Blog di Marco Castellani

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Quel volo di stelle, oltre le parole

Le cose sono fatte di memoria e di novità, insieme. E’ come una filigrana tessuta insieme stretta stretta. A volte ci vuole solo questo, appena questo: un posto dove mettere le cose, dove sistemarle e farle respirare. Perché si intreccino con la vita, la vita di adesso, perché reagiscano con l’istante, lo fermentino e gli restituiscano profondità e spessore. In gioiosa rivolta contro la civiltà ultrapiatta che lavora a togliere, lavora a togliere colorito e sapore e a disperdere quella ultima carnalità infinita delle cose, che sola porta al respiro profondo e alla pace.

Ci sono cose belle, sì. Mi guardo indietro e vedo cose belle, in realtà vedo tante cose da qui, certo anche delle cose da sistemare, o meglio da lasciar respirare. Da tornare a guardare con occhi nuovi. E certe cose belle, che sono passate e passano nello scrivere, come architettura possibile, come possibilità non invasiva, risanante, ricostituente. 

Così ho pensato di aprire una piccola sezione, dove inserire piano piano alcuni testi, da qualcosa che è passato in alcuni libri, o anche senza passarci, è arrivata direttamente qui. Dalla stessa vita, dall’idea costante di sporcare il foglio con tracce di vita, di farlo per un desiderio di più vita ancora, ecco che arriva qui. Magari con qualche immagine, qualche disegno. Qualche collaborazione, innesco di relazione, possibilità di un cammino di guarigione. Cercando intrecci, modi per cui parole e immagini possano incontrarsi, possano baciarsi. 
Spesso le cose belle sono legate alle parole, per me. E’ strano, sono cose legate alla parole, ma a parole che cercano sempre di esondare da sé stesse. Il discorso di parole oggi è qualcosa di molto particolare. Ci affezioniamo sempre tanto, ai discorsi. E’ facile, viene semplice, con poca fatica. Rischiamo, in un certo modo, rischiamo di rimanere in un certo mondo. Un mondo dove le parole non dicono che sé stesse, qualcosa che è strutturalmente incompleto. Dove la parola amore rimane una parola, per esempio, e non si sporca di niente che abbia a che vedere con l’amore, quello vero. Quello che si riceve e quello che si dà, che è immensamente più bello e disordinato e profondo e sporco e slabbrato e doloroso ed incantevole, della parola amore. Dove perfino dire stelle ti mette comunque al sicuro dallo sperdimento del cuore e della pelle e della coscienza che ti può accadere sotto un cielo stellato. Ma no, tu usi le parole per distanziare il tuo corpo dall’accadere purissimo, per quella ultima paura di metterti in gioco, di giocare a vivere tra tutta l’irrazionalità magica che ti immagini, quando lasci la briglia, finalmente lasci correre, ti godi l’aria addosso e basta.

Oltre la parola, è l’immagine che ci guarisce… 

Dobbiamo svelare il gioco, dobbiamo tornare alla connessione tra parola ed immagine. Dobbiamo legare le parole al mistero perpetuo ed istantaneo del flusso del sangue nelle vene e delle pulsazioni periodiche dei tempi, della luna piena, del mestruo e della fecondità, del respiro del cosmo. Delle stelle in volo, adesso. Dal giorno e della notte, fuori da questa architettura artificiale di iperattività al neon, che non ci appartiene, che non ci soddisfa, che non ci rispetta.

