Blog di Marco Castellani

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Le code delle comete

Questa è una immagine davvero straordinaria. Ma andiamo con ordine. Partiamo con la domanda, ma da dove vengono le code delle comete? Che è una domanda che ci possiamo legittimamente porre, ci mancherebbe.

Forse però la risposta supera le nostre aspettative, perché nel 2016, come alcuni ricorderanno, la sonda Rosetta non solo ha fotografato un jet emergente dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, ma ci è proprio volata attraverso.

Uno “sbuffo” dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Crediti: ESA, Rosetta, MPS, OSIRIS; UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
Uno “sbuffo” dalla cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. Crediti: ESA, Rosetta, MPS, OSIRIS; UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

In primo piano c’è un particolare rivelatore, che mostra un pennacchio luminoso che emerge da un piccolo anello, delimitato da una sorta di parete alta circa dieci metri. Le analisi dei dati hanno poi mostrato che il jet era composto sia da polvere che da ghiaccio d’acquea. Rosetta ha messo in grado, dunque, di esplorare davvero l’origine dei getti che formano le code delle comete. E di studiare in dettaglio i meccanismi di emissione.

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Dirupi e comete

L’imponente dirupo che vedete nella foto non è stato fotografato in una qualche sperduta regione della Terra. E nemmeno su un altro pianeta, o su una luna del Sistema Solare. No, è un panorama di una cometa. Per la precisione, è parte del nucleo della cometa Churyumov-Gerasimenko (CG in breve) ed è stato scoperto dalla sonda Rosetta, una sonda lanciata dall’Agenzia Spaziale Europea che ha incontrato la cometa CG (in orbita attorno al sole) nel 2014.

 Crediti & licenzaESARosetta spacecraft, NAVCAM; Processamento: Stuart Atkinson

Abbastanza impressionante pensare che stiamo osservando la superficie di una cometa, e che sia così frastagliata. Personalmente trovo questa immagine preziosissima, anche a livello culturale. Non siamo infatti abituati a pensare alle comete come ad un qualcosa di strutturato, come qualcosa da esplorare e solo osservando queste foto ci rendiamo conto di quanto complesso e variegato è il nostro Sistema Solare, quanti incredibili panorami ci aspettano, se perfino una cometa si rivela così complessa e variegata!

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La coda della cometa

Siamo ben abituati a vedere, nelle foto ma soprattutto nell’iconografia di ogni tempo, le comete come entità dotate di una lunga coda dorata. Tanto che una cometa senza coda non è nemmeno pensabile, per noi.

Ma ci siamo mai chiesti da dove si origina, questa coda? In effetti, non ci sono posti così “ovvi” nei nuclei delle comete, da dove possano originarsi questi getti di gas e polveri, a loro volta responsabili della famosa coda. E lo possiamo dire, da alcuni anni, anche osservando da molto vicino un caso specifico: grazie infatti alla missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea, qualche anno fa siamo andati proprio a mettere il naso su uno di questi nuclei, la cometa Churyumov-Gerasimenko. Questa foto è una delle molte che ci mostra il nucleo stesso, con una precisione e nitidezza, che solo qualche decade fa non ci saremmo nemmeno sognati.

Crediti & LicenzaESARosetta, NAVCAM

La sonda Rosetta ha orbitato strettamente intorno alla cometa, dal 2014 al 2016, regalandoci una grande quantità di fotografie di impressionante dettaglio. E aiutandoci a far luce su questo mistero della coda, anche. Difatti dall’immagine – per quanto non si riscontri un punto di emissione evidente – si possono scorgere diversi sbuffi di gas e polvere che fuoriescono da numerose zone del nucleo cometario, cosa che avviene soprattutto (e comprensibilmente) quando questo si avvicina al Sole e si riscalda.

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Ciao Rosetta!

Non c’è niente da fare. Quando termina una missione importante e lunga come quella della sonda spaziale Rosetta, può anche starci un po’ di dispiacere. Può rimanerti addosso quel senso di una cosa grande appena passata, appena finita. Come le luci che si spengono tutte quante e ti pare che il tempo sia volato e fai fatica a riprendere le fila, a capire che è stata proprio una cosa bella.

