Certe volte guardo il cielo

Certe volte guardo il cielo

i suoi misteri le sue stelle

Ma sono troppe le notti passate senza te

Per cercare di contarle

Come entra direttamente il cielo, nelle faccende umane! Biagio Antonacci mette insieme il cielo e le notti passate senza te, senza tanti complimenti. Un’abbondanza di misteri e di stelle, insieme con una mancanza. Tutto si parla, in questa interrogazione si cerca qualcosa di più di una sbrigativa risposta. Il rimando al mistero è quel punto di fuga che ci serve per non essere inchiodati alla nostra percezione della realtà. 

Le notti sono troppe, le avverti come troppe. Non puoi rimanere lì, a questo dato. Perché ti fa male, mi urta. Ti fa piangere, ti fa perdere assetto. Devi guardare il cielo, almeno certe volte. Perderti nel suoi misteri, nelle sue stelle. Anche le stelle, sono tante, sono tantissime. Forse le notti lo sono di più, ma a questo punto diventa una gara in cui ti perdi proprio, ti sganci un attimo dal tuo cruccio. Se metti insieme le notti da solo e le stelle, alla fine le prime vengono un poco illuminate delle seconde. Mica per una volontà, per una capacità, per qualcosa che hai tu. Niente affatto. Non per come sei tu, ma per qualcosa a cui ti appoggi. Se ti appoggi la solidità non è in te, ma nell’appoggio stesso. Ci pensa lui, a te. Sono problemi suoi a questo punto. Dell’appoggio.

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Un po’ di fantasia e di bontà

Torno a parlare di testi musicati, due mesi dopo l’articolo su Peter Gabriel. E di Luna, sopratutto. Perché è impossibile negare che ci sia un ritorno alla Luna dopo tanto tempo: per la precisione, dopo cinquant’anni di silenzio, mezzo secolo nel quale una sorta di dialogo scientifico tra noi e il nostro unico satellite naturale si è praticamente interrotto.

Disegno di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

Quello che invece non si è mai interrotto – fin dall’inizio dei tempi – è l’altro rapporto che noi intratteniamo con la Luna: quel rapporto che è perpetuamente nutrito dall’immaginazione, dall’arte, dalla fantasia. La Luna si associa spesso alla femminilità, e nella sua innegabile dolcezza c’è anche qualcosa, a mio avviso, di irresistibilmente musicale. Almeno, così è per un artista del calibro di Peter Gabriel, come abbiamo visto.

Ma doveva essere così, già molti anni fa, anche per Angelo Branduardi. Autore di bellissime canzoni, anche molto sofisticate…  [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Appena una parte del tutto

Già dal titolo, i/o il nuovo disco di Peter Gabriel, di cui ho parlato anche su Edu INAF, si caratterizza per una attenzione specifica al mondo dell’informatica.

Con i/o si intende infatti (ci insegna wikipedia) una interfaccia messa a disposizione da un sistema operativo ad un programma, per effettuare un passaggio di segnale. Input/output letteralmente entrata/uscita e su questo è giocato tutto il testo del pezzo omonimo (peraltro, meraviglioso da tutti i punti di vista, soprattutto nella versione Bright Side Mix).

Sono parte di ogni cosa
Sto su due gambe e imparo a cantare
Non importa ciò che già è stato detto
Non interessa ciò che già ho ascoltato
Cammino con il mio cane e fischietto con un uccello

Questa meravigliosa canzone è un inno fiducioso alla non separazione, c’è continuamente qualcosa che entra e qualcosa che esce, siamo in comunicazione costante con il mondo fuori di noi, non siamo isolati, non siamo staccati, separati. C’è da imparare tutto di nuovo

Imparo come un bimbo, imparo come un seme
Diffondo le mie protuberanze ovunque serva
Trovo un modo per agganciarmi e connettermi
E scorro come acqua, nessuna causa o effetto

Un testo che è semplice appena ad una prima lettura, in realtà è profondissimo. Nessuna causa o effetto è essere svincolati dal mondo ferreo della necessità, in vista di una libertà più ampia. Così ampia che magari ancora non la vediamo, ancora non ci crediamo davvero. Dipende proprio da come pensiamo il cosmo, e noi in esso.

