Ogni tanto ci torno anche io, a vedere i numeri. Più di tremila i miei post, dal lontano 1997, in questo sito. Molti parlano del cosmo. Ma di che parlavo, mi chiedo, quando parlavo del cosmo? Credo che in fondo, parlassi di me. Credo che, alla fine, non si possa che raccontare la propria storia. Anche se si parla del Sole, delle galassie, dei quasar. Anzi, soprattutto se si parla di loro.
Mi è sempre più difficile andare avanti trascinando il vecchio, logoro paradigma di un cosmo fuori di me drasticamente separato da un cosmo dentro di me, come se circa due metri quadri di sottile rivestimento, definissero un confine non permeabile, non valicabile. Quasi tale esilissimo epitelio separasse drasticamente il mondo in due, con dinamiche inconciliabili, da una parte e dall’altra. Fuori di me, dentro di me.
Fuori dalla pelle, il cosmo. All’interno, il mio essere biologico e (da qualche parte) la coscienza. Mi piace così? Bene, al di là di ogni dissertazione accademica, se insisto a dimorare in questo modo di veder le cose, soffro. Se stacco il mio senso del vivere dalle galassie, se lo penso separato, sento subito che c’è qualcosa che non va. Da quando un oggetto cosmico – fosse anche un remotissimo quasar – entra nei radar della mia consapevolezza, mi dice di esistere, non posso più far finta di nulla. Ogni rimozione, lo so bene, mi fa diventare artificioso.
Azzardo un piccolo inciso, sulla coscienza. Se ha ragione Federico Faggin1, la coscienza è fondamentale ed irriducibile, ed esiste prima di ciò che chiamiamo materia. E già questo, preso alla lettera, mi farebbe scombinare tutto il quadro. Ma torno subito al mio ragionamento, per non mettere troppa carne al fuoco.
Dentro e fuori, mi domando, insistono le stesse priorità? Forse sì.
La varietà di ambienti che ci propone il nostro universo è sempre qualcosa da cui imparare. Saturno, ad esempio, vanta ben settantacinque satelliti naturali con orbite confermate, sessantaquattro hanno poi anche un nome proprio, anche se sono appena tredici quelli con un diametro maggiore di cinquanta chilometri.
Elena è stata scoperta appena nel 1980 ed è uno dei quattro satelliti troiani, ovvero quelli posizionati ad un particolare punto di stabilità gravitazionale (tecnicamente parlando, si tratta dei punti lagrangiani L4 oppure L5)
A cosa assomigliavano i primi quasar? Quelli più vicini, sappiamo che coinvolgono buchi neri di grande massa al centro di galassie attive. Gas e polveri che cadono dentro il quasar rifulgono, di uno splendore tale che a volte l’intera galassia che ospita questo spettacolo passa in secondo piano.
Però i quasar che si sono formati nei primi miliardi di anni dell’universo sono ben più misteriosi, ancora. Tutti da capire.
Così potrebbe sembrare un “antico quasar”. Un testimone prezioso dell’infanzia del cosmo… Crediti & Licenza: ESO, M. Kornmesser
Questa è una ricostruzione artistica, basata sui dati che abbiamo, di come potrebbe essere stato un quasar nell’universo ancora bambino. Centrato su un buco nero di grande massa, circondato da strati di gas e da un disco di accrescimento, caratterizzato da un forte fascio di emissione, perpendicolare al suo piano di rotazione.
L’immagine presa da Hubble, attraverso la sua “gloriosa” Wide Field and Planetary Camera 2 (WFPC2) – uno strumento al quale dobbiamo una non piccola fetta della conoscenza attuale dello spazio attorno a noi . è probabilmente la migliore che abbiamo. Si parla dell’antico e assai brillante quasar 3C273, che si trova in una galassia ellittica gigante nella costellazione della Vergine. E’ così lontano che la sua luce ha impiegato la bellezza di 2,5 miliardi di anni per arrivare fino a noi. Malgrado la distanza possa apparire enorme, bisogna considerare che è comunque uno dei quasar più prossimi a noi. E’ anche il primo quasar ad essere stato identificato, poiché fu scoperto addirittura agli inizi degli anni ’60, dal celebre astronomo Allan Sandage (fu lui a pubblicare una prima stima della costante di Hubble, alla fine degli anni ’50).