Certo perché bella lo è stato. Ed è stata bella perché è stata vissuta e “sentita” da molti, certamente in un ambito molto più esteso di quello astronomico, al di là della comunità scientifica “classicamente intesa”. Eh sì, perché per missioni come questa, ormai la norma è quella di generare un interesse che travalica l’ambito pur legittimo di appartenenza, per espandersi su ampiezze e registri umani molto più estesi.

L'ultima immagine presa da Rosetta prima di depositarsi sulla cometa. Ad appena venti metri di distanza.

Questa rimarrà nella storia, anche se fuori fuoco. E’ l’ultima immagine presa da Rosetta prima di depositarsi sulla cometa. Ad appena venti metri di distanza. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA

Percorrere i mari parlando di astronomia, come mi è appena capitato, serve a molte cose. Una delle quali è comprendere il legame inscindibile che lega l’esplorazione della Terra a quella del cosmo. Direi anzi ben più che un legame, piuttosto un’avventura che non presenta soluzioni di continuità: una sfida costantemente rilanciata, innestata profondamente nella natura umana, di cui la parte spaziale è appena la naturale prosecuzione di quella fatta  – nei secoli – per terre e mari.


Così l’avventura di Rosetta, complice anche la peculiarità della stessa, che includeva il trasporto ed il rilascio del lander Philae sulla cometa, è stata seguita con passione da tantissima gente. Di tutti i popoli e tutti i paesi, di orientamenti culturali e spirituali tra i più diversi.

Diversi, ho scritto? Beh, se la sonda avesse potuto parlare, ci avrebbe certo avvertito che dal suo punto di osservazione, le differenze contano poco. O meglio, contano tanto, tantissimo: perché sono quelle che danno i colori al mondo, al nostro mondo. La varietà è essenziale per la vita, per una vita piena. Ma non vale la pena arrabbiarsi e mostrare i denti o peggio ancora le armi, per imporre il proprio colore, la propria visione del mondo.

Visione che ci può stare, anzi ci deve stare. Non è che tutto è uguale, non si tratta di questo. Se tu credi ad una cosa e io ad un’altra, c’è una bella differenza. Ma qui si parla delle nostre radici. E solo con radici profonde si può andare all’incontro con l’altro, con il diverso, in forma relazionale e non bellica. Se sono pieno di qualcosa – fosse pure una domanda di senso, ancora dai contorni vaporosi – non sono violento, altrimenti non c’è verso, non c’è alcuna vera interazione. Ci vuole un campo di forza per ordinare i processi che accadono, fuori e dentro di noi.

Siamo tutti sulla stessa barca, avrei potuto dire (in senso pieno) fino a sabato mattina. Ma non ci vuole molto per sostenerlo anche adesso. Per trovarne le ragioni, innervarle di senso.

Certo Rosetta, alla fase della sua ultima e definitiva discesa sulla cometa, non era lontana come quando la sonda Voyager 1 si girò e con il suo ultimo sguardo, fissò la nostra Terra per un momento appena, così lontana che era veramente un piccolo puntino blu. Ma le conclusioni che poteva trarre sono certamente le stesse.

E sono le conclusioni che faticosamente stiamo riscoprendo come le uniche possibili, le uniche autentiche. Essere dentro un’opera comune ci aiuta a focalizzare il pensiero sulle stesse frequenze, per cui iniziamo a vivere la fratellanza come una possibilità di fatto e non come un altro impegnativo codice di comportamento da assumere.

Che poi nessun codice di comportamento si tiene in piedi appena con le buone intenzioni, ma solo con l’entusiasmo (altrimenti decade in pochissimi nanosecondi). E l’entusiasmo Rosetta lo ha dispensato senza alcuna remora, senza nessuna regola di parsimonia. L’entusiasmo di vivere il risveglio della sonda in prossimità della cometa, poi di assistere alla discesa del lander Philae sulla superficie e – insieme ai problemi del sito di atterraggio non proprio ideale – la soddisfazioni di riuscire comunque ad agganciare il segnale: Rosetta e Philae si parlavano.

