Blog di Marco Castellani

Tag: ultravioletto

Giove all’ultravioletto

Passano gli anni e giungono nuovi telescopi (il pensiero va immediatamente a James Webb ed Euclid) eppure l’ormai glorioso Hubble si rivela ancora capace di spedire a Terra immagini che ci stupiscono realmente. Come questa, che ci rivela una visione del pianeta Giove piuttosto inusuale.

Hubble ci regala un nuovo modo di vedere Giove…
Crediti: NASA, ESA, M. Wong; Processing: Gladys Kober

Si tratta infatti di Giove visto in banda ultravioletta. Dico visto ma sarebbe corretto forse dire rimappato, nel senso che poiché – a differenza di Hubble – il nostro occhio non percepisce le lunghezze d’onda dell’ultravioletto, si è scelto di dare colori diversi a diversi filtri ultravioletti, in modo da riportare il tutto all’interno della nostra area di percezione. È una procedura molto comune in astronomia: anche noi abbiamo già visto, in giugno, come appare Marte, nelle bande ultraviolette. E di cose poi da investigare in questa regione di lunghezze d’onda, ce ne sono certamente molte altre.

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Marte all’ultravioletto

Non è certo il pianeta Marte che vediamo di solito, perché queste immagini sono acquisite in banda ultravioletta, invisibile agli occhi umani. Sono state prese dalla sonda MAVEN, in luglio dell’anno scorso e a gennaio dell’anno presente. La sonda è entrata in orbita intorno al pianeta rosso (per i nostri occhi) a settembre del 2014, dunque si avvicina al decennio di attività.

Immagini di Marte all’ultravioletto
Crediti: MAVENLaboratory for Atmospheric and Space Physics, Univ. ColoradoNASA

L’ultravioletto ci rivela un Marte ben differente da quello che conosciamo, mettendo in risalto particolari di solito invisibili. Le nuvole appaiono in colori bianchi e blu, mentre l’ozono ad elevata altitudine tinge il pianeta di un forte color porpora. A sinistra, la calotta polare appare di colore bianco, ma come si vede, si restringe molto durante la stagione estiva dell’emisfero meridionale. A destra, la regione polare dell’emisfero settentrionale risulta ben nascosta dalle nuvole di ozono.

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Venere e il Sole… all’ultravioletto

Un tipo di eclisse tutto particolare, non c’è che dire. Di solito, infatti, è la Luna a schermare il Sole, quando si frappone tra la Tera ed il nostro astro, causando il ben noto fenomeno dell’eclisse. Ma di cose in cielo… ce ne stanno tante, anche e soprattutto nel nostro Sistema Solare. Può accadere – come in questo  caso – che sia il pianeta Venere che si trovi a passare (ogni tanto capita) davanti al disco solare: realizzando così una piccola – e tutta particolare – eclisse…

Venere davanti al Sole

Credit: NASA/SDO & the AIA, EVE, and HMI teams; Digital Composition: Peter L. Dove

Questa deliziosa immagine è del 2012, anno in cui è avvenuto il fenomeno (il prossimo avrà luogo nel 2117, un po’ troppo avanti, probabilmente, per molti di noi… ). L’immagine è straordinaria ed affascinante, anche perché non è presa in luce visibile, bensì nelle bande ultraviolette del Solar Dinamic Observatory della NASA. I colori che si ammirano corrispondono pertanto alle diverse lunghezze d’onda nelle bande ultraviolette.

Oltre allo spot nero di Venere, colto proprio nel suo passaggio, si può godere di una vista decisamente articolata (molto più che nel visibile), segno già questo molto convincente della complessità dei fenomeni che avvengono sulla superficie del Sole. Fenomeni così articolati che, come abbiamo specificato più volte, ancora attendono una compiuta interpretazione scientifica. Ma che già adesso si possono fare ammirare, solo a saperli vedere con l’occhio (o lo strumento) più adatto…!

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Caldo, e ancor più caldo…

L’astronomia è decisamente una scienza strana. Eh sì, perché contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non è vero che gli oggetti a noi più vicini siano sempre i più esplorati. Prendiamo il Sole, ad esempio. Ad appena otto minuti luce da noi, potremmo supporre che ormai sia completamente conosciuto. E invece no: di fatto, la nostra stessa stella è ancora contornata – potremmo dire – da una serie di piccoli e grandi misteri scientifici, che attendono ancora compiuta articolazione, e convincente soluzione.

Crediti: NASA/GSFC/Solar Dynamics Observatory

Osservate questa sequenza di immagini del nostro amato Sole. Tutte le istantanee sono state acquisite nella stessa giornata, il giorno 27 del mese di ottobre, per la precisione. Ma mentre la prima “fettina” di Sole ci viene restituita in luce “bianca” (ovvero, nel modo in cui lo vedrebbe un occhio umano), tutte le altre sono acquisite in bande ultraviolette estreme, ovvero nella regione più energetica dello spettro, rispetto alla banda ottica. Sono anche disposte in bell’ordine secondo una scala di temperatura, crescente verso destra : la prima è su una temperatura di circa 6000 gradi, mentre l’ultima arriva a ben 10 milioni di gradi.