Il cosmo non è una semplice collezione di oggetti discreti, ma una rete di sottili relazioni intrecciate. (Leonardo Boff & Mark Hathaway, Il Tao della liberazione)

Insomma, un testo (e una musica) che è bello ascoltare di tanto in tanto, godersi la freschezza di ispirazione di questo giovane Gabriel ultrasettantenne. Che ci insegna che siamo in connessione con tutto, se solo lo vogliamo, se ci pensiamo così.

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Una casa per noi

Parto da lontano. Cosa è che causa queste strane curvature nei pressi del centro della nostra Galassia? I raggi paralleli che si piegano nella parte superiore dell’immagine radio in primo piano sono noti come Centro Galattico Radio Arc e promanano dal disco della Via Lattea. La zona del Radio Arc appare connessa al centro galattico da strani filamenti curvi semplicemente noti come “archi”. Le meraviglie però non finiscono qui.

Il centro galattico in banda radio.
Crediti: Ian Heywood (Oxford U.), SARAO

La struttura brillante (nel radio) a destra in basso nasconde il buco nero della nostra Galassia, conosciuto con il nome di Sagittarius A*. Sembra che la zona del Radio Arc e gli Archi possiedano questa particolare geometria perché contengono gas caldo che fluisce accarezzando le linee di potenti ma intricati campi magnetici.

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La musica del cosmo

Il testo di una canzone può essere letteratura? Ai tempi delle mie scuole medie (secolo scorso), le parole de La Guerra di Piero del grande Fabrizio De André (a proposito del quale Stefano Sandrelli ha recentemente dialogato con ChatGPT) con stupore le vidi comparire nel mio sussidiario, gomito a gomito con quelle di ben più blasonati poeti.

Immagine di Davide Calandrini – @davidecalandrini 

All’epoca avevo un po’ troppo forte addosso il senso di cultura come roba polverosa ed antica, ma mi parve buffo che una persona che ineriva al mondo vivo della canzone (un mondo che dialogava costantemente con le mie emozioni e i miei sentimenti, come fa anche adesso), potesse guadagnarsi un posto lì. La domanda mi segue fin da allora: ci stava bene quel testo nel sussidiario? Era il suo posto? Non ci provo nemmeno a rispondere: so che la domanda continuerebbe comunque a pungolarmi, di tanto in tanto… [Continua a leggere sul portale EduINAF]

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Il ritmo della Luna

In fin dei conti il problema è questo, soprattutto. Che ci siamo progressivamente affrancati dai ritmi della terra, delle stagioni, del cosmo. Fino a costruirci una vita sintetica e appunto, artificiale, con delle scansioni temporali che sono fuori dal mondo, che ci straniscono e ci affaticano. Perché noi siamo nel mondo, siamo fatti di stelle, intrecciati di materia universale. I cicli del cosmo sono i cicli del nostro corpo, il ciclo stesso della fertilità femminile è in suggestivo accordo con il ciclo di rivoluzione della Luna attorno al nostro pianeta.

Ecco perché capisco bene quanto scrive il musicista Peter Gabriel nelle note che accompagnano l’uscita del brano Panopticom, primo dell’album i/o di prossima pubblicazione (traduco di seguito, in modo libero).

Alcuni brani di quelli di cui sto scrivendo per questa occasione, ruotano intorno all’idea che sembriamo incredibilmente capaci di distruggere il pianeta che ci ha dato alla luce e che se non troviamo il modo di riconnetterci alla natura e al mondo naturale perderemo moltissimo. Un modo semplice di realizzare una maggiore adesione a tutto questo è è guardare il cielo… ed osservare la Luna mi ha sempre portato qui.

Saranno infatti le fasi lunari anche a dare il ritmo alle uscite dei brani di questo nuovo attesissimo album, da parte di un musicista che insieme ai Genesis ha davvero scritto la storia del rock progressivo, per poi intraprendere una carriera solista caratterizzata da una grande originalità espressiva. Nello specifico, verrà resa pubblica una nuova canzone ad ogni plenilunio. Abbiamo già iniziato, appunto, con la canzone Panopticom, che è stata svelata in occasione della luna piena del giorno 6 gennaio 2023.

