Blog di Marco Castellani

Tag: lettura

Leggere, digerire

C’è voluto il passaggio al digitale, in un certo senso. C’è voluto – come spesso accade – il transitare in un altro territorio, per tornare arricchito di una consapevolezza diversa. Che poi, uno nemmeno si rende conto che sia davvero una nuova consapevolezza, o chissà che altro. C’è che una cosa a cui eri abituato, improvvisamente ti sta stretta. 

C’è voluto questo, per me. L’abituarsi alla lettura di ebooks ha comportato un diverso modo di avvicinare il testo. Sì perché il mezzo non è irrilevante, quello che fruisci è tutto un misto tra quello che è davvero scritto e i modo con cui ti arriva. E’ così tutto intimamente legato e non riesci a separare, a dividere i vari fattori. Grazie al cielo. 

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Photo Credit: pedrosimoes7 via Compfight cc

Nello specifico, la lettura in digitale mi ha riabituato – senza che lo mettessi a programma – ad un certo lavoro sul testo (quello che dirà è vero principalmente per i saggi, ma non ne sono completamente esclusi nemmeno i romanzi). Il fatto tecnico assai banale, se vogliamo, per il quale si può agevolmente evidenziare un passaggio – senza di fatto alterare o rovinare il libro – mi ha riportato inevitabilmente all’attitudine di leggere sottolineando i brani più importanti, le frasi che più mi colpiscono: insomma, quelle che vorrei ricordare, o perlomeno alle quali vorrei poter tornare, per digerirle meglio.

Il libro digitale ha un grosso limite, comunque, allo stato attuale. E il grosso limite è che non vi si trova tutto: molti libri sono ancora, e forse lo saranno sempre, disponibili esclusivamente in formato cartaceo. Quello glorioso, quello di sempre (la carta, la sua consistenza, il suo profumo.. etc etc..). Non è come per la musica digitale, lì più o meno se cerchi bene, trovi l’emmepitre praticamente di tutto. Qui no. Diversi saggi ed anche romanzi, o libri di poesia – anche di recente pubblicazione – vivono allegramente (e misteriosamente) soltanto nel formato cartaceo. 

Allora, ecco. Se mi trovo a leggere un saggio pubblicato su un libro di carta , ora sento che mi manca qualcosa. Mi manca la possibilità, appunto, di sottolineare. Per chiarire, va detto che io aderivo, fino a poco tempo fa, a quella disgraziata corrente di pensiero per la quale il libro non può essere alterato in alcun modo (facevo eccezione per la firma e la data di acquisizione nella prima pagina, come avevo visto fare da mio nonno materno). Ovvero, a parte un libro di testo, non reputavo ragionevole sottolineare un libro che leggo per interesse.

E infatti comprendo che il motivo è tutto lì. E’ lì il fraintendimento.

Perché in fin dei conti dietro il fatto che il libro debba rimanere intonso il più possibile, c’è l’idea che tu ci debba passar sopra in modalità leggera e non invasiva, come a volo d’uccello, immergendoti in modo elegante e discreto in quello che ha da dire, per poi salutarlo lasciandolo il più possibile senza traccia del tuo passaggio.

Eh no, invece no. La cosa non funziona così.

Il rapporto con un libro è un rapporto carnale, un rapporto in cui i due partecipanti si modificano, si compenetrano, si sporcano l’uno dell’altro. Non si può far finta che non sia mai avvenuto (io? Quel libro? no, no mica l’ho mai toccato… non è come pensi, posso spiegarti tutto…). Perché le idee non le sorvoli elegantemente. No, con le idee ti devi misurare, ci devi lottare, devi permettere che ti saltino addosso, devi respingerle o accoglierle, resistere e poi cedere, oppure cedere subito e poi cambiare idea. 

Così diceva Giorgio Gaber, in una della sue intuizioni più folgoranti, Se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione. L’idea va ruminata, andrebbe fatta propria, perfino mangiata, se possibile.  

Così anche mi conferma una frase di un poeta, Davide Rondoni, quando nell’Avvertenza che prelude al bel libro (cartaceo, soltanto) sulle poesie di Ada Negri, Mia giovinezza, mette in guardia, Si legge per crescere in umanità. Leggere fa parte del lavoro.

Così maturo il distacco dalla scuola il libro non si tocca con un senso di sollievo, finalmente. Perché c’è anche la concezione che leggere sia un passatempo, una cosa per riempire i vuoti. No, non sono d’accordo. Leggere è qualcosa che arricchisce, è proprio un lavoro. E questo vale anche per molta letteratura leggera, secondo me. Puoi imparare molto, da come sono messi in fila aggettivi, avverbi, dalla lunghezza delle frasi, dalle situazioni. Leggere accende sempre la mente. Io sospetto che un si impari di più, per dire, da un brutto libro – ma uno scritto proprio male, vorrei dire – che da uno spettacolo televisivo di qualità media (eccezioni ve ne sono e ve ne saranno sempre, ma in media mi sembra sia così).