Le parole da sole, sono così e a volte da certi usurati percorsi verbali sbuchiamo fuori e ci accorgiamo he non abbiamo toccato niente, e non ci siamo fatti toccare da niente. Così le parole sono sterili, tratteggiano un mondo senza carne, un mondo abitabile soltanto in apparenza. Infatti arriva il momento che ci accorgiamo di non farcele bastare, le parole, e stiamo male. Non ci stiamo più in questi confini, soffriamo. Un sorriso, uno sguardo, un tocco, un profumo, un odore, un corpo. Certe parole disegnano involucri vuoti, più ne costruiamo più sentiamo la mancanza di un pieno che ci sostenga. 
La civiltà televisiva è un fiume di parole, ma tutto rimane strutturalmente confinato in uno schermo piatto, asettico. Un sorriso di donna attraversa lo schermo ma è appena una manciata di pixel, lei non mi vede, non riorganizza il suo universo corporeo, per mia presenza. Non modula gli sguardi, la sua biochimica non ritorna a negoziare la tavolozza degli odori, il ritmo del respiro, per il fatto semplice d’esserci, insieme. Così gli schermi dei computer, le baruffe sui social, le dispute politiche e le foto dei piatti cucinati. I sorrisi per i follower. Manca carne e sangue in questo mondo virtuale, manca sempre di più. 
La parola che buca l’universo stesso al quale appartiene, è la parola poetica. Lo buca non perché è più capace, ma perché è più onesta. E dunque il passaggio è facile che si apra da sé, il passaggio in un cosmo diverso, più carnale. Dove dire una parole vuol dire quasi mangiarla, dire un’idea è assimilarla (sempre geniale Gaber, soprattutto quando cantava se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione), è farei conti con il nostro corpo, il nostro respiro. 
Insomma la parola onesta è quella che non nasconde, non nasconde il suo immenso bisogno. Il suo bisogno strutturale, cosmico. La poesia vera non nasconde mai il bisogno strutturale dell’uomo. Di amore, affetto, di senso, di essere salvato. Possiamo provarci a nascondere questo bisogno quotidiano, a volte così scomodo. Possiamo esercitarci in questo, ma ci allontaniamo da noi stessi, e dalla poesia. Lei, proprio non può nasconderlo questo bisogno. 
C’è un pieno da ricercare dietro le parole, oltre le parole, e le parole hanno senso quando ti lanciano oltre, ti spingono verso qualcosa che loro non ti possono dare, ti fanno da trampolino e si arrestano all’imbarco, al tuo imbarco verso il centro di te, verso le stelle, verso quell’ambito sacro dove le parole non arrivano.

E tu ritorni a guardarti amorevolmente, e le stelle ritornano tutte in volo. 

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L’infinito di stelle

Così si chiama la bella canzone che apre l’album (straordinario, epico, mirabolante, destinato a restare) Mina Fossati, ed questo infinito di stelle mi torna in mente, mentre rifletto sui primi capitoli del libro di Amedeo Balbi, L’ultimo orizzonte. Cosa sappiamo dell’universo.  
Sì perché mi sembra proprio questo, mi sembra che ci sono cose a cui praticamente, non pensiamo mai. Nonostante siano cose enormi, siano questioni che definiscono e rinormalizzano la nostra stessa posizione nel mondo. Il modo in cui pensiamo e ci pensiamo, nel (nostro) universo. E non può essere che tutto questo non abbia impatto, in qualche modo –  anche involontario e irriflesso- sulla nostra vita quotidiana, su come ci rapportiamo agli altri, su come carezziamo il cane o nutriamo il gatto, sul modo in cui pensiamo al prodigio della nostra nascita, al mistero della nostra morte.

Le stelle non sono infinite. E per questo, ognuna di loro è speciale…
I primi capitoli del libro di Amedeo, trattano proprio di cosa c’è intorno. La grande questione, se siamo dentro un universo infinito, magari sempre uguale a sé stesso nel tempo e nello spazio (principio cosmologico perfetto, come si dice tra gli addetti ai lavori), oppure se quello che c’è intorno a noi è quantificabile, misurabile, è definito in termini di massa presente, di spazio occupato.
Io direi, davvero, che fa tutta la differenza del mondo. 
Certo oramai lo sappiamo – non ci spendo molte parole – che lo scenario cosmologico oggi comunemente adottato è quello del Big Bang, un “momento iniziale” da cui è derivata ogni cosa del nostro mondo fisico. Il quale, appunto, è finito (anche se non necessariamente limitato) derivando proprio dall’espansione – sia pur accelerata – di quel momento esplosivo (diciamo) al tempo “zero” del nostro universo. Abbiamo ormai accumulato una grande serie di dati che confermano questo scenario: sempre il nostro Amedeo, ne parla in modo interessante in uno dei suoi video.

