L’inverno è il tempo del riparo, del nascondimento. Ogni stagione ha il suo sistema di leggi, di valori tipici, di autofunzioni. Ogni stagione riprende il canto politonale dell’universo e lo modula su alcune specifiche frequenze. Esaltando delle particolari armoniche, deprimendone altre.
Così mi pare questo, che a rotazione ogni sensazione, ogni impressione venga portata alla luce. L’inverno mi piace per questo, perché è il tempo della contrazione. Mentre scrivevo l’inizio di questo post la pioggia cadeva ed il vento spazzava e muoveva gli alberi. Una giornata livida, senza dubbio.
Eppure vedere il parco battuto dalla pioggia è come ascoltarne il respiro, percepire il ritmo segreto della sua danza invernale.
“Stare in casa quando fuori piove fa bene all’autostima”, diceva scherzando il mio figlio quattordicenne, qualche giorno fa. Con la sua giovanile baldanza, fotografava una sensazione che sicuramente è nota a tutti. Potrei chiamarla il ‘senso di tana’, di riparo caldo, di discesa nel sicuro. Come una irresistibile regressione primordiale, come una caverna con il fuoco. Ecco… sono dentro una caverna e sono antichissimo, improvvisamente sono vecchio come la storia dell’uomo. Una caverna che si spalanca davanti ad un mondo ignoto ed incerto, battuto dal vento e dalla pioggia.
E la casa è una tana e non cerco tanto il fascino della ricerca e l’esplorazione estiva, ma il tepore degli affetti, la sicurezza del rifugio. E stare attenti ad uscire, non prender freddo. Si dice stai coperto ed è come un segno di attenzione vicendevole.
Finalmente non è tutto facile, immediato. Come se la difficoltà, l’avversità metereologica, suggerisse uno stop salutare. Come un malessere – uno di quegli strani e indefinibili malesseri dell’anima – che venisse per dirti ti devi fermare, devi andare più piano: devi prendere tempo per te.
L’inverno è questa evidenza, che devi fare i conti con ciò che è fuori di te. Devi rispettarlo. Fosse pure il clima. Non è tutto a portata di mano, il pensiero angosciante dell’autosufficienza è messo a terra, in maniera salutare.
Vedi, non uscire, piove. Copriti.
Copriti. Richiamo ancestrale, capace di far tornare bambini.
Finalmente, verrebbe da dire. Sta per cominciare un altro anno, un anno lavorativo e scolastico e familiare. La pausa estiva disegna e separa gli anni meglio di un trentun dicembre. Ecco tra poco entriamo – domani entriamo, diciamo – nell’anno nuovo. E bisogna entrarci bene. Cioè questo. Con una contentezza o un miraggio o una domanda di una contentezza o della possibilità di una contentezza, oppure solo nel non negare la possibilità di una futura o presente contentezza.
Sta iniziando un anno. Sta andando via la stagione calda. Viene l’autunno, fa sera presto, fa più freddo. Che bello. Sta iniziando un anno, mesi e mesi, il lavoro nelle settimane, l’osservatorio, le puntate in asdc, la mensa. Le cose per Gaia, che l’anno prossimo finalmente se ne andrà a spasso a scrutare la Galassia. Fa sera presto, è più bello predisporsi a tornare a casa, dopo il lavoro. Pensare al caldo rifugio che ci aspetta, a lei che ci aspetta e sta preparando la cena, dopo aver lavorato anche lei, fuori.
Bello fare le cose, salutare gli amici, i colleghi, avviarsi verso casa. Bello avere un margine di libertà e ampiezza anche davanti ai problemi Anche davanti alle tentazioni. Non essere schiacciato da un niente da un nulla da un nientenulla che avvelena.
Essere più vicino a respirare, ad avere un respiro fondo, regolare. Bello alternare lavoro e riposo e quasi senza accorgersene tornare a progettare fare progetti di nuovo.
Come una vacanza o l’ipotesi di una casa e gli esami della figlia oppure anche i compiti della piccola e il lavoro degli altri che è pur lavoro. Bello sorridere perché appoggiati a radici solide sorridere per un briciolino di luce uno scherzo di luna per le radici e per il respiro.
Sentire addosso il tempo che passa come un rivestimento più saldo strato su strato nell’attesa e nel guardarsi indietro senza timore contando i passi del cammino. E il bello è sempre davanti. E la dolcezza di casa quando si sprofonda nell’inverno sarà
sarà ancora maggiore pioggia alle finestre e tuoni e fuori la consueta dominante azzurra mentre dentro casa dentro la calda gialla operosa e tranquilla lieta luminosità
e sì farà freddo e qualcuno dirà copriti e sarà come una gemma regalata un segno di affetto come dire non voglio che ti ammali mi sei caro mi sei non posso stare a vederti star male
sarà come una gemma respirata e un vestito e un maglione pesante e un sorriso leggero per uscire aspettando con serena pazienza il rientro.
Sarà questo e sarà un anno azzurrossogiallo e quanti colori vuoi sarà da piangere e da ridere e arrabbiarsi anche e dire come, chi, perché e anche chi me l’ha fatto fare e correre sotto la pioggia con la borsa e trovare il traffico e avere preoccupazioni assortite e cose da sistemare ma sapere che vi sono radici profonde – e siamo grandi e siamo bambini e potremmo un giorno potremmo chissà diventar vecchi e rimanere bambini – e comunque niente più la vita piatta e niente più il niente ma
la vita, quella colorata faticosa ma saporita la vita.