Il quasar 3C273 (familiarmente… Treccì!) Crediti: ESA/Hubble & NASA
Come molti sapranno, il termine quasar sta per “quasi stellar radio source” (sorgente radio quasi stellare), e sono così chiamati perché in effetti sembrano quasi delle normali stelle, in cielo. Niente di più sbagliato, invece: i quasar sono i centri di galassie distanti e attive, e sono alimentati da un enorme disco di particelle che circonda un buco nero di grande massa.
I quasar sono capaci di emettere centinaia o anche migliaia di volte la luce di una intera galassia, il che li rende senza dubbio tra gli oggetti più luminosi dell’intero universo. Tra tutti questi brillantissimi oggetti, 3C273 è senz’altro il più luminoso nel cielo. Se lo potessimo posizionare a 30 anni luce da noi – circa sette volte la distanza tra la Terra e Proxima Centauri, la stella a noi più vicina dopo il Sole, – apparirebbe luminoso addirittura come il Sole (che è appena a pochi minuti luce da noi!).
3C273 è senz’altro un oggetto celeste capace di suscitare curiosità e stupore, se pensiamo alle sue caratteristiche (qui la Press Release originale). Anche da qui è partita l’idea di scriverci un piccolo racconto, chiamato La bambina e il quasar. Il racconto, una volta postato su Internet, ha avuto il privilegio di essere ripreso su Scientificando, il blog di Annarita Ruberto. Annarita è insegnante di matematica presso una scuola secondaria di primo grado a Solarolo (in provincia di Ravenna), e ha rilevato nel racconto una valenza educativa tale da spingerla a proporlo ai suoi alunni (cosa di cui le sarò sempre grato).
Il fatto è che non si abitua mai. Non riesce ad abituarsi; segno che probabilmente ancora non è diventata grande. I grandi, da come la vede lei, sono quelli che si sono abituati. Più o meno sono abituati a tutto, non solo alle partenze. I grandi, per Anita, sono quelli che non reagiscono quasi mai con preoccupazione o con agitazione scomposta. Loro sanno sempre cosa fare (o fanno sempre finta di saperlo, difficile insomma coglierli in castagna). Al massimo, ecco, puoi trovarli un po’ irritati, o magari scontrosi. Alle brutte, ammettono che sono arrabbiati con qualcuno. Che qualcuno li ha trattati male, che qualcuno non è stato alle regole. Ecco il punto: si comportano in maniera proprio diversa. Comunque inutile girarci intorno. Il fatto è questo, parecchio evidente…
Se avete voglia potete andare a leggere il racconto (si scarica anche in PDF), che ha anche una bellissima illustrazione ad opera di Ilaria Zof, o anche soltanto a vedere, in coda al post di Annarita, i commenti pervenuti, molti dei quali ad opera degli stessi bimbi stessi che hanno letto il racconto (davvero tenerissimi).
E’ certamente confortante vedere che la stupore e l’entusiasmo per l’astronomia non è affatto prerogativa degli studiosi, anzi raggiunge e contagia anche le persone più giovani. Educare allo stupore è forse una delle cose più belle, e lasciatemelo dire, sono davvero contento di essere stato immeritato latore di tale compito così delicato ma esaltante, almeno in questa occasione…
In questa immagine ottenuta con il Telescopio Spaziale Hubble si può scorgere un addensamento davvero inusuale di materia gassosa, che si trova nei pressi di una galassia a spirale – si direbbe – del tutto normale.