Ma a parte i dettagli, andando dritto alle implicazioni filosofiche di questa teoria: un tempo iniziale, uno sviluppo, definisce molto limpidamente un prima e un dopo, il che si presenta come una irreversibile infrazione del principio cosmologico perfetto, che pure ha tenuto banco per molto, molto tempo. 

Come descritto nel bel volume di Amedeo, perfino Einstein si oppose al Big Bang: di fatto, perfino un fisico “moderno” come lui affondava le sue convinzioni nell’antico (e tenace) presupposto di un cosmo sempre uguale a sé stesso, in ogni tempo e ogni posizione. Quel presupposto che un universo in espansione (come crediamo sia il nostro) manda completamente a gambe per aria.

E rifletto su come sta cambiando il nostro modo di pensare, come ci stiamo adeguando a quanto ci dice la scienza.  O meglio, al modo in cui il cosmo risponde – oggi – alle nostre domande. Anche se avviene tutto molto, molto velocemente, ci stiamo adeguando. Difatti, non riesco a pensare davvero ad un universo infinito pieno di stelle, mi sfugge proprio, mi sfugge da ogni parte. L’idea di materia infinita è qualcosa che la mia mente non riesce ad afferrare, esulando da ogni esperienza sensibile.

Forse allora il Big Bang con la sua quantità finita di materia ed energia, è una cosa a noi più congeniale. Più ancora di quell’universo non solo illimitato ma anche infinito, pieno di stelle, di un infinito di stelle che propagandosi in ogni direzione sempre uguale a sé stesso, alla fine sfugge completamente ad ogni rappresentazione mentale convincente.

Ma poi se le stelle fossero infinite, sarebbero così tanto preziose? Così belle? Le stelle, le galassie, mi sembrano tanto più mirabili se penso che sono tante, tantissime, ma sempre numerabili.

Nell’infinito di oggetti, ogni oggetto conta zero, alla fine. Di oggetto come lui ce ne sono senza limiti, la sua esistenza è inessenziale. Nel nostro Universo, invece, ogni cosa (sia un essere vivente, una galassia, un pianeta, una luna) conta. In modo infinito, direi. Proprio perché non è l’infinitesimo componente di una serie. Proprio perché è unico. 

Ed essendo unico, arricchisce l’universo in modo specifico.
Un arricchimento di importanza decisiva.
Probabilmente, infinita.

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Fusione di galasse in NGC 2623

Dove si vanno a formare le stelle quando le grandi galassie si uniscono? Per comprendere questo argomento, ancora molto dibattuto, gli astronomi sono andati ad indagare nuovamente il sistema NGC 2623, costituito da due galassie nell’atto di fondersi una con l’altra (ce ne occupammo anche noi, nel lontano 2009).

L’indagine – si può dire davvero – è stata condotta “ad ampio spettro”, mettendo insieme i dati raccolti con una serie di strumenti diversi, ognuno operante in bande diverse. E’ stato usato il Telescopio Spaziale Hubble per quanto riguarda la radiazione in banda ottica, lo Spitzer Space Telescope per l’infrarosso, XMM Newton per la banda X, ed infine GALEX per la radiazione ultravioletta.

Il sistema NGC 2623, due galassie profondamente “coinvolte”. Crediti: ESA/Hubble & NASA

L’insieme di tutti questi dati mostra senza possibilità di equivoco, come le due galassie appaiano ormai decisamente “compromesse” una con l’altra, tanto che i due nuclei si sono già praticamente uniti in un gigantesco nucleo galattico attivo.

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Questo nostro misterioso Universo

Fin da piccola mi è sempre piaciuto rivolgere lo sguardo al cielo stellato e pormi tutte le domande possibili su ciò che non conosciamo, ciò che non possiamo conoscere. Sarà un gene di famiglia? Nonno e papà astrofisici.


