di quello che abbiamo intorno. Mitico o scientifico, in questo senso non ha grande importanza… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Rotonda, come un’arancia

 I bambini avrebbero ricordato per il resto della loro vita l’augusta solennità con la quale il padre si sedette a capotavola, tremante di febbre, consunto dalla veglia prolungata e dal fermento della sua immaginazione, e rivelò la sua scoperta: “La terra è rotonda come un’arancia.” Ursula perse la pazienza. “Se devi diventare pazzo, diventalo per conto tuo,” gridò. “Ma non cercare di inculcare ai bambini le tue idee da zingaro.” Josè Arcadio Buendìa, impassibile, non si lasciò intimorire dalla disperazione di sua moglie, che in un eccesso di collera gli spezzò l’astrolabio per terra. Ne costruì un altro, riunì nella stanzetta gli uomini del villaggio e dimostrò loro, con teorie che risultavano incomprensibili a tutti, la possibilità di tornare al punto di partenza navigando sempre verso l’oriente. Tutto il paese era convinto che Josè Arcadio Buendìa avesse perduto il senno, quando arrivò Melquìades a mettere le cose a posto. Esaltò pubblicamente l’intelligenza di quell’uomo che per pura speculazione astronomica aveva stabilito una teoria già provata in pratica, anche se sconosciuta fino a quel momento a Macondo…

Non c’è davvero bisogno di spendere molte parole su un romanzo epocale come Cento anni di solitudine del premio Nobel Gabriel Garcia Marquez, considerato a buon diritto come una delle opere più rilevanti in tutto il Novecento letterario (nell’estratto di apertura, nella traduzione di Enrico Cicogna).

Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

La vicenda delle varie generazioni della famiglia Buendìa, il cui capostipite, José Arcadio, fonda la città di Macondo verso la fine del secolo XIX, è narrata con un particolarissimo mix di elementi reali e fantastici… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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L’erudito astronomo

Stupendi i versi di Walt Whitman

Quando ascoltai l’erudito astronomo,
Quando le dimostrazioni, i numeri, furono dispiegati dinanzi a me,
Quando le carte e i diagrammi mi furono mostrati per sommarli, dividerli e misurarli,
Quando ascoltai trepidante l’astronomo nell’aula delle sue famose lezioni,
Quanto inspiegabilmente presto divenni esausto e sofferente,
Fino a quando alzandomi e scivolando via iniziai a vagare in solitudine,
Nell’umida e misteriosa aria notturna, e secondo dopo secondo,
Volsi lo sguardo alle stelle nel perfetto silenzio.

Quello che viene considerato il padre della poesia americana, che pubblicò (a proprie spese) uno dei poemi più importanti dell’era moderna, ovvero il celeberrimo Foglie d’erba, poteva certo permettersi di parlar chiaro, ovvero fare una cosa che (per ovvi motivi) non è espressamente consigliata a un giovane studente di fisica o di astronomia.

Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

La composizione poetica – estrapolata proprio da Foglie d’erba, qui presentata nella traduzione di Roberto Anglani – non è scevra di una certa scoppiettante irriverenza, cosa che ne rende assai piacevole la lettura. Il nostro Walter (era questo il suo vero nome), possiede una indubbia carica dirompente… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Una scuola visionaria (e bella)

C’è qualcosa che si muove, nell’educazione. C’è qualcosa che non accetta la stasi, che rifiuta un modello di universo stazionario come ambito in cui tutto rimane uguale, niente cambia. C’è qualcosa che scommette sul cambiamento e sull’educazione. E che investe su progetti, anche di lungo respiro, anche rischiosi. Tutto per esporre gli studenti ad una prospettiva nuova, dove si possano sentire accolti come persone e non semplicemente come oggetti, numeri, entità disincarnate, destinate al mero assorbimento di un flusso più o meno articolato di nozioni.
C’è qualcosa. Ci sono molte cose. Molte persone, molti insegnanti, che si rischiano in questo ruolo. Lo fanno quotidianamente, silenziosamente. Per qualcosa su cui non è sbagliato, una volta tanto, spendere la parola vocazione.
Il pericolo per noi, è non accorgerci. E’ farci prendere dall’idea che tanto non cambia niente. Idea pericolosa, falsa e pericolosa. Perché rafforza la stasi, la permanenza in stati di bassa energia, di scarsa creatività, di speranza ridotta. Di vita a freno a mano tirato. Quando l’alternativa, invece, esiste.
Questo che segue è appena un appunto (altri post seguiranno, qui o in altra sede) su un esperimento che rientra in questo filone virtuoso, significativamente chiamato La Scuola Visionaria. L’esperimento è pilotato dalla Prof.ssa Carla Ribichini (coautrice del libro omonimo, insieme con Palma Mirella Iannucci).
Come recita il progetto stesso