Per gli affezionati, un motivo ulteriore per attendere quei giorni in cui la Luna è massimamante presente – quasi invadente – nel nostro cielo. Per me astrofisico, estimatore dell’arte di Peter, un espediente che collega efficaciemente due miei universi affettivi, musica ed astronomia.

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Adriana

Non la conoscevo, Adriana. Non l’ho mai incontrata, nemmeno da lontano. Eppure era da tempo qualcosa di mio. Intendo, la sua musica era diventata mia, nel tempo. E nel cammino. Nel cammino che lei ha fatto e io, tra cadute e riprese, allontanamenti e ritorni, provo a fare. Sono ancora qui che provo, e le sue melodie mi risuonano dentro come argini sicuri dove incanalare le emozioni, il desiderio del bello, del vero, il desiderio di essere a casa, di essere amati e protetti ed accuditi. Il desiderio di un perché, soprattutto.

Nelle assemblee cantavamo Povera Voce e mi è sempre apparso un canto semplice e bello, limpido e chiaro. Non c’è una parola di troppo, non c’è un pretesto per non camminare, per non camminare in queste parole e dunque iniziare – o riprendere – il cammino personale.

Scrivo ora su Adriana Mascagni, a poche ore dall’inizio della celebrazione dei suoi funerali. Scrivo di una persona che si è fatta strada nel mio cuore con la sua arte, è entrata con la persuasività della sua musica, delle sue parole.

Banale dirlo, forse. O ridirlo. Ma il potere dell’arte è questo, di colpo una persona che non hai mai visto ti entra dentro in modo prepotente e perentorio, attraverso il canale dell’arte, perché tu e lei, tu e lui, siete entrati in risonanza per un tema musicale, per delle parole, per un dipinto. Improvvisamente ecco che ti importa. Quello che fa questa persona, ciò che produce, diventa importante per la tua vita. Se (per dire) sei un astronomo, ti occupi della Luna e delle stelle, ecco che Luna e stelle sono nel suo canto, sono il suo canto. L’arte vera è gentile e viene a parlarti nel linguaggio che tu conosci: lo fa lei tutto il lavoro per collegarsi con te. Tu devi solo aprire gli occhi, le orecchie.

Nel bel messaggio di Davide Prosperi di ieri compare una citazione stupenda di Luigi Giussani, riguardo il canto:

Chi non è toccato da un concerto di archi, come si può essere insensibili dinanzi ai colori di una sonata per pianoforte? Sembra il massimo. Eppure, quando sento la voce umana… Non so se capita anche a voi: ma è ancora di più, e di più non si può. Davvero, non esiste un servizio alla comunità paragonabile al canto.

https://www.dailymotion.com/video/x43mffl

L’artista entra nella tua vita con il suo materiale e poi che farne di tutto questo, decidi tu. Non mette alcun freno alla tua libertà. Il servizio alla comunità è reale, penso, se si gioca ultimamente in una possibilità offerta specificamente ad ogni persona: la proposta arriva così al singolo. Come dire, ti propongo questo, tu cosa ci fai? Come la tua creatività incontra la mia, cosa vi costruisce intorno?

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L’universo che non si muove

L’universo non è (più) qualcosa di statico, se si percepisce così vuol dire che siamo noi che abbiamo bisogno di guardare meglio. L’universo era statico per gli antichi. Non è che sembrava, lo era davvero. Cioè lo era a tutti gli effetti, esistenzialmente. Era percepito così, dunque era così. Ora Paola canta di un universo che non si muove segnalando come un disagio sotterraneo. Perché l’universo che non si muove, adesso, è antistorico, è fuori dal tempo, realmente fuori dal nostro tempo.

Il bisogno di cambiare che c’è in me si rispecchia in un universo che – appunto – non si muove e chiede che inizi a muoversi oppure ritorni a muoversi. L’espansione accelerata che ci riporta la ricerca cosmologica attuale non può essere un semplice dato tecnico, da addetti ai lavori. Ci deve dire qualcosa di importante, per noi. L’universo ci ha sempre detto qualcosa di importante, a volerlo ascoltare.

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