Mah, non saprei rispondere. A dire il vero credo che questo abbia sì aiutato lo sviluppo della mia passione, ma da una parte sono convinta che anche se fossi stata figlia di un meccanico e nipote di un dottore, la mia mente non avrebbe fatto a meno di volare via con la fantasia lì dove non possiamo andare. Non vi è mai capitato di alzare lo sguardo al cielo e notare come sia immenso e sentirvi in un momento così piccoli? Ci sentiamo così potenti qui, così intelligenti, così rilevanti. Ma cosa siamo davvero? Cosa rappresentiamo noi per l’intero universo? Vorrei dire nulla, ma so che qui qualcuno avrebbe da che ridire. Com’era quella teoria secondo cui il battito delle ali di una farfalla può scatenare un uragano dall’altra parte del mondo?

Ed è vero, ognuno di noi ha il proprio ruolo e la propria ragione di esistere, ma se solo provassimo per un secondo a immaginarci sulla Terra, la Terra nel Sistema Solare, a sua volta nella Via Lattea e così via. Ditemi, quanto vi sentite importanti ora? Sentite che un vostro intervento possa in qualche modo influenzare tutta quella roba lì su? Eppure noi ne facciamo parte, dovrà pur avere un significato, no? Deve per forza significare qualcosa.

Ho imparato che il 90% dell’universo è a noi sconosciuto. Sconosciuto. Affermare che non ne sappiamo quasi nulla non sarebbe poi così sbagliato. Abbiamo scoperto così tanto ma basti pensare che “così tanto” in confronto a tutto ciò che ci manca è davvero nulla. E non vi interessa questo? Non vi affascina sapere che oltre quello di cui siamo a conoscenza c’è ancora un universo da scoprire? O sono l’unica che nel bel mezzo di una spiegazione di storia guarda fuori dalla finestra e comincia a fantasticare sul cosmo?

So che molti altri hanno dedicato la vita alla scoperta e al progresso di ciò che noi chiamiamo “universo”. E so che altrettanti si interessano di questo nostro misterioso mondo. Ma la maggior parte di noi vive la quotidianità con indifferenza verso ciò che c’è lassù. Si alza la mattina e pensa al caffè, al lavoro, alla scuola, alla famiglia. Ci hanno insegnato a impegnarci e a dare il massimo per far sì che la nostra vita su questo pianeta sia la migliore, in breve, per essere felici. Ci azzuffiamo tanto per ottenere ciò che vogliamo quando neanche ci rendiamo conto di cosa ci circonda. Come si fa ad essere soddisfatti della propria vita se ci si limita a condurre un’esistenza grigia, ripetitiva, priva di significato?

A me viene un brivido solo a guardare una stella nel cielo. Quella stella, la stella che per qualcuno è semplicemente la stella più luminosa, per me è un solo piccolo pezzo di un puzzle e non fa altro che ricordarmi quanto siamo minuscoli. Quella stella siamo noi, sei tu, sono io. Quella stella è un puntino apparentemente irriconoscibile nell’oscuro universo, come noi. Non siete un minimo curiosi di scoprire cosa c’è sopra la nostra testa? Lo so che quello che sto dicendo ha infinite incoerenze e probabilmente non ha molto senso se visto al di fuori della mia testa, ma è quello che risponderei se qualcuno mi chiedesse perché mi incuriosisce così tanto il cosmo.

Dopotutto, se cerchiamo la definizione di Universo su Internet, ci dice che esso è la totalità di tutto ciò che esiste; è l’interezza dello spazio. E come potremmo mai ignorare una cosa talmente grande e talmente influente per la vita umana?

Semplice, non possiamo.

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Nell’attesa del lancio, pianificato per domattina poco dopo le dieci, segnalo che sulla pagina di Youtube dell’ESA è stata allestita una interessante playlist con una serie di video esplicativi della missione di GAIA

La lingua è ovviamente quella inglese, ma molti video sono sufficientemente esplicativi anche a livello di immagini. Anzi, devo dire che sono realizzati molto bene. Se non altro, vi consiglio di ammirare il secondo video, vale la pena per avere una idea veloce della missione, e dei suoi obiettivi, davvero ambiziosi. Inoltre si apre con una bella metafora visiva, che unisce i granelli di sabbia alle sterminate stelle, che trovo veramente efficace.