Sì il dialogo tra Rosetta e Philae c’è stato ed è stato importante. Si sono parlati di cose di scienza, certamente. Cose come la composizione della superficie della cometa, per capirci. Cose importantissime per comprendere se e come la vita sia venuta attraverso le comete, o comunque che ruolo possano svolgere ed aver svolto nell’economia del nostro Sistema Solare. Cose non da poco, ovviamente. Come non è cosa da tutti i giorni mettere i piedi sopra una cometa, e segnatamente la cometa 67P Churyumov-Gerasimenko (a volte dubito qualcuno riesca a pronunciarla, io comunque no per certo): un sasso di appena quattro chilometri di lunghezza, perso nel cosmo a decine di milioni di chilometri da noi.

Ebbene, arrivare su questo grosso sasso, sperduto nel cosmo, è qualcosa che segna la nostra palpitante ed insopprimibile voglia di conoscere, di capire, di spingerci fino alle origini di tutto quello che ci circonda. Oserei dire, che è proprio questa “sete inestinguibile di conoscere l’origine”  che ci rende pienamente ed autenticamente umani.

Sembrava impossibile. E invece è successo, lo sappiamo. E sappiamo anche, in questa impresa straordinaria, che c’è tanto genio italiano. C’è genio italiano negli strumenti di Rosetta, con GIADA ad esempio, per l’analisi di una sbaraccata di particelle cometarie, quei grani di polvere che tanto possono dirci per la comprensione dei processi che portano a formare i planetesimi: roba dei primordi del Sistema Solare, ma roba importante adesso, per capire chi siamo e da dove vaniamo.

E non meno importante è la nostra impronta su Philae, perchè siamo sempre noi italiani ad aver costruito il trapano che ha fatto il lavoro più prezioso sulla superficie, ovvero quello di scavare davvero per vedere di cosa si tratta, nonché i pannelli solari che gli hanno permesso di resistere sulla fredda superficie mantenendo strumenti e computer accesi.

Insomma siamo andati lontano, come uomini, come europei, e come italiani. E possiamo certo continuare a farlo.

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Così lontano…

Due parole ancora sulla missione Rosetta, perché è veramente qualcosa di stupefacente quello che sta avvenendo in questo periodo. Non è possibile, infatti, non emozionarsi almeno un po’ per quello che sta accadendo così lontano da casa. La sonda Rosetta in orbita attorno alla cometa 67P, il lander Philae appoggiato alla cometa stessa, che ha timidamente ripreso i contatti, dopo mesi di completo silenzio…

Negli ultimi giorni, molti di noi hanno seguito con passione lo scambio di tweet tra RosettaPhilae dove la ripresa dei contatti veniva documentata praticamente in tempo reale (tra l’altro, esempio interessante di dialogo simulato tra due strumenti scientifici, per l’occasione simpaticamente personificati). E magari lì per lì abbiamo pensato, sì bravi, ottima cosa… facendoci sfuggire così la vera portata di questo evento scientifico. 

Anzi, di questo evento tout court.

Eh sì, perché la cosa interessante, davvero interessante, è che tutto questo sta avvenendo piuttosto lontano da noi, anzi molto molto lontano. In caso ne avessimo smarrito percezione, ci pensa un tweet di Rosetta, di appena due ora fa, a ricordarcelo:

Tweet che al momento in cui scrivo, risulta già ridiffuso 189 volte e inserito 181 volte tra i preferiti. 

Oggi Rosetta si trova dunque a 288 milioni di chilometri da casa! E da questa distanza non solo è controllata da Terra, ma scambia dati con una piccola sonda abbarbicata ad un pezzo di roccia che vaga nello spazio, sulla quale è fortunosamente atterrata con una procedura alquanto complessa, qualche mese fa.

E insieme stanno facendo cose notevoli, come scoprire l’acqua sulla cometa stessa.

