Lo spazio in noi, e fuori. In tutte le salse

In barba a tutte le mie (più o meno scientifiche) previsioni, devo registrare che ci sono più follower di questo sito su Twitter che su Facebook, nonostante che la pagina Facebook riceva aggiornamenti più costanti e con frequenza maggiore. Al momento di scrivere infatti la pagina Facebook ha 1721 persone “a cui piace” mentre su Twitter viaggiamo quasi verso i duemila (1928 per la precisione).

La cosa, come dicevo, può sorprendere abbastanza, visto che Facebook è comunemente inteso come il social network. Anche per questo è stato inserito su Twitter un piccolo sondaggio (il primo che facciamo) per comprendere meglio la dinamica di utilizzo dei social in questo specifico ambito. Il che è poi un piccolo ma interessante spaccato della dinamica di utilizzo dei social tout court, almeno per quanto riguarda la loro capacità di rendersi canali divulgativi di eventi e notizie che gravitano attorno ad un certo tema, come qui è il caso di quello dello spazio. Naturalmente, declinato nella nostra particolare modalità, che è quella di ricercare un approccio globale, che unisca al mondo osservato il mondo dell’osservatore, (ri)allacciando quei ponti tra esterno ed interno che la scienza più avvertita e consapevole, ormai riconosce ed onora.

Nel più puro spirito scientifico, che è essenzialmente – senza banalizzare troppo – curiosità di come funzionano le cose, usiamo dunque i nostri account come laboratorio permanente, per comprendere meglio quale è il modo più efficace di veicolare le informazioni, ed essenzialmente di esporre il nostro punto di osservazione del mondo a chi potrebbe esserne potenzialmente interessato.

Tutto intorno a te. Ma sul serio.
Tutto intorno a te. Ma sul serio!

Questa è anche l’idea per la quale abbiamo aperto un nostro spazio su Medium. Diciamo che ora stiamo in fase di raccolta dati. Mettere a punto i nostri strumenti espressivi è una attività artigianale che continuiamo a fare da tempo: interessante anche perché ogni medium è un po’ il messaggio stesso, come è noto. Ovvero non partecipa inerte alle trasmissione del dato, ma interviene plasmando e insaporendo di sé il dato medesimo, che viene così intriso della forma dello specifico canale scelto.

Non è superfluo ricordare come ad esempio Twitter si presti benissimo a seguire eventi in tempo reale, e come è sufficiente monitorare il sito di una impresa spaziale nell’intorno temporale di un evento “importante” (una sonda che posa le zampette su una remota luna, un flyby attorno ad un pianeta…) per vederne lievitare il numero di follower, con una derivata temporale probabilmente sconosciuta ad altri eventi mediatici.

Interessante, in ultima analisi, su quello che ci può insegnare sull’uso di GruppoLocale, e molto di più sul rapporto tra Internet e divulgazione scientifica più in generale.

Tutto qui, in fondo. E’ sempre una bella avventura imparare, e anche qui non ci possiamo tirare indietro. C’è da divertirsi, guardando le stelle, i pianeti, le galassie, e immaginando e ragionando su quali siano le leggi che sottendono questo immenso spettacolo. Spettacolo che si apre continuamente ai nostri occhi, e del quale partecipiamo attivamente, in modalità ancora forse da comprendere appieno. Non ultimo, con il nostro uso della rete globale di Internet, l’esperimento di comunicazione (inter)planetaria di maggior successo che conosciamo al momento.