Vai GAIA, le stelle ti chiamano 🙂

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La fine delle stelle…

Venerdì 13 aprile, sera. Arriviamo un po’ in anticipo, per preparare il computer e tutto il resto. La sala si è poi riempita piano piano, arrivava gente alla spicciolata. Verso le nove e un quarto eravamo una trentina di persone. Questo nonostante la serata fosse piovosa e la posizione probabilmente non sia comodissima da raggiungere. 
No dico, non vi piace il sottotitolo che ho trovato…?
Mi era stato chiesto da una amica di fare una presentazione di un’oretta, su un tema stellare. L’intento di trovare un tema accattivante, aveva prodotto l’idea di parlare de La fine delle stelle. In effetti raccontare la vita delle stelle con una enfasi particolare su cosa accade quando “muoiono”, mi pareva una cosa eccitante: la scoperta delle nane bianche (così straordinarie che per dieci anni non ci hanno creduto nemmeno gli astronomi, come si può leggere nella relativa voce di Wikipedia) e poi, proseguendo in un cammino di stranezze, le supernovae, le pulsar, i buchi neri… 

Quello che mi ha dato la carica, già giorni prima, è stato il sottotitolo che mi è venuto in mente (vedi a fianco). Mi sono divertito già da quel momento, ormai non potevo più tirarmi indietro… 
Torniamo a venerdì sera, comunque. Abbiamo iniziato e la saletta conferenze dell’Osservatorio Franco Fuligni (gestito dall’Associazione Tuscolana di Astronomia) era piena. Il clima disteso e l’interesse delle persone mi ha aiutato a vincere l’impaccio e l’emozione iniziale. Poi, è andata sempre meglio. Ogni tanto arrivava una domanda, a rassicurarmi sull’interesse delle persone e a farmi capire se il livello della spiegazione era adeguato all’uditorio. Siamo andati avanti fin dopo le dieci e trenta, senza che si addormentasse nessuno (…eroici) !
Ho anche avuto l’occasione di conoscere persone che avevo conosciuto sul web tramite l’esperienza di GruppoLocale, ed è stata anche questa una bella opportunità.
Confermo: mi sono divertito. Ho riscoperto il piacere di raccontare, che è sempre – se vogliamo – un modo per avere a che fare con le parole. In un modo diverso rispetto a quando si usano per raccontare una storia, una novella, un romanzo. Ma non troppo, in verità. Perché la scienza può essere vista lei stessa come una storia, l’universo come un romanzo che si svela piano piano. Un libro nel quale siamo sprofondati dentro a leggere. Abbiamo passato molti capitoli, ma davvero tanti ce ne rimangono davanti.
In realtà, da come la vedo io, è come se più andiamo avanti, più il libro si infoltisse da sè di nuovi capitoli (messi sempre in fondo, nella parte ancora da leggere). Più andiamo avanti più ci accorgiamo che c’e molto da imparare. Dico, mica li trovi dappertutto, libri che si allungano man mano che prosegui a leggere! Ogni risposta crea nuove domande, apre sporte su stanze che poco prima non ci accorgevamo nemmeno ci fossero. Sappiamo quando è nato l’universo, sappiamo quanto è grande, sappiamo molto anche sul suo destino ultimo: cose che quando io andavo al liceo non si sapevano affatto, o si sapevano con margini di imprecisione veramente enormi.