Il bizzarro oggetto, chiamato “di Hanny”, è in realtà soltanto la parte visibile di un lungo filamento gassoso, che si estende per ben trecentomila anni luce intorno alla galassia, che prende il nome di IC 2497. La parte che nella figura è mostrata in colore verde, risulta visibile soltanto perché un fascio di luce proveniente dal nucleo della galassia arriva ad illuminarlo. Il fascio gassoso in sè arriva da un quasar, un oggetto molto brillante ed energetico che è “alimentato” da un buco nero centrale. A quanto sembra, in questo caso, il quasar si sarebbe comunque spento negli ultimi duecentomila anni.
Il "filamento verde" è una parte di una estesa struttura gassosa (Crediti: NASA, ESA, William Keel (University of Alabama, Tuscaloosa), and the Galaxy Zoo team)
L’oggetto prende il nome da Hanny van Arkel, la maestra di scuola olandese che ha scoperto la struttura, partecipando al progetto online Galaxy Zoo. Il progetto (di cui ci siamo occupati già nel passato), permette al pubblico più vasto di partecipare alla classificazione di più di un milione di galassie, catalogate nella Sloan Digital Survey. Il progetto si è allargato ad includere Galazy Zoo:Hubble, dove gli utenti hanno la possibilità di catalogare un campione di decine di migliaia fra le galassie individuate dal celebre telescopio spaziale.
E in questo modo, anche una maestra di scuola (oltre a svolgere un importantissimo lavoro di formazione) può diventare celebre in ambito scientifico. Un altro virtuoso esempio di “scienza distribuita” di cui parliamo nel forum !
L’immagine composta che presentiamo qui sotto mostra due galassie “acchiappate” nel mezzo di un processo di fusione. Nel dettaglio, una immagine acquisita dal Chandra X-ray Observatory ci mostra una coppia di quasar in colore blu, posti alla rispettabile distanza di circa 4,6 miliardi di anni luce da noi, ma separati tra loro di “appena” 70 mila anni luce. Queste sorgenti brillanti, chiamate collettivamente SDSS J1254+0846 (certo, non troppo mnemonico…….) sono alimentate da materiale che cade dentro buchi neri supermassivi.
Una immagine in banda ottica fornita dal telescopio Baade-Magellan, in Cile (in giallo) mostra poi bene le code mareali – formate da materiale in forma di lunghe strisce di stelle e gas, createsi per le interazioni gravitazionali del sistema – che fuoriescono dalle due galassie in collisione.
Due spettacolari galassie (con quasar) “colte” nell’atto di fondersi in una sola entità…
Crediti: X-ray: NASA/CXC/SAO/P. Green et al. Optical: Carnegie Obs./Magellan/W. Baade Telescope/J.S. Mulchaey et al
L’immagine è davvero importante, poiché è la prima volta che una coppia di quasar luminosi viene rilevata chiaramente in un sistema di galassie in fase di fusione.“I quasar sono gli oggetti compatti più luminosi nell’Universo. e sebbene se ne conoscano attualmente circa un milione, è un lavoro davvero duro quello di trovare due quasar fianco a fianco” ha detto Paul Green, dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics in Cambridge, che dirige il team che ha condotto la ricerca.
La coppia di quasar è stata rilevata la prima volta tramite la Sloan Digital Sky Survey, un importantissimo progetto di survey astronomica a largo campo di galassie e quasar. Successivamente il sistema è stato osservato al telescopio Magellan per determinare se i quasar fossero abbastanza vicini per mostrare chiari segni di interazione tra le loro galassie “ospiti”.
Il risultato è esaltante, ed è una forte evidenza che la coppia di quasar viene davvero coinvolta nel processo di fusione.