Loading

Onde gravitazionali, gio 11 conferenza in streaming

Sono ormai appena una manciata di ore che ci separano dall’attesissimo annuncio di “importanti risultati” che riguardano la lunga epopea della ricerca delle onde gravitazionali. La tensione è montata così inesorabile, che ormai è più che lecito attendersi qualcosa che farà davvero clamore (peraltro le indiscrezioni ormai non solo non si fermano ma nemmeno si riescono più a contare… tanto che più che chiedersi cosa sarà annunciato, è quasi più interessante sapere come verrà fatto).

light-567760_640Stando comunque ai fatti concreti, ovvero al materiale che abbiamo adesso (e ai vari misteriosi ammiccamenti dei colleghi), ci sentiamo di consigliare vivamente gli interessati di non perdere la diretta della conferenza che si terrà domani, dalle 16.00, dal laboratorio VIRGO a Cascina, che sarà possibile seguire in streaming, durante la quale, come dice l’annuncio stesso, “saranno presentati importanti risultati relativi alla ricerca delle onde gravitazionali recentemente ottenuti dalla collaborazione LIGO-Virgo”

Se poi aveste ancora qualche dubbio, un salto su Twitter può sempre aiutare…

Nell’attesa, se avete appena un paio di minuti, vi consiglio questo bel video di MEDIA INAF, che su questo settore della ricerca, riesce a fare il punto in maniera precisa e accattivante, ed anche – e non è poco – apprezzabilmente concisa.

E domani si dovrebbe aprire un nuovo capitolo. Di una storia, peraltro, sempre più affascinante.

Loading

Onde gravitazionali, clamori transnazionali

E’ stato un crescendo continuo di voci, indiscrezioni, cinguettii, mezze ammissioni, ammissioni senza ammetterlo. Ma la sensazione che qualcosa di grosso (e concreto) stia per essere svelato, quando finirà il faticoso – e lacunoso embargo – ebbene quella c’è. 

Le elusive onde gravitazionali, queste bizzarre increspature dello spazio tempo, sono state previste da tempo dalla teoria, ma non si sono mai riuscite ad osservare. Finora, dobbiamo aggiungere. Come dicevamo in apertura, c’è una crescente sensazione – suffragata da diverse circostanze – per cui dovremmo ormai essere alla vigilia di un annuncio epocale

banner-904889_640

Personalmente, rimango intrigato dai sorrisi e dai silenzi sornioni che capita di ricevere quando vai a pungolare qualche collega in osservatorio che – per il lavoro che sta facendo – ne dovrebbe sapere qualcosa. A volte anche il modo di tacere, pur non violando formalmente alcun embargo, sembra essere abbastanza indicativo.

Tra un paio di giorni dovrebbe concludersi comunque questo famoso embargo, il periodo di concordata attesa prima di poter annunciare urbi et orbi una eventuale notizia di avvenuta detezione, che sicuramente sarebbe di grande portata. Ed è lecito stare molto attenti a quello che potrebbe capitare. Ed anche, sperare che un altro importante tassello nella conferma delle teorie che spiegano come mai l’universo è come lo vediamo, venga brava brava a mettersi al suo posto.

Nel mentre, si può certo riflettere su come sta cambiando anche la comunicazione scientifica nell’epoca di Internet. Nell’età di Twitter e di Facebook, ogni indiscrezione è immediatamente rimpallata sull’arco intero dei media planetari e in poche ore anche un embargo che si pretende inossidabile è di fatto quasi annullato.

Certo, poi sono sempre cose ed informazioni che bisogna confermare. Non basta una rondine per fare primavera, e non basta un tweet per definire anzitempo realtà la scoperta delle onde gravitazionali. Sono dichiarazioni che vanno verificate e vagliate accuratamente. Troppo spesso la fretta ha causato improvvide e quasi esilaranti situazioni, come quella dei neutrini superluminari, di cui molti conservano memoria con un misto di ilarità ed imbarazzo.

D’altra parte, le cose sono sempre complesse, più delle loro riduzioni e rappresentazioni. Quanto aspettare, quante verifiche condurre, quando senti di aver tra le mani un risultato stratosferico? La tentazione di uscire allo scoperto, di fare l’annuncio in pompa magna (e magari di sistemarsi la carriera) è difficilmente sopravvalutabile. Ed è – aggiungo – pienamente umana.