Eh sì. Ben 120 regioni sono state identificate sulla cometa, che sono fino a dieci volte più brillanti della media. Osservate ad alta risoluzione, lasciano come ipotesi più plausibile quella di essere formata da ghiaccio d’acqua. Si stanno facendo esperimenti “in casa” per riprodurre le condizioni sulla cometa, in termini di miscela di acqua e minerali e illuminazione solare, e vedere in che grado le cose tornano.

E tutto questo avviene raccogliendo un esile flusso di dati proveniente da due pezzetti di metallo che si trovano a quasi trecento milioni di chilometri da Terra… So far away from home… 

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Aspetta, non c’è campo…

E’ troppo divertente l’immagine che accompagna uno dei più recenti tweet della missione Rosetta. E’ materia proprio di questi momenti: sappiamo che il contatto tra Rosetta e il robottino Philae c’è stato, ed è una cosa veramente notevole. Tuttavia pare che la comunicazione sia ancora “ballerina”. Si tratta in poche parole di aggiustare la traiettoria di Rosetta in modo da poter stabilire una connessione più affidabile tra lei e Philae.

Il tweet che ospita l’immagine di Rosetta con un’espressione desolata ed un telefono in mano (al momento in cui scrivo, segnato come “preferito” 179 volte e “ridiffuso” 140) , rende l’idea molto più di mille parole. E’ un modo di rendere anche divertente e comprensibile il resoconto di un lavoro di importanza fondamentale: per poter raccogliere i dati raccolti da Philae, è evidentemente necessaria una buona connessione. La pagina dell’ESA (in inglese) alla quale lo stesso tweet rimanda per maggiori informazioni, risulta veramente molto esplicativa e presenta in buon dettaglio tutti i motivi per cui il team sta cercando in ogni modo di massimizzare la possibilità di “dialogo” tra la sonda e il robottino.

Immagine elaborata della cometa 67P presa il giorno 15 di giugno. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Immagine della cometa 67P presa il giorno 15 di giugno. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Dialogo che non deve essere troppo breve: per poter informare la sonda di tutto quello che Philae ha scoperto, perché possa raccontare – in termini scientifici – cosa vuol dire vivere su una cometa (cosa mai successa prima, nella storia), sarebbe desiderabile una chiamata che possa durare una cinquantina di minuti.

Non è una cosa affatto banale.

Intanto, la sonda gira intorno alla cometa 67P con un periodo poco superiore alle dodici ore, così da presentare appena un paio di possibilità al giorno di entrare in contatto con Philae (quando la posizione è giusta). Per di più, siccome il robottino non è sempre esposto al Sole, spesso non ha energia sufficiente per “raccontarsi” come sarebbe auspicabile. Fatti tutti i dovuti conti, al momento la lunghezza possibile delle “chiamate” tra i due varia da pochi minuti alle tre ore. L’energia di Philae rimane un fattore critico per valutare la possibilità di una comunicazione abbastanza lunga.

Il lander sulla cometa può certo operare anche con intervalli di comunicazione più brevi, ma la situazione è lungi dall’essere ideale, per i dati che possono essere scaricati effettivamente, ed anche per i comandi che possono essere inviati.

Siamo così, appesi alla speranza che ci sia campo, insomma (un po’ come in tante situazioni della nostra vita ordinaria, potremmo dire). La conversazione è del resto di grande importanza, tale da giustificare ogni tentativo. Vediamo come va 😉

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Sogni (e metalli)

“Non smettete di sognare e… rimanete metal!”  Ecco qua, sono ancora i fatti che parlano. I fatti che infrangono i nostri quieti pregiudizi, quelli che ci portiamo appresso da una vita, e non abbiamo proprio alcuna voglia di mettere in discussione. Quelli che, a dispetto di tutte le evidenze, vedono gli scienziati come impassibili, imperturbabili. Freddi e asettici, con passioni moderate, controllate.

Guardate Matt, invece. Insomma, a suo modo, ci sta dicendo una cosa importantissima. Non c’è da rinunciare a sé stessi per fare lo scienziato, non c’è da abbandonare le emozioni. Non c’è da fare nulla di tutto questo, no. Il contrario, piuttosto.

https://youtu.be/aq1IpTAdWiI

Del resto, ci sono i fatti, appunto. Quelli non mentono.