Eppure non sappiamo un mucchio di cose. Cose che prima non sapevamo nemmeno di non sapere. Come il fatto che l’universo è composto per il 99.6 % di … qualcosa che ancora non si sa! Quello che sappiamo, quello che conosciamo (stelle, pianeti, galassie…) è solo il quattro per mille di quello che c’è. Mica male come ignoranza eh? Ditelo a quelli che pensano che l’astronomia abbia in pratica scoperto tutto, che la scienza non abbia più cose da dirci. 
In realtà, negli ultimi anni, abbiamo risposto a qualche domanda fondamentale (come quelle citate) e nel contempo abbiamo aperto la porta su un orizzonte enorme di altre questioni, di interrogativi nuovi. Come sempre, la domanda arriva quando si comincia ad essere in grado di elaborare una risposta (potevi parlare di meccanica quantistica ad un fisico del settecento? Credo proprio di no…)
Così la scienza diventa interessante, per me. A me piace raccontare, e la scienza bisogna che pure lei si faccia raccontare, altrimenti mi annoio io prima di tutti. Bisogna proprio viverla e spiegarla come una storia. Anzi, come un romanzo di formazione, dove quelli che sono formati siamo noi stessi: noi tutti, scienziati o non scienziati che possiamo essere. Qualcosa che lasci spazio alla meraviglia.  Allora viene voglia di conoscere, di capire. E ci si diverte, a ricercare e a raccontare…

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Come si descrive, una stella?

E’ vero. Siamo ammirati per tutte le scoperte che ci arrivano dallo studio dei cieli, magari siamo astrofili dilettanti o anche osservatori esperti, abituati a muoverci tra CCD, inseguimenti elettronici e tempi di esposizione… può capitare però, che in un angolino della mente, si pensi alle stelle come “oggetti” complicatissimi, la cui descrizione richiede uno studio attento e paziente, una lunga e provata esperienza scientifica… ebbene, non è affatto vero!

O meglio.. la verità è in mezzo. E’ vero che la descrizione accurata degli interni di una stella, in termini di pressione, temperatura, densità, etc… coinvolge una serie piuttosto complicata di calcoli e di approssimazioni numeriche. Tanto complessa che nella pratica ci si affida ai calcolatori: sono loro che – opportunamente istruiti – ci permettono di seguire la “vita” di una certa stella, dalla formazione fino a magari lo scoppio a supernova; sono sempre loro che ci aiutano a modellare le popolazioni stellari come gli ammassi aperti e globulari… fino alle galassie e agli ammassi di galassie.

Tuttavia se i calcoli sono molto complessi, è anche vero che la formulazione teorica “di base” di un oggetto stellare deriva da ben poche considerazioni, la cui semplicità è addiruttura affascinante; così come affascinante può essere la catena logica di considerazioni che portano gradualmente alla più piena descrizione del “fenomeno stella”.

Un campo pieno pieno di stelle, nella costellazione del Sagittario. Benchè diverse in colori e dimensioni, le stelle sono governate da poche semplici leggi (Crediti: NASA)

Nello specifico, per descriveve una stella basta pensare ad una massa di gas autogravitante (cioè che si “crea” la gravità dalla sua stessa esistenza), non relativistica (dove vale fisica classica), e in equilibrio idrostatico (che vuol semplicemente dire che in ogni punto, la pressione del gas verso l’esterno, bilancia la sua gravità che lo spingerebbe verso il centro). Tutto qui: descrivendo matematicamente questa semplice situazione (e si tratta di matematica elementare o poco più), si ottengono cinque equazioni (quattro “differenziali”, che trattano di piccole variazioni, e una “normale”, che poi si chiama equazione di stato). Le equazioni legano tra loro i parametri seguenti (da conoscere lungo tutta la profondità della stella):

  • pressione
  • luminosità
  • raggio
  • temperatura
  • massa
  • densità (cioè quanta materia c’è in una unità di volume)

La formulazione teorica è molto semplice. Il bello è che descrivere questa massa di gas è in tutto e per tutto descrivere una stella (perlomeno, nella gran parte della sua vita). Non vi sono trucchi, o segreti particolari!

Va solo detto che se vogliamo arrivare a stime numeriche vere e proprie delle quantità in gioco, avremo bisogno di sapere qualcos’altro. Se ci pensiamo, è normale: dobbiamo sapere con che tipo di “materia” abbiamo a che fare… cioè come crea energia, quanto è trasparente od opaca alla radiazione, come si comporta la pressione ad una variazione di temperatura o densità. Sono le equazioni di stato, di opacità e di produzione di energia (quest’ultima per tener conto del fatto che la stella ha “i motori accesi”, che si basano sulla fusione nucleare). Per saperle descrivere, dobbiamo sapere come si comporta il gas stellare. Spesso si conoscono in forma di tabelle numeriche (ricavate da esperimenti in laboratorio), che si mettono nel programma di calcolatore che risolve le equazioni che dicevamo, per ogni istante di vita della stella.