Una prima cosa che si può notare, ad un esame abbastanza puntuale, è che ogni immagine ci regala in realtà dei particolari diversi. Possiamo dire che ogni intervallo in lunghezza d’onda trasporta e rivela informazioni relative a diversi processi che stanno avvenendo sulla superficie solare (e al di sotto). E’ appena un accenno in scala ridotta dell’astronomia cosiddetta multi-messenger che si sta rivelando come approccio estremamente fecondo nella comprensione “a tutto campo” dei fenomeni celesti. Potremmo dire, in parole semplici, che occorre avere “occhi” per ogni specifica radiazione, sensori per ogni specifico “segnale”, per sperare di ricostruire un quadro completo e compiuto, di quanto stiamo osservando.

L’altra cosa, naturalmente, è l’ampio intervallo di temperatura in cui è capace di “splendere” il Sole. Arriviamo a dieci milioni di gradi, come abbiamo visto. E questo, per di più, accade nell’alta atmosfera solare, dunque molto più calda dei circa seimila gradi della base della fotosfera (da dove si originano i fotoni che arrivano fino a noi). Sì, avete letto bene: da seimila a dieci milioni di gradi, procedendo dalla “superficie” all’atmosfera solare! E’ una faccenda che ha dato ben più di qualche grattacapo ai fisici solari, per diversi anni, ma forse proprio adesso – grazie anche a dati precisi e dettagliati come questi – sta arrivando verso una sua piena comprensione.

Pubblicato originariamente su EDU INAF

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Acqua nell’atmosfera stellare, dalla radiazione ultravioletta

La sonda Herschel ha appena scoperto un ingradiente di importanza fondamentale nella produzione di acqua nell’atmosfera di alcune stelle: la luce ultravioletta!  E’ la sola spiegazione possibile per interpretare la presenza delle gigantesche nubi di vapor d’acqua che si trovano spesso intorno alle stelle nelle ultime fasi della loro evoluzione. I risultati di questa ricerca sono appena stati pubblicati nella prestigiosa rivista Nature.

Ma andiamo con ordine. Ogni ricetta degna di questo nome, include un ingradiente “segreto”. Quando gli astronomi trovarono una inattesa nube di vapore acqueo intorno alla stella vecchia CW Leonis, nell’anno 2001, furono immediatamente curiosi di scoprirne la sorgente. La faccenda infatti era curiosa: si sapeva che l’acqua è presente intorno a diversi tipi di stelle, ma CW Leonis è una “stella al carbonio”, cioè di una categoria che non dovrebbe produrre acqua. Tanto è vero che le ipotesi iniziali si aggiravano sulla possibilità che l’acqua fosse prodotta da comete in evaporazione, oppure anche da piccoli pianeti.

La stella la carbonio CW Leonis vista da Herschel. Crediti: ESA / SPIRE / PACS / MESS Consortia

Ora però gli strumenti PACS e SPIRE a bordo di Herschel hanno potuto rivelare il famoso “ingradiente segreto” individuandolo appunto nella luce ultravioletta: il vapor d’acqua è troppo caldo per provenire dalla distruzione di corpi celesti, inoltre è ben distribuito attraverso tutto il vento stellare, in una zona che si spinge anche al di sotto della superficie della stella medesima. Questo fa pensare al fatto che l’acqua sia stata creata da un fenomeno chimico, mai ipotizzato finora, per il quale la radiazione ultravioletta proveniente dallo spazio intertstellare riesce a scindere le molecole di monossido di carbonio, rilasciando atomi di ossigeno. A questo punto il gioco è fatto: l’ossigeno liberato interagisce con l’idrogeno presente in abbondanza, e forma molecole d’acqua.

Riguardo a CW Leonis, possiamo dire che è una stella gigante rossa, solo poche volte più grande del nostro Sole, che però si è espansa nell’arrivo in fase di gigante, per  un raggio di centinaia di volte quello originario. Le reazioni nucleari al suo interno stanno convertendo l’elio in carbonio, molto del quale finisce per esporsi sulla superficie della stella medesima (di qui il nome di “stella al carbonio”). Proprio l’abbondanza di carbonio faceva pensare agli astronomi che l’acqua non potesse esistere in tali ambienti: con tutto il carbonio presente, ci si aspettava che l’ossigeno fosse tutto “bloccato” nelle molecole di monossido di carbonio (CO). A tale quadro mancava, come abbiamo visto, di tenere in considerazione l‘ingradiente segreto

Il prof. Mike Barlow, coautore dell’articolo pubblicato su Nature, si spinge a dire che “La scoperta del vapor d’acqua dal vento proveniente da una stella al carbonio ha richiesto una completa rivisitazione dei nostri modelli dei processi chimici in tali flussi, e testimonia le eccezionali capacità degli spettrometri a bordo del Telescopio Spaziale Herschel”

Potete leggere maggiori dettagli nella Press Release di Herschel


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