C’è che un agglomerato di metallo è atterrato sulla cometa 67P, in un posto lontanissimo e isolatissimo, freddo sperduto abbandonato da tutti. Un posto lontano, ma lontano davvero. Inospitale, ma inospitale sul serio. Proprio perché qualcuno non ha smesso di sognare (e magari appunto è anche rimasto metal).

C’è che questo robottino dopo circa sette mesi ha ripreso i contatti, ed è una cosa che a dire la verità non speravano in molti.

E sta mandando dati. Ne parleremo, ma qui non ci interessa tanto questo, vogliamo rimanere concentrati sulla parte umana dell’intera faccenda.

Cioè quella parte che ha molto a che vedere con i sogni.

Eh sì. I sogni. Si fa tanto parlare riguardo ai finanziamenti (che sono sempre troppo pochi oppure che dovrebbero essere dirottati verso cose più urgenti, a seconda di chi ne parla), all’organizzazione (perfettibile), alla tecnica sempre più complessa, etc… E sarà banale dirlo, sarà davvero banale, ma se la gente non avesse preso sul serio i propri sogni, ma credete che ora su Marte ci sarebbero tutti questi bei robottini che ci portano giù quelle stupende foto, che sembra proprio di esserci?

Una bella  immagine dal Mars Pathfinder (crediti: NASA)

Una bella immagine dal Mars Pathfinder (crediti: NASA)

Pensate che, tanto per fare un esempio come altri, il satellite Gaia starebbe lì lì iniziando la sua incredibile missione di una immane cartografia stellare? E che, per dirne un’altra, le sonde Voyager, lanciate nei lontanissimi anni settanta, avrebbero continuato a funzionare fino ad ora, quando, lasciato li Sistema Solare, sono oramai lì per tuffarsi impavide nell’Infinito cosmico?

Ecco, appunto. Pensate a tutto questo. Niente di nuovo, per carità. Cose che avrete magari già pensato. Ma fatelo ora. E mentre lo fate, guardate Matt, guardate le sue improponibili camicie, guardate perfino il modo un po’ ingenuo e spavaldo di presentarsi. Guardate insomma le sue mancanze, il suo probabile, comprensibile, desiderio di originalità. Osservate non solo la sua abilità di comunicazione, ma ponete attenzione soprattutto alle sue sbavature.

Contemplate insomma la sua imperfezione, quella unica qualità che ne fa un uomo reale, fuori da ogni stereotipo. Ed insieme, uno scienzato vero.

E perfavore, non smettete di sognare.
Se poi volete anche stare metal, magari non vi seguo, ma se ne può parlare.

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Rosetta, dieci anni dopo

I giorni appena trascorsi, lo sappiamo, sono stati magici sotto diversi punti di vista. Rosetta ha fatto meraviglie, certamente. Ma la prima meraviglia, a parer mio, è accaduta proprio qui, sulla Terra. Fateci caso.

Presi come siamo da tante cose da fare, da tanti problemi e perplessità – stretti ancora in una crisi che prima ancora che economica mostra spesso gli indizi di proporzioni più vaste, una crisi (ultimamente) di senso che ci corrode e – come per sopperire ad una qualche mancanza – ci irrigidisce in maniera non necessaria…  esperti e non esperti, siamo stati ugualmente catturati. Siamo stati catturati – dopo tanto tempo – dall’eccitante prospettiva di una avventura comune. Uno scatolone di metallo lanciato nello spazio si è rivelato molto più della somma delle sua parti meccanica (ed elettroniche).

Possiamo vederla così. Nei suoi dieci anni di viaggio la sonda Rosetta preparava pazientemente questo. Covava nell’ombra e nel nascondimento dello spazio, una prospettiva di fioritura cosmica di interesse planetario (il nostro, di pianeta). Qualcosa ha camminato, in questi dieci anni. Seguita con pazienza dai tecnici e dagli scienziati dell’ente spaziale del nostro continente (e con rispetto da quelli americani). Accudita, monitorata, messa a nanna e risvegliata, Rosetta proseguiva verso il suo obiettivo, verso la sua cometa.