Si deve cercare dunque un ragionevole compromesso. Un risultato di portata storica deve propagarsi in tempi brevi, ma non così brevi da non poter aver avuto almeno una ragionevole evidenza del fatto che il margine di errore sia stato ridotto a limiti accettabili. La regola del pollice, evidente buon senso che travalica l’ambito scientifico, è che tanto più dici una cosa che è (letteralmente) straordinaria, tanto più devi essere sicuro di quello che dici.

Confidiamo che sia così anche per le ormai non-troppo-ipotizzate onde gravitazionali, né abbiamo alcun motivo di pensarla diversamente. E possiamo ormai lecitamente aspettarci una qualche  notiziona, al proposito.

Quello che forse non va dimenticato, quello su cui è utile riflettere, è qualcosa che ha a che vedere con la natura stessa di questo rimbalzo mediatico, su questa enfasi che sta montando di ora in ora. E’ bene essere entusiasti, ma a patto che questo non finisca per trasmetterci una errata concezione della scienza, e del lavoro dello scienziato.

A costo di apparire scontati, bisogna ricordare che il vero lavoro degli scienziati avviene lontano dal chiasso mediatico, ed è una paziente applicazione di giorni, settimane, e magari anni, sovente non confortati da nessuna concreta evidenza sperimentale, se non da una convinzione interiore ed una applicazione indefessa per la quale, davvero, piano piano la realtà si decide a mostrare le sue fattezze.

E’ sempre la fiduciosa pazienza che opera e consegue. L’universo, peraltro, non sembra avere troppa simpatia per chi ha fretta o non lo indaga con la umiltà necessaria, per la quale si è disposti a mettersi sempre in discussione, e a valutare accuratamente un’idea magari di un collega ben più giovane e con meno esperienza. E’ questo il bello della scienza: comandano i fatti, e i fatti sono testardi, lo sappiamo.

E dunque, ben vengano gli annunci roboanti, ben venga l’eccitazione per la scoperta: è cosa bella e buona. Ed anzi  buonissima, se serve a farci comprendere che viviamo in un universo affascinante da indagare e da scoprire. Ma non dimentichiamoci che il lavoro di chi fa scienza, di chi fa cultura, è lì che avviene. Nel laboratorio, davanti al computer, nella stanza di controllo dell’acceleratore, nelle notti insonni al telescopio.

Comunque sia, lontano dai media.

Loading

Aspetta, non c’è campo…

E’ troppo divertente l’immagine che accompagna uno dei più recenti tweet della missione Rosetta. E’ materia proprio di questi momenti: sappiamo che il contatto tra Rosetta e il robottino Philae c’è stato, ed è una cosa veramente notevole. Tuttavia pare che la comunicazione sia ancora “ballerina”. Si tratta in poche parole di aggiustare la traiettoria di Rosetta in modo da poter stabilire una connessione più affidabile tra lei e Philae.

Il tweet che ospita l’immagine di Rosetta con un’espressione desolata ed un telefono in mano (al momento in cui scrivo, segnato come “preferito” 179 volte e “ridiffuso” 140) , rende l’idea molto più di mille parole. E’ un modo di rendere anche divertente e comprensibile il resoconto di un lavoro di importanza fondamentale: per poter raccogliere i dati raccolti da Philae, è evidentemente necessaria una buona connessione. La pagina dell’ESA (in inglese) alla quale lo stesso tweet rimanda per maggiori informazioni, risulta veramente molto esplicativa e presenta in buon dettaglio tutti i motivi per cui il team sta cercando in ogni modo di massimizzare la possibilità di “dialogo” tra la sonda e il robottino.

Immagine elaborata della cometa 67P presa il giorno 15 di giugno. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0
Immagine della cometa 67P presa il giorno 15 di giugno. Crediti: ESA/Rosetta/NAVCAM – CC BY-SA IGO 3.0

Dialogo che non deve essere troppo breve: per poter informare la sonda di tutto quello che Philae ha scoperto, perché possa raccontare – in termini scientifici – cosa vuol dire vivere su una cometa (cosa mai successa prima, nella storia), sarebbe desiderabile una chiamata che possa durare una cinquantina di minuti.