Recenti osservazioni lasciano emergere un nuovo interessante scenario per i buchi neri supermassivi: potrebbero essere addirittura loro che, in alcuni casi, stimolano la formazione stellare nella galassia ospite, quasi a “costruirsi” una casa ove poi “dimoreranno”. Potrebbe essere il collegamento che mancava per capire come mai le masse dei buchi neri sono maggiori nelle galassie che hanno un maggior numero di stelle.
Gli astronomi hanno realizzato osservazioni estensive di un oggetto insolito, il quasar HE0450-2958. E’ molto interessante in quanto è l’unico per il quale non è mai stata rilevata una galassia ospite, e si trova a circa 5 miliardi di anni luce da noi. Fino ad ora si riteneva che la galassia ospite di tale quasar fosse solamente nascosta dietro una grande quantità di gas e polveri. Ecco perchè – nel tentatativo di scovare tale galassia – gli astronomi si sono affidati ad uno strumento che scruta il cielo nella banda del medio infrarosso, alle cui lunghezze d’onda la polvere interstellare risulta molto più trasparente che nell’ottico. Tuttavia con una certa sorpresa, il quadro rilevato è stato differente: nessun segno della galassia ospite ricercata, ma invece una nuova rilevazione di una galassia apparentemente non collegata, nelle immediate vicinanze, che sta producendo stelle ad un ritmo elevatissimo, pari a circa 350 masse solari all’anno.
A quanto risulta la galassia vicina risulta sotto tiro da parte del quasar: è bersagliata in effetti da un getto di particelle altamente energetiche e da un flusso di gas in rapido movimento. Tutto fa pensare che in questo modo il quasar stia inducendo la formazione stellare nella galassia vicina… Ecco che il nuovo quadro si comincia a far comprendere: le galassie in tale scenario, si potrebbero essere evolute proprio dai getti energetici emesssi dai quasar!
Una elaborazione artistica che mostra come i getti di materia da parte di un buco nero (all’interno del quasar) possano indurre la formazione stellare in una galassia che si trovi nelle vicinanze… Crediti: ESO/L. Calçada
C’è da dire anche che il quasar stesso si sta muovendo verso la galassia, sicché i due oggetti sono destinati ad unirsi in futuro: il quasar che ora è “nudo” sarà alla fine “vestito” come tutti gli altri, quando si troverà nel mezzo della galassia ricca di stella. Dunque al termine del processo avrà una galassia ospite come tutti gli altri quasar osservati.
Dunque il quasar si sarebbe in pratica “costruito la casa” in cui andrà ad abitare! La conferma di questo interessante scenario si potrà avere, come dicono gli stessi ricercatori, attraverso la ricerca di oggetti simili in altri sistemi. In questo senso, grandi cose ci si aspettano da strumenti futuri, come l’Atacama Large Millimeter/ submillimeter Array, l’European Extremely Large Telescope e il James Webb Space Telescope, potenzialmente capaci di rintracciare simili sistemi a distanze ancora più grandi….
Le immagini in banda ottica ed infrarossa dalla Digital Sky Survey ci mostrano un affollato campo intorno al micro-quasar denominato GRS 1915, che si trova vicino al piano della nostra Galassia. L’inserto mostra invece una visione “ravvicinata” della sonda Chandra del micro-quasar, che risulta essere una delle sorgenti in banda X più brillanti della Via Lattea. Il microquasar contiene un buco nero di circa 14 volte la massa del Sole, tutto occupato a strappare materia da una stella compagna che si trova nelle sue vicinanze…
La regione intorno all’oggetto GRS 1915 Crediti: X-ray (NASA/CXC/Harvard/J.Neilsen); Optical & IR (Palomar DSS2)
Il materiale in caduta verso il buco nero – come sappiamo – forma un disco di accrescimento. Non solo, ma le immagini in banda radio mostrano la presenza di potenti getti che fuoriescono dall’oggetto centrale, insieme a fenomeni complessi e imprevedibili di variabilità, che vanno da tempi scala di pochi secondi ad addirittura alcuni mesi!