Fatto questo… il resto sono dettagli. Anche complicati, insidiosi, lunghi da implementare nel programma di evoluzione stellare. Ma sono dettagli, la base – spero di avervi convinto – è decisamente semplice.

Per me, il bello dell’evoluzione stellare è anche in questo…

Post ispirato dal paragrafo “L’equilibrio delle strutture stellari” dal testo “Fondamenti di Astrofisica Stellare” di Vittorio Castellani

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Esopianeti aiutano a capire la curiosa chimica del sole

Un enorme “censimento” di ben 500 stelle, 70 delle quali sono conosciute per possedere pianeti, è riuscito a stabilire un importante collegamento tra il perdurante “mistero del litio” osservato nel Sole, e la presenza di sistemi planetari. Difatti, utilizzando lo spettrografo HARPS di ESO, un team di astronomi ha  trovato che le stelle di tipo solare che hanno dei pianeti risultano aver distrutto la loro abbondanza iniziale di litio in maniera molto più efficiente rispetto alle stelle senza pianeti.

La scoperta è decisamente importante, poichè non sono fa luce sulla mancanza di litio nella nostra stella, ma fornisce anche agli astronomi un sistema potenzialmente molto efficiente per cercare stelle con associati sistemi planetari: è proprio la chimica della stella stessa, infatti, che ci dice qualcosa sulla presenza o meno di pianeti!

Va detto per contestualizzare questa scoperta, che bassi livelli di questo elemento chimico (rispetto ad altre stelle dello stesso tipo) sono stati notati per decenni nel Sole, ma nessuno era stato in grado finora di spiegare e interpretare l’anomalia. Ora il collegamento alla presenza o meno di pianeti sembra spiegare bene i dati raccolti: la ricerca è stata lunga, molte delle stelle nel campione sono state monitorate per diversi anni usando lo strumento High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher (in breve, HARPS) di ESO, probabilmente il “cacciatore di pianeti” più famoso al momento attuale.

Una immagine artistica di una stella “bambina” circondata da un disco protoplanetario, nel quale si stanno formando alcuni pianeti.
Crediti:
ESO/L. Calçada

Particolare attenzione è stata posta dagli astronomi alle stelle di tipo solare, circa un quarto dell’intero campione. I ricercatori hanno infatti scoperto che la maggioranza di stelle che possiede dei pianeti ha un’abbondanza di litio pari a meno dell’1% rispetto a quella delle stelle senza pianeti. Questo vuol dire che tali stelle si sono dimostrate assai più efficienti nel distruggere il litio posseduto al momento della nascita, rispetto alle loro cugine “solitarie”.

Va considerato che a differenza di molti elementi più leggeri del ferro, i nuclei di lito, berillio e boro non sono prodotti in maniera significativa all’interno delle stelle. Al contrario, si ritiene che il litio, composto da appena tre protoni e quattro neutroni, sia stato prodotto per lo più appena dopo il Big Bang, circa 13,7 miliardi di anni fa. Dunque la maggior parte delle stelle possiede la stessa quantità di litio.. a meno che, appunto, non siano efficienti processi di distruzione all’interno delle stelle stesse (come sembra in questo caso).

Ora che una connessione tra la presenza di pianeti ed il basso livello di litio sembra stabilita con buona sicurezza, bisogna comunque comprendere il meccanismo fisico che agisce dietro questa evidenza. I ricercatori indicano che vi sono diversi meccanismi possibili per i quali un pianeta possa “disturbare” il moto interno degli elementi in una stella, dunque influnzando la distribuzione stessa e forse l’abbondanza dei vari elementi chimici al suo interno. Spetta ora ai teorici – ci dicono gli autori della presente ricerca – indicarci quale sia il più probabile in atto.

ESO Press Release

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