Non è una cosa affatto banale.

Intanto, la sonda gira intorno alla cometa 67P con un periodo poco superiore alle dodici ore, così da presentare appena un paio di possibilità al giorno di entrare in contatto con Philae (quando la posizione è giusta). Per di più, siccome il robottino non è sempre esposto al Sole, spesso non ha energia sufficiente per “raccontarsi” come sarebbe auspicabile. Fatti tutti i dovuti conti, al momento la lunghezza possibile delle “chiamate” tra i due varia da pochi minuti alle tre ore. L’energia di Philae rimane un fattore critico per valutare la possibilità di una comunicazione abbastanza lunga.

Il lander sulla cometa può certo operare anche con intervalli di comunicazione più brevi, ma la situazione è lungi dall’essere ideale, per i dati che possono essere scaricati effettivamente, ed anche per i comandi che possono essere inviati.

Siamo così, appesi alla speranza che ci sia campo, insomma (un po’ come in tante situazioni della nostra vita ordinaria, potremmo dire). La conversazione è del resto di grande importanza, tale da giustificare ogni tentativo. Vediamo come va 😉

Loading

Sogni (e metalli)

“Non smettete di sognare e… rimanete metal!”  Ecco qua, sono ancora i fatti che parlano. I fatti che infrangono i nostri quieti pregiudizi, quelli che ci portiamo appresso da una vita, e non abbiamo proprio alcuna voglia di mettere in discussione. Quelli che, a dispetto di tutte le evidenze, vedono gli scienziati come impassibili, imperturbabili. Freddi e asettici, con passioni moderate, controllate.

Guardate Matt, invece. Insomma, a suo modo, ci sta dicendo una cosa importantissima. Non c’è da rinunciare a sé stessi per fare lo scienziato, non c’è da abbandonare le emozioni. Non c’è da fare nulla di tutto questo, no. Il contrario, piuttosto.

https://youtu.be/aq1IpTAdWiI

Del resto, ci sono i fatti, appunto. Quelli non mentono.

C’è che un agglomerato di metallo è atterrato sulla cometa 67P, in un posto lontanissimo e isolatissimo, freddo sperduto abbandonato da tutti. Un posto lontano, ma lontano davvero. Inospitale, ma inospitale sul serio. Proprio perché qualcuno non ha smesso di sognare (e magari appunto è anche rimasto metal).

C’è che questo robottino dopo circa sette mesi ha ripreso i contatti, ed è una cosa che a dire la verità non speravano in molti.

E sta mandando dati. Ne parleremo, ma qui non ci interessa tanto questo, vogliamo rimanere concentrati sulla parte umana dell’intera faccenda.

Cioè quella parte che ha molto a che vedere con i sogni.

Eh sì. I sogni. Si fa tanto parlare riguardo ai finanziamenti (che sono sempre troppo pochi oppure che dovrebbero essere dirottati verso cose più urgenti, a seconda di chi ne parla), all’organizzazione (perfettibile), alla tecnica sempre più complessa, etc… E sarà banale dirlo, sarà davvero banale, ma se la gente non avesse preso sul serio i propri sogni, ma credete che ora su Marte ci sarebbero tutti questi bei robottini che ci portano giù quelle stupende foto, che sembra proprio di esserci?

Una bella  immagine dal Mars Pathfinder (crediti: NASA)
Una bella immagine dal Mars Pathfinder (crediti: NASA)

Pensate che, tanto per fare un esempio come altri, il satellite Gaia starebbe lì lì iniziando la sua incredibile missione di una immane cartografia stellare? E che, per dirne un’altra, le sonde Voyager, lanciate nei lontanissimi anni settanta, avrebbero continuato a funzionare fino ad ora, quando, lasciato li Sistema Solare, sono oramai lì per tuffarsi impavide nell’Infinito cosmico?