Beh, tutto questo per dire che ad un certo punto di questa evoluzione (o involuzione, a seconda di come la pensiate) ho guardato con occhi diversi quell’evidenziatore giallo: quello che era qui appoggiato sul comodino, a non far nulla.

Ecco (i puristi smettano di leggere) … l’ho preso, ho preso il saggio che stavo leggendo (Dennis Gira, La scelta che non esclude. Buddismo o cristianesimo), e ho iniziato a sottolineare. Prima con un senso di disagio, come mi guardassi nell’atto di compiere una marachella. Poi con un vero senso di liberazione. Finalmente. 

E poi ancora, emozionato dalla mia trasgressione, invece di smettere e pentirmi, ho continuato. Le altre vittime sono state, per ora, Imparare ad amare, di Marco Guzzi, e lo stesso libro delle poesie di Ada Negri (limitatamente alla parte di Rondoni).

Niente va perduto, niente è sprecato. Leggere fa parte del lavoro (e anche l’evidenziatore giallo  ne fa parte, aggiungo di mio). Che bello che sia così. Che bello che il libro sappia di me, dopo che l’ho incontrato. Vuol dire che se qualcuno viene dopo di me a leggerlo, sarà non appena un lettore, ma un testimone di un passato incontro d’amore. 

Passato, sì: ma sempre rinnovabile.

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Una antica meraviglia

Una mattina come tante. Scendo con Agnese, facciamo un pezzettino di strada insieme, poi lei va verso scuola (che è proprio sotto casa) e io a prendere la macchina per andare al lavoro.
Ma sì. Una mattina come tante. Facciamo colazione scherzando un pò… Scendiamo in ascensore e le improvviso finti animaletti (noi li chiamiamo mangiabocca, animaletti parlanti che faccio io muovendo le mani) che sostengono di essere venuti a trovarla, di notte.

– Ma quando? fa lei, con insolito interesse.

L’ascensore ci sta portando dal quarto piano al piano terra.
– Una notte, che leggevi, con la luce accesa. Invento.

– Sì sì ma quando? Incalza lei. Non so che dire… 
– Maa… beh, una notte… una notte che pioveva tanto. Improvviso. Butto lì. Tanto per dire.
– Che pioveva tanto? Mi sorprende l’insistenza della bimba.
Apriamo la porta a vetri dell’androne. Siamo fuori. Allora lei mi racconta. Mi racconta di un libro che sta leggendo. Senza che io dica nulla, mi dice – sinceramente stupita – di come le succede che leggendo è come se entrasse tutta dentro la storia. E’ come se ci fosse dentro

book heart <3

E mi porta un esempio che riguarda proprio la pioggia. Mi racconta di come nel libro vi sia un episodio che avveniva durante un forte acquazzone, e che lei chiudendo il libro fosse rimasta così dentro la storia, che si immaginava che piovesse davvero. Ha il libro con se, mi fa vedere alcune pagine, delle figure. Ma siamo d’accordo, per entrare nella storia non c’è nemmeno bisogno delle figure.
La saluto e vado verso l’auto, riflettendo. Stupito io per primo. Ecco, una bimba di nove anni ha da poco aperto lo scrigno preziosissimo della lettura. Altro che televisione, computer, Internet. Leggere. Una antica meraviglia che si rinnova sempre. Che chiede solo un minimo di disponibilità iniziale. E regala tanto, premia tanto, per questa iniziale piccola disponibilità.
C’è stato un tempo che pensavo leggere romanzi fosse tempo sprecato, in fondo. Come fosse una evasione della realtà. Che cantonata avevo preso! Di più. Una miopia pazzesca. Il fatto, il fatto vero, è che dopo aver letto, dopo essere “evaso”, rientri nella realtà e ti trovi –  in maniera imprevedibile, incredibile – più capace, più pronto, più attrezzato, più capace di leggere il reale ed interpretarlo. Allora non sei uscito dalla realtà, non è evasione. Hai appreso qualcosa, sei cresciuto. Puoi entrare nei tuoi problemi, con una marcia in più. Qualcosa di prezioso, che la semplice analisi della realtà non ti avrebbe dato. 
Accendo l’autoradio mentre vado al lavoro, mi sintonizzo su Radio Uno per ascoltare Ben Fatto, uno dei miei programmi preferiti del mattino. Ogni giorno c’è un tema. E non ti trovo oggi, che parlano dei libri, delle lettura?  Con l’aggiunta di una canzone di Branduardi dedicata proprio al potere della lettura, Il libro.
Ma che coincidenza. Come … leggerla? 

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