Comet 67P on 20 October (A) - NAVCAM

Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM, CC BY-SA 3.0 IGO

Quello che in tanti non pensavamo, quello di cui non ci rendevamo propriamente conto, è che il suo obiettivo era il nostro obiettivo. Quello che il nostro ormai abituale cinismo non calcolava, era che dalla mattina di quel fatidico mercoledì 12 novembre, pur presi in mille cose e diecimila impegni, ci saremmo inaspettamente ricordati che esiste il cielo e che una sonda inviata da noi umani, stava per tentare un’impresa che – già sulla carta – avrebbe fatto tremare i polsi a chiunque.

Diciamo la verità. Rosetta è andata lassù per regalarci un sogno. E il lander Philae ha fatto l’impossibile, per rilanciarlo, con estrema baldanza,  al di là di ogni calcolo di basso cabotaggio. Un sogno molto concreto, come tutti i bei sogni: come i sogni più veri. E’ arrivata lassù e ha fatto ciò che ha fatto, grazie ad una scienza e ad una tecnologia certamente sempre più sofisticata e complessa. Frutto di una necessaria iperspecializzazione tutta moderna, siamo d’accordo. Tuttavia è una scienza che – proprio all’apice della massima complessità – ha mostrato inaspettatamente un volto amico, e si è riversata con grande facilità ed efficacia nell’immaginario di ognuno di noi. La missione di una sonda di metallo su una fredda cometa ha intercettato qualcosa di caldo, di pulsante in ognuno di noi. Perché la complessità ha incontrato il desiderio di comunione e fratellanza umana, la voglia mai sopita di qualcosa di grande a cui partecipare tutti insieme. 

Così è stata come una grande partita, se vogliamo. Con la differenza, importante, che stavolta eravamo tutti dalla stessa parte. E’ stata l’articolazione paziente e realistica di un sogno. Non una guitezza improvvisata, uno scarto di furbizia, un prendere smagato, un gioire senza coltivare.

Affatto.

E’ stato piuttosto un coronamento di una gestazione paziente e senza scosse, perché tutto nasce dalla terra, dalla solidità. Anche dalla sofferenza e dalla frustrazione che una missione così lunga avrà riversato sulle persone che ci lavoravano.

“Occorre soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina, ma nasca dalla carne.” scriveva Emmanuel Muonier (ben prima che si parlasse di sonde spaziali). E così questi giorni emozionanti che abbiamo appena trascorso sono il frutto di una solidità guadagnata nel tempo. Di una sofferenza sopportata, nel tempo. Una solidità che ci ha permesso di sognare. Di aprire le ali, spiegare i nostri pannelli solari, spesso atrofizzati, per riprendere energia.

Quanto vale questa cosa, come monetizzare un entusiasmo e un interesse planetario? Certo la missione ha i suoi costi, che è giusto che vengano discussi e vagliati (senza faziosità). Non sarà inopportuno ricordare che il senso di una impresa di questo genere, al di là delle ricadute tecnologiche importanti per la vita a Terra, ha una portata appunto ben più ampia, probabilmente con un valore ancora più decisivo. Ha il valore intrinsecamente pacifico e pacificatore di una grande impresa comune, di una possibilità rinnovata di poter guardare tutti dalla stessa parte.

La gioia dello staff ESA pochi giorni fa è stata la nostra gioia. Una gioia transnazionale, una gioia fiorita nonostante la crisi e le tensioni, una gioia che ci ha ricordato che noi siamo ben più che la somma dei nostri problemi.

Che noi siamo capaci di infinito.

E ci ha reso possibile  capire che l’uomo è fatto per questo, per grandi imprese. E ogni uomo ha la sua grande impresa da compiere, ogni uomo è in cammino per la verità della sua vita, e lo fa accettando anche la fatica, accettando i suoi dieci (venti, trenta, cento) anni di volo.

Necessari,  perché possa agganciare la sua cometa.

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