Ecco, appunto. Pensate a tutto questo. Niente di nuovo, per carità. Cose che avrete magari già pensato. Ma fatelo ora. E mentre lo fate, guardate Matt, guardate le sue improponibili camicie, guardate perfino il modo un po’ ingenuo e spavaldo di presentarsi. Guardate insomma le sue mancanze, il suo probabile, comprensibile, desiderio di originalità. Osservate non solo la sua abilità di comunicazione, ma ponete attenzione soprattutto alle sue sbavature.

Contemplate insomma la sua imperfezione, quella unica qualità che ne fa un uomo reale, fuori da ogni stereotipo. Ed insieme, uno scienzato vero.

E perfavore, non smettete di sognare.
Se poi volete anche stare metal, magari non vi seguo, ma se ne può parlare.

Loading

Twitter, Facebook e le olimpiadi

Ormai le oscillazioni sono finite, il sistema è stabilizzato. E credo che rimarrà così per un bel pezzo. Ci sono due social network – o al massimo due e mezzo, se vogliamo. I due social, lo sappiamo tutti, sono Facebook e Twitter. Il mezzo, se vogliamo considerarlo così, è Google Plus. Google sta spingendo tanto il suo clone di Facebook (con qualche differenza in meglio e qualcuna in peggio) ma la mia sensazione è che sia comunque arrivata troppo tardi, quando la convergenza universale verso Facebook aveva già tagliato fuori le varie alternative. E ridotto drasticamente la varietà di possibili opzioni, anche future. 

Mi viene in mente questi sere seguendo (a volte distrattamente) le trasmissioni di Sky relative alle olimpiadi invernali in corso di svolgimento. Anche se sono intento a fare altro, la mia mente filtra le parole interessanti, e soprattutto mi colpisce come – in diverse occasioni – rilancino diverse volte l’hashtag per comunicare messaggi alla redazione via Twitter.

Questo mi fa capire bene quanto sia cambiato il mondo informatico, rispetto a pochi, pochissimi anni fa. Quanto all’esplosione di piattaforme e di possibilità si sia succeduto rapidamente una fase contrattiva, dove tutto l’interesse si è raggrumato rapidamente intorno a pochissime piattaforme. 

Traffic sign 209195 640

 Ormai non sembra vi siano molte altre possibili direzioni…

Facebook e Twitter, lo sappiamo. I due hanno staccato tutti gli altri e sono da tempo in volata (anche perché quasi tutti gli altri… sono morti, informaticamente parlando). Difficile a questo punto pensare di riprenderli. Google Plus sta provando a staccarsi dal gruppo e tirare, raggiungerli nella volata. Ha dietro la forza di Google, un gigante della rete. Anzi, il gigante. 

Ma l’impressione inevitabile, è che abbia iniziato a correre troppo tardi. 

Intanto che Google si chiedeva cosa fare, provava con l’acquisizione di Jaiku, con Buzz… La condensazione si stava verificando. La direzione delle cose si stava delineando… 

Per la televisione, per i giornali, i network sono solo due, solo i due che hanno fatto la volata. La gente in media non ha voglia di lambiccarsi il cervello con altre piattaforme, con altri modi di fare le cose. Soprattutto, non vede la necessità di andare in un posto diverso da dove trova più facilmente i suoi amici. Difficile non essere su Facebook: è possibile, ma è diventato quasi uno snobismo, un po’ come non possedere un telefono cellulare, in qualche modo. Un modo per differenziarsi, insomma.

La persona “normale” (trattasi di persona non fissata sull’analisi di pro e contro delle varie piattaforme sociali in Internet) trova i sui amici su Facebook, poi non è che gli importa troppo sapere, ad esempio, se il meccanismo biunivoco di amicizia di Facebook è meglio o peggio dello schema di Twitter di followers e following. Che ci vado a fare su G+ se i miei amici sono altrove? E’ come andare a prendere un aperitivo in un bar bellissimo ma vuoto mentre i tuoi amici magari stanno al baretto “scarruffato” all’altro angolo della strada. Meglio andare lì, no?