L’educazione visionaria è quella che sperimenta nuove pratiche, progetta e crea percorsi in cui gli aspetti cognitivi e quelli educativi non sono mai vissuti separatamente, ma si intrecciano continuamente.

L’esperimento ha un tempo e un luogo, come ogni esperimento che si rispetti. Il tempo è quello presente (ma non solo, le radici sono ben sviluppate e si estendono felicemente indietro), il luogo è l’Istituto Comprensivo Corradini (Vermicino, comune di Roma).
In tale ambito, sono intervenuto due volte nel loro pregevole laboratorio, per parlare di scienza e poesia, a maggio di quest’anno. Gli incontri hanno registrato una presenza di un gran numero di ragazzi ed anche di insegnanti. Devo confessare con stupore che l’attenzione e il coinvolgimento, sia dei ragazzi che degli insegnanti, sono stati realmente gratificanti.
Si parla dell’universo: lo spicchio conosciuto, e la gran parte ancora da comprendere…
Lo sguardo attento e partecipe dei ragazzi, sempre sul pezzo anche quando si entra nel regno della fisica non conosciuta, della necessità di un sapere globale e olistico, per la crescita della persone. Capisco che c’è del materiale umano formidabile, che non possiamo perdere, disperdere. Ma non è solo quello.
E’ come se capitassi in un campo che è già stato sapientemente coltivato, pazientemente arato, sistemato. Capisco che c’è un lavoro degli insegnanti, dietro tutto questo, un lavoro non di oggi, ma di tanti giorni, tante occasioni. E certi insegnanti, sono eroi: lottare contro lo scoraggiamento, le difficoltà personali, le condizioni della scuola. Lottare per donare ai ragazzi qualcosa, una speranza, un riposo nuovo. Eroi, senza retorica.
Ma lo dicono anche i ragazzi (cito dal libro La scuola visionaria)

Gli insegnanti sono eroi perché ci trasmettono la sapienza del mondo.Ci insegnano la poesia letteraria e quella corporea che colma il vuoto interiore riempiendolo di gioia. Sono eroi, ma non quel tipo di eroi con la calzamaglia e i super poteri… il loro potere è quello di incantare gli alunni con la voce del cuore. (Ivan)

Ed ancora

Lo studente cerca negli occhi degli insegnanti la certezza che la sua vita sarà perfetta o quasi. Gli insegnati sono balsamo quando nei nostri cuori c’è aria di tempesta, sono gentiluomini che custodiscono la nostra vita e si dedicano a noi con amore (Elisabetta)

Tanto altro si potrebbe estrapolare, ma questo, nel candore delicatissimo e commovente di cui sono capaci solo i ragazzi (e chi realmente torna bambino, facendo proprio il monito evangelico), è già sufficiente per definire uno spazio di azione, ed insieme un senso compiuto a questa opera.
Che è un’opera grandissima, da condurre dunque con grandissima umiltà. Perché si tratta appena di questo, di mettersi a servizio di qualcosa, di un’idea presente, di una presenza, di una bellezza che investe l’uomo e lo rende sempre irriducibile a qualsiasi logica di mercato. Gli regala una rinnovata dignità.
Qui, solo qui, scienza e letteratura si possono incontrare, nella declinazione — anche balbettante — di un nuovo universo, dove l’uomo torna al centro di tutto. E dunque tutto torna, può tornare, più umano.
Qualcosa di così bello, per cui vale la pena affrontare il rischio. Per cui vale la pena, dedicare ogni sforzo. Per cui vale la pena, sopportare ogni pena.
Così recita infatti il libro, nella quarta di copertina:

Una scuola animata da idealismo ed amore visionario esercita un potere che rimane per tutta la vita e la trasforma.

A quale ideale più bello, più santo, potremmo mai pensare di dedicarci?

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