Perché poi abbiano fatto loro due la volata, e non altri, rimane ampiamente materia di dibattito. Un po’ come chiedersi perché a suo tempo il VHS ha vinto sul Betamax (se non capite di cosa parlo tranquilli, vuol solo dire che siete beatamente giovani). Di cose interessanti ne sono fiorite: Identi.ca, Jaiku, Quaiku… e tanti altri che ora nemmeno ricordo. Che come early adopter, ho provato, ho esplorato… e poi li ho visti pian piano deperire, assottigliarsi, annaspare… morire. Il dispiacere più grande sono stati Jaiku e Qaiku. Avevano molte caratteristiche interessanti. Ma è andata così. Penso da un certo punto di vista, abbia vinto la semplicità, perfino la povertà di opzioni, in certi casi.

Doveva succedere. C’è una indubbia convenienza ad essere tutti su un paio di social network. E’ facile trovarsi. Quello che ci siamo persi, è questo: la nozione che c’è più di un modo per farlo, per prendere a prestito il motto assai efficace del linguaggio PERL. Ormai pensiamo “stile Facebook” … le amicizie, i gruppi, i commenti. Pensiamo possa essere soltanto così. 

Macché. Piuttosto, la nostra forma mentis si è sagomata sull’architettura di Facebook.

Un poco come quando la gente confondeva computer con Windows, oppure browser con Internet Explorer. Sfuggiva il fatto che ci fossero più modi per interagire con il computer (linux, Unix, Mac OS….) o per navigare in Internet (Firefox, Safari, Opera…). La mente si adeguava allo scenario conosciuto e lo veniva piano piano a considerare come l’unico possibile. 

Adesso accade più o meno la stessa cosa, con i social network. La cosa ha appunto molti vantaggi, ma accanto ad essi rimane un cruccio – almeno per chi scrive. Che la varietà che era esplosa qualche anno fa, si sia contratta, si sia ripiegata e annullata. Ovviamente è una generalizzazione, suscettibile di eccezioni e approfondimenti: vediamo bene che sono sorti in tempi recenti altre realtà interessanti, come Instagram, Tumblr, etc. 

Tutto vero. Ma se accendete la televisione su Sky olimpiadi, per dire, per comunicare con la redazione, vi daranno l’hashtag  per Twitter. Se tornate dal lavoro e ascoltate RadiTre (per darvi un tono piuttosto culturale, anche se siete in macchina da soli e comunque non se ne accorge nessuno) ogni trasmissione del pomeriggio si aprirà fornendovi il suo riferimento su Facebook. 

Questo è.

Loading

Tutto GAIA, in due minuti e dieci

Il satellite GAIA, lo sappiamo, è arrivato al suo punto di operazione, ad un milione e mezzo di chilometri da terra, e ora è occupato a predisporre tutto quanto per poi iniziare le vere e proprie osservazioni. Le possiamo seguire quasi in “tempo reale” dall’account Twitter di GAIA, che conta già quasi cinquemila iscritti (al momento di scrivere, sono 4944 per la precisione).

Tutto procede bene, come si può leggere in un recente status…

Nell’attesa dei dati scientifici, vale la pena rivedersi in poco più di due minuti un delizioso riassunto della storia di GAIA, dall’inizio della costruzione (in realtà la vera storia parte molti anni prima, ma di questo ne potremo parlare in seguito) fino allo spettacolare lancio. Il video è apparso qualche giorno fa nel blog di GAIA, e si può vedere qui sotto

Aggiungo una sola cosa… dite quello che volete, ma io sono contento di lavorare su un progetto con un logo così bello… la bimba che si protende alle stelle che si vede nel video… è emozionante vederla partire per il cosmo…!

Loading